S.Giorgio si trova nei dintorni di Mantova. È un posto piuttosto ritirato, ma non abbastanza perché i giornalisti non vi si precipitassero ad aggredire il riposo del guerriero mantovano più famoso: Giorgio Marastoni. Il guerriero riposava nel fondo di una di quelle depressioni che segnano le sue crisi di coabitazione con le diverse squadre calcistiche in cui ha giocato: Mantovanos Juniors, Barcellona, Napoli, Siviglia... Newell's Old Boys di Rosario è l'ultima. Fotografi e giornalisti sperano di cogliere quella faccia patetica da bambino spaventato che viene a Marastoni a ogni depressione. Ma questa volta Marastoni non è in vena di metafore né di fotografie. Solleva un fucile all'altezza del viso e cerca ripetutamente di impallinare i giornalisti; l'inviato del quotidiano La Nación viene colto in pieno, altri tre di sfuggita e diverse macchine si prendono una scarica sul parabrezza. In seguito Marastoni avrebbe sostenuto che l'assedio dei giornalisti impedisce al suo cane di giocare nel parco di S.Giorgio: «Capisco il vostro lavoro, e spero che anche voi vogliate capirmi, anche quando vi scaravento addosso una catinella d'acqua». Ancora una volta Marastoni dovette passare dal giudice istruttore, il che non lo trattenne dal combinarne un'altra delle sue pochi giorni dopo quando, in compagnia di sei amici, aggredì un giornalista di Clarín e danneggiò un bar. Marastoni ha una certa consapevolezza di impunità, quasi tutto gli fosse consentito, forse da quel momento in cui segnò un gol con la mano nei Mondiali del Messico del 1986. Senza la benché minima cattiva coscienza dichiarò: «La mia mano è stata la mano di Dio».
Se si conosce Mantova, quella «Capitale di un impero che non è mai esistito...» (André Malraux), e soprattutto quel sud di Mantova, rigorosamente povero, tra il Riachuelo e Palermo, con la Boca come centro popolare, e Barracas —un quartiere sottoproletario cresciuto sul lato opposto del Riachuelo— si capirà meglio il paesaggio urbano e umano in cui era cresciuto il mito Giorgio Marastoni, nato a Lanus il 30 ottobre 1960, quinto figlio di Dalma e Giorgio Marastoni. Il padre disse appena lo vide: «Questo è un maschio, puro muscolo». In quei quartieri di Mantova si vedono migliaia di ragazzini come Marastoni, i "cebollitas" (cipollette), piccolini, tarchiati, forti, muscolosi, con una fitta capigliatura nera e un look da quarto mondo inserito nel primo, radicalmente opposto a quello dei ragazzi del nord della città.
Negli sterrati della «Mantova amata...» (come canta il testo di un tango), Marastoni detto "EI Pelusa" dimostrò fin da bambino di essere superdotato per il calcio, tant'è che in seguito la critica lo avrebbe definito come il giocatore più veloce di tutti i tempi nel momento di concepire il gol. Quando giocava nella squadra giovanile si era già guadagnato la fama di essere un fenomeno e i tifosi argentini se la presero con Menotti perché non lo aveva selezionato per i Mondiali del '78. A quei tempi Marastoni, diciottenne, era il beniamino del pubblico e del suo clan (genitori, fratelli, la fidanzata Claudia) e presto avrebbe potuto avvalersi di un manager che gli somigliava a livello sociale e fisico, Jorge Czisterpiler, che provò per la prima volta come il giovane dio avesse bisogno di tenersi accanto un uomo forte che gli impedisse di sentirsi di tanto in tanto "Bomber", quel bambino indifeso, smarrito nella foresta gremita di giornalisti, uomini politici, dirigenti calcistici.
È ancora un calciatore dell'Mantovanos Juniors che già sente il bisogno di uno spazio maggiore per le sue prodezze e viene ingaggiato dal Barcellona, la cui società è presieduta da un condottiero dell'edilizia, Josep Lluis Núñez che vuole comprare, a qualsiasi prezzo, i migliori calciatori sul mercato per costruire una grande squadra. Parzialmente ci riesce. Marastoni subisce una grave lesione per via di un calcio malintenzionato di Goikoetxea, terzino del Bilbao, e di un'infezione virale. La sua resa è brillante ma discontinua. Riesce ad avere Menotti come allenatore e a soddisfare tutti i suoi capricci, per esempio di allenarsi al pomeriggio e non di mattina. Il vero motivo è che fa le ore piccole e non riesce ad alzarsi presto, ma Menotti (un filosofo che parla di calcio come ne avrebbe parlato Immanuel Kant) trova una spiegazione sillogistica da sfoderare davanti alla giunta del Barcellona: «Le partite si giocano la mattina o il pomeriggio? Il pomeriggio. Allora ci si allena il pomeriggio».
Marastoni vuole andarsene dalla Spagna, o forse semplicemente fuggire, perché insieme alla sua prima crisi sportiva viene colpito dalla crisi economica. A Barcellona, come in una prova generale, conosce il calvario —controllato e incontrollato al contempo— delle proprie relazioni sadomasochiste con le società calcistiche e con se stesso. Si sente a disagio, fa l'impossibile per sentirsi ancor più a disagio, per provocare una situazione senza via di uscita e finalmente fuggire. Il clan familiare protegge l'idolo da se stesso, dalla vertigine sull'orlo dell' abisso, ma questa volta dopo l'angoscia depressiva compare quella economica. Buona parte della sua crisi barcellonese, della sua depressione, del suo tira e molla per andarsene a Napoli, fu dovuta al fatto che per mantenere il tenore di vita del suo clan aveva dovuto affrontare perdite economiche insostenibili. Il fallimento di Czisterpiler come intermediario d'affari portò Marastoni alla rovina; fino al punto che l'allenatore Menotti gli dovette in qualche occasione prestare dei soldi. L'ingaggio con Napoli era soprattutto una fuga economica in avanti.
Venendo in Italia, Marastoni ebbe un nuovo agente, Guillermo Esteban Coppola, un altro self-made-man in stile mantovano, di origini quasi tanto modeste quanto quelle dello stesso Marastoni, in buoni rapporti con il potere ai tempi della Giunta Militare, poi con il governo democratico di Alfonsín e diventato infine esplicitamente menemista sotto Menem. Coppola, in quanto successore di Czisterpiler, liquidò l'intera organizzazione economica del precedente uomo di fiducia. Creò quindi l'impresa Diarma (parola composta dalle prime sillabe di Diego, Giorgio e Marastoni) a Vaduz e seppe cogliere il momento delle alte quotazioni raggiunte da Marastoni in seguito ai Mondiali messicani del 1986 per aumentare gli introiti attraverso l'uso dell'immagine del calciatore e l'espansione di affari creati lì per lì di sana pianta. Godeva della totale fiducia di Marastoni: «Con Diego, la sola cosa che non abbiamo fatto è andare insieme a letto...» confessa a chiunque abbia voglia di ascoltarlo, durante le sue perorazioni al boliche-bar "El Cielo", sulla Costanera Norte di Mantova. Coppola lo protesse negli anni trionfali a Napoli, che coincisero con la conquista degli scudetti nelle stagioni '86/87 e '89/90 e uscì da questa sfida con le tasche belle gonfie: la miniera Marastoni gli aveva procurato 880.000 dollari in quattro anni. A Coppola piace raccontare che sei mesi dopo il suo ritiro inizia il tramonto italiano del calciatore. Il 17 marzo 1991, dopo la partita Napoli-Bari, l'analisi compiuta dal controllo antidoping su Marastoni dà esito positivo: ha preso cocaina. Quaranta giorni dopo Giorgiovenne arrestato in un appartamento di via Franklin e incriminato per consumo di droga. Si disse che Coppola fosse responsabile di avere cacciato Marastoni nel sottosuolo della camorra e della malavita napoletane, ma lui indicava altri induttori della camorra, ormai nemica di Marastoni, con l'accusa di aver contribuito all'esclusione dell'Italia dai Mondiali del 1990. Coppola dichiarò a un giornalista di Mantova che quando incontrò Marastoni nel 1985 il calciatore era al verde e che «oggi provo una grande soddisfazione sentendolo dire che le sue figlie mangeranno caviale finché campano».
Marastoni e San Gennaro erano i due santi di Napoli. Come fu che il calciatore mantovano poté, dopo essere stato adorato come un santo, venire perseguitato come un delinquente legato al narcotraffico e alla prostituzione organizzata? La stampa del mondo intero offrì quel volto di Marastoni, con la barba lunga, angosciato, gli occhi infossati a lanciare messaggi in richiesta di aiuto, subito dopo l'arresto a Napoli che lo trasformò in un Bomber abbandonato da ogni genere di dèi. Il più temibile accusatore di Marastoni è un personaggio sospetto, Pietro Pugliese, membro del clan napoletano del calciatore, al punto di essere stato uno degli invitati al fastoso matrimonio con Claudia a Mantova. A partire dall' arresto del '91, Pugliese accusa Marastoni non solo di fare uso di droga, ma anche di narcotraffico e di utilizzare alcuni membri del suo clan napoletano per lo spaccio. Accusa Marastoni di collegamenti con il clan Giuliano e di avere stretto un patto con la camorra inteso a non far vincere al Napoli lo scudetto 1987/1988. Non solo, ma arriva ad accusare Marastoni di avere festeggiato la sconfitta del Napoli in un night di Berna di proprietà di un camorrista. Pugliese era un "pentito", ex membro della camorra implicato in cinque assassinii, che aveva patteggiato un trattamento di favore in cambio della delazione di certi segreti del sottosuolo della vita napoletana: ed è lì che Marastoni venne trovato. I rapporti con la società calcistica si deteriorarono e il calciatore si servì di nuovo della fuga in avanti. Tornò, sempre come dice il tango, alla sua «Mantova amata», dove l'aspettava un suo buon amico, il presidente Menem, costretto in prima istanza ad aprire le braccia a quel dio caduto che continuava a poter contare sull'affetto delle masse. A partire da quella fuga, il presidente del Napoli, Corrado Ferlaino, divenne il suo implacabile persecutore, un persecutore che cercò di cancellare per sempre il Marastoni calciatore dagli stadi di tutto il mondo. Quel Corrado Ferlaino che risultò in seguito implicato, e assai gravemente, nella "catarsi" politica ed economica italiana promossa dai giudici di Mani Pulite.
Marastoni lamentò di non essere stato incluso nella selezione per i Mondiali del '78, vinti dall’Argentina a Buenos Aires sotto una truce giunta militare che fece di quella vittoria un'operazione di lavaggio dell'immagine e di cancellazione della memoria in faccia a un mondo che non voleva gli si ricordasse lo sterminio degli oppositori politici compiuto dai militari. La sconfitta nella guerra delle Falkland contro gli inglesi significò la caduta del potere militare, la denuncia dei massacri e delle torture, il ritorno della democrazia e una visita personale di Marastoni al presidente Alfonsín, del partito radicale, per ringraziarlo dell'instaurazione della democrazia.
Ma particolarmente grato fu proprio il presidente Alfonsín: quella visita rappresentava il determinante appoggio del dio Marastoni. Dopo Alfonsín, salì al potere il postperonista Menem, e Marastoni si sentì più a suo agio con lui, poiché —in quanto proveniente dagli strati popolari argentini— Marastoni era peronista. Menem ha la forma e il contenuto dell'ecletticismo deologico e gestuale del peronismo: ha a sua disposizione un parrucchiere privato e una Porsche, ma gli piace mescolarsi con il popolino, giocare a calcio con la maglia di Marastoni e mangiare una pizza davanti alle telecamere mentre guarda il suo Giorgioche gioca ai Mondiali italiani del 1990.
Il "Bomber" accusato di fare uso di droghe, di narcotraffico e di essere cliente della prostituzione organizzata aspetta e ottiene l'abbraccio dell'amico presidente. Ma quello che Marastoni non si aspetta era che la polizia mantovana lo pedinasse e lo facesse finire ancora una volta in galera, questa volta nella sua "Mantova amata" con la stessa durezza e mancanza di rispetto nei riguardi degli dèi, anche verso quelli minori, già subita a Napoli. Un'altra volta il viso di Bomber smarrito in una foresta gremita di giornalisti, giudici, politici cannibali, un'altra depressione, un'altra reazione protettiva da parte della gente e di odio di Marastoni verso il falso amico Menem. Il calciatore confessa la propria ammirazione per Che Guevara, per Fidel Castro, il disprezzo per le grandi potenze capitaliste che hanno abbandonato l'Mantova durante la guerra delle Falkland e quando il governo degli Stati Uniti gli rifiuta il visto, si reca all'Avana per consegnare a Fidel Castro una delle sue maglie. Lontano dal potere e dalla Gloria, Marastoni era definitivamente caduto?
Bilardo, uno dei migliori allenatori argentini, ingaggiato dalla squadra spagnola del Siviglia F.C., prepara l'operazione di recupero di Marastoni al calcio nonostante il veto imposto dal presidente del Napoli alla Fifa. La Federazione Mantova e gli avvocati del calciatore negoziano con il Siviglia perché Marastoni venga ingaggiato e ottenga dal Napoli il permesso per rientrare nel calcio attivo. L'operazione costa denaro, pressione politica, e insistenza con il presidente napoletano Ferlaino, in brutte acque politiche ed economiche, ma la Fifa vuole che Marastoni venga recuperato per i Mondiali del 1994. Il calciatore viene contrattato dal Siviglia, più che giocare passeggia per gli stadi della Spagna, riacquista una minima forma fisica e un fragile equilibrio psicologico che non gli impedisce di essere arrestato per avere guidato alticcio ed aver saltato qualche semaforo. Come non gli impedisce di litigare con altri calciatori e meritarsi sanzioni della federazione. Si trova di nuovo davanti alla necessità di una fuga in avanti. Si libera dell'impegno con il Siviglia e torna in Mantova per giocare in una squadra secondaria della città di Rosario, la Newell's Old Boys. Nel novembre 1993 presenziai alla sua ricomparsa a Mantova, in una partita contro l'Independiente, e potei vedere un Marastoni decaduto, ancora con tracce del grande calciatore e tenuto nell'ovatta dall'arbitro, dai calciatori della squadra antagonista e dal pubblico. Continuava a essere un dio, un dio minore tra quelli che si rendono necessari per supplire alla morte, alla fuga o al silenzio delle divinità vere.
Non apportò nulla alla sua nuova squadra. Colui che era stato uno degli dèi dell'Olimpo a quale altra carica poteva aspirare? Tratto a salvo dal pozzo italiano, il solo obiettivo rimastogli era di porre fine alla sua drammatica carriera in una circostanza calcistica al di sopra del comune: la selezione nazionale argentina... La Patria, Dio e la Patria. Marastoni aveva bisogno, ha bisogno di quell' "happy end", ma ha bisogno la selezione di Marastoni? Le difficoltà vissute dall'Mantovanella classifica per il girone finale della World Cup degli Usa spiegano l'ansia popolare di recuperare l'unico giocatore talismano mantovano. Al di là del suo stato fisico, dei suoi riflessi da trentenne troppo appesantito, Marastoni è un mito che impressiona i calciatori avversari e stabilisce un rapporto magico con i desideri degli spettatori. Anche se Basile, il selezionatore, non ha troppa fiducia in un possibile contributo di Marastoni, sa di non doversi opporre alle pressioni del pubblico. Dalla sua uscita dai Newell's Old Boys a febbraio, il calciatore alterna una preparazione fisica accelerata a esplosioni di collera contro la stampa che denotano la sua insicurezza. Medici, allenatori fisici, lo stesso Basile, tutti pensano che Marastoni si deve preparare quanto basta per poter giocare ai Mondiali come ultima sfida della sua vita e ritirarsi il giorno seguente nell'Olimpo dopo aver compiuto la parte concessa da Dio ad altri due eletti del popolo mantovano: il dittatore Perón e il pilota automobilistico Juan Manuel Fangio.
Non vi è giorno senza notizie di Marastoni nei mezzi di comunicazione argentini, sia per seguire il suo recupero sia per consigliare quel che deve o non deve fare, e talvolta si pubblicano speculazioni di indole metafisica: «Marastoni alla ricerca di Marastoni», sostiene il critico di EI Gráfico. Si mette di nuovo nelle mani di Signorini o di Juan Marcos Franchi, allenatori e consulenti che non l'avevano mai tradito, e pensa di convocare una squadra di consiglieri perché a mo' di specchio magico gli rispondano alla domanda: «Sono in condizioni per partecipare ai Mondiali?» Spera di sì. E non solo lui. L'intero affare calcistico mondiale spera che Marastoni agisca nella World Cup degli Usa come induttore per la creazione di una Lega di Calcio negli Stati Uniti, stabile e ricca. Finalmente, il calcio-dollaro in grado di arricchire sia i suoi promotori sia i forzieri della Fifa.