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CGIL CISL UIL FIADEL

Documento sui Decreti Legislativi di cui alla delega  ambientale 308/2005 

 

La situazione complessiva in materia di rifiuti ha avuto dal 1997, attraverso la riforma messa in piedi dal decreto Ronchi, un deciso miglioramento che ha in parte mitigato la situazione di grave crisi all’interno della quale il Paese, in questo vitale settore, si trovava.  

Purtroppo delle 20 regioni, solo la Lombardia e il Veneto hanno rispettato l’obiettivo del 35% di raccolta differenziata, ma la stessa è cresciuta complessivamente in tutto il territorio del 7% nel triennio fra il 2000 e il 2003.

E’ altrettanto vero che l’illegalità ambientale cresce del 33% (notizie di reato nel 2003), in particolare nelle regioni con una forte presenza di criminalità organizzata, ma cresce pure parallelamente la certificazione ambientale (più 48% nel 2004) soprattutto in Lombardia, ma anche in regioni meridionali: Campania, Puglia, Sicilia e Abruzzo. 

D’altra parte le notizie ricorrenti sull’emergenza rifiuti e sulla ormai cronica saturazione delle discariche si abbinano al blocco della costruzione d’inceneritori, come ad esempio in Campania. 

 Un comparto quindi che, se pure attraversato da un processo di riorganizzazione, mostra carenze ancora particolarmente preoccupanti e la necessità di interventi che siano assolutamente coerenti con gli obiettivi di riforma. 

 In questo quadro assolutamente critico s’inserisce la Delega ambientale per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione, ed i decreti delegati, le cui Bozze sono state elaborate sulla base di quanto contenuto nella legge 15 dicembre 2004 numero 308. 

I decreti attuativi, che ora sono stati assemblati in un decreto uniconella loro costruzione, hanno visto un percorso “nascosto”, sin dalla Commissione dei 24 saggi, nominata per stendere i testi, che ha avuto conoscenza dei decreti successivamente alla loro definizione, sia nel confronto con le parti sociali, che ad oggi è ancora rifiutato dal Ministro per l’ambiente. 

Mentre invece si sarebbe dovuto tenere una linea di massima chiarezza e di massimo coinvolgimento, poiché si interviene su un processo particolarmente delicato che interessa elementi politici, scientifici, tecnici ed organizzativi di particolare rilevanza che devono tutti essere orientati verso una maggiore tutela del territorio, attraverso strumentazioni chiare e soggetti che possano dare le massime garanzie di efficienza e di orientamento al bene della collettività. 

La fretta, lo spasmodico tentativo di chiudere anche questo capitolo prima della fine della legislatura, pare essere invece il motivo conduttore che è alla base della accelerata emanazione di questi decreti e la mancata concertazione con le Regioni crea gravi problemi di rapporto che non potranno che avere ripercussioni sul piano costituzionale, senza sottolineare che nessun coinvolgimento o confronto vi è stato con il Movimento sindacale con buona pace di qualsiasi forma di dialogo sociale. 

Emergono soprattutto, nel merito, dal complesso delle norme che costituiscono la Bozza di decreto legislativo in materia di rifiuti una serie di elementi che lasciano particolarmente preoccupati e che fanno pensare più che a una riforma, ad un complessivo sistema di smantellamento delle iniziative che nel corso di questi ultimi anni sono state assunte.  

D’altra parte la previsione, contenuta nella stessa legge, di possibili modificazioni, nel corso dei due anni successivi all’entrata in vigore del decreto legislativo, lascia, già in premessa, intendere una sorta di pentimento anticipato rispetto l’emanazione del decreto stesso. 

Il testo, che è uscito nel modo suddetto, per i contenuti che lo caratterizzano, va rigettato complessivamente nella sua interezza, in quanto cancella anni di politiche di tutela dell’ambiente e del territorio e, in particolar modo cancella, attraverso una netta privatizzazione, quel modello industriale che aveva conferito a gran parte delle Comunità Locali un assetto gestionale, nel settore della gestione completa del ciclo dei rifiuti, che ha garantito qualità, diritti e sviluppo economico. 

 

A)   Nello specifico per quanto concerne l’ambiente e la tutela del territorio, accanto alla enunciazione di finalità e di obiettivi generali senz’altro condivisibili ma così ampi da poter essere definiti generici, si ha una notevole indeterminatezza nella definizione specifica e precisa dei rifiuti che lascia intendere possibilità di maglie più larghe, all’interno delle quali possono inserirsi fenomeni di evasione o di mancata efficacia ed efficienza nella gestione del ciclo dei rifiuti.

 Ciò avviene in particolare relativamente alla tematica dei sottoprodotti e delle materie prime secondarie che, come un gioco dell’oca, vengono rimandate da un articolo ad un altro precedente e poi successivamente ad ulteriori decreti e modalità di organizzazione, anche attraverso accordi di programma con le imprese, che lasciano del tutto indeterminato questo elemento che può costituire una fase qualitativamente e quantitativamente rilevante della percentuale complessiva di rifiuti. 

          Appare chiara la pericolosa volontà di riscrivere il concetto di rifiuto, introducendo una esplosione delle “materie prime secondarie” e del “sottoprodotto”, derubricando così grande parte della produzione dei rifiuti. Questa previsione creerà sicuramente vantaggi economici agli imprenditori, ma avrà come conseguenza pericoli di gravi e non individuabili forme di inquinamento da sostanze industriali per la salute e l’ambiente, senza contare la possibile ricaduta data dalla gestione illecita dei rifiuti stessi da parte della criminalità organizzata che avrà a disposizione, come appare evidente, leggi meno vincolanti.  

        La riscrittura del concetto di rifiuto (peraltro in netto difformità alla direttiva europea che aveva previsto terminologia e definizione comuni dello stesso, per garantire una sua più efficace gestione nell’ambito di tutti i paesi appartenenti alla Unione Europea, garantendone la “tracciabilità” in tutto il suo percorso) svuota il principio di precauzione e responsabilità solidale, derubrica il reato di abbandono e, più in generale, di danno ambientale. 

           Non solo, nelle previsioni del decreto mancano completamente politiche concrete sul versante della riduzione nella produzione di rifiuto: non un rigo sulla necessità di meglio indagare e modificare i cicli produttivi dei prodotti.

             Emerge con chiarezza che la raccolta differenziata ed il riuso passano da elemento centrale a residuale nel ciclo del rifiuto.

           Di fatto, il decreto fa una scelta esclusiva e convinta a favore degli inceneritori con l’utilizzo del rifiuto tal quale, completamente in contrasto con l’orientamento fin qui espresso - da noi condiviso – di un sistema integrato di gestione dei rifiuti dove il segmento della termovalorizzazione doveva chiudere il ciclo completo che aveva nella preselezione, nella raccolta differenziata, nella separazione e pretrattamento, nel riutilizzo e trattamento (anche ai fini della produzione di compost), gli elementi necessari e preliminari allo incenerimento ed alla discarica del residuo. 

          Infine, la bonifica dei siti inquinati viene sottratta alle competenze dei Comuni e la stessa normativa, così come declinata, non garantisce che l’esecuzione delle opere di bonifica siano a carico di chi ha prodotto la contaminazione, ma ne scarica tutti i costi a carico della collettività. 

 

        B) Il sistema delle responsabilità e funzioni dei diversi soggetti istituzionali è altro tema particolarmente complesso nel decreto.

Innanzitutto esiste una voluta frammentazione e confusione nella ripartizione delle competenze. La stessa struttura del decreto ed anche le diverse entrate a regime delle sue diverse parti sostengono tale scelta.

       Si rileva inoltre un affollamento di comitati e commissioni che non aiutano nella definizione delle responsabilità precise. 

        Lo strumento dell’accordo di programma viene poi ad assumere un valore che supera la normativa e può ridefinire ed assumere competenze che spetterebbero ai soggetti istituzionali, potendo definire modalità ed adempimenti amministrativi per la raccolta, la messa in riserva ed il trasporto dei rifiuti e per la loro commercializzazione. 

        Altro indicatore di “semplificazione”, che compare nella bozza, è dato dal fatto che non viene più richiesta la “qualificazione” ai soggetti privati e che gli stessi soggetti aderenti all’accordo di programma non sarebbero sottoposti alla disciplina sui rifiuti, sottraendo quindi gran parte degli stessi dal regime di controllo previsto dalla normativa. 

Ma è soprattutto sul piano delle competenze e della organizzazione gestionale che tutto l’impianto appare particolarmente complesso e farraginoso, nell’intreccio fra le competenze dello Stato, le competenze delle Regioni, quelle delle Province e quelle dei Comuni. 

        Infatti nella redistribuzione delle competenze, allo Stato viene assegnato un compito di accentramento di funzioni, svuotando le Regioni e le Province delle proprie (si arriva fino alla definizione dei criteri degli ATO, delle gare e del servizio di riscossione della tariffa).

        L’esatto inverso di un corretto principio di sussidiarietà e partecipazione delle comunità locali nella gestione del ciclo.

            Le Regioni vengono svuotate di fatto della competenza di definizione dei piani regionali rifiuti, essendo gli stessi già previsti nelle competenze dello Stato.

       Le Province vengono esautorate delle funzioni di programmazione del sistema di smaltimento rifiuti e di coordinamento delle politiche dei propri Comuni.

          Ai Comuni vengono sottratte le bonifiche dei siti inquinati. Permane inoltre una non positiva sovrapposizione fra le funzioni dei Comuni e quelle degli ATO.

Viene cancellata completamente la parte del decreto Ronchi riferita al coinvolgimento ed alla partecipazione delle associazioni e del volontariato. 

Pur rendendosi conto che le tematiche dell’ambiente e dei rifiuti attraversano tutte le forme, centrali e decentrate, del potere pubblico, la parcellizzazione delle responsabilità, dei compiti e delle potestà di iniziativa e di approvazione e di autorizzazione, ma soprattutto quella dei controlli, rischiano da un lato di creare una mole di burocrazia che rende il percorso, soprattutto per la realizzazione degli impianti, particolarmente complesso ed irto di ostacoli, e dall’altro, non identificando con precisione soggetti e potestà, in sostanza deresponsabilizzano l’intero processo di vigilanza, di accertamento e di repressione nel caso di eventuali abusi. 

 

C)  Per quanto attiene la gestione dei rifiuti, nella bozza di Decreto si afferma e si conferma rispetto al Ronchi il superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio integrato di gestione dei rifiuti organizzato in conformità ad Ambiti Territoriali Ottimali. 

         Sull’ATO, nel mentre si introduce un primo elemento di chiarimento (soggetto che coordina le scelte dei Comuni e non effettua direttamente il servizio, così come è avvenuto in alcuni recepimenti di leggi regionali – vedi Sicilia), si mantengono elementi di ambiguità: il soggetto non è più “consortile”, né di “diritto pubblico”. Inoltre, la previsione virtuosa di raggruppamento di territori diversi in un unico momento di coordinamento per la gestione del servizio, viene smentito laddove si introduce la previsione di suddividere le grandi aree metropolitane in più sub-ambiti.

            Ci auguriamo che gli ATO trovino una loro traduzione sul piano organizzativo- gestionale non diversificata o difforme, così come avvenuto talvolta sino ad oggi, con poteri talora ingiustificati sulla gestione e sul controllo dei servizi, con una proliferazione di ambiti e subambiti, di consigli di Amministrazione e di funzioni burocratiche.

 

Ma la gestione integrata del ciclo, come enunciato nell’articolato, è soltanto nominalistica ed illusoria, non avviene nella realtà, in quanto la Bozza di decreto si limita ad identificare il soggetto, l’ATO, che affida i distinti spezzoni del servizio integrato stesso.

Abbiamo sempre sostenuto la validità di un sistema in cui tutte le diverse fasi si integrino in un ambito territoriale ampio che consenta il massimo delle sinergie: in cui lo spazzamento, la raccolta, la raccolta differenziata, il trasporto di rifiuti urbani siano abbinati alla gestione ed alla realizzazione degli impianti di smaltimento, con particolare propensione per le forme di termovalorizzazione con recupero di energia.

Ciò consente di coordinare tutte le fasi del ciclo e di individuare un processo produttivo e di servizi ampio ed a respiro industriale, evitando che alcune fasi “ricche” come lo smaltimento, penalizzino altre “povere” ma indispensabili come lo spazzamento, la raccolta ed il trasporto.

Rileviamo a questo proposito che in nessuna dizione del servizio integrato, contenuta nella Bozza, viene richiamato il  termine spazzamento,  quasi lo si volesse eliminare dal ciclo complessivo dei rifiuti mentre invece è una funzione essenziale per la pulizia delle città e, di fatto, una tipologia più articolata del servizio di mera raccolta di rifiuti.

Questa gestione congiunta di tutto il servizio non viene prevista e privilegiata all’interno della bozza di decreto, mantenendo lo stesso quella distinzione fra gestione e realizzazione degli impianti e gestione del servizio che oggi è generalizzata ed ha prodotto le incongruenze del nostro sistema dei rifiuti che oggi registriamo.

  

D) L’altro versante di profonda destrutturazione del settore dei rifiuti riguarda l’assetto della gestione delle diverse fasi del ciclo dei rifiuti, infatti nell’articolo specifico si inseriscono profonde modifiche all’attuale situazione legislativa prevedendo l’introduzione dell’obbligo dell’assegnazione del servizio di igiene urbana tramite gare ad evidenza pubblica e, di fatto, vietando tutte le altre forme di assegnazione del servizio oggi previste dalla legge.

Ricordiamo che l’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali prevede la possibilità di affidamento, oltre che tramite le succitate gare, anche a società a capitale misto pubblico - privato o a società a capitale interamente pubblico.

La Bozza di decreto delegato modifica la legge oggi esistente e non crediamo che questo sia possibile, ma che vada bene al di là di quanto oggi previsto dalla delega, aprendo un serio problema, anche in questo caso di carattere costituzionale. 

Ma è soprattutto la filosofia che appare palese nell’impostazione del decreto di estromettere le aziende pubbliche e favorire le imprese private, come d’altra parte è stato ammesso esplicitamente nelle dichiarazioni di alcuni dei componenti della commissione ministeriale che ha steso il testo della Bozza di decreto.

Questa filosofia appare ideologica e non tiene conto di quella che è la realtà del comparto che vede la grande maggioranza dei servizi prestato da aziende pubbliche con condizioni di efficienza, di efficacia e di economicità che sono senza dubbio rapportabili, in molti casi superiori, a quelle delle imprese private, sovente poco interessate alla qualità del servizio e molto più alla realizzazione dell’utile aziendale. 

            Occorre ripristinare quindi le altre due modalità previste dalla normativa attualmente vigente (dlgs 18.8.2000, n. 267 . art. 113 comma 5): conferimento a società a capitale misto pubblico e privato, con partner privato selezionato mediante procedure ad evidenza pubblica, ed affidamento diretto a società a capitale pubblico del tipo “in house”.

  

E) Oltretutto la successiva determinazione delle modalità di affidamento crea ulteriori elementi di grande preoccupazione, anzitutto per la fretta, quasi irresponsabile, per l’affidamento dei nuovi servizi, che si prevede venga effettuato entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto.

E’ chiaro che un termine così ridotto è del tutto illusorio, a meno che non si voglia mettere a repentaglio tutto il sistema dei rifiuti nel nostro paese, considerando che le Autorità degli ambiti territoriali ottimali vanno impostate dalle Regioni, vanno istituite e strutturate, devono esperire tutto il procedimento per le gare ed affidare le stesse.

L’unico sbocco prevedibile appare allora quello, contemplato dall’articolo della Bozza, del commissariamento di tutte le Autorità, attraverso commissari ad acta, che eseguano le gare, innescando un generale processo autoritario nella gestione del sistema dei rifiuti, che appare probabilmente come il vero obiettivo da parte di questo Governo che sta procedendo alla delineazione di questi decreti.

  

F) La Bozza di decreto si diffonde poi nella definizione dei criteri per lo schema tipo di contratto di servizio, da adottare dalle Regioni, per regolare i rapporti tra le autorità d’ambito ed i soggetti affidatari dei servizi.

 In tale schema la bozza non prevede nessuna garanzia né per l’occupazione dei lavoratori, né per il mantenimento delle loro condizioni contrattuali ed economiche  esponendoli a seri pericoli.

Tra le clausole da rispettare e gli obiettivi da realizzare non viene in alcun modo presa in considerazione la tutela del lavoro, sia sotto l’aspetto delle condizioni igieniche e di prevenzione, (non dimentichiamoci che questi lavoratori operano, per la pulizia di tutti, in una situazione particolarmente a rischio), sia sotto quelle fondamentali della difesa del posto di lavoro e del salario e delle normative che possono, in maniera inaccettabile, diventare gli elementi su cui si giocano i livelli di concorrenza tra le imprese.  

Infatti i capitolati di gara non prevedono l’individuazione precisa di:

  • contratti collettivi nazionali di settore ( Federambiente e Fise );
  • campo di applicazione degli stessi (importante in negativo la previsione che lo spazzamento sia fuori dal ciclo dei rifiuti, così come inteso dal decreto);
  • norme a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori;
  • salvaguardia occupazionale nel caso del passaggio dei lavoratori da una gestione ad un’altra.
  • sistema di relazioni industriali.

             Inoltre il sistema di affidamento ed il contratto tipo di servizio non tengono assolutamente conto di due elementi per noi fondamentali nella gestione del ciclo: la partecipazione delle comunità locali, in particolare per quanto attiene alla programmazione ed autorizzazione dei nuovi impianti e discariche e la verifica attraverso l’adozione della carta dei servizi come elemento di controllo della qualità del servizio svolto alle comunità.

  

             G) Per quanto concerne la regolamentazione della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, vi è da rilevare una prima negatività e cioè che i criteri della stessa sono definiti da parte dello Stato, attuando così un esautoramento delle comunità locali, che possono garantire meglio il rispetto delle specificità territoriali, nonché il percorso partecipato e condiviso nella costruzione della stessa (che fa parte delle politiche di welfare locale).

Una precedente stesura della Bozza la definiva “tassa” e quella definitiva si limita a cambiare solo il termine in “tariffa” lasciando inalterato tutto il testo precedente.

Si tratta in sostanza di una tassa, che di questo istituto ripercorre i metodi e l’organizzazione, innovando in maniera negativa il processo che dalla TARSU, si orientava verso una tariffa pro capite, legata alla produzione di rifiuti, e che potesse essere modulata in relazione alle situazioni qualitative che fossero ritenute degne di essere valorizzate.

       La tariffa, così come prevista, non garantisce sostenibilità economica per le imprese, sostenibilità sociale per i cittadini, né introduce azioni positive verso l’assunzione di comportamenti responsabili e virtuosi.

 

H) La Bozza di Decreto contiene un numero notevole di Commissioni ai vari livelli per il monitoraggio e la manutenzione delle varie e complesse fasi in cui si articola il sistema dei rifiuti.

In nessuna di esse è prevista la presenza del Sindacato.

E non solo di quello di categoria che, in quanto rappresentante dei lavoratori che operano nel comparto è certamente addentro alle problematiche concrete nella organizzazione della gestione dei servizi e nella individuazione dei nodi che determinano le criticità del sistema, ma anche quello Confederale che, ai livelli centrale ma anche e soprattutto a quello decentrato, rappresenta il mondo del lavoro e quindi la stragrande massa degli utenti e di coloro che pagano la tariffa-tassa, interessati a servizi efficienti ed a costi i più contenuti possibile che non appesantiscano il già precario reddito quotidiano.

Ma anche questo crediamo non sia un caso bensì invece una precisa scelta che ignora qualsiasi forma di coinvolgimento e di dialogo sociale.

 Una somma di considerazioni e di punti di merito che ci fanno definire quello in atto un tentativo di controriforma, reso ancora più esasperato dalla fretta e dalla improvvisazione.

L’Attivo Unitario dei delegati dell’Igiene Urbana, tenuto il 2 novembre ha sottolineato con forza la volontà della categoria di opporsi alla linea destabilizzante che emerge dalla Bozza di Decreto.

Ha deciso di intraprendere una incisiva opera di sensibilizzazione della categoria attraverso Attivi regionali dei quadri sindacali ed una vasta iniziativa di assemblee per spiegare ai lavoratori i contenuti e le ripercussioni che potranno esserci sull’intero sistema dell’ambiente, sulle aziende, sui servizi sui cittadini e sui lavoratori.

 In questo senso la mobilitazione generale indetta dalle Confederazioni per il 25 novembre p.v. dovrà vedere una caratterizzazione della categoria estendendo all’intera prestazione giornaliera l’iniziativa di sciopero sulla base delle motivazioni della riforma del settore. 

Su questo tema del decreto di delega ambientale il rapporto con le Confederazioni rappresenta uno snodo fondamentale, per aggiungere il nostro apporto ad una discussione più ampia che deve investire un confronto a tutto campo per scongiurare la emanazione di un provvedimento così approssimativo e pericoloso. 

Le Regioni, ed il sistema complessivo degli Enti locali, Province e Comuni, nonché le Associazioni ambientaliste e dei Consumatori devono poi essere nostri diretti interlocutori nella ricerca di delineare il massimo della convergenza per impedire un progetto di stravolgimento degli attuali assetti. 

 

Iniziative dirette andranno intraprese nei confronti del Governo, del Parlamento, delle Commissioni parlamentari preposte e, a livello locale, nei confronti dei singoli parlamentari che si occuperanno della materia. 

Se non interverrà il blocco di queste sciagurate iniziative o correzioni che siano in grado di invertire a 180 gradi la portata delle misure previste sarà inevitabile la mobilitazione dei lavoratori, attraverso ulteriori iniziative di mobilitazione e di lotta, per un sistema che permetta lo sviluppo di aziende e imprese capaci di investire sull’intero ciclo dei rifiuti, dell’acqua e della tutela dell’ambiente, garantendo condizioni occupazionali, salariali e normative abbinate ad un servizio efficiente, attento agli aspetti socio- economici delle comunità ed agli interessi dei cittadini.  

 Roma, 4 novembre 20

 

      

 

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