Le regole del comportamento collettivo non sono del tutto modificabili a piacere. L'atto politico è, dal punto di vista della norma che si propone di cambiare, un atto fondamentale di disobbedienza; non ogni atto di disobbedienza produce effetti politici, naturalmente, però il punto importante da sottolineare è che non ogni atto di disobbedienza politicamente significativo è possibile: può non essere possibile per vincoli di necessità (non possiamo sfidare più di tanto le leggi della fisica o dell'economia), o per ragioni di convenienza, di opportunità, o per le conseguenze negative che produce (distruttive, totalmente imprevedibili, eccetera).
Poichè non ogni disobbedienza è possibile, poichè non ogni cambiamento è possibile, l'azione politicamente efficace è quella che meglio di altre tiene conto delle conseguenze che ne derivano: è politica delle riforme, graduale, progressiva, conseguenziale, controllata e consensuale.
Ma vi è anche un altro senso in cui diciamo che l'attività politica degli uomini è soggetta a limiti. Oltre alle condizioni esterne di necessità, oltre alle sanzioni collegate alle norme esistenti, vi è la questione non secondaria della cosiddetta razionalità imperfetta. Diciamo che l'uomo è un soggetto politico imperfetto anche perchè è razionalmente limitato.
In particolare, è la debolezza della volontà (e la consapevolezza di questa debolezza) ad essere alla base della teoria della razionalità imperfetta, la quale pone limiti sostanziali alle azioni di tipo politico: "farsi legare" significa allora imporsi degli obblighi ai quali vincolare il proprio comportamento e le proprie azioni; ciò accade, ad esempio, nell'attività costituente, ultimo atto politico e neutralizzazione della capacità politica futura.
La razionalità imperfetta produce l'immagine dell'uomo "politico imperfetto": l'attività politica in senso forte (ad alta intensità) non è perciò una condizione normale dell'azione umana, bensì una condizione eccezionale, straordinaria, che si sviluppa in certe situazioni che sono già, esse stesse, straordinarie, nel senso che non sono riconducibili a quelle regole del gioco collettivo che, ordinariamente, governano la quotidianità.
Ed è proprio la rottura della quotidianità che rende necessaria l'attività politica come attività di ricostituzione dell'ordine normale su basi diverse, e cioè su regole parzialmente o totalmente nuove. Il dovere di produrre i migliori risultati, di agire comunque in conformità a regole anche morali, di non causare o di evitare danni spesso irreparabili, di agire secondo aspettative raggiungibili, introduce considerazioni conseguenzialiste che potremmo definire ex-ante.
La politica delle riforme, in particolare, produce risultati positivi (in termini di costruzione di nuove regole di comportamento collettivo) solo se i problemi che risolve sono, volta per volta, maggiori (quantitativamente e qualitativamente) di quelli che crea: è un approccio che potremmo chiamare anche di maximin, nel senso che riesce a produrre risultati massimi (massimo relativo) col minor danno possibile. L'approccio politico rivoluzionario, immediato e massimalista, produce di solito conseguenze opposte, che potremmo a ragione chiamare di maximax: il massimo del cambiamento col massimo danno, e quindi con conseguenze spesso disastrose, tragiche, impreviste e imprevedibili, che potrebbero essere evitate in una prospettiva che non rinunci al cambiamento (e quindi a generare azioni di tipo politico), ma lo governi con gradualità e responsabilità, cercando di ottenere il massimo risultato (voluto) col minimo possibile di conseguenze (dannose).
La prospettiva contro-riformatrice propone al contrario di neutralizzare l'azione politica giustificandosi con considerazioni di minimin: ridurre al minimo i danni derivanti dall'azione politica evitando di fare politica, evitando cioè di introdurre cambiamenti che in qualche modo modifichino l'ordine sociale, economico, istituzionale esistente.
Sia il maximax del rivoluzionario e dell'utopista, che il minimin del conservatore non producono esiti soddisfacenti dal punto di vista dello sviluppo e della evoluzione positiva (costruttiva) delle civiltà umane; diverso è il caso del maximin, cioè dell'azione politica orientata alle riforme, l'unica capace di produrre miglioramenti visibili riducendo al minimo le conseguenze non volute, efficace nel tener fede alle proprie promesse, limitata e limitante negli effetti negativi e distruttivi.
L'azione politica degli uomini, infatti, si qualifica non solo per la sua capacità peculiare di rispondere in modo creativo ed imprevedibile ai problemi esistenti, ma anche nella capacità di creare i problemi laddove non esistono, di produrre mutamenti anche dove parrebbe non ve ne fosse bisogno, laddove il "migliore dei mondi possibili" parrebbe aver realizzato condizioni utopistiche: l'attività politica dell'uomo, incessante ed imprevedibile, è infatti la negazione dell'utopia; come distrugge l'utopia, il modello della società felice ed immutabile, così essa distrugge anche la sua negazione (o il suo compimento, a seconda dei punti di vista), e cioè il sistema totalitario che tutto annulla e tutto congela.
Come negazione del totalitarismo e dell'utopia, l'attività politica produce i migliori risultati laddove il contesto è ad essa più favorevole: democrazia e riforme sono gli abiti mentali e procedurali che più di altri favoriscono il suo sviluppo. Se consideriamo che sviluppo dell'attività politica e sviluppo delle civiltà umane sono concetti intimamente connessi, giungiamo senza difficoltà a percepire come democrazia e riforme siano i contesti migliori per uno sviluppo umanamente accettabile di ciò che chiamiamo, in generale, "civiltà".
Jacques Monod (Il caso e la necessita’, op.cit.) osserva come tutto il mondo
vivente, in scala microscopica, sia caratterizzato da unita': tutti gli esseri
viventi sono costituiti dalla stessa struttura, le modalita’ di funzionamento
sono analoghe, ciascun essere vivente e' "al tempo stesso un fossile"
(pag.155), porta con se' "le tracce, se non le stimmate, della sua
ascendenza"
Il sistema biologico e' conservatore, e' cartesiano e non hegeliano; l'unico sistema
possibile di modifica e' l'alterazione delle istruzioni in un segmento di
sequenza del DNA, e le alterazioni sono accidentali: "soltanto il caso e'
all'origine di ogni novita', di ogni creazione nella biosfera" (pag.113).
La biosfera, ed anche la comparsa della specie umana, sono avvenimenti unici: "il
destino viene scritto nel momento in cui si compie e non prima" (pag.141).
Anche lo sviluppo del linguaggio simbolico nell'uomo e' un avvenimento unico
nella biosfera, che ha aperto la via ad un'altra evoluzione, quella culturale,
delle idee, conoscitiva (pag.127); l'analisi linguistica rivela una forma
comune a tutte le diverse lingue umane, e l’apprendimento della lingua nei primi due-tre anni di vita del bambino
e' sbalorditivo.
L'uomo appartiene percio’ contemporaneamente a due regni, la biosfera e il regno delle
idee, ed "e' al tempo stesso torturato e arricchito da questo dualismo
lacerante che si esprime nell'arte, nella poesia e nell'amore umano"(pag.170).
Tutto il comportamento umano, osserva allora Peter Winch (Il concetto di scienza
sociale e le sue relazioni con la filosofia, op.cit.) e' governato da
regole; cio' vale tanto per l'anarchico quanto per il monaco: la differenza
consiste nei tipi diversi di regole seguite (pag.69). Il comportamento di un
pazzo e' insensato, quello dell'anarchico e' un modo di vita che presuppone la
nozione di regola; lo stile letterario e' governato da regole in aggiunta a
quelle grammaticali.
Un'azione umana applica una regola se si puo' distinguere fra un modo giusto ed uno
sbagliato di compiere quell'azione (pag.75); le nozioni di seguire una regola e
fare un errore sono connesse logicamente: si valuta cio' che qualcuno sta
facendo, se lo fa correttamente o meno (pag.45). Le parole "lo
stesso" hanno significato stabile soltanto nei termini di una data regola
(pag.40); per stabilire un criterio e' necessario che vi siano piu' individui
in contatto fra loro, perche' solo cosi' vi puo' essere controllo esterno sulle
azioni: seguire una regola significa allora tener conto delle azioni di una data
persona ma anche delle reazioni degli altri a cio' che fa; il suo comportamento
e' soggetto a regola "soltanto se e' possibile per qualcun altro afferrare
cio' che egli sta facendo, nel senso che egli stesso procederebbe allo stesso
modo nella stessa situazione con tutta naturalezza" (pag.44).
La societa' umana si caratterizza per le sue regole socialmente stabilite, i cui criteri
sono pubblicamente accessibili (pag.46): il cane reagisce, l'uomo impara a
comprendere le regole in un contesto che e' sociale (pag.95). Imparare a fare
non significa solo copiare (pag.76): il cane che obbedisce ad un comando agisce
in relazione agli scopi e alle decisioni del suo padrone umano, e' condizionato
a rispondere cosi' e non diversamente, mentre per l'uomo e' fondamentale l'uso
della riflessione. Il comportamento che consegue alla comprensione e' un
comportamento per cui vi e' un'alternativa: "un uomo onesto puo' astenersi
dal furto pur avendo la possibilita' e persino il bisogno di commetterlo" (pag.83);
un comportamento e' volontario se c'e' un'alternativa (pag.112).
Linguaggio e relazioni sociali sono strettamente connessi: descrivere le relazioni sociali
in cui entra una parola permette di descriverne l'uso e quindi di capirne il
significato (pag.149).
La continuazione o meno di una tendenza storica dipende da decisioni umane ed e'
percio' imprevedibile; scrive Winch: "il prevedere la composizione di
una poesia o la realizzazione di una nuova invenzione equivarrebbe a comporre
la poesia o a realizzare l'invenzione" (pag.115).
Leggi e norme incidono sui fatti che, osserva Georg H. von Wright (op.cit.), possono essere stati di cose,
processi (fatti che continuano nel tempo), eventi (fatti che accadono, come
l'inizio e la conclusione di un processo o la transizione
da uno stato di cose ad un altro). Il concetto di atto umano, precisa
von Wright, "e' connesso al concetto di evento, vale a dire di mutamento nel
mondo" (pag.75), agire vuol dire interferire.
Per distinguere gli atti dagli eventi e' fondamentale il concetto di agente:
agenti empirici e sopra-empirici (naturali e soprannaturali, pag.78), agenti
personali ed impersonali (persone giuridiche: tribunali, assemblee
legislative); gli agenti personali possono poi essere individuali e collettivi.
Le norme prescrittive possono essere di vario genere (originarie o derivate, di
ordine inferiore o superiore, ecc., pag.214 e seg.), ed hanno alcuni ingredienti o componenti
specifici, che sono l'autorita' (teonoma o positiva, autonoma o eteronoma, pag.170),
i soggetti, le occasioni; altri componenti invece non sono specifici
delle norme prescrittive ma sono riscontrabili anche in altri tipi di norme:
- il carattere delle norme, che puo' essere un dovere (ordine, comando,
obbligo), un potere (permesso - debole o forte -, concessione, diritto,
facolta', pag.133), o un non dovere (proibizione);
- il contenuto delle norme prescrittive, che concerne l'azione (positiva o negativa, atto e
astensione) e l'attivita', che deve essere traducibile in norme
concernenti l'azione;
- le condizioni di applicazione, che possono essere categoriche e ipotetiche
(pagg.115-229).
Von Wright distingue gli accordi, i contratti, le promesse di non interferenza, le
auto-proibizioni (prescrizioni autoriflesse), gli auto-impegni. Un ordine, osserva,
puo' non riuscire nel suo intento per almeno tre ragioni (pag.174): la
disobbedienza del soggetto, non riuscire in quell'occasione a compierlo (per
ostacoli fisici o interferenze altrui), non essere in grado di eseguire
l'ordine (non puo' fare, non sa fare, non riceve l'ordine); scrive von Wright:
"c'e' uno 'spazio' per la disobbedienza soltanto ove sia possibile
l'obbedienza. E l'obbedienza e' possibile soltanto ove vi sia l'abilita' a fare
la cosa richiesta" (pag.166, a pag.177 distingue anche fra tentare di
ordinare e ordinare di tentare).
Chiameremo "rivoluzione voluta dall'alto" il processo politico attraverso il quale, partendo da una situazione di ordine, di stabilità (anche se apparente o precaria), il "sovrano" decide di rompere le regole del gioco collettivo, introducendo l'emergenza (l'eccezione, la crisi) come fase preliminare e necessaria per imporre nuove regole, nuove forme di ordine collettivo.
Tutte le politiche di potenza, volte all'espansione imperialistica delle comunità umane (da Cesare a Hitler) possono essere intese come azioni di questo tipo, "rivoluzioni dall'alto" dirette a rompere l'ordine costituito attraverso l'impiego della forza (opzione militare): le guerre di aggressione, imperialistiche, sono strumenti per ottenere vantaggi territoriali, economici, di potere in senso lato; producendo instabilità, esse creano situazioni tipicamente politiche, cambiamenti nelle regole che ordinano l'esistenza collettiva. Le conseguenze sono spesso disastrose, e se i bilanci preventivi parlano di potere, regno e gloria, quelli consuntivi sono sempre espressi in caduti: decine, centinaia, migliaia, milioni di morti.
La rivoluzione voluta dall'alto presenta al grado estremo quelle forme di antinomia e di ambivalenza che sono, in generale, tipiche dell'agire politico: le sue conseguenze possono essere sommamente buone ma anche estremamente cattive; possono produrre libertà, equità, progresso, modernizzazione, benessere, diritti, ma anche morte, distruzione, catastrofe, costrizione, tirannia. Le diverse soluzioni del gioco politico, quando questo è giocato "dall'alto", dal sovrano, dipendono essenzialmente da chi è questo sovrano, dalle sue intenzioni e dalla sua forma, oltre che dalle circostanze:
a) in circostanze ad esso favorevoli, un sovrano cattivo ma potente potrà causare milioni di morti (Hitler);
b) in circostanze ad esso sfavorevoli, un sovrano buono ma senza potere sufficiente potrà comunque determinare un precedente storico importante per il futuro (Dubcek e la Primavera di Praga);
c) in circostanze ad esso favorevoli, un sovrano buono e potente potrà cambiare il corso della storia (Gorbaciov);
d) in circostanze ad esso sfavorevoli, un sovrano cattivo potrebbe riuscire a produrre "rivoluzioni dall'alto" attraverso opzioni militari, pur tentanto in questo modo delle avventure che possono essere per sè distruttive; si pensi ai tanti dittatori di piccoli paesi che ancora oggi violano i diritti più fondamentali dei loro popoli: quali effetti catastrofici potrebbero verificarsi per il genere umano se simili individui fossero a capo, non di piccoli stati, ma di potenze atomiche?
I concetti di "buono" o "cattivo", "potente" o "non potente", "favorevole" o "sfavorevole", sono naturalmente vaghi, ma è intuitivo che favorevoli sono quelle condizioni che permettono al sovrano di agire politicamente e cioè, nel caso limite, di scatenare "rivoluzioni dall'alto"; mentre sfavorevoli sono quelle situazioni che evidentemente non permettono ciò. Un sovrano è "buono" se produce politiche positive in termini di maggiori diritti (libertà, equità, benessere), "cattivo" se utilizza mezzi brutali (l'opzione militare) per conseguire obiettivi di potere puro (personale e/o imperiale) e se con ciò provoca la morte deliberata di esseri umani (non importa se civili o militari, anche se spesso finirà con l'uccidere entrambi).
Vi è un solo modo per impedire a sovrani "cattivi" di produrre effetti catastrofici, oltre alla loro eliminazione fisica, ed è quello di imporre universalmente regole ben definite e stabili di democrazia rappresentativa. Assumeremo perciò che il modello democratico liberale sia il punto di non ritorno, di "neutralizzazione politica"; il punto al quale, cioè, tutti devono tendere ma che, una volta raggiunto (una volta istituzionalizzata la democrazia rappresentativa), nessuno può più allontanarsene, non importa per quale giustificato motivo. In altre parole, laddove la democrazia rappresentativa può essere istituita, l'azione politica (intesa come trasformazione soggettiva delle regole) può avere per oggetto tutto tranne che la democrazia stessa; sulle istituzioni democratiche, cioè, l'azione politica deve essere neutra, al più volta a determinare condizioni di maggiore efficienza ed efficacia delle procedure.
Ci sono regole che non si possono mettere in discussione, la cui trasformazione non può essere posta all'ordine del giorno, regole che sono politicamente neutralizzate; la discussione orientata politicamente su di esse (orientata cioè alla loro trasformazione) non può essere aperta da alcun sovrano, partito, movimento, ecc. che consideri la democrazia, il pluralismo e la tolleranza come concetti dotati di valore, oltre che di significato pratico.
Ma vi è una seconda questione che mi preme sottolineare: oggi più che mai, è essenziale che le conseguenze delle azioni politiche siano prese sul serio; prendere sul serio le conseguenze della politica, vuol dire poterne disegnare gli effetti ex ante, cioè prima che l'azione politica produca degli effetti reali. Non è possibile prevedere le conseguenze esatte di un'azione, di una decisione, di una riforma, di una rivoluzione: troppe variabili sono imprevedibili, e la prima fra esse è proprio la variabile umana, quella politica per eccellenza; tuttavia, ogni volta che il fenomeno politico sta per svilupparsi, specialmente se prodotto da individui "sovrani" (sia pure eletti democraticamente e con mandato limitato), vi è l'obbligo morale di verificare tutte le possibili conseguenze di un'azione politica, prima che questa venga effettivamente svolta, e vi è parimenti l'obbligo morale di frenare, dilazionare, impedire un'azione politica se le sue conseguenze prevedibili nell'immediato sono tali da produrre più problemi di quanti l'azione stessa possa ragionevolmente pretendere di risolverne.
Individui governanti, movimenti collettivi, partiti, sindacati, gruppi, mass media, imprenditori, giudici, scienziati, intellettuali, autorità religiose, costituiscono i potenziali "mutanti sociali", coloro che possono trasformarsi in soggetti politici, in attori politici e con ciò dare vita, in un certo ambito della vita collettiva, in un certo periodo, in un certo territorio, ad un processo politico: una trasformazione soggettiva (voluta soggettivamente) delle regole che ordinano (in parte o in tutto) l'esistenza collettiva di una comunità umana, quale che sia; al limite, tutta l'umanità.
Solo in un ipotetico stato di natura originario, secondo i filosofi contrattualisti, gli individui possono ragionevolmemte accordarsi sulle regole fondamentali che ordineranno la socità civile e lo stato politico nei quali andranno successivamente a vivere. Il contratto sociale, infatti, il risultato dell'interesse comune a cooperare; attraverso esso, ciascuno rinuncia ad una parte della sua libertà, sceglie di vincolare il proprio comportamento a regole a lui esterne ( leggi, valori, tradizioni ) e con ciò elimina le situazioni di conflittualità e di incertezza che renderebbero malsicura e inefficiente la sua posizione nello stato di natura originario dove, si suppone, tutti gli individui sono in continuo conflitto fra di loro. Optando per l'ordine costituzionale, il singolo cittadino di fatto neutralizza parte del suo potere politico in cambio di regole di condotta certe, valide per tutti, che producono maggiore sicurezza e maggiore benessere.
Possiamo interpretare lo stato di natura dei filosofi contrattualisti come una condizione nella quale a ciascun individuo è lasciata la massima capacità politica: in esso ogni essere umano è un soggettto politico dotato, per così dire, di poteri costituzionali, è in grado cioè di decidere la totalità delle regole alle quali vincolare il proprio comportamento e quello degli altri. Essendo ogni individuo un eguale soggetto politico, tuttavia, l'efficacia reale del potere politico collettivo che ne deriva risulta essere straordinariamente debole: poichè tutti possono decidere su tutto, e di fatto tutti decidono su tutto ( nessuno delega ad altri il proprio potere politico ), in realtà nessuno decide.
Passando dallo stato di natura allo stato civile, tuttavia, l'individuo non neutralizza completamente il proprio potere politico, non cessa completamente di essere un soggetto politico; il passaggio dallo stato di natura (ipotetico ) allo stato civile non è mai definitivo; al contrario, esso è sempre condizionato: il consenso può venir meno in qualsiasi momento, per le ragioni più diverse, e con ciò viene meno anche la neutralizzazione del fenomeno politico. In tal caso, i cittadini (o alcuni di essi) possono rivendicare la restituzione della delega politica concessa, o di parte di essa, e con ciò avviare processi politici (fare rivoluzioni, attuare riforme, dare vita a programmi, costituire partiti o movimenti nuovi, eccetera).
Il consenso condizionato del cittadino nello stato civile si contrappone quindi al potere politico incondizionato dell'individuo nello stato di natura: in entrambi i casi, sia che si tratti del potere politico dell'individuo, sia che si tratti del consenso condizionato del cittadino, l'oggetto della contesa (potere contro consenso, stato di natura contro società civile, libertà contro legge, politica contro neutralizzazione) è sempre costituito dai fini collettivi che si vogliono raggiungere, piuttosto che dai mezzi necessari per raggiungerli. Sebbene la discussione sui mezzi possa diventare essa stessa controversa, ed assumere un significato politico: quando si tratti, per esempio, di scegliere o meno l'opzione violenza come mezzo per raggiungere i fini stabiliti, come strumento per trasformare l'ordine sociale (economico, culturale, giuridico, ecc.) esistente.
Una tipica questione sui fini è stata sollevata da John Rawls: il problema posto è quali principi dovremmo scegliere a fondamento di una società bene-ordinata, nella quale i rapporti fra i cittadini siano equi e regolati da una concezione pubblica della giustizia. Ma, ci chiediamo, i principi vengono scelti una volta per tutte, o possono invece essere oggetto di successive rinegoziazioni? Certamente, nell'ipotesi della "posizione originaria" prospettata da Rawls, che produce decisioni imparziali ed universalmente accettate (da individui razionali), la scelta iniziale è sufficiente: il processo politico si esaurisce in quella scelta, i principi di giustizia sui quali si è manifestato l'accordo unanime non sono più rinegoziabili, la società bene-ordinata è anche perfettamente regolata e, con ciò, in senso politico, immutabile.
La realtà è però ben diversa: è molto difficile raggiungere decisioni imparziali, ed è ancora più difficile che queste siano universalmente accettate ma, quand'anche fossero accettate, ancora più difficilmente verranno applicate da tutti (è il noto fenomeno del free rider, che è caratteristico della specie umana proprio in quanto specie capace di sviluppare processi politici).
Nella realtà storica dell'uomo, come nella cronaca quotidiana e contingente, assistiamo ad un processo di rinegoziazione incessante e continua delle regole del gioco collettivo: non tutte le regole sono continuamente poste in discussione, è ovvio (altrimenti non potremmo avere società e stati organizzati, ma solo caos); non tutte nello stesso Paese, non tutte nello stesso momento, ma in paesi diversi e in momenti diversi le rinegoziazioni delle regole si manifestano, si rendono evidenti: le possiamo descrivere, ex-post, in primo luogo per le conseguenze che esse hanno prodotto; conseguenze che sono misurabili, appunto, nei termini della trasformazione di quelle stesse regole: tanto maggiore sarà il cambiamento, tanto più intenso si rivelerà il processo politico che l'ha generato.
A certe condizioni, in certe situazioni (nessuna delle quali è prevedibile a priori) si rende necessaria la rinegoziazione di alcune regole del comportamento collettivo: il contratto sociale si rompe, va rotto, si deve rompere; il "programma artificiale" dei contrattualisti non è qualcosa che "accade" in un certo momento per poi cessare del tutto, non è un meccanismo paragonabile al "big bang" che potrebbe aver dato origine all'universo, e dopo il quale le regole sono date e possono essere descritte dalla scienza: non è un evento irripetibile ma, anzi, un fenomeno ripetibilissimo e che di fatto, nella realtà concreta, si ripete continuamente: continuamente, in qualche parte del mondo, vi sono gruppi umani che "rinegoziano" le regole del loro ordine collettivo (o che, spesso, rinegoziano le regole del gioco collettivo di altri gruppi, di altri sistemi sociali, di altri stati sovrani interferendo con essi).
La premessa necessaria dell'agire politico è la disobbedienza: la storia dell'uomo, scrive Erich Fromm, è cominciata con un atto di disobbedienza. La questione centrale dell'agire politico, infatti, è come individui e gruppi possano violare le condizioni dell'obbedienza e della coercizione, le quali neutralizzano di fatto l'agire politico, cioè lo rendono non sono inefficace (privo di conseguenze) ma impossibile (inesistente come fenomeno in qualche modo rilevabile).
Più in dettaglio, parliamo di negazione o limitazione della libertà politica, piuttosto che della libertà tout court, in alcune situazioni ben precise: quando, cioè, si è ostacolati (per le ragioni più diverse) nel raggiungimento di qualunque obiettivo che consista nella modifica di regole del comportamento collettivo; in questo senso, e solo in questo senso, parliamo di negazione o di limitazione della libertà propriamente politica. Essere ostacolati nel raggiungimento di obiettivi puramente personali non significa perciò essere privati della libertà politica; significa, semmai, essere privati di quella particolare libertà che è necessaria (in quel contesto) per raggiungere l'obiettivo personale desiderato ovvero, al limite, in caso di costrizione estrema, essere privati della libertà tout court, che è però cosa ancora diversa dalla libertà specificamente politica.
Essere privati della libertà personale è qualcosa di moralmente riprovevole; essere privati della libertà politica è, per la maggior parte degli esseri umani, una condizione normale di esistenza (presente, passata e, si presume, anche futura), e ciò indipendentemente dalla forma di governo dello stato.
La libertà politica non è, infatti, semplice libertà da, assenza di interferenze da parte di altre persone o istituzioni -come sembra definirla Isaiah Berlin-, bensì libertà di, libertà positiva volta a cambiare le regole che ordinano l'esistenza collettiva.
La libertà politica è un caso particolare di libertà positiva: è la libertà del soggetto di divenire agente politico, e cioè di poter mutare, in qualche aspetto, l'ordine collettivo esistente, con le sue norme e i suoi valori. Quanti meno vincoli di necessità egli troverà lungo il suo cammino di trasformazione, tanta più libertà politica egli potrà disporre.
Questa libertà positiva particolare, la libertà politica, può essere più o meno diffusa: se vi è uguaglianza nella libertà in generale, ed eguaglianza nella libertà politica in particolare, allora ne deriva che tutti gli individui (tutti i cittadini) possono divenire attori politici, hanno cioè il pieno potere di modificare le regole che ordinano i loro stessi comportamenti collettivi. Questa libertà politica diffusa è però un'utopia: nella migliore delle ipotesi, infatti, vi sono meccanismi di delega (per mezzo di elezioni democratiche) che permettono di individuare cittadini rappresentativi ai quali vengono conferiti poteri politici; solo a questi cittadini particolari è concesso di agire politicamente, cioè di poter modificare le regole che ordinano l'esistenza del gruppo sociale in questione. Tutti i cittadini, però, in un sistema democratico possono periodicamente, attraverso libere elezioni, delegare ad altre persone i poteri politici, persone diverse da quelle che li hanno (o non li hanno) esercitati finora: se questo accade, ed accade in modo massiccio (con forti spostamenti percentuali da un partito o da una coalizione all'altra, per esempio), gli effetti possono essere politicamente rilevanti, nel senso che i nuovi eletti possono essere non solo portatori di programmi di riforma, ma anche produrre reali cambiamenti nelle regole.
In questo senso, e sempre che gli eletti producano realmente processi politici e non si limitino solo a dichiarazioni d'intenti, l'esplicazione del fenomeno politico in competizioni elettorali dall'esito incerto passa attraverso il cosiddetto "voto di opinione": non sono in realtà i militanti di un partito a "fare politica" (essi, paradossalmente, hanno di fatto neutralizzato la loro capacità politica scegliendo quel dato partito), bensì coloro che, votando per opinione, creano quelle differenze che alla fine si rendono decisive nel determinare chi potrà raccogliere la delega collettiva del potere politico.
L'attività politica, abbiamo detto, consiste in un processo soggettivo di trasformazione di regole che ordinano l'esistenza collettiva; nel momento in cui questa trasformazione finisce, e ne consegue un ordine stabile di norme e valori capace di regolare il comportamento collettivo, il fenomeno politico cessa di esistere: si neutralizza.
Ogni processo politico si conclude invariabilmente con la neutralizzazione dello stesso; la creazione di un nuovo ordine stabile, di un sistema di regole non mutabile nell'immediato, crea i presupposti per la fine della politica: l'attività politica lì, in quel luogo ed in quel tempo, per qualche ragione, o non è più necessaria o non è più possibile. Non è necessaria, perchè ad esempio non vi sono più ragioni o desideri ulteriori che inducano individui e gruppi a modificare le regole che ordinano quella particolare situazione sociale o quel particolare settore della vita collettiva; non è più possibile, perchè sono intervenuti impedimenti di carattere autoritario o totalitario che annullano i comportamenti di tipo politico.
Siccome, tuttavia, l'attività politica si produce in molteplici ambiti, la neutralizzazione della stessa in un ambito (economico, istituzionale, morale, sociale, giuridico, ecc.) non comporta la neutralizzazione dei processi politici eventualmente in corso in altri ambiti della vita collettiva. Laddove il sistema collettivo è pluralistico e complesso, numerosi ambiti di attività umane possono divenire poltiicamente significativi, anche contemporaneamente; alcuni per un periodo di tempo più lungo, altri per brevi momenti; alcxuni più intensamente di altri, e così via.
La politicizzazione o la neutralizzazione politica in ciascun ambito di attività umana non è un evento prevedibile a priori, ma solo descrivibile a posteriori, a cose fatte, a processo politico concluso (ed è descrivibile per mezzo della cronaca e, soprattutto, dell'analisi storica), oppure è prescrittibile da parte degli stessi attori politici, attenti e preoccupati delle conseguenze del loro agire politico.
Solo in un sistema totalitario, acritico ed immutabile, la neutralizzazione della politica può considerarsi definitiva: in esso, in qualunque ambito, l'attività politica è impossibile; non lo può essere in un sistema autoritario, dove riforme e "rivoluzioni volute dall'alto" sono ancora possibili. Solo nel totalitarismo la politica cessa di esistere come processo di trasformazione; un tale sistema è, tuttavia, destinato al mutamento da due fattori, in parte interrelati: da una parte il tempo, dall'altra il ricambio generazionale.
E' nella natura dell'uomo agire politicamente; è sempre possibile neutralizzarne l'attività con la coercizione e l'oppressione, tuttavia tale neutralizzazione non può resistere in eterno. La neutralizzazione della politica non può riprodursi, mentre la specie umana sì, ed è in primo luogo dalla nascita di nuovi individui che la capacità politica trova la forza necessaria per riemergere e per imporsi anche al più terribile e temibile dei sistemi totalitari, che è così destinato insorabilmente al declino.
La neutralizzazione totale della politica, la cancellazione del fenomeno politico da tutti gli ambiti dell'attività umana, non è possibile al di fuori della singola generazione, anche in presenza dei mezzi terroristici più spietati. Ma neppure limitatamente alla stessa generazione, la neutralizzazione totalitaria riesce completamente: l'agire politico, orientatoalla trasformazione dell'ordine di cose esistente, al desiderio irrefrenabile di cambiare qualcosa, fa parte della natura umana, ed è ciò che la caratterizza meglio di altre qualità: i regimi totalitari non hanno scampo, la politicizzazione conseguente è sempre e comunque il segnale della loro, spesso tragica, fine.
Secondo Norberto Bobbio (Stato, governo, societa'), la filosofia politica comprende ricerche (pag.45):
- sulla migliore forma di governo (l'utopia di Moro);
- sul fondamento dello Stato/potere politico e sulla giustificazione dell'obbligo politico (il Leviatano di Hobbes);
- sulla categoria del politico e sulla distinzione etica/politica (il Principe di Machiavelli).
Le ricerche di scienza politica devono invece soddisfare tre condizioni:
- verificazione/falsificazione empirica;
- spiegazione causale (debole o forte);
- avalutativita'.
Ciascuna delle tre ricerche di filosofia politica sopra indicate manca di almeno una di tali condizioni: la prima non e' avalutativa, la seconda non intende spiegare ma giustificare, la terza produce definizioni nominali e pertanto si sottrae alla verificazione (pag.46).
Il concetto di politica, tradizionalmente e convenzionalmente, ha un'estensione maggiore di quello di Stato (pag.65), ed ha un significato assiologicamente piu' neutrale; in comune, i due termini hanno il riferimento al concetto di potere ed alle sue forme: aristocrazia, democrazia, oclocrazia, monarchia, oligarchia, fisiocrazia, burocrazia, partitocrazia, poliarchia, esarchia, teocrazia, autocrazia, ecc. (pag.66). La teoria del potere include (come sua parte) la teoria politica che a sua volta include la teoria dello Stato.
Le teorie fondamentali del potere sono tre (pag.67):
sostanzialistica: il potere e' una cosa, un mezzo (Hobbes, Russel); tre sono i poteri fondamentali (pag.72):
- economico (della ricchezza);
- ideologico (del sapere);
- politico (della forza);
soggettivistica (capacita' di ottenere effetti, Locke);
relazionale: relazione di liberta' e non-liberta' fra soggetti, societa' di disuguali (superiori/inferiori, forti/deboli, ricchi/poveri, sapienti/ignoranti, pag.73).
La tripartizione assiologica classica delle forme di potere politico e' (pag.69):
- paterno (fondamento ex natura);
- dispotico (fondamento ex delicto);
- civile (fondamento ex contractu).
I giuristi medievali (pag.70) elaborano una teoria realistica del potere politico col concetto di sovranita' (summa potestas nel senso di superiorem non recognoscens); con Hobbes la caratteristica del potere politico e' l'esclusivita' dell'uso della forza (pag.71).
Per secoli il potere temporale era costituito dalla congiunzione del dominium (economico) con l'imperium (politico), confusione che permane finche' il diritto (patrimoniale) di successione vale anche per il potere politico (pag.114); con la borghesia il potere economico si distinguera' nettamente dal potere politico.
Il primato della politica (indipendenza o superiorita' del giudizio politico rispetto al giudizio morale) e' connesso alla dottrina della ragion di Stato (pag.75): per Hegel il tribunale che giudica le azioni dello stato
e' quello della storia universale (pag.76).
Dalla distinzione assiologica fra potere legittimo e illegittimo derivano i principi di legittimita' (pag.79):
- la Volonta': di Dio, o del popolo (concezione ascendente del potere);
- la Natura (le leggi naturali sono le leggi della ragione);
- la Storia: passata (potere costituito), futura (potere costituendo).
La trattazione per antitesi (Premessa, VII), puo' avere:
- un uso descrittivo, spesso il termine debole e' la negazione del termine forte: A come non-B, raramente il contrario (pag.4);
- un uso assiologico, giudizio positivo o negativo, assoluto o relativo su ciascun termine
(pag.133);
- un uso storico (filosofia della storia).
La connessione di uso storico ed uso prescrittivo origina teorie del progresso o del regresso
a seconda che la forma migliore sia all'inizio o alla fine del ciclo (pag.127).
La trattazione per antitesi rimanda alle gradi dicotomie (p.3): pace/guerra, autocrazia/democrazia, societa'/comunita', stato di natura/stato civile; dicotomie che implicano una divisione che e' congiuntamente esaustiva (tertium non datur), reciprocamente esclusiva (la sfera dell'uno comincia dove finisce quella dell'altro e viceversa, una sfera puo' essere ora piu' grande ora piu' piccola dell'altra), principale (altre dicotomie diventano secondarie), totale.
Le filosofie della storia (pag.138) possono essere regressive (Platone, per il quale peraltro la democrazia occupa l'ultimo posto dopo monarchia ed aristocrazia, pag.138), ciclico-regressive (Polibio), cicliche, progressive.
Sempre secondo Norberto Bobbio (L'eta' dei diritti), il rapporto fra governanti e governati e' il rapporto politico per eccellenza
(pag.56), e puo' essere considerato dal punto di vista dei governanti oppure da quello dei governati: gran parte della storia e del pensiero politico hanno visto prevalere il primo punto di vista, spesso con grandi metafore
(pastore, nocchiero, tessitore, medico, pag.56); il potere puo' essere considerato percio' "ex parte principis o ex parte populi. Machiavelli o Rousseau, per indicare due simboli. La teoria della ragion di stato o la teoria dei diritti naturali e il costituzionalismo" (pag.159).
Fino al secolo scorso si riteneva che il sistema politico fosse autosufficiente e indipendente dal sistema sociale globale, oppure che fosse il sistema dominante;
cio' che invece si tende a rovesciare oggi e' una determinata forma di societa',
di cui lo Stato e' solo un elemento (p.172).
Per quanto riguarda la distinzione fra azione politica, linguaggio politico, strategie politiche e visioni della politica si veda il libro Destra e sinistra di Norberto Bobbio.
Carl Schmitt (Le categorie del politico) osserva come dal XX secolo, ed in taluni casi anche prima, lo Stato abbia perso il monopolio del "politico": settori finori neutrali (non-statali e non-politici) si caricano via via di significato politico (pag.105); in democrazia, osserva, i settori religioso (confessionale), culturale, economico, giuridico, scientifico, educativo non possono piu' essere contrapposti a "politico", cosi' come viene meno la contrapposizione stato-societa' (politico contro sociale, pag.106).
Le distinzioni di fondo, per l'Autore, sono (pag.108):
in morale, buono/cattivo;
in estetica, bello/brutto;
in economia, utile/dannoso (o anche redditizio/non redditizio);
in politica, amico/nemico.
La distinzione, che non e' metaforica o simbolica ma concreta, indica il massimo grado di un'unione-separazione o di un'associazione-dissociazione e non e' riconducibile alle altre (non necessariamente il nemico deve essere cattivo, brutto, economicamente dannoso, pag.109).
Il nemico e' pubblico (hostis e non inimicus che, osserva Schmitt, e' il solo nemico da amare per il cristiano) ed ha la possibilita' concreta di combattere; la contrapposizione e' tanto piu' politica quanto piu' si avvicina al punto estremo, che e' la guerra (sia interna che esterna, pag.111 e seguenti).
I termini politici sono anche polemici, ciascuno e' la negazione di qualcos'altro (repubblica come non-monarchia, ecc., pag.113); per i contrattualisti il "politico" non solo e' assimilato a "statale" ma e' anche in contrapposizione negativa ad altri concetti: La politica liberale, osserva, e' critica politica, in contrapposizione a Stato, Chiesa, ecc. (pag.156).
E' il grado di intensita' della distinzione amico-nemico a determinare il "politico": "e' sempre politico il raggruppamento orientato al caso critico" (e' "decisivo", sovrano, pag.122).
Il mondo politico e' un pluriverso, la possibilita' reale del nemico e' il presupposto della politica (pagg.137-138); lo Stato universale rappresenterebbe pertanto la fine della politica.
L'Autore rileva anche progressive spoliticizzazioni e neutralizzazioni della politica, dal teologico fino all'economia (pag.176 e seguenti). La neutralita' politica ha significati negativi (parita', indifferenza, non intervento, ecc.) e positivi (obiettivita', competenza, ecc., pag.187 e seguenti).
I concetti di legalita' e legittimita' sono discussi da pag.211 e seguenti del volume.
La politica viene definita da James Buchanan (I limiti della liberta') come un processo di composizione delle differenze di gruppo, che peraltro e' impossibile da attuare con criteri standardizzati (pag.31); le composizioni dei conflitti sono infatti dinamiche, a causa delle forze esterne di sviluppo e di trasformazione tecnologica (pag.182).
Mezzi alternativi per assicurare l'ordine allorche' sorge un conflitto sono (pag.227):
a) un contratto sociale come sistema di legge formale; oppure
b) precetti etici ampiamente condivisi.
Il contratto viene definito dall'Autore "uno scambio bilaterale fra comportamenti" (pag.131), quali che siano (contratti di disarmo ma anche contratti di schiavitu', pag.132). I vincoli imposti alla propria liberta' rappresentano il costo del contratto (pag.210).
Secondo Thomas Nagel (I paradossi dell'uguaglianza), la teoria politica deve rappresentare un ideale di vita collettiva ed insieme deve persuadere (pag.31): il giusto deve essere possibile (pag.38), gli esperimenti della teoria politica possono infatti rivelarsi molto costosi (pag.15), occorre evitare sia l'utopismo che l'abdicazione morale (pag.47).
Il problema piu' importante che la teoria politica deve affrontare, evidenzia l'Autore, e' la riconciliazione fra punto di vista individuale e punto di vista collettivo: ogni individuo si caratterizza infatti per due diversi punti di vista, quello personale (che rende possibile il compromesso ma anche lo scontro) e quello impersonale che rende possibili la moralita' (pag.12), la cooperazione (pag.70), l'attenzione verso le sofferenze (pag.22).
A determinare scelte e decisioni possono essere motivazioni personali (interessi particolari), motivazioni impersonali (imparziali), procedure anche arbitrarie ma accettate da tutti (pag.35); i due punti di vista, osserva Nagel, devono raggiungere un compromesso (pag.54) ed evitare motivazioni premorali (pag.61).
La teoria politica si differenzia da quella etica in quanto accetta poteri esterni all'individuo (l'autorita' delle istituzioni, pag.36); la moralita' richiede una doppia giustificazione, personale ed impersonale (pag.42).
Le decisioni, specie quelle piu' controverse, devono essere legittime, vale a dire ci deve essere unanimita' sulla loro struttura di controllo (pag.49); un sistema legittimo puo' essere instabile (cosi' come uno legittimo puo' essere stabile per mancanza di opposizione), ma i tentativi di sovvertirlo sono moralmente ingiustificati. Scrive l'Autore: "la legittimita' politica dipende da una condizione etica: che nessuno abbia motivi ragionevoli per contestare il sistema" (pag.69).
Per Hobbes, osserva Nagel, esiste solo la motivazione personale della sicurezza (pag.73).
Le maggiori deficienze nella scienza politica derivano, secondo David Easton (Il sistema politico), dall'incapacita' di interrelare fatti e teoria politica. Il metodo utilizzato da Hobbes, Spinoza ecc. era pre-scientifico perche' non assomigliava alla scienza empirica (induttiva) ma alla matematica (teoria costruita a partire da assiomi a priori).
Nel XIX secolo (Spencer, Comte, Marx) la ragione scientifica era ritenuta capace non solo comprendere ma anche di dirigere gli sforzi umani (teorie del progresso); il pessimismo moderno deriva al contrario dall'aver slegato il metodo scientifico dal bene comune ed ha rinunciato all'illusione che il progresso sia inevitabile. Un pessimismo che e' stato peraltro accompagnato dal ruolo crescente della violenza nell'azione sociale e dal tentativo di far rinascere la religione nel senso di fede civile (Rousseau, appello alla irrazionalita').
La persuasione, in democrazia, fa cosi' sempre piu' appello all'emozione ed all'autorita' tradizionale, alla persuasione ed alla saggezza del pregiudizio e dell'esperienza accumulata con la storia. La ragione scientifica, in questo contesto, diventa responsabile dei dilemmi non risolti.
Le leggi sociali, osserva l'Autore, sono meno stabili delle leggi fisiche, in quanto generalizzazioni durevoli riguardanti l'azione sociale non sono possibili: le teorie devono pertanto avere durata temporanea e breve; conoscendo la generalizzazione, gli individui possono infatti distruggerne o garantirne la validita' (profezia autocontraddicentesi e profezia autoverificantesi). Alcune generalizzazioni sono pero' difficili da mutare (conseguenze della divisione del lavoro, dell'industrializzazione o della concentrazione urbana); la scienza sociale e' in gran parte condizionata, per quanto riguarda i rapporti sociali sono possibili generalizzazioni universali.
I modelli di mutamento costituiscono problemi cruciali della scienza sociale (l'interesse di Marx e Comte era di proiettare nel futuro le tendenze del presente); la ricerca politica contemporanea viceversa presta attenzione alle condizioni stazionarie, che sono astrazioni semplificate.
Il primo stadio delle scienze sociali e' caratterizzato da intuizioni, scoperte, e quindi imprecisione dei concetti; le opere di politica denotano l'immaturita' della disciplina, sono comprensibili da persone di buona istruzione. Il termine "teoria" viene utilizzato normalmente come discussione dei valori politici (filosofia della politica) anziche' per elaborare affermazioni generalizzate sistematiche applicabili a molti casi particolari. L'Autore distingue le generalizzazioni isolate (che non sono teorie), le teorie sintetiche o a medio raggio e le teorie sistematiche o a grande raggio.
Il quadro concettuale e' l'insieme di ipotesi operanti, assunti e teorie utilizzate dal ricercatore nel dirigere la propria analisi; il suo raggio di azione e' piu' ampio della teoria sintetica.
Le lentezze nello sviluppo della scienza politica sono dovute all'assenza di orientamento teoretico, ma anche a tempi che sono di azione e non di contemplazione (che soli rendono possibile una ricerca tranquilla ed esatta dei fondamenti), dall'essere terreno di scontro sull'uso dei procedimenti scientifici, dalla scarsita' di osservazioni personali sul campo (la sola accumulazione di dati con tecniche accettabili non e' pero' sufficiente per costruire una conoscenza critica ed attendibile).
L'infatuazione per i fatti produce enfasi per le tecniche; negli Usa alla fine del XIX secolo i fatti divennero prioritari sui fini, ed oggetto di studio della politica divenne il diritto costituzionale (per gli utilitaristi inglesi gli uomini potevano cambiare semplicemente cambiando le istituzioni, con nuove leggi).
Ma i dati rilevanti per la ricerca politica sono diversi: istituzioni politiche (istituzioni statali ma anche gruppi e raggruppamenti sociali) e comportamenti politici; la vita politica e' un processo prodotto da cause multiple. E non si tratta di scegliere tra fatti e teorie, ma di combinare entrambi in modo saggio (vedere i fatti nella loro rilevanza teoretica).
Le teorie sono spesso suggerimenti di riforma, vi e' riluttanza a separare la scienza pura dalla scienza pratica, applicata o
prescrittiva (piu' attraente e piu' facile da intraprendere nel breve termine). In molti casi si tratta di tesi piu' che di analisi
(talvolta di ragionamenti circolari), il cui interrogativo principale non e' come le istituzioni funzionano bensi' come devono essere migliorate (anche se, precisa l'Autore, l'applicazione prematura della conoscenza politica non si puo' condannare).
I fenomeni politici sono coerenti e legati fra loro, la vita politica e' un aspetto della vita sociale (sistema politico come parte del sistema sociale); il politico e' una dimensione separabile dell'attivita' umana.
Fino al XVIII secolo le "scienze morali" (scienze sociali) erano caratterizzate da uniformita'; con l'accumulo storico della conoscenza la tendenza e' stata verso la specializzazione (economia, sociologia, psicologia, antropologia); la politica e' stata la prima ad attirare attenzione (gia' per Aristotele la comprensione della vita politica era indispensabile per lo studio della societa') e l'ultima a separarsi dalla filosofia morale. Centrale per la scienza politica fu lo studio dello Stato, uno strumento di analisi che pero' era oscurato dalla sua funzione di mito (entita' trascendente ed eterna come la Chiesa) e che escludeva altri fenomeni politici (societa' prestatuali).
La descrizione di un oggetto puo' essere denotativa (lista di oggetti che rientrano nella classe cui appartiene il nostro) o connotativa
(proprieta' comuni degli oggetti che rientrano in una classe): la scienza politica come studio del concetto di Stato rimane al livello di denotazione o enumerazione (lista di istituzioni).
Per George Catlin alla base della condotta politica vi sono atti politici che sono atti di volonta': la scienza politica deve quindi fondarsi su fatti psicologici, l'essenza dell'atto politico essendo l'adattamento della volonta' altrui alla propria (conflitto di volonta').
Per Harold D.Lasswell, invece, i criteri guida sono i valori e il potere: la scienza politica ha per oggetto who gets what, when, how (chi ottiene cosa, quando e come). Lasswell elabora una teoria sintetica delle élites; sia per lui che per Catlin l'indice che vi e' una situazione politica e' rappresentato da qualsiasi rapporto di potere (definizione troppo ampia, in quanto includerebbe anche le gerarchie di una banda di criminali o di un'associazione).
Da Bodin l'interesse maggiore della moderna scienza politica era la ricerca della natura e della sede della sovranita' (chi aveva o doveva avere il diritto di prendere decisioni politiche). La legittimita' ha un significato psicologico (un'azione e' legittima quando viene accettata dalla massa).
Il potere e' un'attivita' che mira ad influenzare, e' una delle variabili rilevanti, ma la vita politica non e' solo lotta per il controllo. Il potere e' un fenomeno relazionale, necessita della capacita' di influenzare le azioni altrui; non ogni influenza puo' pero' essere considerata potere, ne' tutte le relazioni di potere hanno aspetti politici.
Bisogna distinguere fra il potere in un contesto politico ed il potere in generale: la vita politica concerne attivita' che influenzano in modo imperativo il corso politico.
Una linea politica nega cose ad alcuni e le rende accessibili ad altri: e' una rete di azioni e decisioni che distribuiscono i valori; una decisione isolata non e' una linea politica, una decisione e' solo la fase formale di una linea politica (occorre agire per attuarla: seconda fase effettiva della linea politica).
La vita politica e' vita di gruppo ed e' costituita da prassi legali e da prassi effettive; la scienza politica esamina ogni possibile modo in cui avvengono assegnazioni autoritarie di valori (o linee politiche): tutti i meccanismi sociali, precisa l'Autore, sono strumenti per assegnare valori, il sistema di valori totale abbraccia tutta la scienza sociale di cui quella politica e' una parte (assegnazioni di valori a mezzo autorita' cui e' necessario obbedire).
Non tutte le linee politiche imperative sono oggetto di studio della scienza politica, ma solo quelle che hanno rilevanza per l'intera societa' (anche se l'assegnazione di valori avra' effetto solo su alcuni individui); una situazione politica si verifica allorche' si sviluppa un'attivita' di assegnazione autoritaria di valori per l'intera societa': l'assegnazione autoritaria di valori e' inevitabile, sia in societa' piccole e semplici che nella comunita' internazionale.
La ricerca tradizionale individua due tipi di dati in ogni situazione politica: dati situazionali (ambiente fisico, ambiente organico non umano, ambiente sociale) e dati psicologici (personalita', motivazioni); la sociologia e' orientata verso la ricerca situazionale, la psicologia e' interessata alla ricerca comportamentale, la scienza politica e' sempre stata orientata verso la psicologia (comportamento politico). I concetti di comportamento politico e di processo politico non si possono ne' identificare ne' contrapporre: l'attivita' politica e' influenzata tanto dalle personalita' e dagli atteggiamenti quanto dalle situazioni; la psicologia ha effetto sulle situazioni, le situazioni producono effetti psicologici (il desiderio di potere, secondo l'Autore, e' una categoria situazionale in quanto l'istituzione modella la personalita').
Personalita' e situazione possono venir distinte solo a fini analitici, la loro interazione e' continua.
La scienza sociale avalutativa, secondo l'Autore, e' un mito; una teoria generale soddisfacente implica l'analisi delle premesse morali che stanno alla base della ricerca. La conoscenza del sistema politico serve per raggiungere certi obiettivi (rilevanza morale delle nostre proposizioni fattuali). Sono i valori che influenzano la scelta e la formulazione del problema da indagare, nonche' la selezione e l'interpretazione dei dati; per accrescere l'attendibilita' della sua ricerca, lo scienziato sociale deve chiarire le proprie convinzioni morali.
Siamo spesso inconsapevoli delle nostre preferenze ultime del loro ordine gerarchico: un modo per manifestarle e' quello di costruire l'immagine di societa' e di sistema politico che giudichiamo desiderabile (elaborare le conseguenze sui processi politici delle nostre scelte morali)
La storia in questo senso e' uno strumento di informazione su prospettive morali alternative, e dovrebbe aiutarci a costruire la nostra immagine di buona vita politica. Per G.H.Sabine i giudizi morali hanno influenza sulla storia, la teoria politica e' un'impresa morale, i valori non sono deducibili dai fatti ne' riducibili ad essi.
Le credenze che abbiamo oggi sembrano avere un valore morale superiore rispetto a quelle di epoche precedenti, la ricerca politica trova nella storia la sola via utile di ricerca morale (trasformazione dello studio delle idee morali in storia delle idee e conformita' ai valori contemporanei).
L'Autore evidenzia anche l'inadeguatezza della teoria dell'equilibrio politico (equilibrio generale, equilibrio costituzionale) come un tentativo di usare in senso descrittivo quello che e' solo uno strumento euristico (ne' in meccanica ne' in economia la teoria dell'equilibrio serve a provarne l'esistenza reale). Inoltre non esistono indici che consentano la misurazione del potere.
L'equilibrio costituzionale ha due significati, come caso particolare dell'equilibrio generale e come sistema in cui gli elementi sono tra loro contrapposti ma nessuno prevalente (separazione o limitazione dei poteri, rapporti internazionali); parole con significati differenti vengono usate come sinonimi (equilibrio, armonia, adattamento, accomodamento, riconciliazione, coesione). L'uguaglianza di potere puo' produrre anche la disintegrazione di un sistema politico (utilizzo della violenza per modificare una situazione impossibile).
Sono obblighi dell'intellettuale, secondo l'Autore: l'insegnamento, la ricerca, la politica pratica. Le universita' dovrebbero essere riorganizzate in questo senso, fornendo legittimita' all'applicazione ed all'azione derivanti dall'insegnamento; la speculazione creativa sulle alternative politiche andrebbe incoraggiata, vi sono infatti ampi spazi disponibili fra il chiarimento morale e la disputa politica diretta. Una teoria vera nella scienza deve essere anche rilevante nella societa'.
Per Antonella Besussi (La societa' migliore) un programma politico combina un programma di governo con un programma
fondamentale (pag.27), e' un catalogo di iniziative e di ragioni per intraprenderle (pag.134).
Principi e politiche sono interdipendenti, "i principi scelgono le promesse, le politiche devono mantenerle" (pag.36):
- principi senza politiche sono impraticabili;
- politiche senza principi razionalizzano interessi parziali;
- in programmi centrati su principi (i principi hanno priorita' sulle politiche) il criterio e' esplicito;
- in programmi centrati su politiche il criterio e' invece implicito, oscuro,
irriconoscibile (pag.35).
La buona politica liberale scopre principi trattando casi particolari (non parte da principi applicati deduttivamente) e distingue problemi da stati di cose,
avanza tesi per risolvere problemi (pag.37, nota).
La crisi e' una sorta di stato di natura, di sospensione delle regole ed impedisce che l'ordine sociale sia un dato
desiderabile su cui stabilire l'identita' di un programma politico; in tempi di crisi le identita' che puo' assumere un programma politico sono (pag.10):
- ritorno alla normalita' (identita' conservatrice);
- adesione condizionata allo status quo (identita' riformista o riformatrice);
- nuovo inizio (identita' radicale).
La simmetria si puo' intendere in due modi:
a) difficolta' naturale: vittime di cataclismi, solidarieta' trasversale per guerre, ecc.; l'intesa riguarda l'uscita dallo stato di natura, non l'entrata in un nuovo ordine. La guerra e la crisi producono sentimenti comunitari che pero' sono occasionali, non duraturi (pag.72).
b) collasso di un ordine inadeguato: mentre la crisi come catastrofe naturale alimenta consenso generalizzato ma senza chiarezza di intenti, la crisi come collasso di un ordine inadeguato determina chiarezza di intenti ma senza consenso generalizzato (pag.49).
In situazioni di crisi il governo deve assumersi la responsabilita' anche per i risultati
individuali
(pag.170); nell'emergenza e' centrale il problema dei tempi (contrapposizione
dell'umanitarismo al formalismo, pag.253), tempi lunghi e tempi 'fuori tempo' (pag.257).
Nell'imminenza di cambiamenti significativi, osserva l'Autrice, la politica diventa un'occupazione attraente (pag.129).
Una volta identificati i problemi pubblici risolvibili, occorre distinguere fra esiti desiderati ed esiti desiderabili: la schiavitu' non e' accettabile anche se la maggioranza e' a suo favore, inoltre anche una tirannia puo' produrre esiti desiderati
(pag.254); vi e' continuita' fra risultati e mezzi impiegati per conseguirli (pag.261).
Secondo Albert O.Hirschman (Felicita' privata e felicita' pubblica, l'azione pubblica ha come obiettivo una "condizione futura del mondo", suscita attese che dipendono dall'immaginazione dei cittadini e non dal risultato reale dell'azione (pag.103); la nostra immaginazione, peraltro, evoca mutamenti radicali e totali piuttosto che graduali, pertanto i risultati saranno sempre insoddisfacenti rispetto alle aspettative, creando con cio' non solo delusione ma anche incoraggiamento per il lavoro che ancora resta da fare (pag.105). Hirschman evidenzia come nelle societa' antiche i mutamenti erano talmente lenti che la loro stessa idea era assente, e che fino all'Illuminismo le sole idee di cambiamento erano quelle di un declino e di una corruzione interna (caduta dell'Impero Romano, pag.104), e non che un miglioramento della societa' fosse possibile (l'antica idea della conoscenza proibita viene invece oggi riproposta nella tesi secondo cui la ricerca scientifica incontrollata produce conseguenze terribili, pag.64).
Il voto da' a ciascuno la possibilita' di esprimere la propria opinione ma non la sua intensita' (per il postulato dell'uguaglianza, pag.128); il paradosso del votante (pag.118) consiste in una defezione dal voto nella impossibilita' di esprimervi l'intensita' dei propri sentimenti, che possono pero' essere manifestati in altri modi (scioperi, manifestazioni, ecc.).
La maggiore astensione negli Stati Uniti puo' forse dipendere dall'aver concentrato le attivita' politiche in quel Paese proprio durante le elezioni (la politica come politiche elettorali, pag.119); il tetto al coinvolgimento posto dal voto produce infine nei cittadini delusione e depoliticizzazione (pag.122): il suffragio universale e' un antidoto ai cambiamenti rivoluzionari (pag.123; il voto toglie legittimita' ad altre forme di azione politica).
Ralf Dahrendorf (La liberta' che cambia) distingue i problemi dagli interrogativi; i primi possono anche non essere risolti, ma e' superfluo risolverli per dare una risposta agli interrogativi (pag.8).
Sul fenomeno della estetizzazione della politica si veda Tomas Maldonado (La speranza progettuale).
Martin Buber (Sentieri in utopia) contrappone il principio politico, caratterizzato dall'accentramento dell'autorita', dalla burocrazia, dal potere poliziesco, il principio sociale di una "societa' articolata in modo organico-funzionale, una societa' formata da varie societa' " (pag.165) e caratterizzata da improvvisazione, liberta' e indipendenza reciproca, responsabilita', autonomia funzionale, riconoscimento reciproco (individuale e collettivo, pagg.164-165).
Distingue l'azione rivoluzionaria, accentrata e politica (anzi, totalitaria, pag.120), dalla costruzione comunitaria, che e' decentrata e sociale (pag.119). La rivoluzione sociale, diversamente da quella politica, e' una "edificazione pacifica" (pag.66).
Marx e' convinto, come i socialisti utopisti, che il principio politico vada sostituito col principio sociale, ma diversamente da loro pensa di attivare tale sostituzione solo con mezzi politici (pag.98; la rivoluzione come ultimo atto politico, come "suicidio puro e semplice del principio politico", pag.100).
Secondo Buber, per realizzare relazioni determinate dal principio sociale servono coesione intima, cooperazione, mutualita', non serve cambiare il sistema di autorita', il sistema di proprieta' o introdurre dall'esterno leggi ed istituzioni (pag.97).
L'Autore distingue altresi' i progetti topici (che cercano di risolvere i problemi di una data situazione) da quelli che tendono a creare situazioni nuove (pag.88). Il socialismo utopistico e' topico (qui ed ora, pag.98): in Palestina i villaggi comunitari ebraici sono nati non da una dottrina ma da una situazione (pag.154); l'ideale cooperativo deve incitare ma non imporre (non puo' essere uno schema dogmatico), il processo di differenziazione deve salvaguardare il principio di integrazione (pag.158).
Secondo Max Weber (La politica come professione) il concetto di politica e' molto ampio e comprende ogni attivita' di direzione o di influsso sulla direzione di un gruppo politico (oggi lo Stato, pag.16); la politica ha un mezzo specifico che e' il potere, le cui basi di legittimita' possono essere la tradizione (costume, passato), il carisma (che e' personale e straordinario), la legalita' (competenza razionale, pag.18).
Lo Stato moderno ha espropriato l'uso della forza legittima e i beni materiali dai funzionari che in passato, come ceto, ne avevano la proprieta' personale: da questa separazione nasce il politico di professione, che si mette al servizio dei capi politici per ideale ma anche per tornaconto personale (pag.23).
Weber distingue anche i politici occasionali (si limitano al voto o a partecipare passivamente ad attivita' politiche) e i politici a tempo parziale, fiduciari che non vivono di politica (pag.24). Di solito, evidenzia l'Autore, chi vive per la politica vive anche di politica (pag.25, come funzionario di partito, rappresentante di interessi in associazioni di categoria, giornalista, ecc., pag.66); salvo i benestanti, plutocrazia redditiera con patrimoni propri da cui Weber esclude ovviamente l'operaio ma anche il grande imprenditore (legato alla sua impresa e quindi non libero, pag.27).
Nel reclutamento non plutocratico, le lotto di partito sono soprattutto lotte per distribuire uffici, posti remunerati, prebende (pag.29).
La politica come "impresa" produce la separazione dei funzionari tecnici da quelli politici (licenziabili in qualsiasi momento ma ai quali non venivano chiesti particolari studi accademici, pag.34).
Il diritto romano esercito' un'influenza permanente in Occidente con giuristi di formazione universitaria: democrazia moderna ed avvocato moderno procedono insieme (pag.39); oggi la politica si svolge per mezzo della parola, scritta e parlata: l'avvocato puo' rendere tecnicamente buona una causa cattiva, il funzionario come politico spesso rende cattive tecnicamente delle cause altrimenti buone.
Il funzionario professionista non fa politica (non lotta) ma amministra al di sopra delle parti e su responsabilita' superiore; l'uomo politico, invece, prende partito, lotta, si assume la responsabilita' di cio' che fa; funzionari eticamente di buona qualita', in quanto politicamente irresponsabili possono diventare politici di cattiva qualita' ("preportere dei funzionari", pag.40).
L'influenza politica del giornalista lavoratore, osserva Weber, e' sempre minore, mentre quella del "capitalista magnate della stampa" (pag.43) e' sempre maggiore; l'unica attivita' politica continuativa (oltre alle sessioni parlamentari) e' il giornalismo (pag.47).
L'Autore osserva come vi sia una divisione su base volontaria fra cittadini attivi o passivi politicamente (pag.45): finche' non si creano reti di associazioni locali di partito, il ruolo dei notabili e' fondamentale nell'elezione dei parlamentari (pag.48); con la nascita della "macchina" (apparato umano di partito) diventa capo solo chi la controlla, con conseguente erogazione di posti e vantaggi: l'elemento carismatico (derivante in primo luogo dalla potenza del discorso demagogico che sa sfruttare l'emotivita' delle masse, pag.56) supera il programma astratto di partito, la democrazia diviene plebiscitaria, i parlamentari non sono che percettori di rendite politiche al seguito del capo (pag.50 e pag.55).
I notabili, in quanto rappresentano la tradizione dentro il partito, rendono piu' difficile l'avvento del capo (homo novus, pag.51), salvo poi diventarne seguaci in caso di vittoria.
Negli Stati Uniti l'elezione diretta del presidente favori' lo sviluppo della macchina plebiscitaria di partito, il principio dello "spoil system" (tutti i posti a chi vince, pag.57), la lotta per le "nomination". La carriera politica, secondo Weber, si caratterizza per "gravi tentazioni" e "continue delusioni" (pag.66), offrendo come soddisfazione un senso di potenza, di vanita' che caratterizza pero' anche altre professioni (scienziati, accademici, pag.68).
Le qualita' del politico sono: passione (dedizione), senso di responsabilita', capacita' di valutazione (distanza da cose e uomini); sono peccati mortali del politico l'infedelta' alla causa e la mancanza di responsabilita' (cercare colpe nel passato anziche' preoccuparsi per il futuro, pag.72).
Lo Stato rivoluzionario invece, secondo l'Autore, assegna il potere ad "assoluti dilettanti" (pag.35 e pag.72). Per quanto riguarda l'agire politico, Weber distingue due etiche, che ci ha "vocazione per la politica" deve riuscire a rendere complementari (pag.85): l'etica dell'intenzione (volonta' religiosa, valore esemplare) e l'etica della responsabilita' (conseguenze prevedibili); seguendo l'etica dell'intenzione, le conseguenze del proprio agire vengono rovesciate sugli altri (pag.75): Weber sottolinea pero' come, essendo l'uso della forza il mezzo decisivo della politica, questo deve essere giustificato rispetto ai fini voluti, ai quali peraltro si sommano gli effetti collaterali che contribuiscono a rendere irrazionale il mondo. Dal bene non consegue necessariamente il bene (pagg.77-78).
In politica, secondo Bertrand Russel (Autorita' e Individuo), due sono i gruppi fondamentali, il partito e l'elettorato: "se volete promuovere qualche riforma, dovete prima persuadere il vostro partito a adottare la riforma, poi persuadere l'elettorato a adottare il vostro partito" (pag.104).
Il primo principio dell'etica, secondo Bertrand Russell (Storia della Filosofia Occidentale, cit.), non puo' essere la realizzazione di se' perche' l'uomo e' un animale sociale (pag.914).
La politica come "cosa mondana", indegna, deriva dalla dottrina cristiana (monachismo, pagg.441-442), che sostituisce al peccato collettivo degli ebrei (peccato "politico") il peccato individuale e rende la Chiesa intermediaria di Dio (pagg.461-462). Il peccato, osserva Russell, origina dalla liberta' (pag.533; la contraddizione fra determinismo e libero arbitrio e' analizzata a pag.371).
Hobbes e' il primo teorico politico moderno (pag.729); il Rinascimento italiano non e' moderno (pag.690), l'unico filosofo dell'epoca fu Machiavelli, le cui due opere di filosofia politica empirica, i Discorsi e Il Principe, vanno letti insieme, descrivono con onesta' la disonesta' politica (pagg.663-664) ma risentono ancora di talune superficialita' del pensiero politico degli antichi (pag.672).
Il contratto sociale e' una parabola che spiega come gli uomini possano cooperare solo mediante accordi convenzionali, artificiali: una volta stipulata la convenzione, "quando i cittadini hanno scelto, il loro potere politico ha fine" (pag.722). L'idea di uno stato di natura felice deriva in parte dal mito dell'eta' dell'oro e in parte dalla Bibbia (l'eta' dei patriarchi, pag.817); la prima distinzione fra jus naturale e jus gentium e' dovuta agli stoici (pag.375).
Il contratto sociale e' un mito, una finzione morale anche in un senso diverso dalla sua inesistenza storica: secondo Russell, infatti, la volontarieta' della sua adesione nei fatti non esiste, perche' nella maggior parte dei casi non vi e' la liberta' di scegliere lo Stato a cui appartenere (pag.827); la teoria del contratto sociale e' "pre-evoluzionistica" (pag.828).
Rousseau spezzo' l'unita' del mondo filosofico: nazismo e fascismo discendono da Rousseau, Fichte e Nietzsche (pag.1048).
Rousseau fu anche il primo a difendere la fede religiosa con sentimenti (soggettivi, pag.926) piuttosto che con argomenti intellettuali (pag.923).
La teoria malthusiana suggeri' a Darwin la lotta per l'esistenza come base della sua teoria dell'evoluzione (pagg.966 e 1035), la quale a sua volta rafforzo' la fede nel progresso; al contrario, i concetti antichi di Dio e di verita' pongono dei limiti al potere dell'uomo (pag.970).
Per Giulio Bruni Roccia (Fondazione della scienza delle strutture politiche) il contrasto fondamentale della nostra epoca e' fra il successo nel dominio della natura e l'insuccesso nell'organizzare la societa' politica ai fini del progresso e della pace; la ricerca scientifica non e' stata in grado di elaborare una teoria generale della politica e non ha prodotto "uno sviluppo piu' alto della generale coscienza politica della nostra epoca" (pag.6). Laddove il progresso scientifico e tecnologico segna il passaggio non di un'epoca ma ad un nuovo evo dell'umanita', la sfera della politica e' rimasta ferma al neolitico (potere carismatico, pag.7).
Dell'essere in un'epoca di crisi, evidenzia l'Autore, si parla almeno da un secolo e mezzo, ma e' anche un'epoca privilegiata della storia in quanto offre possibilita' di analisi e di porsi in modo critico di fronte all'esistenza ed all'organizzazione sociale.
Sono correnti tradizionali della scienza politica:
- la prospettiva giuridica (statalismo, costituzionalismo);
- la prospettiva filosofica che procede per antinomie (individuo/societa', forza/consenso, liberta'/uguaglianza).
La difficolta' di elaborare una scienza generale della politica e dello Stato dipende dalle opposte concezioni ideologiche (limite ideologico: lo schema di valori), dalle diverse evoluzioni degli Stati (limite etnocentrico: l'Europa Occidentale) e dalla varieta' di formazioni politiche non statali (limite istituzionale: la Costituzione). Ne derivano problemi di obiettivita' (scienza politica non ideologica), di comparazione politica, di rapporto fra teoria e prassi.
Lo strutturalismo distingue idee, interessi, ethos politico, strutture profonde, separa il processo di oggettivazione dal linguaggio simbolico e dai fattori inconsci.
Le strutture profonde (polisgeni della communitas: socialita', identita', aggressivita', totalita') sono rappresentazioni archetipiche che l'Autore distingue in elementi (simbolo collettivo, forza trascinante, totalita' unificante gli opposti, modello paradigmatico, funzione soteriologica) e caratteri (precondizione di fatto e valore, images agentes, ambivalenza, antinomia). Le aspettative inconsce sono all'origine del concetto di communitas e di archetipo, le aspettative latenti producono immagini del potere e principi di legittimazione.
L'Autore approfondisce il concetto di transfert politico:
- nell'ethos della comunita' tradizionale (archetipi del Patriarca e del Leviathan);
- nell'ethos della comunita' dei liberi (archetipo dello status naturae);
- nell'ethos della comunita' degli eguali.
Le cesure storiche sono situazioni-tipo, polarita' di sviluppo caratterizzate dalla liberazione della forza emotiva dell'archetipo.
Secondo Aristotele (La Politica ), la comunita' (polis) nasce per la sopravvivenza e poi si sviluppa in modo naturale in vista del vivere bene (pagg.47 e seguenti); la polis e' una comunita' autarchica (pag.83 e 103) e non e' solo una comunita' di luogo perche' e' fondata sull'amicizia (pagg.95-119).
L'uomo e' un animale politico in quanto e' un costruttore di poleis (pag. 50 e 92); la polis e' un tutto, e' una comunita' di valori, e' il tutto anteriore sia all'individuo che alla famiglia, che ne sono parti (pagg.51-52; il ragionamento aristotelico e' spesso viziato da paragoni con l'organismo umano, pagg.56-71-104).
La natura umana e' ambivalente: quando e' nel giusto, l'uomo e' il migliore degli animali, ma puo' diventare il peggiore di tutti (pag.52); tre sono i fattori della virtu': natura, abitudine, ragione (pagg.175-176). Non esiste in generale un retto agire, le virtu' vanno enumerate (pag.72); l'amare piu' del necessario e' sbagliato (egoismo, eccesso di amore per i beni).
L'uso di un bene puo' essere conforme alla sua natura (economica) o puo' consistere nello scambio con un altro bene (crematistica, pag.65 e seguenti): quando il fine dello scambio e' la moneta, non vi e' piu' limite all'attivita' di scambio; Aristotele distingue la crematistica economica (necessaria, limitata, avente per scopo i beni) dalla crematistica commerciale (non naturale, illimitata, avente per scopo la moneta e percio' l'accumulazione di ricchezza ed anche l'usura). Aristotele ipotizza anche proprieta' private di uso comune (pag.76).
La polis e' composta da famiglie, alla cui base vi sono tre rapporti: padronale o dispotico (signore e schiavo), coniugale (marito e moglie), padre-figli; la schiavitu' esiste per violenza (pag.53), ma secondo Aristotele e' utile e percio' e' nella natura delle cose che vi siano liberi e schiavi (pagg.56-57), come pure che vi sia chi comanda e chi obbedisce (pag.71). L'autorita' verso uomini liberi e' politica, l'autorita' verso schiavi e' dispotica (pag.60).
La costituzione (politeia) di una polis e' la sua organizzazione, l'ordinamento delle cariche e delle autorita', che varia da polis a polis (pagg.85 e seguenti, pag.100): la migliore costituzione per una polis puo' infatti non coincidere con quella ideale (costituzione possibile, pag.99).
Sono cittadini della polis tutti coloro che sono liberi da ogni occupazione necessaria (pagg.91-110); la loro virtu' e' saper sia obbedire che comandare (pag.89). Il governo di uno, pochi o molti puo' essere esercitato per il vantaggio comune (monarchia, aristocrazia, politeia, pagg.92 e seg., pagg.112 e seg., pag.116), o per il vantaggio personale: la tirannide persegue l'interesse dei monarchi, l'oligarchia quello dei ricchi, la democrazia quello dei poveri, ed e' accidentale il fatto che l'autorita' sia nelle mani di uno, di pochi o di molti (pagg.92-94); inoltre, vi sono molte forme di governo (molte forme di oligarchia e di democrazia, pag.100, pagg.106 e seguenti).
Elementi fondanti della costituzione sono liberta', ricchezza, virtu' (pag.114); dalla costituzione derivano le leggi, che devono governare su tutto, mentre i magistrati decidono solo sui casi particolari (pagg.100-108-127 e seguenti). La misura sta in mezzo (giusto mezzo, pagg.118-119 e seguenti); il governo non deve andare ne' ai troppo ricchi ne' ai troppo poveri, le rivoluzioni sono provocate dalla ricerca di uguaglianza (pagg.138 e seguenti).
In Anatomia del potere (op.cit.) John Kenneth
Galbraith osserva come anche per l'analisi economica sia fondamentale sapere
chi esercita il potere; Galbraith distingue:
A) tre strumenti di esercizio del potere (pagg.10-11; pag.21 e seguenti):
- la punizione (sottomissione per coazione, compenso negativo);
- la remunerazione (sottomissione per incentivo o ricompensa, compenso
positivo);
- il condizionamento (persuasione, educazione, pubblicita': la
sottomissione non e' avvertita come tale, pag.33 e seguenti);
B) tre fonti (pag.13):
- personalita', correlata al potere condizionatorio (leadership, pag.51
e seguenti);
- proprieta', correlata al potere remunerativo (patrimonio ma anche
reddito, unica fonte di potere per i teorici socialisti, pag.59 e seguenti);
- organizzazione, che e' correlata a tutti gli strumenti di esercizio
del potere.
Strumenti e fonti sono combinati in varie proporzioni, le loro diverse
interrelazioni (pag.49) danno origine al potere politico, religioso (pag.199 e
seguenti), economico, militare (pag.187 e seguenti), della stampa (pag.203 e
seguenti).
Il potere viene ricercato per se stesso (autorealizzazione, celebrazioni
rituali, pag.16) ma anche come mezzo per fini che riguardano l'estensione di
interessi (economici) e di valori (religiosi, sociali, personali), e che sono
spesso mascherati, nascosti, generando cosi' sentimenti di indignazione che
pero', secondo l'Autore, vanno sempre confinati a giudizi specifici, in quanto
non si puo' valutare in negativo "il potere" in generale, perche'
questo e' essenziale alla vita collettiva (pag.19).
La giusta graduazione di pene e compensi e' una delle questioni piu' dibattute
(pag.23); assistiamo storicamente ad una progressiva trasformazione del potere
punitivo in potere remunerativo (pag.27): le moderne politiche pubbliche
(fiscale, monetaria, agricola, del lavoro) sono incentrate sull'effetto
incentivante di ogni provvedimento (pag.28). Ma e' il potere
condizionatorio che caratterizza le democrazie del XX secolo (pag.37); il
condizionamento scolastico influenza anche il sistema socio-economico (virtu'
del libero mercato, virtu' del socialismo, ecc., pag.42).
Differenze di genere nell'esercizio del potere sono in realta', secondo
l'Autore, differenze di grado (regimi totalitari, pagg.45-46; pag.79 e
seguenti).
Nella grande impresa moderna l'organizzazione ha sostituito (in proporzione)
sia la proprieta' che la personalita' (pag.64 e pag.157); come fonte di potere,
l'organizzazione per essere efficace deve presentare tre caratteristiche:
- simmetria biunivoca (la forza del suo potere esterno dipende dal grado di
sottomissione interna, pag.69; lotta all'eresia, pag.73 e seguenti, pag.110 e
seguenti);
- accesso a tutti gli strumenti di esercizio de potere (punizione, remunerazione,
condizionamento);
- limitato numero di fini da raggiungere.
Esercizio del potere e resistenza al potere sono fenomeni tra loro correlati,
simmetrici; vi e' un equilibrio fra chi esercita il potere e chi vi si oppone (contropotere,
pagg.87-89). Gandhi fu un esempio di contropotere efficace grazie proprio alla
sua asimmetria (pag.94 e seguenti).
Il livello di civilta' di un paese, secondo Galbraith, e' dato dal grado di
efficacia con cui viene disciplinato il potere punitivo (pag.99), che peraltro
e' interdetto al singolo individuo in ogni societa' ordinata. Quando invece
tutte le fonti di potere sono deboli o assenti, si determina un vuoto di potere
(pag. 124 e seguenti); che fu fondamentale, secondo l'Autore, per il
sopravvento della rivoluzione industriale: il bene pubblico si identifico' con
la ricerca dell'interesse personale (mano invisibile, pag.133), il capitalismo
si fondo' sul meccanismo regolatore della sopravvivenza del piu' adatto
(darwinismo sociale, pag.137), il potere della grande impresa non esisteva
perche' affidato al mercato (pag.139).
Il contropotere marxista utilizzo' come strumento prevalente il potere
condizionatorio (pag.144 e seguenti); il potere condizionatorio e' piu'
accessibile del potere remunerativo, in quanto necessita di un'organizzazione
ma non di proprieta' (pag.163), e talvolta si caratterizza per la sua
diffusione e dispersione, creando cosi' l'illusione individuale di avere potere
(pag. 215 e seguenti).
L'economia reale e' costituita invece da grandi organizzazioni che
interagiscono, mentre secondo Galbraith l'insegnamento dell'economia utilizza
"strumenti ideologici superati" (pag.164); anche lo Stato moderno si
identifica con la burocrazia, una grande organizzazione che fa dello Stato
stesso uno strumento per propri fini che non sono quelli insegnati agli
studenti (democrazia come potere al popolo, pag.8; pag.167).
Marco Simini nel libro La comprensione reciproca evidenzia il ruolo dell'illusione nella storia (sorpresa per la violazione di regole, stratagemmi militari e politici, pag.139). Il buon comunicatore e' un illusionista (pagg.140-141): l'individuo e' soggetto infatti ad illusioni percettive e cognitive (pagg.120-121), agisce seguendo un proprio modello della realta' che e' sempre relativo rispetto a quest'ultima (pag.19 e 107); la realta' viene elaborata individualmente da filtri di origine neurologica (il sistema nervoso umano coi cinque sensi percepisce solo in parte la realta'), filtri sociali (linguaggio, cultura), filtri individuali (aspettative, modelli cognitivi che generalizzano, cancellano, deformano la realta', pag.28): "una persona con una determinata idea politica tendera' a notare solamente le informazioni che confermano le sue convinzioni" (pag.29), chi ascolta un comizio e' gia' in sintonia con le idee del relatore (pag.115), le credenze tendono a rinforzarsi (pag.36) perche' siamo verificatori piuttosto che falsificatori di ipotesi (pag.111, importanza della dissonanza cognitica, pag.118: la sostituzione di modelli produce esperienze di illuminazione, pag.124, ristrutturazioni di contesto e di significato, pag.169).
Ogni gruppo sociale o movimento politico agisce nell'ambito di un modello costituito da "valori, credenze, regole e concetti-simbolo peculiari" (pag.34); l'individuo e' influenzato in modo fondamentale dall'ambiente culturale, sociale, familiare in cui vive (pag.39) ed alla base delle incomprensioni di solito vi sono conflitti di regole (personali, culturali, consce, inconsce, pag.40); vi sono regole di cui diventiamo consapevoli solo quando vengono violate, regole spaziali (pag.41) e concezioni temporali (pag.21). Ogni regola e' come un vestito, non e' assoluta e puo' sempre essere modificata (pag.194): "al di la' delle diverse regole, condividiamo alcuni valori fondamentali" (pag.166).
L'Autore analizza l'effetto alone (pag.46, esempio: bellezza=bonta', pag.101 nota), le ancore (pag.51, esempio: luogo/odore/sapore = stati d'animo; le ancore sono utilizzate dalla propaganda, pag.142), i , positivi e negativi (in campagna elettorale valgono piu' dei programmi e delle parole, pag.55), la comunicazione non verbale (postura, gesti, fisiologia, paralinguistica, pagg.98 e seg. e 158 e seg.), le metafore (pag.182).
La proprieta' commutativa non vale per la comunicazione: l'ordine di trasmissione delle informazioni e' importante (pag.60 e 155, nota), non e' la quantita' di informazioni che rende efficace il messaggio, ma come questo viene ricevuto dall'interlocutore (predicati linguistici, visivi, uditivi, cenestesici, pagg.87-91); Simini critica la didattica che si basa in prevalenza su aspetti visivi piuttosto che uditivi o cenestesici (le tre submodalita' sono descritte a pagg.67-68). Inoltre, il nostro inconscio non legge i "no", le negazioni (pag.57), sebbene il nuovo venga spesso descritto con piu' efficacia come cio' che non e' (automobile come carrozza senza cavalli, benzina senza piombo, ecc., pag.161).
Problemi o idee possono essere considerati da vari punti di vista: fattuale, emotivo, pessimista, ottimista, creativo, organizzativo ("tecnica dei sei cappelli", pag.189 e seg.); le domande possono essere utilizzate per indurre l'interlocutore nella "trappola della falsa alternativa" (pag.164), le domande ingenue disorientano (pag.181), le implicazioni parassite inducono in errore (pag.184). L'Autore analizza le principali strutture verbali imprecise a pagg.175-176 (termini vaghi, comparativi, nominalizzazioni, ecc.); l'albero decisionale e' a pag.152, la plausibilita' di una catena conseguenziale di eventi a pag.145 ("supponiamo che").
Nel dibattito politico e' fondamentale il principio di contrasto: "una tesi apparira' piu' moderata di quanto obiettivamente sia, se espressa dopo un intervento estremista e radicale" (pag.125). La consapevolezza collettiva del potere della comunicazione e' una garanzia di liberta' (pag.14).
Andrew Gamble (Fine della politica?) osserva come il prevalere di argomenti pessimisti, di disillusione, disincanto, fatalismo, portano al dibattito sulla fine: fine della politica, della storia, dell'ideologia, dello stato, della sfera pubblica, dell'autorita'; l'idea di fondo e' che vi siano forze impersonali (quali la globalizzazione e la tecnologia) che rendono impossibile da parte dell'uomo il controllo del proprio destino (pagg.7, 21, 45 e seguenti). Compito della politica doveva essere invece quello di permettere alle societa' umane di controllare il proprio destino, attraverso potere, risorse, ordine, regole, identita', fedelta'; a questa visione della politica si sono contrapposte la tesi conservatrice della politica afflitta da corruzione ed inefficienza, e la tesi della politica totalitaria (pag.9). Molte utopie sono "luoghi apolitici" (pag.10).
Ma la politica e' necessaria, secondo l'Autore, perche' e' elemento costitutivo della nostra esperienza, e non semplicemente una sua parte; il suo campo d'azione puo' restringersi, ma non scomparire (pagg.101-102).
Il pensiero politico, osserva ancora Gamble, si caratterizza per codici binari, contrapposizioni fra amici e nemici (l'identita' d' determinante per ogni entita' politica), inclusi ed esclusi (prender partito), pubblico e privato (solo il pubblico e' politico, pag.11). La sfera politica ha pertanto tre dimensioni:
- identita', che e' la dimensione espressiva del politico (chi siamo?, pag.104);
- potere, che e' la dimensione strumentale del politico (chi ottiene cosa, quando e come, pag.102);
- ordine, dimensione regolativa del politico (pagg.14-15, 104-105).
Tutte le dimensioni implicano conflitto (chi decide, come e quali decisioni prende, pag.16).
La nozione di fine indica termine (morte) ma anche significato (scopo, pag.17); tutte le affermazioni in tal senso sono o retoriche oppure meta-narrazioni (descrivono una nuova fase dell'evoluzione, pag.99): anxhe le rivoluzioni non costituiscono cesure storiche radicali, ma conservano elementi di continuita' col passato (pag.18).
Il fatalismo puo' essere pessimista (esito fatale, sentenza di morte, pag.63), ma anche ottimista (provvidenza, pag.19); tendenze importanti vengono trasformate in giudizi assoluti sulla "fine" (pag.81). La politica e' azione, desiderio, immaginazione, volonta0 interna ll'uomo, e si contrappone al fato inteso come vincolo esterno, contingenza, destino inevitabile: ma poiche' un mondo senza vincoli non e' possibile, vi deve essere equilibrio fra i due termini (pagg.23-24); il fato, inteso poi come fattore interno all'uomo ed alla societa', come genetica e come biografia (personale e storica) crea opportunita' oltre a fissare limiti, ed il compito della politica e' proprio quello di cogliere queste opportunita' (pag.24).
Sia l'universalismo (globalizzazione) che l'antiuniversalismo (pluralismo dell'ordine mondiale) sono fatalisti (pag.61). Il neoliberismo proponeun mondo senza politica, fondato su principi economici, che e' realizzabile pero' solo per mezzo della politica (pag.57; "monetarismo, deregolamentazione, privatizzazione e flessibilita' dei mercati del lavoro", pag.59).
La percezione della legittimita' di un ordine o di un'azione fa si' che essi vengano eseguiti volontariamente, senza coercizione; non vi sono obblighi morali ad obbedire ad ordini illegittimi, anche se puo' essere prudente farlo (pag.63). Sono fonti di autorita' le norme legali, le consuetudini (una societa' senza tradizioni non puo' esistere, pag.69), la religione, la scienza (la cui autorita' sarebbe stata indebolita dalla crescente integrazione coi processi produttivi, pag.79), il carisma e le dottrine ideologiche: "l'autorita' riduce l'incertezza e fornisce sicurezza" (pag.64; il welfare state avrebbe ridotto rischio ed insicurezza, pag.75); la storia moderan si caratterizza per i molteplici tentativi di sostituire fonti d autorita' con altre, piuttosto che di eliminare l'autorita' in se': conflitti "tra chiesa e stato, cristianesimo e islamismo, re e parlamento, capitale e lavoro, religione e scienza" (pag.64). Il pluralismo dei valori rende impossibile stabilire una priorita' fra essi (visione autorevole, pag.70).
Il conservatorismo e' schizofrenico, perche' cerca di abbinare tesi liberiste ed anche libertarie al fondamentalismo morale (sacralita' delle istituzioni e della cultura nazionale, pag.71 e 73).
Il new public management (partnership pubblico/privato) e' governo, anche se con altri mezzi: i settori pubblico/privato non costituiscono un rapporto a somma zero (pagg.82 e 87). La governance e' l'insieme dei meccanismi per guidare e governare una societa', fra cui vi sono il government (governo), i mercati, le reti (pag.84), la cooperazione internazionale, la governance a piu' livelli (ne e' esempio l'Unione Europea, che segna il passaggio dallo stato-nazione interventista allo stato regolatore, pag.85). La governance e' percio' piu' ampia del government, in quanto comprende famiglie, comunita', associazioni, reti, mercati (pag.15); tema chiave della politica, secondo l'Autore, e' l'equilibrio fra le diverse modalita' di governance.
La categoria della sfera pubblica comprende il settore pubblico, il governo, la partecipazione degli attori pubblici ma anche privati alla discussione dei problemi comuni (pag.87); progetti individuali di felicita' confliggono fra loro, l'interesse pubblico non e' dato bensi' oggetto di discussione o di negoziato (tema dell'equita': equo trattamento, equo processo, pagg.95-96). La sfera pubblica, secondo l'Autore, si sta restringendo: i mass media (e la televisione in particolare) consentono ai leader politici di rivolgersi direttamente all'elettorato, con slogan, rendendosi indipendenti dai partiti e rendendo superflue le tesi politiche (pag.88).
I neoliberisti criticano il mercato politico perche' non e' concorrenziale cone i mercati economici, ed auspicano pertanto la sua riduzione (riduzionismo politico, pagg.93-94).
Nel libro Storia delle dottrine politiche, John Dunn tratta alcune questioni di metodo da seguire per scrivere una storia del pensiero politico, storia che testimonia non solo quanto sia volubile l'interesse umano, ma anche quanto siano volubili il significato e le circostanze del proprio oggetto, cioe' la politica stessa (pag.10).
La politica, secondo l'Autore, e' un dominio autonomo, una dimensione o forma particolare
di attivita'/azione umana, condizionata da informazione imperfetta e rigidi vincoli
(pag.14); in un'altra parte del libro la politica viene pero' definita come "uno spazio ampio, diffuso e indistintamente collocato dell'azione, dell'esperienza e dell'interpretazione umane" (pag.55).
La congiunzione di tre elementi rende difficile da comprendere la politica:
- la necessita' di beni per vivere bene;
- la preminenza dei beni che richiedono reciproca cooperazione;
- la "intensa difficolta' pratica" di questa cooperazione (pag.59).
Tutti i grandi testi di teoria politica hanno qualcosa di rilevante da dire su almeno uno di questi tre elementi.
Per Aristotele, secondo l'Autore, la politica e' un agire umano parzialmente cooperativo e parzialmente conflittuale per condividere un bene nell'ambito della vita collettiva (pag.65).
La teoria politica non e' assimilabile alle scienze della natura, e' intensamente
storica: tutti i termini centrali della politica hanno un'origine storica (pag.14); una storia dei termini politici cruciali in Germania e' stata scritta da Reinhart Kosellek (pag.40), ma una storia completa dei concetti politici deve ancora essere scritta.
La comprensione della politica non e' aumentata nel tempo ma, con il progredire delle conoscenze scientifiche e della capacita' umana di distruzione, e' cresciuta la sua importanza: "la politica non e' mai stata cosi' importante nella storia dell'uomo" (pag.13).
L'esperienza occidentale della politica non e' l'unica, ogni tradizione storica ha prodotto pensiero politico
(pag.20); inoltre, sottolinea l'Autore, scrivere o insegnare storia della teoria politica significa fare, anche, attivita' politica (pag.24).
La storia della teoria politica occidentale comprende un insieme di testi 'classici': Platone, Aristotele, Cicerone, Agostino, Tommaso d'Acquino, Marsilio da Padova, Machiavelli, Bodin, Grozio, Hobbes, Spinoza, Locke, Rousseau, Montesquieu, Madison, Sieyes, Hume, Adam Smith, Bentham, Ricardo, J.S.Mill, Burke, Benjamin, Constant, Hegel, Marx, Lenin (pag.27).
I testi hanno carattere storico (riflettono aspetti della societa' dell'epoca nonche' interessi ed obiettivi dell'autore) e sono fonti potenziali di stimolo per i lettori di oggi (pag.33).
Nel tentare di comprendere la storia della teoria politica, sono quattro le domande da porsi relativamente ai testi 'classici':
- Cosa intendeva dire l'autore?
- Cosa traspare nel testo del contesto storico e sociale dell'epoca? (domanda centrale nell'analisi marxista).
- Cosa ha significato quel testo per chi lo ha letto? Le grandi opere hanno un destino piu' lungo delle azioni umane,
destino che spesso si e' differenziato rispetto alle originarie intenzioni
dell'autore (pag.49).
- Cosa significano quei grandi testi per noi oggi e domani per le generazioni future?
Non e' rilevante rispondere alle domande precedenti se non si risponde a quest'ultima domanda (pag.50).
Le azioni umane non sono mai al di sopra di ogni sospetto (pag.65); molte azioni politiche hanno pero' conseguenze che sono non intenzionali: "nella comprensione della politica le conseguenze sono sempre almeno tanto importanti quanto le intenzioni" (pag.66).
La democrazia, centrale nella moderna legittimita' politica, e' in tensione violenta con la realta' pratica dello Stato moderno, che e' stato costruito per negare le rivendicazioni del popolo di porsi a fondamento dell'autorita' politica: i cittadini sono liberi di agire (in pratica nella sola dimensione privata)
solo in forza dell'astensione o indulgenza dei propri capi politici (pag.72).
La democrazia costituzionale rappresentativa moderna e il Welfare State (che e' il suo "precario complemento socioeconomico", pag.77) non hanno ancora mantenuto la promessa
di essere realizzazione concreta di quei valori che l'hanno legittimata ed
ispirata (diritti umani, giustizia, sicurezza, prudenza nell'utilizzare la natura non
umana).
Per migliorare i risultati, per agire in modo piu' efficace, secondo l'Autore occorre allora uno sforzo
educativo (pag.78).
In Avere o essere? Fromm osserva come le strutture socioeconomica, caratteriale, religiosa siano inseparabili; la rivoluzione francese non fu solo politica ma anche religiosa (cit., pagg.182-189).
Il progresso richiede mutamenti simultanei nelle sfere economica, politico-sociale e culturale; gravi guerre (nel 1870, 1914, 1939) hanno diviso convenzionalmente buoni e cattivi, amici e nemici, salvo poi unificare e dividere nuovamente e in modo diverso: i politici, secondo Fromm, sono i primi responsabili delle cause di guerra (Psicanalisi della societa' contemporanea, pagg.10-14).
Privato e pubblico non possono essere divisi, le cognizioni di se' e della societa' sono inseparabili (L'amore per la vita, pag.133). L'amore per i propri simili e' strettamente legato alla compassione, il cui contrario e' l'indifferenza: "chi sa amare un unico suo simile, non ama nessuno" (cit., pag.168).
La storia umana e' iniziata e si e' evoluta con atti di disobbedienza (miti di Adamo ed Eva e di Prometeo); la disobbedienza puo' essere un atto contro (ribellione) o per qualcosa, di affermazione della ragione (La disobbedienza ed altri saggi, pag.49).
Liberta' e disobbedienza sono inseparabili, non si puo' proclamare la liberta' e insieme bandire la disobbedienza. Fromm distingue l'obbedienza eteronoma (sottomissione, che puo' essere verso un'autorita' razionale oppure irrazionale) dall'obbedienza autonoma (alla propria coscienza, che anch'essa puo' essere umanistica oppure autoritaria, pagg.14-17).
Secondo le grandi religioni umanistiche, il fine dell'uomo e' superare il proprio narcisismo (Psicoanalisi dell'amore, pagg.117 e seg.). Le differenze filosofiche e religiose non possono scomparire perche' un unico sistema ortodosso condurrebbe a nuovo narcisismo; occorre trovare l'esperienza umanistica comune rispettando tutte le differenze. Alle feste nazionali bisogna sostituire feste, solennita', simboli delle Nazioni Unite, i testi di storia andrebbero riscritti come storia universale (cit., pag.121 e nota).
Il possesso e' un momento transitorio del processo vitale (Avere o essere?, pag.107), nella storia umana la proprieta' privata costituisce un'eccezione e non la regola;
Fromm elenca altre forme di proprieta': autoprodotta, personale o funzionale, limitata, comune (pagg.98-99). La stragrande maggioranza e' esclusa dalla proprieta' dei mezzi di produzione (capitali e impianti), molto piu' diffusa storicamente e' invece la proprieta' patriarcale, che e' una proprieta' non su cose ma su esseri viventi (moglie, figli, animali).
La minaccia dell'ostracismo, del totale isolamento, e' piu' efficace della stessa minaccia di morte, l'uomo e' infatti l'unico animale che puo' amare la morte e l'unico che puo' annoiarsi (La disobbedienza e altri saggi, pagg.38, 59, 85); e' anche l'unico animale che si sente minacciato da pericoli futuri oltre che immediati, pericoli che possono colpire non solo interessi vitali ma anche simboli e valori (cit., pag.161).
L'idea di rivouzione politica e' un'idea tradizionale della societa' borghese, che la caratterizza negli ultimi trecento anni; gli individui atomizzati trovano invece sicurezza nell'idolatria autoritaria: la distruzione del socialismo comincia con Lenin, il Vangelo porto' all'inquisizione, i razionalisti del XVIII secolo a Robespierre ed a Napoleone, Marx a Stalin (cit., pagg.229-262).
RIFERIMENTI BIBLOGRAFICI :