La Settima Via, di Gianpiero Magnani, in Internet http://digilander.iol.it/filosofiapolitica

INTERVISTA

A JONATHAN POWELL

marzo, anno zero


Professor Powell, cosa si propone col suo ultimo libro?

Intendo innanzitutto discutere un'idea della politica alternativa a quella oggi prevalente; sostengo che la politica e' il risultato di attivita' umane anche dissimili tra loro, nella forma come nella sostanza, che tuttavia hanno un elemento in comune: producono modificazioni nelle regole che ordinano la nostra esistenza collettiva.

Qual e' l'idea prevalente di politica?

Una definizione corrente sostiene che il "politico" e' rilevabile solo a partire da strutture sociali, da sedi e non da comportamenti: le sedi della politica, si dice, sono il governo, il parlamento, le istituzioni; in una democrazia moderna, si sostiene poi, i processi politici non si esauriscono nell'ambito dello Stato, ma sono diffusi, comprendono anche partiti, sindacati, gruppi di pressione: sono queste organizzazioni che danno un senso, si dice, al concetto di politica.

Lei contesta questa tesi, perche' sostiene che la discriminante fra cio' che e' politico e cio' che non lo e' non sono le sedi in cui si fa politica, bensi' i comportamenti.

Non esattamente. La mia non e' propriamente una teoria dei comportamenti politici; io sostengo piuttosto che e' l'attivita' di trasformazione delle regole del gioco collettivo il criterio privilegiato per distinguere cio' che e' politico da cio' che non lo e': non esistono organizzazioni o istituzioni politiche a priori, cosi' come non esistono comportamenti politici a priori. Pero' ogni comportamento, ogni sede di attivita' umana puo' divenire politica, nel momento in cui essa produce modificazioni nelle regole che ordinano l'esistenza collettiva degli individui: tanto piu' evidenti saranno le modificazioni, i cambiamenti, le trasformazioni, tanto piu' intenso sara' il processo politico in corso.
La politica non e' quindi il risultato di comportamenti specifici, ne' di sedi, strutture, istituzioni od organizzazioni; il senso dell'agire politico e', anzi, la trasformazione delle sedi, delle strutture, delle istituzioni ed anche dei comportamenti, per dare vita a qualcosa di sempre diverso e di sempre nuovo.

Percio' e' sbagliato parlare di comportamenti solo politici.

Non esiste un modello univoco di comportamento politico: dobbiamo parlare di una pluralita' di comportamenti, che possiamo definire politici in base alle conseguenze che producono, avendo essi come esito finale comune la trasformazione delle regole che ordinano l'esistenza di una collettivita'.

Puo' farci qualche esempio?

Nel corso della storia umana, compresa quella a noi piu' recente, ed anche dell'analisi storica e filosofica che ne e' seguita, i diversi comportamenti politici sono stati ricondotti a modelli o "tipi ideali", ciascuno dei quali veniva, di volta in volta, considerato come unico reale esempio descrittivo del fenomeno politico; cosi', chi accettava il "modello aristotelico" finiva col ricondurre tutta la complessitá dell'azione politica a quel modello, e lo stesso valeva per chi adottava il tipo "machiavellico" o quello "schmittiano" di comportamento politico.
In realta', il comportamento politico dell'uomo puo' ricondursi, nelle sue manifestazioni concrete, a piu' tipi ideali: esistono modi diversi, differenziati, di agire politicamente. E sebbene noi possiamo giudicare in maniera diversa ciascun modello, la storia passata ed anche la cronaca di oggi ci mostrano una infinita' di casi in cui il fenomeno politico si manifesta attraverso tipi diversi di comportamento che, al di la' delle considerazioni pur importanti di ordine morale, presentano tutti la stessa caratteristica di fondo: producono conseguenze concrete che non sono prevedibili in anticipo, ed in particolare modificazioni nelle regole che ordinano l'esistenza collettiva.

In cosa consisteva il "modello aristotelico" di comportamento politico?

Secondo il modello aristotelico, l'uomo e' un animale politico che, al pari di altri animali politici (quali le api o le formiche) costruisce polis, strutture sociali, citta'.
Il modello aristotelico e' gradualistico: l'uomo e' un animale politico perche' edifica strutture materiali e sociali ben determinate e le sviluppa gradualmente, dalla piu' piccola che e' la casa alla piu' grande, cioe' la citta'-stato; esso e', inoltre, un modello naturalistico perche', sostengono i suoi fautori, e' nella natura dell'uomo essere un animale politico, cioe' un costruttore di polis. Mutamenti qualitativi nella struttura non sono ammessi, cosi' come non rientrano nel modello i cambiamenti improvvisi, radicali ed imprevedibili; la naturalita' dell'azione politica umana impedisce artificiali trasformazioni nell'ordine costituito, che si presenta percio' stabile ed immutabile: persino le disuguaglianze piu' marcate e le piu' evidenti ingiustizie non possono essere discusse perche' rientrano nell'ordine naturale delle cose.

Esistono, oggi, comportamenti politici riconducibili al "modello aristotelico"?

Dal punto di vista piu' generale, e nelle sue espressioni migliori, il modello aristotelico di azione politica puo' essere assimilato al concetto di "buona amministrazione". L'uomo politico, secondo questo modello, e' colui che ben amministra la cosa pubblica, senza provocare sconvolgimenti o cambiamenti che non siano comprensibili nel lento, graduale e costante sviluppo quantitativo della struttura sociale. I concetti di progresso (inteso come mutamento qualitativo), riforma, rivoluzione, non rientrano nel gergo politico di questo modello che e' caratterizzato, al contrario, da stabilita' ed immutabilita'.

Stabilita' ed immutabilita' hanno qualcosa a che fare con la politica?

Dal mio punto di vista, l'applicazione del modello aristotelico alla vita reale produce l'esatto opposto dell' "uomo animale politico": produce, al contrario, la dissoluzione della politica, la "neutralizzazione" del fenomeno politico in quanto tale. La tesi che io sostengo, in altre parole, e' che la' dove vi e' semplice amministrazione (buona o cattiva che sia), non vi puo' essere politica, giacche' la politica e' -per sua stessa essenza- trasformazione, mutamento, cambiamento ed e' quindi -per definizione- antitetica al concetto puro di amministrazione, che coincide infatti con l'amministrazione ordinaria; l'attivita' politica, invece, e' per definizione amministrazione straordinaria.
Inoltre, l'uomo non e' semplicemente "un" animale politico, ma e' l'unico animale politico, e si differenzia precisamente da tutti gli altri animali (da tutte le forme di vita a noi conosciute) proprio perche' e' in grado di sviluppare fenomeni di tipo politico, e cioe' di trasformare, oltre che le "cose" (l'ambiente che lo circonda), anche le stesse "regole" che ordinano il suo agire collettivo, e sempre in direzioni che sono imprevedibili a priori.

Aristotele sosteneva che l'uomo e' un animale politico perche' trasforma le cose, lei sostiene che l'uomo fa politica quando trasforma regole.

In altre parole, l'uomo, come le api e le formiche, e' si' un trasformatore di cose: modifica l'ambiente circostante costruendo polis, strutture sociali, citta'; ma, a differenza delle api e delle formiche, egli produce risultati sempre diversi perche' e' in grado di "pre-scrivere" cio' che "poi-fara'."

Una affermazione, la sua, che ricorda alcuni passaggi del "Capitale" di Karl Marx...

Anche Marx appartiene pero' alla famiglia filosofica dei "naturalisti politici", cioe' di coloro che sostengono essere "naturale" l'attivita' politica dell'uomo; l'idea di una storia naturale permane in Marx, come gia' in Hegel e in Aristotele, ma cambia l'oggetto: se per Aristotele il processo aveva per oggetto il passaggio graduale dalla famiglia allo stato, attraverso le fasi intermedie del villaggio e della citta', per Marx il processo storico riguarda la trasformazione delle forme di produzione economica, dal sistema feudale a quello capitalistico, e da questo a quello comunista. Come per Aristotele la famiglia e' il nucleo microscopico di organizzazione sociale, cosi' per Marx la merce e' la cellula della forma economica, il suo elemento microscopico, laddove la cosiddetta "formazione economico-sociale" (composta dalla struttura economica piu' la sovrastruttura di idee e cultura) rappresenta invece l'elemento macroscopico, il punto terminale dell'organizzazione collettiva.

Dunque, Marx come Aristotele.

Cio' che differenzia Marx da Aristotele, dal nostro punto di vista, e' la perdita sostanziale del concetto di "gradualita'": la storia puo' procedere anche a salti, il passaggio da un tipo all'altro di formazione economico-sociale avviene non per gradi, lentamente e senza traumi, bensi' violentemente e criticamente. Tutto viene messo in discussione.
Ed e' l'elemento critico che ci interessa maggiormente: "critica" della formazione economico-sociale precedente, "crisi" (spesso fulminante) della stessa.
L'errore di Marx e', semmai, quello di aver costruito, attorno a questa idea dei passaggi critici da una forma all'altra di organizzazione collettiva, una scienza sociale predittiva ispirata al modello delle scienze naturali. In base a tale scienza, Marx poteva permettersi, ad un certo punto della sua elaborazione teorica, di effettuare una previsione sul crollo del capitalismo.

Tale previsione pero' non si e' avverata.

Tale previsione non si e' avverata, come la storia ha dimostrato; si puo' senza dubbio obiettare che qualcosa potrebbe non aver funzionato nell'analisi complessiva effettuata da Marx, ma l'elemento centrale che dobbiamo evidenziare e' che, quale che sia il contenuto dell'analisi, non e' possibile costruire una scienza esatta per quel che concerne i fenomeni politici. Questi fenomeni possono essere descritti "ex-post" (dopo che sono accaduti), prescritti "ex-ante" (progettati), ma mai previsti: l'imprevedibilita' e' una caratteristica fondamentale del fenomeno politico, cosi' come lo e' il suo andare oltre la buona o cattiva amministrazione degli "affari correnti".

E di altri modelli di politica, cosa puo' dirci?

Un diverso modello di azione politica, che possiamo chiamare "machiavellico", parte da una concezione pregiudizialmente negativa della natura umana: gli esseri umani non sono per natura buoni, bensi' inclini all'inganno ed alla sopraffazione; l'individuo ideale osserva le leggi, ma quello reale obbedisce solo alla forza.
Le situazioni di conflitto nel modello machiavellico costituiscono la condizione normale della vita sociale; in esse, la soluzione legislativa e' l'eccezione, come del resto lo e' l'idea stessa di cooperazione. La regola e' la forza: sarebbe preferibile obbedire alle leggi ma, data la natura umana, e' piu' conveniente ricorrere alle armi, e quindi combattere con la forza piuttosto che col diritto.

Il modello machiavellico rientra nell'idea di politica che Lei propone col suo libro?

Certamente il modello machiavellico descrive un tipo possibile di azione politica: si tratta di un modello che esclude regole di cooperazione e piu' in generale comportamenti morali che non siano subordinati al conseguimento di fini di dominio; come tale, questo modello puo' non piacerci, ed e' bene che non ci piaccia. Pero', il fatto che piu' ci conforta e' che tale modello, pur descrivendo un tipo possibile (e reale) di comportamento politico, non e' certo l'unico modello di azione politica, come poteva invece pensare all'epoca Machiavelli; e' pero' anche certo, ripeto al di la' di ogni considerazione morale, che i codici di comportamento in esso descritti sono stati impiegati, usati ed abusati, piu' e piu' volte, non solo nel lungo percorso della storia umana e nei luoghi piu' disparati, ma anche in tempi recentissimi, tempi piu' di "cronaca" che di "storia".

Esistono altri modelli "naturalistici" della politica?

Un altro modello "naturalistico" e' stato analizzato da Carl Schmitt con la sua teoria dell'amico-nemico: qualsiasi sfera particolare di attivita' umana -quella economica, quella religiosa, quella istituzionale o costituzionale, eccetera- puo' caricarsi di significato politico, puo' divenire politica, e lo diviene allorche' e' massima la distinzione (pubblica) fra "amici" e "nemici", quando cioe' il conflitto fra gruppi contrapposti e' giunto alla sua massima intensita' che, al limite, coincide con lo stato di guerra.

La distinzione amico-nemico ha una qualche rilevanza nelle tesi che Lei sostiene?

La distinzione amico-nemico e' una manifestazione possibile dell'antinomia e dell'ambivalenza che caratterizzano l'agire politico umano, che e' imperfetto: l'azione trasformatrice delle regole che ordinano l'esistenza collettiva e' antinomica, perche' produce modifiche nelle norme, cambiando le leggi, i costumi, le istituzioni, le tradizioni con esiti che possono essere costruttivi (positivi) ma anche distruttivi (negativi), e cioe' ambivalenti.
E' la diversa combinazione fra ambivalenza ed antinomia che potenzialmente produce conflitti, o comunque situazioni riconducibili al modello dell'amico-nemico teorizzato da Schmitt. La modalita' dell'amico-nemico e', realmente, una modalita' possibile di azione politica: ricordiamoci pero' che essa e' pur sempre solo "una" delle modalita' possibili, che come tale quindi non esaurisce le molteplici forme, positive e negative, attraverso le quali i fenomeni politici possono manifestarsi.
E, detto per inciso, come il modello machiavellico di comportamento politico, dal punto di vista morale, poteva e doveva non piacerci, allo stesso modo il modello schmittiano di intendere la politica puo' non piacere, ed anzi e' bene che non piaccia, soprattutto dal punto di vista delle sue conseguenze, che sono sempre disastrose.

Modello aristotelico, modello marxiano, modello machiavellico, modello schmittiano: ma, resta da chiederci, e' veramente solo questo la politica? Se il modello aristotelico non e' propriamente politico, se non nel caso particolare della straordinaria amministrazione, se quello machiavellico e' immorale e quello schmittiano disastroso (oltre che immorale), l'agire politico positivo e' ancora possibile?

La concezione naturalistica della politica, da Karl Marx a Carl Schmitt, non ci convince, ci lascia un senso di incompiutezza: sentiamo che manca qualcosa, che il comportamento politico, nella pluralita' delle sue manifestazioni concrete, non puo' essere spiegato esaustivamente soltanto da queste concezioni, ma richiede una diversa interpretazione.

Per esempio, la Sua?

Solo un contributo. La discussione e' aperta.


Politica. Vol. I: Teoria Generale

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