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David Cunningham - Grey Scale (1977)

Primo vinile per la neonata Piano, etichetta curata dallo stesso autore David Cunningham (poi in Flying Lizards), che missa, produce e firma in proprio, assieme ad alcuni collaboratori un interessantissimo incostante, minimale, inquieto collage di miniature soniche.

L’alone perturbante e spettrale è veicolato anzitutto dalla copertina monocrome che riproduce un anonimo opaco fotogramma, forse un interno, bagnato da raggi di luce, su cornice bianca (l’opera è "Snow Scale", del ’75, Steve Partridge).
Quanto ai suoni: il lato A è mancipio di una suite a episodi, dal nome “Error System”. Dopo un breve interludio, fa ingresso la sinistra “(C Pulse Solo Recording)” di chiara matrice minimalista (di cui riporto breve esemplificazione: “The players play a repeated phrase. As soon as one player makes a mistake that mistake is made the basis of his repetition unless it is modified by a further mistake. Thus each player proceeds at his own rate to change the sound in an uncontrollable manner. On no account should "mistakes" be made deliberately to introduce a change into a performance.”).

Affreschi gelidi, microtoni umorali orditi ciclicamente da suoni cupi ad aggrovigliarsi, da violino a vibrare e scampanellii ‘glockenspiel’, piano, basso, tastiere; dipanandosi spargono inquietudine vacuità, senso di avanzante offuscamento e perdita gravitazionale. L’ambiente è sinistro quanto più si mostra anonimo e non decifrabile.

Sul secondo lato pare avere la meglio il chiarore sul buio. Apre inopinatamente una piccola compiuta sinfonia iterativa proto-glitch di splendido intuito avvenirista (Ecuador), poi abdica fatalmente in favore di suoni ambient tersi o acuti eco (Water Systemised, Venezuela 1, Guitar Systemised), confusioni e fragori secondo tasselli “residenziali”, brandelli di suoni da orchestra da camera come prosciugata. Conclude questo strano viaggio una frase di piano con un contorno atmosferico di effetti simil giocattolo (Bolivia).

La pagina dedita al disco, http://www.markallencam.com/fldiscgreyscale.html, estremamente dettagliata (per fortuna) ne rivendica persino e a ragione una certa naturale fruibilità, nonostante più ispirazioni accademiche e moderne.

 

Brian Eno & David Byrne - Everything That Happens Will Happen Today

Riaversi dallo shock iniziale è possibile, e opportuno. Così come è opportuno valutare questo disco in un’ottica distaccata dall’immagine stereotipo del duo che l’ha realizzato. Un duo cambiato rispetto a 30 anni fa dove l’immaginario collettivo è solito collocarli (e congelarli), avanzando, sperimentando altre culture, contaminandosi e modificando la propria esperienza empirica per sempre.
Avremmo forse voluto un altro, nuovamente conclusivo “Bush Of Ghosts” a interpretare ancora il futuro, vederlo lucidamente dipingere quei colori inopinati, esasperati e violenti, con quelle prospettive affastellate, contrapposte, in un insieme fantasmatico crudo e angosciante. Invece, da Eno e Byrne abbiamo un’opera naturalistica e documentaria ove immergere e abdicare la loro vita; canzoni elettriche, inni spirituali (“gospel”) vibranti e tormentati dolorosamente indagati spazialmente, tra vertice e orizzonte (spazio ‘espositivo’ e spazio ‘devoto’), interpretati con accensione e impeto crescenti in grado di persuadere e infettare, in grado di guardare con occhi diversi realtà già note.

“Home is where I want to be
Pick me up and turn me round”

(1983)

“Everything That Happens Will Happen Today” è un’opera per immagini in musica, diagnostica a-selettiva, che diffonde un’aria intensamente tradizionale aggiornata dal lavoro in studio. L’effetto è emozionante e naturale proprio nella semplicità e purezza del discorso: un’elaborazione differente, creativa, minimalista, partecipe emotivamente del banale. Un ‘cinemascope’ attraverso immagini e musiche familiari, radicate, tra visione e ipotesi, realismo e affabulazione.
Si diffonde un senso vitale molto simile, se non identico, all’atmosfera del film Byrniano “True Stories”, forse il referente dal passato (assieme al notevole Eno-Cale "Wrong way up", 1990) più atto a comprendere la genesi di questa sortita. La cittadina texana di Virgil, protagonista in quel film, visitata tramite l’immaginario Caronte Byrne, assurge nuovamente a esempio ecumenico: il borgo rurale-macrocosmo è simbolicamente indagato, serenamente, impercettibilmente in toni ironici e partecipi, esaltando il “riposto eccentrico” in ciascuno, ovunque. Il fluire, lo stream del canto blues del cantore Byrne, lava e menda tutto, enfatico, dinamico, comunicativo; esausto in quanto gravato di dramma ed euforia.
“Everything That Happens Will Happen Today” è allora una sorta di pamphlet fotografico luminoso e mesto, levigato e agrodolce. Memoriale scenografico di canzoni efficaci e meno, che colgono libere stille di umana naturalezza, e una percepibile disperazione a covare appena sotto la superficie.

 

 

DAVID GRUBBS - Thirty-minute Raven (Fat Cat, 2000)

I dischi di Grubbs offrono sempre una specie di pop sperimentale, raffinato, all'apparenza leggero, compatto, rivelazione e riflesso di quel particolare desiderio, di quel progetto che si era trovato con Camoufleur (l'ultimo lavoro realizzato a nome Gastr Del Sol assieme a Jim O'Rourke) e che non s'era potuto esprimere compiutamente per via del prematuro scioglimento del gruppo. Una sorta di recupero di elementi primordiali, dell'infanzia, senza nostalgia, che con libertà trasfigurano e si evolvono.

A differenza dell'ex socio O'Rourke, che cerca sempre il tutto tondo, il compiuto, Grubbs compone per privazione, capitalizza via via per esempi indicativi con ciò che dispone in quel momento, e solo con quello, costruendo interessanti lavori marginali.
Una creatività possibile "con i pezzi che mancano" a volte riuscitissimi come The Thicket o questo …Raven, un eloquente lavoro strumentale (intuendo il nostro l'elemento vocale stucchevole), meravigliosamente sospeso e probabile, forse perciò il più compiuto e ammaliante dell'ex Gastr Del Sol.
Il canto del cigno dei Gastr è omaggiato con un po' di rimpianto nell'incipit dell'unico brano suite che compone questo lavoro, una circumnavigazione che, per la gioia dei molti orfani di september reverses/blues subtitled…, indica una sorta di prosecuzione atmosferica.
Un rullo continuo, incalzante, sostenuto e appena ansiogeno è affiancato da pensieri in chitarra che aprono e definiscono spazi liberi pastorali, si dipanano, poi rallentando svaniscono progressivamente, si dissolvono, in vista dell'avamposto minimalista (Ligeti, Cardew) acquisendo indefinitamente una dimensione sulfurea e incantata, a contatto con l'atmosfera perdono colore, per poi riappropriarsi, sempre gradualmente, degli elementi lasciati in terra.
(inverno, 2003)

Deerhunter - Microcastle (2008)

Tornano Deerhunter con le loro illusionistiche rinascite, fragorose panacee melodiche da sottobosco rock-psichedelico della prima metà del decennio ’90. Questo nuovo “Microcastle” si cala in un attraente, misterioso recesso alienato, alloggia in cascami di effetti sonici, sbraccia in amniotiche lagune celestiali.
Questa materia astrale è efficace anzitutto per quanto richiama. Scorza e nettare come risvolti, all’occhio e al tatto, di gruppi come Teenage Filmstars e Yo La Tengo o della scuderia Too Pure, più qualche legame all’immaginario ombroso e dissociato dei non dimenticati Delicatessen di “Skin Touching Water” (“Little Kids”) o alle figure melodiche di Destroyer (“Microcastle”).
Ma a volte, le melodie istintuali e trasognate sorprendono di per sè, per brillantezza, nitore, aspetto (“Agoraphobia” spande romanticismo Velvet Underground col canto di Jarvis), modellando in vapori surreali, quasi una tempera grassa da pittore, esaltate dal rumore bianco, da voci-parvenze che avvampano, tra nevrosi e decadenza; altre invece restano claudicanti ("Activa"), perdono mordente sviluppandosi o semplicemente non ne mostrano a dovere (“Nothing Ever Happened”).
Una prova di indubbio trasporto e di richiamo retrò pur con qualche amnesia o carenza di personalità.

 

DIE TRIP COMPUTER DIE
Blind Puppies, Shorter Circuits, All Shag Ringo CD-R (2002?)

Enigmatica, intricata, colossale trilogia sperimentale di mai immessa in commercio quella di Die Trip Computer Die, in tre torrenziali satelliti ‘stream of consciousness’: Blind Puppies, Shorter Circuits, All Shag Ringo, ottenuti tessendo con pazienza, perizia, intrigo ed estro casalingo, un’infinità di suoni e visioni, forme dinamiche e scarti di lavorazione.
Si ottiene un ‘monstre’ collage D.I.Y. in assoluta libertà strutturale, tra samplers, improvvisazioni, immersioni ambientali, decolli e frastorni psichedelici, rotte spaziali con onnipresenti lattiginosi filamenti di tastiera a tessere e palesare reami metafisici e visioni celesti. Tutto ciò è fatto ‘reagire’ con brandelli di suoni, sfigurate e terrificanti emissioni media, alieni-quotidiani dal richiamo mnemonico e d’effetto spiazzante. Si genera un rapporto conturbante e alquanto inaudito tra elementi sì disposti, dalle giunture truccate, di suggestive e arcane forme richiamate.
Incerta rimane la data di realizzazione, mancando qualsiasi menzione ad essa. Qualcuno menziona il 2002, ma questi montaggi potrebbero calarsi negli anni ’90, stanti indubbie comunanze con The Orb atterrati nella California dell’assurdo di LAFMS, o l’abilità collagista, fedeltà e immaginario, ardire e ardore tipici delle recenti, smaliziate generazioni di artisti elettronici.

 

DJ Sprinkles - Midtown 120 Blues (2008)


There must be a hundred records with voice-overs asking, "What is house?" The answer is always some greeting card bullshit about "life, love, happiness...." The House Nation likes to pretend clubs are an oasis from suffering, but suffering is in here with us.

DJ Sprinkles è l’alter-ego del veterano DJ e artista multimediale Terre Thaemlitz, originario del Minnesota e trapiantato a New York.
Terre l’esteta impavido, l’agitatore esuberante, il lirico sanguinante e romantico, l'intellettuale introspettivo e cupo impasta e libera nella propria tavolozza musicale una serie di avvolgenti composizioni in un campo visivo nitido e illusionista, in cui convivono la semplicità della forma e un massimo dell’esperienza.
Con la passione e la coscienza di un martire, DJ Sprinkles valica le mura della house e dei dance-floor "addentrandosi" in strada; infondendo nella sua musica una luce tragica, che cala e avvolge ovunque in coltri jazz e fantasmi ambient.

Ascoltandolo, è impossibile non pensare a quel... “blues” citato nel titolo: si attinge dalle radici per riflettere su se stessi, esercitando il sentimento oltre la mera contemplazione. “Midtown 120 Blues” evoca un mondo che è sintesi e racconto di vissuto e anelito d’astratto, integro e calato nella propria realtà storica complessa. “Ball'r-Madonna-Free Zone” mima gli affanni delle minoranze ("if anybody requested "Vogue" or any other Madonna track, I told them, "No, this is a Madonna-free zone! And as long as I'm DJ-ing, you will not be allowed to vogue to the decontextualized, reified, corporatized, liberalized, neutralized, asexualized, re-genderized pop reflection of this dance floor's reality!).

“Brenda's $20 Dilemma” tesse un jazz-trip oppiaceo, dove tormento ed esaltazione scalpitano nell’uomo e si rivoltano come vulcani nella pelle, e che deragliano tra richiami e tentazioni, grida e incitazioni (la title track, le due “Grand Central”...).

Come un Ulisse ebbro e abbagliato dai richiami tra passato e presente, o una Madama Butterfly consumata nell’attesa, che spasima e arde luce da ogni fibra, Thaemlitz colloca e riversa nell’ampia pasta di suono pulsante echi e balugini, battiti e grida, lapilli mnemonici e singulti killer (“Ball'r”, “Sisters, I Don't Know What This World Is Coming To”).
Loop, micro-inserzioni strumentali e campionamenti funzionali influenzano l'organismo artificiale ultimandolo, procurandone il soffio vitale, dissolvendone il supporto in un puro, totale stato emotivo. Passando, in piena naturalezza, dalla semplice banale riproduzione artistica all’assimilazione graduale di colori, toni, odori, consistenza della materia.

L'esito, enorme, inopinato, è un congegno che gronda vita in luminescenti drappi nostalgici e fascinazioni decadenti. Un sogno d’infinito ove fuggire, espiare, riposare. Un limbo di screziato naturalismo che allevia e assolve l’abisso di sofferenza.
“Midtown 120 Blues” è più d’una summa artistica, sprigiona un immaginario iconico in perfetta attrazione con l’espressività viva e ostentata dal dipinto in copertina. Un'ellissi tra mistero e rivelazione: tanto quanto la musica, quelle dense e opache pennellate rapiscono in sé, avvolgono e bruciano l'ascoltatore nel loro stesso intimo turbine emozionale. (2009)

 

DNTEL - Life Is Full Of Possibilities (2001 Plug Research)

Jimmy Tamborello è il demiurgo del progetto Dntel sin dal 1994, già parte di Figurine e recentemente di Postal Service. Un autore sensibile e fragile, che dichiara di scacciar fobie e di trarre conforto attraverso la propria opera.
Life Is Full Of Possibilities, ossia l'esordio in Lp di DNTEL, è uno dei lavori recenti che più stimolano ed esasperano l'emotività. Si offre una sorta di terapia rigenerativa in abito postmoderno contro gli eccessi del postmoderno stesso.
Un rimedio omeopatico dunque, canzoni interpretate sotto forma di elettroacustica misurata, gentile e languida, a fianco di tastiere che innalzano muri di suono e inserti di effetti, che dispongono le atmosfere e gli orizzonti espressivi di un senso di immanenza e di sensualità.

Apre il lavoro una riproduzione elettronica di goccerelline di pioggia che si infrangono su tetti di case, sui vetri di finestre e di automobili, sui marciapiedi, come la chitarra di Belew che simulava un barrito in elephant talk dei King Crimson.
"…you can turn the city upside down if you want to…" biascica la voce dell'ospite e amico Chris Gunst in umbrella, uno dei toccanti brani che può vantare il disco.
Pulsazioni, contrasti e sovrapposizioni dentro anywhere anyone, a sottendere inquietudini e alienazioni metropolitane, e ad avvolgere le coscienze.
Pillowcase sembra proseguire ed estendere la prima traccia, è un altro capolavoro di ambient sospeso e di raggelante ricostruzione di luoghi artici.
La trasognata e vulnerabile suggestione minimalista di suddenly is sooner than you think, oppure il monologo libero, la dinamica panoramica della title track con quegli intrecci di arpeggi di chitarre sotto forma di frammento, sembrano avere il potere di leggere nelle menti.
Il capolavoro nel capolavoro spetta forse a why i'm so unhappy, un brano di struggente lirismo che ripete un flusso melodico con variazioni di strumenti ed effetti, in cui la voce femminile butterfly di Rachel Haden attraversa, disperata acrobata, contagiando l'ambiente di sovratoni nostalgici; e la chitarra di Brian McMahan a rintoccare.
Life Is Full Of Possibilities é uno dei dischi davvero impedibili degli ultimi anni.
(inverno, 2002)


Dogbowl- Cyclops Nuclear Submarine Captain (1991 Shimmy Disc)


Dogbowl è la creatura del chitarrista e cantante Stephen Tunney, ex-King Missile, poeta circense, surreale svagato; spirito fanciullesco tutto spontaneità, umorismo geniale e trascinante.
“Cyclops…” fa seguito al sublime esordio “Tit” (dell'89, già esemplare), per certi versi premonisce la landscape di Olivia Tremor Control, Le pregiate miniature musicali di questo disco scatenano (…diluendo) nel giro di un'ora ogni sorta di richiamo, fantasia ironica e stravagante d'ogni tempo. Ogni forma musicale popolare va magicamente ad assumere la (de)forma di vaudeville acidula, di sketch polifonico.

Ayers, Barrett, BonzoDog.. ma soprattutto Tunney il demiurgo e il suo seguito. Uno scalcinato carrozzone strumentale metafisico farsesco inesauribile e insolente (chitarra, clarinetto). Una maliarda sequenza di ascese tra cui “S.American eye”, “toilet!”, “love bomb”, “apple mary”, “carnival in the swamp”. Quest'album è zeppo di capolavori melodici, tra i più inestimabili vanti di Shimmy Disc.
(inverno 2002)

 

 

Double U- Life Behind A Window (Sonar Kollektiv, 2004)

Double U, nella vita probabilmente Franck Rabeyrolles, parigino insediato a Montpellier, musicista (anche in Moonsoon), esercente e proprietario dell'etichetta Wool Recordings, ci offre l'ennesima rimarchevole elettro-pop ibridazione.
Risonanze glitch, bossa francese gentile e penetrante, organismi jazzy in profondità outer space e non per ultimo, impronte hip hop Anticon.
Il tutto suona piuttosto originale. Tra le passioni del ragazzo, il viaggiare, anche con la mente. Tradotto nella propria percezione musicale, un senso analitico e un gusto ricompositivo satellitare astratto, che rifugge ogni programma, ogni itinerario prestabilito.

Tastiere e arpeggi di chitarra, campionamenti, ciancaglierie digitali, effetti asciutti di voci lontane, smarrite ("in vain", "blind colors", "pressure").
Un trip crossover, ancora una volta atemporalmente, spaesato e spaesante. Ma tutt'altro che contemplativo: smanioso, ansioso naufrago, senza centro di gravità.
Pretenzioso? Forse. Adorabilmente. Può essere un vantaggio questo nomadismo, questa cagionevole apolide transitorietà, vissuta dell'interprete con fatalismo e abbandono.
Un senso di irrisolvibile, sbalordito turbamento.
Tanti i brani di livello, fra cui spiccano, avvolgenti, "relax", "there is a chance", "back to reality" (tra Air e Gypsophile), "hard times", "story about".

"Life Behind A Window" è disponibile in Cd e doppio Lp, bellissima la veste grafica retrò a cura di Superheights Institute.

(2004)