Dalla questione morale alla questione politica: se e' sempre piu' necessaria ed urgente la riforma del sistema dei partiti per il funzionamento stesso della democrazia, e' ancora possibile una riforma dei partiti dall'interno? Possiamo concepire come realmente praticabile la strada della revisione del metodo politico che sta sostituendo i valori economici ai valori morali, con un recupero credibile di questi ultimi ed il rifiuto dei primi? Se la nuova strada dovesse essere intrapresa senza il ricambio delle classi dirigenti dei partiti, ma dalle stesse classi dirigenti, le conseguenze sarebbero negative: un remake politico, far dire o apparire cio' che non e', mascherare, fingere, nascondere per continuare ad agire come prima. Ma anche il ricambio delle classi dirigenti all'interno dei partiti puo' non sembrare del tutto convincente: se il metodo di fare politica continua ad essere ispirato, nel nostro Paese, a Niccolo' Machiavelli o alla cosiddetta "teoria economica della democrazia", la politica di piccolo cabotaggio e gli interessi privati in atti d'ufficio continueranno a prevalere, magari con facce nuove e con maggiore furbizia.
La tesi che intendo allora sostenere, e' che il sistema attuale dei partiti non puo' piu' essere riformato in modo credibile dall'interno dei partiti stessi, e che comunque una tale riforma, con la frammentazione attuale del sistema politico italiano, non potrebbe apportare quei benefici che una possibile riforma dall'esterno potrebbe produrre, nel breve e nel medio periodo.
La questione morale, e' stato giustamente sostenuto gia' vari anni or sono, da "questione romana" e' divenuta "questione nazionale" con l'introduzione delle autonomie locali, e con la conseguente moltiplicazione delle cariche, degli incarichi, delle Presidenze e dei Consigli, i cui membri sono tutti naturalmente di indicazione partitica: un esercito di cariche elettive, con annessi stipendi e compensi pagati dallo Stato.
Poi vi e' l'altra questione, la dispersione delle forze progressiste in troppi partiti, che pur condividendo sostanziali valori comuni (valori morali prima che economici), hanno tuttavia l'interesse (anche economico) a restare divisi, magari in conflitto perpetuo, nonostante la loro cooperazione non possa che giovare all'Italia.
Ma poiche' la loro frantumazione ed il loro coinvolgimento, chi piu' chi meno, nella "questione morale" giova invece a chi, da diversi punti di vista, ritiene di poter trarre vantaggi politici dallo sfascio (separatisti, estrema destra ed estrema sinistra), l'imperativo categorico gia' dai prossimi mesi dovrebbe essere quello di agire per ricostituire, in tempi brevi, l'unita' delle forze progressiste attorno ad un cartello politico forte: bisogna cominciare subito, con l'aggregazione di circoli, club ed associazioni di ispirazione liberalsocialista e di sinistra che gia' esistono nel Paese, creando la struttura formale e sostanziale di un movimento collettivo capace di andare oltre gli interessi particolari, attraverso opportuni meccanismi di incompatibilita' fra dirigenti di partito, pubblici amministratori ed attori del Movimento stesso (meccanismi del resto gia' sperimentati in passato in altre organizzazioni di massa), per unire in una battaglia comune chi, anche aderendo a partiti diversi, si riconosce in sostanziali valori comuni.
Questi valori, principi morali e principi politici, debbono costituire l'ossatura di un tale movimento che altro non avrebbe da fare che recuperare il proprio passato, le occasioni perdute di quel passato, giacche' nulla di nuovo avrebbe da inventare, neppure il proprio nome: Giustizia e Liberta'.
Alla fine della seconda guerra mondiale, l'esperienza politica di Giustizia e Liberta' falli', schiacciata com'era dalle opposte ideologie: integralismo cattolico da una parte, marxismo-leninismo dall'altra. Oggi stiamo vivendo un terzo dopoguerra, il dopo-guerra-fredda; il crollo delle ideologie, la frantumazione crescente del quadro politico italiano, i problemi economici, la necessita' imperativa di nuovi valori morali e politici, fanno apparire possibile oggi cio' che allora fu impossibile: l'esperienza di Giustizia e Liberta', attraverso la creazione nell'immediato di un Movimento collettivo di portata nazionale che, in pochi mesi (il tempo stringe), possa aggregare attorno a se' l'esperienza di circoli, associazioni, singoli cittadini, formazioni politiche che condividono, per tradizione storica o per scelta recente, i valori comuni che furono di Giustizia e Liberta'.
Un Movimento collettivo che fin dall'inizio mostri la propria matrice progressista e riformista e le proprie intuizioni originali con proposte, idee, programmi, e che si predisponga fin dall'inizio al confronto critico con quelle forze politiche che progressiste non sono. Un Movimento che, privo di interessi particolari, miri in una prima fase ad aggregare i partiti con valori comuni, ed in una seconda fase a sostituirli: il futuro dell'Italia dipende anche dalla volonta' di alcune forze politiche oggi divise di accettare un cartello comune; un cartello che, lo ripeto, non puo' nascere per decisione interna, dei vertici di uno o piu' partiti, ma solo ed esclusivamente come forza esterna, esterna ai partiti come strutture di potere, esterna ai poteri pubblici, locali e nazionali, una forza capace di aggregare, di proporre e di condizionare: che ora unisca i partiti dall'esterno per poi sostituirli all'interno. E' il compito che suggerisco di affidare a Giustizia e Liberta' ed a tutte quelle associazioni che accetteranno di lavorare per realizzare un simile progetto, cominciando ad esempio da associazioni come Riformismo & solidarieta' e dai circoli Rosselli, perche' un giorno non lontano Giustizia e Liberta' possa divenire il nome, unico ed indivisibile, delle forze di progresso del nostro Paese.