Indice Recensioni

 

Hai Paura del Buio?

E tu come rispondi a una domanda del genere?Magari di primo acchito dici di no, perché come tutti credi davvero che i grandi non abbiano paura del buio. E invece è proprio da grandi che il buio fa più paura, non il buio della cameretta quando si deve dormire, ma il buio dove dormono le cose che verranno, il buco nero del nostro futuro pronto a uscirne pezzo per pezzo e correrci incontro. Queste le inquietudini che ho visto radiografate tra le note dei 19 pezzi (19!!!) di questo secondo lavoro in lingua italiana degli Afterhours. Io lo trovo un album splendido, completo, quasi monumentale. Insieme ai primi due album dei Marlene Kuntz e ai capolavori dei CSI,  Hai paura del Buio? è “l’album rock” italiano degli anni ’90. Diciannove pezzi sono un numero che di solito mi scoraggia dal  comprare un CD con la giustificazione del…chissà che ppalle…a meno che non si tratti di un doppio live. Invece questo disco scivola dall’inizio alla fine con la potenza di un cavallo da corsa. A me è parso subito bello ruvido come Germi se non di più, ma più ricco di suoni e di strumenti (basti pensare all’aggiunta del violino), insomma un bel salto di maturità compositiva.

Sentire questo disco mi ha portato alla mente lo strano gioco di umori in cui tutti i giorni siamo coinvolti. I pezzi infatti sono diversi tra loro, alcuni punk (Male di miele, Dea), melodici (Voglio una pelle splendida), rock (Rapace) e sembrano alternarsi seguendo gli sbalzi di umore di chi li ha pensati più che una rigida logica dettata da regole precise. Quindi la difformità trova un filo conduttore negli umori. Penso spesso alla musica che vorrei da colonna sonora in certi momenti  della giornata, desiderando che parta a comando mentale suonata magari da giganteschi altoparlanti nascosti chissà dove….mah! E’ grave secondo voi? 

A parte i miei deliri è forte la componente umorale di questo disco. Mi ha fatto riflettere su molti aspetti: le difficoltà senza senso o giusta causa, le sfighe insomma (“….divertente e criminale la tua scala di sapone…”), la precarietà di certi equilibri apparentemente stabili (“…la sicurezza ha un ventre tenero ma è un demonio steso fra di noi…”), la banalità e l’ignoranza di certe persone (“…nei sogni che sogni ci sono i tuoi amici il re, la regina sono vuoti lo sai sono più vuoti che mai sono più vuoti che mai sono più vuoti che mai sono vuoti lo sai….” “….può piacermi come sei ma io non sono come te grassa e brutta anima senza finestra senza finestra..”), le inquietudini dettate da pensieri e riflessioni notturne su se stessi e le proprie scelte, sempre più vincolanti e definitive man mano che il tempo incalza (“….passo le notti nero e cristallo a sceglier le carte che giocherei a maledire certe domande che forse era meglio non farsi mai…”), la superficiale serenità che crescendo si smarrisce (….e voglio un pensiero superficiale che renda la pelle splendida…), la ricerca dei limiti nella sfera del privato per divincolarsi dalla noia esistenziale 

(“….forse non è proprio legale sai ma sei bella vestita di lividi m'incoraggi ad annullare i miei limiti…”). 

Succede nella vita di un artista come di noi persone “normali”; per un po’ si combatte con pari forza contro tutto ciò che non va, ad un certo punto ci si disillude e rassegna a prendere atto delle situazioni più che a urlargli contro per frantumarle, cercando di riflettere e aggirarle; coglierle di sorpresa alle spalle.

Si cresce e si impara che mentre tutto si complica tutto va comunque affrontato più che rifiutato in un “mondo di tasse”, che non ti perdona mai niente e ti fa sempre pagare tutto, dove prima o devi smettere di essere solo “musicista” (che bello sarebbe) dovendo diventare prima o poi anche “contabile”, procurandoti una “…valigetta che mi tiene ben legato alla realtà..” nell’incertezza che la vita ci procura ( “…vola fantasia d’imprenditore volatile…”), a meno che non si abbia un papà alternativo che paga le tasse per te, e allora non è normale è ingiusto…. e ci scatarro su.

Insomma, anche in questo disco ci siamo noi tutti, più belli e cresciuti, come le bellissime melodie di Pelle, la bellissima Voglio una pelle Splendida con uno degli intro più belli che io abbia mai ascoltato. Crescendo siamo anche allo stesso tempo diventati più complessi, spessi, articolati come l’ardita Veleno o Rapace, un po’ dissacratori e fuori dalle righe come in Male di Miele e Mi trovo Nuovo. 

I suoni sono graffianti, allo stesso tempo molto ben miscelati. La voce di Manuel sembra non avere limiti espressivi. Dopo le vette di “Dentro Marylin” ci stupisce per la crudeltà con cui si fa di colpo “rapace” nell’omonimo pezzo, in cui presta la sua voce a momenti di pace e guerra che alternandosi ricalcano l’intero disco il quale procede per continui accostamenti di parti rabbiose e distese. Hai paura del buio parte bestemmiando, e termina ridendo di bella ironia sul falso conformismo di certi tardo-giovani. In mezzo si parla soprattutto di amore….ah si?…eh si, amore declinato in tutte le forme tranne che in quelle banali, sotto forma di rock e punk fino all’odio ironico e saccente sui giovani d’oggi.

Mi piacciono tantissimo gli improvvisi scatti sapienti di suono e cantato, come nella dolcissima e agra Rapace, dove la calma viene davvero distrutta dalla parola “…Verrò” fino all’ultimo “essia” dal quale si ristabilisce di colpo il silenzio fattosi musica, come se davvero un rapace fosse arrivato a mutilare la nostra pace lasciandoci paralizzati al termine del suo attacco. Suoni industriali, ferro, rumore, stridii di lamine, qualcosa di veramente molesto siede accanto alla pace di archi e chitarre rotonde, senza spigoli. Ma gli opposti si incontrano continuamente. Acre e profumato insieme, il suono mostra l’inaspettata armonia degli opposti che si fondono lungo l’unica possibile sottile linea di confine, come certi cibi tra di loro nemici miracolosamente tradiscono la loro natura e si sposano. Aspro e dolce dunque come i nostri stupidi giorni.

Ulteriore bella sorpresa sono i cori delicati che finalmente decorano con gusto e moderazione le linee melodiche di Manuel. Voglio una Pelle Splendida e Pelle sottolineano una ulteriore apertura POP rispetto senza per questo allentare la tensione di tutto il disco.

Un disco che afferma con forza, dunque, la ricchezza di idee degli Afterhours i quali con ironia e amarezza affrontano il rapido passaggio ad una profonda maturazione stilistica e personale.

Canzone meno preferita….Simbiosi. Canzone più preferita…Voglio una pelle splendida. 

Forse un po’ di musica e buone parole dissolvono la paura del buio, con il suo bagaglio inquietante di interrogativi, basta girare la copertina dell’album per scoprire che alla paura si fa fronte….rimane solo un po’ di “Male di miele”.

  Marcello