Company


Company, adunanza della creme dell’impro mondiale, prende vita da sessioni musicali in occasione delle cosiddette "Company Weeks"; eventi raduno indetti a partire dal 1977 e ripetuti estemporaneamente sino ai giorni nostri (l’ultimo, Company In Marseille, è stato pubblicato nel 2001).

La Music Improvisation Company, così come ancor prima Spontaneous Music Ensemble, animate dai medesimi elementi, sono più che consanguinee e proponevano simili 'metodi architettonici' già anni prima, nei '60.

Punto fermo del progetto, la presenza dell'artefice animatore, il chitarrista Derek Bailey. Attorno a lui si muove e svaria il 'personnel', che ha coinvolto numi tutelari della improvvisazione/jazz come Evan Parker, Anthony Braxton, Steve Lacy, Tony Oxley, Maarten Altena, Lol Coxhill, Steve Beresford, Han Bennink, Misha Mengelberg, Richard Teitelbaum, Wadada Leo Smith ed altri.


Sull’ 1 (Mag. 1976) della serie Company a suonare è un quartetto: Maarten van Regteren Altena, bass; Tristan Honsinger, cello; Evan Parker, soprano & tenor saxophones; Derek Bailey, electric & acoustic guitars.

Quattro le tracce, tra parentesi i performers:

No South [DB/MA/TH]
No North [TH/EP/MA]
No East [TH/EP/DB]
No West [EP/DB/MA]

“Altogether we recorded a number of duo pieces, all the possible trio combinations, and also a quartet. The music on this record represents the four trio combinations and is the result of each trio taping approximately twenty-five minutes music out of which one 10 to 12 minute piece was in each case chosen for the record.”Derek Bailey

Lo stesso Bailey a proprio insindacabile giudizio sceglie poi gli spezzoni più significativi venuti dai connubi, più spiritualmente ‘impro’, levatisi dalle sessioni.

Si origina una traboccante forma-calderone che rimarrà tra i definitori e propulsori del suono Incus.

Un suono magnetico di strumenti a corde, a fiato e percussioni in orgia, ininterrottamente diramato e convulso, che ancora oggi resiste ad ogni catalogazione e che non smette mai di mostrarsi foriero, avvenirista.

In particolare le chitarre di Bailey e il mai esausto sax di Parker regalano in duello momenti indimenticabili (cfr. "No East"). Ma è certamente il fuoco del collettivo a mostrarsi vincente, inesauribile.

Il 2 (Ago. '76) vede il terzetto Braxton/Parker/Bailey, il primo a sax soprano e alto, il secondo sax tenore, il terzo alle chitarre. Gli intarsi, gli scambi gli infiniti incroci tra performers sono suggestivi e magnetici da dover necessariamente seguire questo disco, sino alla fine.

Il 3 (Sett. 76) assieme a Bailey vede Han Bennink, batterista olandese tra i più intriganti della impro, in grande spolvero. Ciò basta a suscitare entusiasmi a fare di questo disco uno dei preferibili del collettivo Company.
Da notare che Bennink, al solito alle percussioni in grandi album corali della ICP Orchestra e assieme Brotzmann, Van Hove e Mengelberg, in Company 3 alterna creativamente le 'drums' con clarino, banjo, violino e chincaglierie di casa propria. Come nelle sue sortite soliste quali “Solo” (1972) e “Nerve Beats” (1973). Il lavoro è coinvolgente, equilibrato tra massimalismi e interludi assolo.

Il 4 (Nov. '76) ha in formazione il duo Lacy/Bailey. Si immaginerà duello più aguzzo, spartano.
Gli strumenti, chitarra e sax soprano sono progidiosamente affiatati, vibranti nella loro inerme nudità comunicano e svelano vicendevolmente universi e poetiche da uno spazio esiguo, quasi angolo.
Un altro prodigio.

il 5 (Mag. '77) è l'opera più celebre di Company tra gli addetti ai lavori, un capolavoro della impro europea anni settanta. Vanta una formazione quasi completa (WL Smith, Braxton, Parker, Lacy, Bailey..), ciascuno col proprio peculiare, esemplare, depistante linguaggio sonoro. Certamente un punto d'arrivo per il catalogo Incus e per l'improvvisata tutta: raramente ci si imbatte in tale efficace, festante, pullulante tripudio di anime e strumenti, il cui groviglio e viluppo produce brividi e vertigini, sintesi ultima di un'intera scena.

I due volumi 6 e 7 (Mag. '77), raccolti assieme da Incus vedono la partecipazione di ben dieci strumentisti, quasi in rassegna, che si alternano agli strumenti. Tra essi: Wadada Leo Smith, Parker, Lacy, Bailey, Braxton, Bennink, e sono due gemme di free jazz improv di metà anni settanta.
Senso astratto, voracità incisiva, fughe e ritmi, ronzii, sfrigolii inarrestabili sono tratti, secondo avvicendarsi di dialoghi/interferenze tra musicisti, vocalizzi dislessici, incessanti grappoli di note tra corde di violoncello, clarino, sax soprani e flauto, di chitarra, più il piano.
Al magma si frappongono opportune stasi o rallentamenti; un accattivante, volubile agitato corpo, ‘non-enunciato’ ideografico, incompiuto non marginabile, che sa magicamente fiorire immagini articolate e strutturate.

In estate fa seguito l’interessante Fictions (Ago. 1977, Incus 1978) che vede il quintetto Mengelberg (piano celeste), Coxhill (sax sopr.), Beresford (piano, toys), Croall (voce) e Bailey (chitarra ac.), in una piece concettuale divisa in parti: “the hackney scroll consisting of theology” con inserti “spoken” a delimitare, un po’ didascalici e pretenziosi forse primo e unico ‘surplus’ in questa musica suggestiva, ‘panica’ senza argini;

Company tornano nell’80 in occasione di una nuova settimana di raduno indetta, con Fables (Mag. 1980), autentica pasta d’album con quartetto Holland Lewis Parker Bailey, che sfrutta spazi, interstizi tra contrasti e conflitti loud/slow tornando a stupire.

All’alba degli anni ’80, questi musicisti animano numerosi altri progetti di incontri e incroci, oltre la Company e oltre Incus.
Da segnalare, tra i limitrofi, sempre per Incus di quel periodo, il resoconto dell'evento “Pisa 1980: Improvisors' Symposium” (Giu. 1980, Incus 1981) , tenutosi nella città della Torre pendente con una decina di Company all'appello. Ciò che è mancato, un pretesto ufficiale o 'Company Week', è stato offerto dalla Rassegna Internazionale del Jazz indetta dalla città di Pisa (Centro di Ricerca CRTM) che ha finanziato disco e 'simposio' e ha messo a disposizione strutture quali il Giardino Scotto e l'abbazia di San Zeno.

Nella prima parte di quest'opera torrenziale e caleidoscopica si hanno quattro duetti tra Evan Parker (sax tenore, direttore delle impro), George Lewis (trombone), Paul Lowens (percussioni), Derek Bailey (chitarra) e Maarten Altena (basso); sulla seconda prendono vita altrettanti quintetti con gli innesti di Paul Rutherford e Ginacarlo Schiaffini (trombone).
Nella recente doppia ristampa CD di quest'opera, alcune tracce sono state ripresentate 'libere' senza i tagli originari cui aveva costretto la gabbia vinilica: nel proprio libero fluire svelano la peculiare formicolante bolgia, integrazioni e attriti tonali, inarrestabile mag(l)ia sonica, l'impetuosa comunicativa e la validità dell'ossimoro "luce oscura".

Negli anni ’80 la Company, definita “La Prima Internazionale dell’Improvvisazione Libera (…) luogo primario di concatenamenti tra qui e l’altrove del linguaggio sonoro” (*), torna a cospirare ormai ben consapevole e perché no, costatemente sconvolta, carnefice e vittima della carica irretente in grado di sprigionare nei propri strumentisti. Si rinnova un esemplare potere di suggestione, magnetico e stregante che l’incontro/scontro, la confluenza tra i propri magici artefici, sax soprano, chitarra acustica o elettrica, violoncelli, clarinetto, batteria ..sortiscono.

Sull'ottimo Epiphany/Epiphanies (Giu/Lug 1982) la Company arrivava come nel Pisa Symposium a dieci elementi, autentico turbolento 'concilio' che convoglia persino una Julie Tippets (voce, fiati, chit.acust.), il virtuoso Akio Suzuki, Anne Le Baron e il bassista M.Yoshizawa.

Il perimetro efficacemente si allarga e non mancano fascini e richiami alla cameristica, come anche attesteranno gli eccellenti Trios (Mag. 1983) che annovera una vera orchestra con picchi massimali e Once, 1987, con violino e tastiere, due autentiche chicche in cui suoni e possibili colori sono più consapevoli e ponderati ma non per questo meno urgenti, vivaci, inquieti.

Il suono del catalogo Incus, che la stessa Company contribuì a svelare (ne fu anzi l'alfiere, viste le premesse dal 1968), era ormai una realtà storica acquisita per la musica del '900.

 

(*) R.Bertoncelli, F.Bolelli“Musica da non consumare, Discografia indispensabile degli anni ‘70”, Il Formichiere, 1979