Chiameremo "rivoluzione voluta dall'alto" il processo politico attraverso il quale, partendo da una situazione di ordine, di stabilità (anche se apparente o precaria), il "sovrano" decide di rompere le regole del gioco collettivo, introducendo l'emergenza (l'eccezione, la crisi) come fase preliminare e necessaria per imporre nuove regole, nuove forme di ordine collettivo.
Tutte le politiche di potenza, volte all'espansione imperialistica delle comunità umane (da Cesare a Hitler) possono essere intese come azioni di questo tipo, "rivoluzioni dall'alto" dirette a rompere l'ordine costituito attraverso l'impiego della forza (opzione militare): le guerre di aggressione, imperialistiche, sono strumenti per ottenere vantaggi territoriali, economici, di potere in senso lato; producendo instabilità, esse creano situazioni tipicamente politiche, cambiamenti nelle regole che ordinano l'esistenza collettiva. Le conseguenze sono spesso disastrose, e se i bilanci preventivi parlano di potere, regno e gloria, quelli consuntivi sono sempre espressi in caduti: decine, centinaia, migliaia, milioni di morti.
La rivoluzione voluta dall'alto presenta al grado estremo quelle forme di antinomia e di ambivalenza che sono, in generale, tipiche dell'agire politico: le sue conseguenze possono essere sommamente buone ma anche estremamente cattive; possono produrre libertà, equità, progresso, modernizzazione, benessere, diritti, ma anche morte, distruzione, catastrofe, costrizione, tirannia. Le diverse soluzioni del gioco politico, quando questo è giocato "dall'alto", dal sovrano, dipendono essenzialmente da chi è questo sovrano, dalle sue intenzioni e dalla sua forma, oltre che dalle circostanze:
a) in circostanze ad esso favorevoli, un sovrano cattivo ma potente potrà causare milioni di morti (Hitler);
b) in circostanze ad esso sfavorevoli, un sovrano buono ma senza potere sufficiente potrà comunque determinare un precedente storico importante per il futuro (Dubcek e la Primavera di Praga);
c) in circostanze ad esso favorevoli, un sovrano buono e potente potrà cambiare il corso della storia (Gorbaciov);
d) in circostanze ad esso sfavorevoli, un sovrano cattivo potrebbe riuscire a produrre "rivoluzioni dall'alto" attraverso opzioni militari, pur tentanto in questo modo delle avventure che possono essere per sè distruttive; si pensi ai tanti dittatori di piccoli paesi che ancora oggi violano i diritti più fondamentali dei loro popoli: quali effetti catastrofici potrebbero verificarsi per il genere umano se simili individui fossero a capo, non di piccoli stati, ma di potenze atomiche?
I concetti di "buono" o "cattivo", "potente" o "non potente", "favorevole" o "sfavorevole", sono naturalmente vaghi, ma è intuitivo che favorevoli sono quelle condizioni che permettono al sovrano di agire politicamente e cioè, nel caso limite, di scatenare "rivoluzioni dall'alto"; mentre sfavorevoli sono quelle situazioni che evidentemente non permettono ciò. Un sovrano è "buono" se produce politiche positive in termini di maggiori diritti (libertà, equità, benessere), "cattivo" se utilizza mezzi brutali (l'opzione militare) per conseguire obiettivi di potere puro (personale e/o imperiale) e se con ciò provoca la morte deliberata di esseri umani (non importa se civili o militari, anche se spesso finirà con l'uccidere entrambi).
Vi è un solo modo per impedire a sovrani "cattivi" di produrre effetti catastrofici, oltre alla loro eliminazione fisica, ed è quello di imporre universalmente regole ben definite e stabili di democrazia rappresentativa. Assumeremo perciò che il modello democratico liberale sia il punto di non ritorno, di "neutralizzazione politica"; il punto al quale, cioè, tutti devono tendere ma che, una volta raggiunto (una volta istituzionalizzata la democrazia rappresentativa), nessuno può più allontanarsene, non importa per quale giustificato motivo. In altre parole, laddove la democrazia rappresentativa può essere istituita, l'azione politica (intesa come trasformazione soggettiva delle regole) può avere per oggetto tutto tranne che la democrazia stessa; sulle istituzioni democratiche, cioè, l'azione politica deve essere neutra, al più volta a determinare condizioni di maggiore efficienza ed efficacia delle procedure.
Ci sono regole che non si possono mettere in discussione, la cui trasformazione non può essere posta all'ordine del giorno, regole che sono politicamente neutralizzate; la discussione orientata politicamente su di esse (orientata cioè alla loro trasformazione) non può essere aperta da alcun sovrano, partito, movimento, ecc. che consideri la democrazia, il pluralismo e la tolleranza come concetti dotati di valore, oltre che di significato pratico.
Ma vi è una seconda questione che mi preme sottolineare: oggi più che mai, è essenziale che le conseguenze delle azioni politiche siano prese sul serio; prendere sul serio le conseguenze della politica, vuol dire poterne disegnare gli effetti ex ante, cioè prima che l'azione politica produca degli effetti reali. Non è possibile prevedere le conseguenze esatte di un'azione, di una decisione, di una riforma, di una rivoluzione: troppe variabili sono imprevedibili, e la prima fra esse è proprio la variabile umana, quella politica per eccellenza; tuttavia, ogni volta che il fenomeno politico sta per svilupparsi, specialmente se prodotto da individui "sovrani" (sia pure eletti democraticamente e con mandato limitato), vi è l'obbligo morale di verificare tutte le possibili conseguenze di un'azione politica, prima che questa venga effettivamente svolta, e vi è parimenti l'obbligo morale di frenare, dilazionare, impedire un'azione politica se le sue conseguenze prevedibili nell'immediato sono tali da produrre più problemi di quanti l'azione stessa possa ragionevolmente pretendere di risolverne.
Individui governanti, movimenti collettivi, partiti, sindacati, gruppi, mass media, imprenditori, giudici, scienziati, intellettuali, autorità religiose, costituiscono i potenziali "mutanti sociali", coloro che possono trasformarsi in soggetti politici, in attori politici e con ciò dare vita, in un certo ambito della vita collettiva, in un certo periodo, in un certo territorio, ad un processo politico: una trasformazione soggettiva (voluta soggettivamente) delle regole che ordinano (in parte o in tutto) l'esistenza collettiva di una comunità umana, quale che sia; al limite, tutta l'umanità.