Scheda bibliografica:

Argomenti filosofici di
ANTROPOLOGIA E SOCIOLOGIA

Quello che segue è un elenco parziale di libri e testi che ritengo di segnalare alla lettura e che mi propongo di integrare via via con altri titoli, evidenziando per ciascuno i concetti secondo me piu' rilevanti. Altri riferimenti sono presenti nelle schede bibliografiche in questo stesso sito.


1.
Secondo Claude Lévi-Strauss (Razza e Storia), il contributo delle razze umane alla civilta' dipende da circostanze geografiche, storiche e sociologiche, non dalla costituzione anatomica o fisiologica; non esistono relazioni causali fra la diversita' intellettuale e quella biologica. Nelle societa' umane l'Autore evidenzia l'azione simultanea di forze orientate in direzioni opposte, verso i particolarismi e verso convergenza ed affinita'.
La diversita' dipende dal numero delle societa', dalla loro importanza numerica, dalla loro lontananza geografica e dai mezzi di comunicazione disponibili (sia materiali che intellettuali); esiste diversita' anche all'interno di ciascuna societa'.
Vi sono differenze fra le societa' dovute all'isolamento, ma anche alla prossimita': la diversita' cultura dipende non dall'isolamento ma dalle relazioni che uniscono i gruppi sociali.
I termini barbaro e selvaggio servirono per omologare tutti coloro che no facevano parte della cultura greca, poi greco-romana, poi occidentale: tali definizioni negavano la possibilita' di una diversita' culturale, cio' che non era conforme veniva respinto fuori dalla cultura, nella natura.
La nozione di umanita' sembra essere assente dalla storia umana fino a tempi recenti: l'umanita' cessa alle frontiere (del villaggio, della tribu', del gruppo linguistico). Tale diversita' di fatto contraddice tutti i grandi sistemi filosofici e religiosi. Un falso evoluzionismo identifica le singole societa' come stadi o tappe di un unico svolgimento destinato a raggiungere un'unica meta.
L'evoluzionismo sociologico e' anteriore a quello biologico (corsi e ricorsi di Vico, tre stadi di Comte, ecc.) ma ricevette impulso da quest'ultimo; eppure il passaggio dai fatti biologici a quelli culturali complica le cose (un'ascia non ne genera fisicamente un'altra); l'evoluzionismo sociologico maschera in chiave pseudoscientifica un vecchio problema filosofico la cui soluzione non e' affatto certa.
Dal punto di vista di una societa', le culture possono essere divise in tre categorie:
- quelle ad essa contemporanee, ma distanti nello spazio;
- quelle che l'hanno preceduta nel tempo ma che hanno occupato all'incirca lo stesso spazio;
- quelle esistite in un tempo anteriore ed in uno spazio diverso.
Possiamo conoscere solo alcuni aspetti delle civilta' scomparse, tanto meno numerosi quanto piu' queste sono antiche, nessuno se erano prive di scrittura, architettura e tecniche rudimentali. Non esistono "popoli bambini", neppure quelli che non hanno tenuto il diario della loro esistenza; gli indigeni americani, per esempio, hanno dato un grande contributo alle civilta' del vecchio mondo: patata, gomma, tabacco, coca come base per l'anestesia moderna, ecc.
Non esiste un progresso necessario ne' continuo, la storia procede a salti e solo di tanto in tanto e' cumulativa; mentre in alcune societa' accadeva qualcosa, in altre non succedeva nulla. La differenza fra culture progressive e culture inerti e' una differenza di focalizzazione: tanto piu' una cultura si sposta nel senso della nostra, tanto piu' ci sembra attiva, tanto piu' diverge e tanto piu' ci sembra stazionaria; talvolta il nostro sistema di riferimento ci impedisce di scorgere alcunche': l'Occidente ha conoscenze approfondite sul mondo meccanico, molto piu' elementari sulle risorse del corpo umano (yoga, ecc.). L'umanita' non evolve a senso unico, ed anche quando la sua storia appare stazionaria o regressiva, potrebbero esservi ugualmente grandi trasformazioni in corso da un altro punto di vista; il progresso e' sempre predeterminato dal gusto e dal giudizio dell'osservatore.
I vari apporti delle diverse culture (scrittura dai Fenici; carta, bussola e polvere da sparo dai Cinesi; vetro ed acciaio dagli Indiani, ecc.) sono meno importanti del modo in cui ciascuna cultura li raggruppa o li esclude. Ogni cultura, in dosaggio diverso, possiede tecniche, cognizioni scientifiche, credenze religiose, arti e linguaggio. La civilta' mondiale e' oggi un fatto unico nella storia umana, ma l'adesione al genere di vita occidentale non e' stata spontanea perche' gli occidentali hanno imposto ovunque soldati, missionari, piantagioni, banche e il proprio modo di esistenza; la civilta' occidentale si caratterizza per fenomeni compensatori:
- cerca di accrescere la quantita' di energia procapite, ma genera disuguaglianze;
- cerca di proteggere e prolungare la vita umana, ma contempa la guerra.
I progressi piu' decisivi sono quelli fatti dalle societa' piu' arcaiche, a cui poi ci siamo limitati ad effettuare solo perfezionamenti: agricoltura, allevamento, ceramica, tessitura, ecc. (rivoluzione neolitica). Le societa' che chiamiamo primitive non ernao meno ricche delle nostre di individui eccellenti.
Le forme di storia piu' cumulative sono quelle prodotte non da culture isolate ma da relazioni fra culture, attuate con i mezzi piu' diversi: influenze, scambi commerciali, migrazioni, guerre. Non esiste una cultura superiore ad un'altra: se fosse sola, nessuna cultura sarebbe peraltro "superiore".
L'Europa rinascimentale fu il luogo di incontro di influenze piu' diverse: greca, romana, germanica, anglosassone, araba, cinese; il livello culturale del Messico e del Peru' di allora non era inferiore ma era meno articolato e piu' omogeneo: le civilta' precolombiane erano caratterizzate da stupefacenti progressi e molte lacune, gli antichi messicani conoscevano la ruota ma non il carro. La piu' grande tara che possa affliggere un gruppo umano e' quella di essere solo.
I contributi culturali possono essere "di sistema" (stili di vita) o isolati; se questi ultimi non ci fossero (ad esempio se non esistesse il tabacco), non vi sarebbero ripercussioni sulla civilta'; cio' che conta non e' percio' l'elenco delle invenzioni particolari di ogni singola cultura, ma lo scarto differenziale che presentano fra loro.
La nozione di civilta' mondiale, secondo l'Autore, e' povera, schematica, di modesto contenuto intellettuale ed affettivo; essa non puo' essere che una coalizione di culture, ciascuna con la propria originalita'. La diversificazione, in forme variabili e su piani diversi, permette quello stato di equilibrio da cui dipendono la sopravvivenza culturale e biologica dell'umanita'. Il progresso non e' percio' "somiglianza migliorata" ma implica avventure, rotture, scandali. Sono in corso due processi contraddittori, uno verso l'unificazione e l'altro verso la diversificazione: occorre salvare la diversita' e la tolleranza e' l'atteggiamento dinamico che consente di prevedere, capire, promuovere cio' che vuole essere.

2.
Secondo Carl Gustav Jung (Gli archetipi dell'inconscio collettivo), l'inconscio collettivo e' la parte piu' profonda dell'inconscio, e' innata e comune a tutti gli individui (pag.16); nello stato di coscienza l'uomo e' padrone di se stesso (e' "fattore" da facere=fare), nell'inconscio l'uomo e' oggetto di "fattori": le decisioni sono determinate dall'inconscio collettivo, le reazioni della nostra psiche sono imprevedibili (pag.42).
Gli archetipi formano l'incoscio collettivo, che non deriva dall'esperienza personale ma e' ereditario (pagg.69-70); secondo Jung, gli archetipi sono "modelli di comportamento istintuale", le immagini inconsce degli istinti (pag.71): noi siamo influenzati dagli istinti, come dalle motivazioni razionali. L'inconscio collettivo e' percio' un concetto empirico, e non filosofico (pag.72).
Gli archetipi vengono definiti anche come "complessi di esperienza che sopravvengono fatalmente" (pag.52) e non ha senso elencarli; essi trasformano i contenuti collettivi inconsci in formule consce, quali i miti, le dottrine esoteriche e le favole (pagg.17-18). L'alba e il tramonto, le stagioni, le fasi lunari sono per l'uomo primitivo anche "eventi psichici" (astrologia, pag.19).
Jung distingue archetipi riconducibili ad individualita', a personalita' (Anima, Ombra, Vecchio Saggio) da "archetipi della trasformazione" (situazioni, luoghi, pag.63); fra i motivi impersonali, Jung individua la doppia madre, la doppia discendenza, la doppia nascita (pagg.73-74). L'Anima caratterizza tutti gli esseri viventi ed e' un archetipo naturale che rappresenta saggezza e follia, bene e male (pag.47 e seguenti); la mente dell'uomo e' discriminatrice, riduce a giudizi antinomici: "tutto cio' che opera e' basato sull'opposto" (pag.55).
Negli archetipi il pensiero non e' pensato ma percepito, sentito, rivelazione (pag.57). Gli archetipi sono all'origine di tipi di fantasia esistenti ovunque, l'elemento patologico (dalla nevrosi fino alla malattia mentale) consiste nella loro dissociazione dalla coscienza, che non puo' piu' dominare l'inconscio (pag.66); molte nevrosi, osserva Jung, sono fenomeni sociali (nazifascismo, pag.77).
Nei sogni della prima infanzia vi sono fonti di materiale archetipico (pag.80); la frequenza e l'intensita' dei sogni diminuiscono al rendere consce le fantasie (pag.79).
A differenza dell'allegoria, che e' parafrasi di contenuti consci, il simbolo esprime contenuti incosci (pag.19, nota; simbolo dogmatico, pag.26); i simboli non vanno isolati dal loro contesto (pag.80).
Gli dei delle epoche precedenti erano fattori psichici, "archetipi dell'inconscio" (pag.43); l'impoverimento del simbolismo ha reso possibile (e necessaria) la psicologia. Il dogma cattolico risolve la problematica psicologica in quanto sostituisce l'inconscio collettivo (pag.27); talvolta pero' i simboli muoiono perche' gli uomini scoprono che non significano nulla (dei greci e dei romani, Riforma protestante, pagg.28 e seguenti). L'incontro con se stessi e' pero' un rischio, un'esperienza sgradevole (pagg.38-40); ma la vita e' anche fatta di follia oltre che di banalita' (pag.55).

3.
Secondo Lewis Mumford (Il pentagono del potere), il XV secolo si caratterizzo' per due nuove forme di esplorazione, in rapporto fra loro, che portarono alla scoperta del nuovo mondo geografico con le conseguenze dello schiavismo e del genocidio, e del nuovo mondo scientifico e tecnico con lo sviluppo conseguente dell'industria antiumana. Le nuove forme di esplorazione portarono anche ad illusioni: l'idea che l'abbondanza naturale fosse inesauribile e che le perdite e gli sprechi non fossero importanti per l'uomo moderno con la sua scienza. Vi e' sempre discrepanza, o almeno una lacuna temporale, fra gli ideali ed i risultati concreti (in America gli invasori europei predicavano il Vangelo e sfruttavano gli indiani).
Le culture "primitive" diedero importanti contributi: dall'albero della gomma fu possibile arrivare fino agli attuali trasporti motorizzati, il chinino servi' per la colonizzazione di regioni malariche; importanti procedimenti del metodo scientifico e la stessa mentalita' e metodologia scientifica furono introdotti con l'arte della navigazione (astronomia, cartografia, metereologia, ecc.), altri derivarono dalla contabilita' di tipo capitalistico. Gli artisti-artigiani precedettero per secoli gli scienziati e i filosofi della natura.
Mumford osserva come fu trascurato il lato soggettivo delle nuove esplorazioni: esiste una soggettivita' scientifica, evidente ad esempio nelle immaginazioni fantastiche sul futuro.

4.
Secondo Gustave Le Bon (Psicologia delle folle), una folla (anche di pochi individui) e' tale non solo per la vicinanza spaziale degli individui, ma per una sorta di unita' mentale, un'anima collettiva che annulla le personalita' coscienti (folla psicologica, pag.46 e seguenti); essa e' in primo luogo una forza distruttiva, un elemento di disordine (pag.36). L'azione inconscia delle folle riesce a sostituirsi all'attivita' cosciente degli individui (pag.29), scompaiono spirito critico e facolta' di osservazione (pag.67).
Sono caratteri delle folle (pag.52 e seguenti): omogeneita', mediocrita', potenza (distruttiva), irresponsabilita', suggestionabilita' (pagg.63-69), interesse collettivo, annullamento della personalita' cosciente, impulsivita', immaginazione deformante (allucinazioni collettive, pag.65; pagg.72-73), intolleranza (pag.78 e pag.180), impunita' (pag.82), abnegazione, idee semplici e traducibili in immagini (pag.88; generalizzazioni, pag.93), giudizi imposti e mai discussi, predominio dell'irreale sul reale (immaginazione popolare, pagg.95-96; illusioni, pag.144), trasformazione delle simpatie/antipatie in adorazione/odio (idolatria, fanatismo, culto, pag.100 e seguenti). In nessun'altra epoca, osserva l'Autore, le folle "innalzarono tante statue ed altari, come nell'ultimo secolo" (pag.103).
Gli oratori che vogliono sedurre una folla devono "esagerare, affermare, ripetere e mai tentare di dimostrare alcunche' con il ragionamento" (pag.76): non contano i fatti ma come vengono presentati (pag.98); sono i cambiamenti nelle opinioni quelli piu' importanti (pagg.31-32): per quanto riguarda queste ed i sentimenti, le differenze di intelligenza non contano (pag.51). Il potere delle parole dipende dalle immagini che evocano e non dal loro significato reale, che peraltro cambia da epoca ad epoca e da popolo a popolo (pag.135, pag.147 e seguenti).
Opinioni e credenze sono determinate da fattori remoti (razza, tradizioni, tempo, istituzioni, educazione, pag.111 e seguenti) e da fattori immediati (affermazione, ripetizione, contagio, pag.163; prestigio, pag.167 e seguenti). La storia umana e' caratterizzata dalla creazione di tradizioni (civilta') e dalla loro distruzione (progresso); ogni popolo e' "un organismo creato dal passato" (pag.113) e l'educazione e' il solo mezzo di intervento disponibile (pag.131). L'arted i governo, secondo l'Autore, "consiste soprattutto nel sapiente uso delle parole" (pag.140 e pag.238).
Giurie ed assemblee parlamentari possono prendere decisioni che i loro singoli membri disapproverebbero se fossero soli (pag.56 e pag.239); le folle hanno bisogno di capi, dotati di carisma, uomini d'azione e di prestigio piu' che di pensiero (pag.152 e seguenti, pagg.175-176). Il dominio delle folle secondo l'Autore porta al ritorno della barbarie (pag.198), Le Bon individua folle omogenee (sette, caste, classi) ed eterogenee (anonime e non anonime, pag.196), folle criminali (pag.201 e seg.), folle elettorali (pag.216 e seg.).
Le opinioni sono momentanee e mutevoli, le credenze permanenti e durevoli (pag.178 e seguenti); la stampa aiuta a far conoscere opinioni diverse, e quindi a combattere la tirannia delle folle (pag.187 e seguenti).

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