Cio' che da ora in avanti chiamero' politica non e' un'attivita' particolare: da come intendo definire il concetto di politica, ne deriva che nessuna attivita' umana potra' piu' essere definita come essenzialmente politica, cioe' come attivita' politica in quanto tale, ma ogni attivita' umana potra' assumere significato politico solo se produce mutamenti nell'ordine collettivo; tanto piu' evidenti saranno questi mutamenti, tanto piu' il processo politico sara' accentuato.
Parlero' percio' di processi specificamente politici, piu' che di attivita' specificamente politiche: ogni attivita' umana, infatti, puo' o non puo' produrre effetti politici a seconda delle circostanze, delle volonta' soggettive, dello stato della conoscenza e di mille altri fattori; laddove riscontriamo trasformazioni rilevanti nel modo di condurre l'esistenza collettiva, dovute a ragioni le piu' diverse (di natura economica, religiosa, tecnologica, militare, ideologica o altro) possiamo individuare l'esistenza di fenomeni di tipo politico, possiamo cioe' individuare attivita' umane e soggetti particolari che hanno, in quel contesto e in quel momento, modificato le regole dell'azione collettiva.
Il concetto di politica che propongo, in altre parole, e' strettamente connesso ai concetti di riforma e di rivoluzione: possiamo rilevare riforme o rivoluzioni di natura economica, religiosa, ideologica, istituzionale, sociale, giuridica, tecnologica e quant'altro, tutte cariche di significato politico; laddove pero' non riscontriamo riforme o rivoluzioni e, nel caso limite, laddove le riforme e le rivoluzioni non sono possibili (come accade nello Stato totalitario), non rileveremo fenomeni di tipo politico, ed ogni attivita' umana sara', nel suo genere specifico (attivita' economica, sociale, istituzionale, eccetera), volta ad amministrare le regole esistenti, piuttosto che a cambiarle.
Ma e' il mutamento, e non l'amministrazione, cio' che produce politica, almeno questa e' la tesi che intendo sostenere.
Parliamo infatti di fenomeni politici solo allorche' l'ordine viene meno: il disordine, l'incertezza, l'eccezione, il caso limite dello stato di natura, la liberta' nel suo significato piu' esteso sono i presupposti a partire dai quali possiamo cominciare a pensare in termini politici; se tutta l'esistenza umana fosse sempre perfettamente regolata, ordinata, disciplinata, la politica non avrebbe alcuna ragione di esistere, ne' le societa' umane sarebbero tanto piu' differenti dalle societa' delle api o delle formiche.
Cio' che invece le rende caratteristiche, ed in particolare cio' che le rende diverse tra loro, cio' che piu' in generale permette il sorgere, lo svilupparsi, il progredire e talora anche il declinare di quelle strutture storico-sociali che chiamiamo civilta' e', precisamente, il fenomeno politico, e cioe' la capacita' tipicamente umana di modificare il corso degli eventi, delle azioni, delle regole: in due parole, di fare la storia.
La storia umana e', almeno in parte, costruita dall'uomo: non e' del tutto un prodotto umano razionale e consapevole; quel poco che vi e' di soggettivo, di umano, di consapevole (anche se non sempre di razionale) e' il fenomeno politico, e cioe' la capacita' specificamente umana di produrre attivita' trasformatrici di regole e non solo attivita' trasformatrici di cose: l'uomo non solo trasforma l'ambiente naturale che lo circonda, ma nel fare cio' trasforma anche se stesso, producendo quegli effetti storico-sociali unici che chiamiamo civilta'.
Il produrre (ed anche il distruggere) civilta' e' la conseguenza piu' generale e riscontrabile dell'esistenza di fenomeni di tipo politico: il concetto di civilta' presuppone quello di politica.