Epicuro

il piacere come aponia e atarassia

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Epicuro

Se il sommo bene da ricercare è il piacere, bisogna determinare esattamente in che cosa consiste il vero piacere: esso è da intendersi come una condizione permanente di serenità, di benessere psicofisico, e deriva dalla «assenza di dolore nel corpo» (aponia) e dalla «mancanza di turbamento nell'anima» (atarassia)56.

Già la scuola cirenaica, di cui, secondo la tradizione, sarebbe stato fondatore un discepolo di Socrate, Aristippo di Cirene (435-366 circa a.C.), aveva sostenuto che fine della vita e sommo bene per l'uomo è  il piacere  corporeo. Sembrerebbe,  dunque, che

Epicuro  faccia  sua  tale  dottrina,  ma,  in  realtà,  non  è  così.   Il

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56 Cfr. SENEC. epist. ad Luc., 66, 45.

piacere di cui parlavano i cirenaici era un piacere colto e gustato nell'istante, momento per momento, un piacere « cinematico », e cioè dovuto ad un « movimento dolce » (contrapposto al dolore dovuto ad un « movimento violento »): essi, inoltre, negavano che lo stato intermedio tra i due « movimenti », nel quale era assente il dolore, fosse piacere e ritenevano tale stato simile alla condizione di uno che dorme 57. Invece Epicuro considera piacere proprio lo stato di quiete intermedio, anzi vede in tale stato il culmine del piacere 58. Egli, perciò, valorizza il piacere cosiddetto « cataste- matico », cioè il piacere stabile, quieto, tranquillo.

Farrington, d'altra parte, ritiene di dover precisare che Epicuro usa  il  termine  hedoné  (tradotto  solitamente  con  « piacere »)  in

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57 Cfr. Socraticorum reliquiae, IV, A, 172 G., a cura di G. GIANNANTONI, Roma 1983. Cfr. pure DIOG. LAËRT. II, 89.

58  Cfr. CICER. de fin., I, 9, 38.

quattro sensi, e cioè per indicare il piacere cinematico o catastematico del corpo e il piacere cinematico o catastematico della mente: solo nel primo di questi quattro sensi (piacere cinematico del corpo) il termine « piacere » sembra l'esatta traduzione del greco hedoné, mentre negli altri tre casi sarebbe molto più appropriato il termine « gioia » 59

Secondo Bonelli Epicuro riprende dai cirenaici la valutazione positiva del piacere cinematico, mentre mutua dai platonici la valutazione positiva del piacere catastematico: « Tutta la sua teoria del piacere, incentrata ad un tempo sull’edonismo e sull’ascesi, l’uno e l’altra portati alle loro estreme conseguenze, è percorsa da questa interna contraddizione 60 ». Per Epicuro il carattere proprio

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59 Cfr. B. FARRINGTON op. cit.; traduz. ital.cit., p. 152.

60 BONELLI Aporie etiche in Epicuro, Bruxelles 1979, p. 21.

 

del piacere cinematico è di essere un processo, un cammino verso il piacere catastematico: questo viene assunto da lui come il bene supremo. Secondo Epicuro il piacere non è illimitato, il suo limite consiste nella detrazione di ogni dolore: una volta tolto il dolore non aumenta il piacere. Il piacere catastematico costituisce il limite fino al quale - e non oltre - cresce il piacere cinematico. Infatti leggiamo in Plutarco: « Come termine comune dei piaceri Epicuro pose la rimozione di ogni sofferenza, intendendo con ciò che la natura accresce il piacere fino al punto di annientare il dolore e, pur non permettendo che il piacere vada oltre in grandezza, ammette tuttavia alcune variazioni non necessarie quando si sia giunti allo stato dell’assenza di dolore 61 ». Epicuro, pur pensando

all’assenza di dolore come ad  una  condizione  di  perfetto appaga-

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61   PLUTARCH., contra Epic. beat., 3, 1088 c.

mento e benessere, ritiene non di meno che questa condizione possa comportare delle « variazioni ». Queste ultime non sono necessarie per il benessere. E’ il piacere cinematico che dovrebbe dar luogo a questa varietà di piaceri, proprio nel momento in cui è in atto il piacere catastematico o sommo. Si verificherebbe pertanto l’assurdo che si abbiano nuovi piaceri mentre il piacere già sommo, più non si accresce. Questo insorgere del piacere cinematico in persistenza del catastematico sembra una contraddizione in termini: la tranquillità, di nulla bisognoso che sente non di meno un richiamo a svariarsi!

C’è da chiedersi 62 se il piacere cinematico sia solo anteriore o non sia anche contemporaneo al catastematico. Forse si devono prospettare due tipi di piacere cinematico? L’uno che toglie il do-

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62 Cfr. G. BONELLI, op. cit., p. 30 e cfr. pure J.M. RIST, op. cit.; traduz. ital.cit., p. 165

 

lore, e l’altro che svaria il piacere, l’uno correlato ad uno stimolo, e l’altro no, l’uno anteriore e l’altro contemporaneo al catastematico?        Più volte Cicerone accusa Epicuro di parlare in modo oscuro su cose semplici, di cambiare arbitrariamente i significati delle parole 63. « Epicuro che empiricamente riconosce l’uno e l’altro tipo di piacere, avrebbe dovuto far ricorso ad una corrispondente duplicità di concetti, che di fatto nel suo discorso restano due, ma che, grazie ad una operazione di mistificazione verbale, non vengono riconosciuti come due  64 ».

Per Bonelli l’avere assunto, accanto al piacere cinematico, il piacere catastematico, è il segno che Epicuro avvertiva il limite dell’edonismo, e cercava di superarlo,  continuando però  sempre a

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63  Cfr. CICER., tusc. disp. III, 2, 6 e anche 5, 15.

64  CICER., tusc. disp., III, 7, 20.

ragionare in termini di piacere, interpretando in termini di piacere

il non dolore e pertanto contraddicendosi 65 .

Brochard invece avanza l’ipotesi che il piacere catastematico non è assenza di dolore, ma va viceversa inteso come una forma di piacere positivo, di benessere: così nessuna contraddizione ci sarebbe fra i concetti di piacere cinematico e catastematico. Brochard intende il piacere catastematico come benessere, salute, piacere di vivere. Per lui pertanto c’è un « malinteso » nel giudizio di contraddizione degli interpreti sul piacere catastematico; tale malinteso si chiarisce una volta che non si dica più che « il piacere è la soppressione del dolore », ma viceversa che « il piacere si produce sempre quando il dolore è stato soppresso». Per Brochard il piacere ha per condizione necessaria e sufficiente la soppressione

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65 Cfr. BONELLI, op. cit.

 

del dolore, ma in sé stesso questo piacere è perfettamente positivo

e reale. Esso è il benessere fisico che risulta dall’equilibrio del corpo o dalla salute 66.

Il problema è sicuramente di difficile soluzione. Intervenendo in proposito Diano avanza dal canto suo l'ipotesi, che secondo Epicuro non esiste il piacere cinematico, in quanto il piacere, per essere tale, deve essere assenza di dolore, e cioè catastematico. Quello che è solitamente chiamato piacere cinematico, invece è solo una sensazione gradevole che si può provare anche dopo che il bisogno è stato soddisfatto. Ad esempio, quando beviamo - osserva Diano - con l'acqua ci togliamo la sete, ossia passiamo al piacere catastematico, e con l'eventuale gusto piacevole dell'acqua, magari zuccherata, proviamo un  piacere supplementare  e  superfluo, non

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66 Cfr. BROCHARD, La theorie du plaisir d’après Epicure ora in Etudes de philosophie ancienne et de philosophie moderne, Paris, Vrin, 1966, pp. 252 - 293

 

connesso col bisogno di toglierci la sete  67.

Si potrebbe supporre che Epicuro abbia assunto contemporaneamente due principi opposti (piacere cinematico e catastematico) rendendosene conto e che abbia voluto ignorare tale opposizione. In tal caso tutte le sue contraddizioni diventano facilmente spiegabili. Infatti, come nel caso dell’amicizia, per Epicuro utilità e disinteresse non si oppongono come contrari, ma possono benissimo coesistere, allo stesso modo piacere cinematico e catastematico non si escludono a vicenda, come invece sosteneva Cicerone 68.

Epicuro, alla pari dei cirenaici, insiste sulla istintualità della  ricerca  del  piacere:   coerenti  con  questa   premessa,  i  cirenaici

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67 Cfr. C. DIANO, Scritti epicurei, Firenze 1974, pp. 58, 76 e 90.

68  Cfr. CICER., tusc. disp., 6, 18 - 19

 

 

considerano più gravi i dolori del corpo che quelli della psiche 69 ; Epicuro viceversa giudica i dolori dell’anima più gravi di quelli del corpo e quindi i piaceri psichici superiori a quelli fisici : « La carne infatti soffre solo per i mali presenti, l’anima invece per i passati, per i presenti e per i futuri »70. Per Epicuro la sfera psichica presenta una sensibilità maggiore rispetto a quella fisica. Questa può sembrare un’incongruenza all’interno di una posizione che privilegia invece i piaceri del corpo.

Secondo Rist la teoria del piacere di Epicuro può essere interpretata in termini atomistici: il piacere dipenderebbe dal fatto che la persona che ne gode non sperimenta movimenti bruschi tra

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69 Cfr. DIOG. LAËRT., II, 90.

70 Cfr. DIOG. LAËRT., X, 136 - 137.

 

 

gli atomi che compongono i suoi organi sensoriali e quelli della mente. Quindi, a parere dello studioso inglese, Epicuro ritiene i piaceri e i dolori psichici superiori a quelli fisici, in quanto gli atomi dell'anima e della mente, specialmente quelli definiti senza

nome, essendo più piccoli e sottili di quelli del corpo, entrano in movimento più prontamente e possono perciò più facilmente procurare emozioni piacevoli o dolorose; attraverso gli atomi dell'anima, sparsi in tutte le aree sensibili del corpo, i piaceri ed i dolori psichici possono produrre anche piaceri e dolori fisici 71

Epicuro si rappresenta i piaceri psichici come compensatori dei dolori fisici. Infatti il grato ricordo del passato è un modo per allontanare il dolore e procurarsi il piacere. Questa affermazione significa  che  è  sempre  possibile,  ricorrendo  alla  memoria,  non

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71  Cfr. RIST op. cit.; traduz. ital. cit., pp.107 e 111.

soffrire ed essere beato. Però i piaceri dell’anima, per Epicuro, si originano e si riconducono ai piaceri del corpo72.

Plutarco fa notare che gli epicurei hanno dei piaceri dell’anima un concetto del tutto particolare: « Se tu li ascolti quando affermano a gran voce che per natura l’anima non può raggiungere la gioia né la bonaccia se non per i piaceri del corpo, sia per la loro attuale presenza sia per l’attesa di essi, non ti sembra che si usino dell’anima come di un imbuto del corpo e, versandovi il piacere come il vino da un vaso vile e non adatto a contenerlo, e facendovelo invecchiare, credano di fare con ciò cosa molto solenne e molto onorevole? »73.

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72  Cfr. G. BONELLI, op. cit., p. 67.

73  PLUTARCH., contra Ep. beat., 4, 1088 e.

 

 

  

Plutarco rileva dunque il circolo vizioso in cui si chiude l’eudemonologia epicurea: i piaceri del corpo sono insufficienti e rimandano ai piaceri dell’anima, ma questi sono a loro volta insuf-

insufficienti e rimandano ai piaceri del corpo.

In realtà l’epistola di Epicuro a Idomeneo contiene la più categorica smentita del fatto che i piaceri dell’anima si riconducono ai piaceri del corpo: era il giorno beato e insieme l’ultimo della mia vita quando ti scrivevo questa lettera. I dolori della vescica e dei visceri erano tali da non poter essere maggiori: eppure a tutte queste cose si opponeva la gioia dell’anima per il ricordo dei nostri passati ragionamenti filosofici 74.

Quindi si può dire che il ricordo dei beni passati è di conforto in quanto non sia solo ricordo  dei beni sperimentati col corpo,  ma

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74   DIOG. LAËRT., X, 22 e cfr. CICER. de fin., 32, 104 - 106.

 

anche consapevolezza di vita etica, di conseguimento di valori.

Comunque risulta chiaro che il fondamento dell’etica è per Epicuro il piacere, purché sia razionalmente scelto.

Come le sensazioni sono tutte vere, i piaceri sono tutti buoni,

ma questo non impedisce che, quando siano considerati non in se stessi, e cioè nella dimensione del presente in cui si esauriscono, ma nella prospettiva del futuro, prevedendo ciò che da essi conseguirà, non possano avere un valore diverso 75. Discriminare questo valore è compito della ragione: il controllo consisterà nel commisurare la quantità complessiva di piacere e di dolore che una nostra azione, considerata globalmente in tutte le sue conseguenze, potrà arrecarci. Perciò non tutti i piaceri vanno  ricercati, né  tutti i

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dolori vanno evitati: sarà appunto la ragione a scegliere saggiamente tra i piaceri solo quelli che non comportano dolori e turbamenti successivi e ad accettare tra i dolori quelli che, sopportati, possono poi procurarci dei piaceri 76 . « Sia nel campo

della conoscenza che in quello della morale, dunque, la ragione ha

una funzione del tutto subordinata, consistente in una considerazione globale delle sensazioni e delle emozioni, che permette di scorgere il risultato finale. Insomma sia nel campo conoscitivo che in quello morale la ragione, in sé del tutto vuota, non ha una propria verità o un proprio bene da contrapporre a quelli del senso, ma si limita a coordinare i vari dati del sentire, superando, col considerare passato e futuro, l'immediatezza del sentire, fermo al presente 77 ».

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76  Cfr. Epistola a Meneceo, 129 - 130, in DIOG. LAËRT., X, 122 - 135.

77  D. PESCE, Saggio su Epicuro,  cit., p. 75.

È indubbio che in Epicuro vi sia una vera e propria dottrina del calcolo utilitario, non soltanto essa è presente in tutte le esposizioni del suo pensiero, ma compare nello stesso testo capitale di Epicuro, nell'Epistola a Meneceo, dove leggiamo: «Bisogna giudicare in merito [ai piaceri e ai dolori] di volta in volta, in base

al calcolo e alla considerazione dei vantaggi e degli svantaggi: giacché certe volte un bene viene ad essere per noi male e un male per contro un bene 78 ».

«L’epicureo calcolo dei piaceri comporta dunque l’eliminazione della maggior parte dei desideri e dei piaceri, che il volgare edonismo tiene invece in gran pregio; e soprattutto - e questo è il punto da rilevare - comporta il netto predominio della ragione.  La funzione di « regia » nella vita  morale  non è  pertanto

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78   Epistola a Meneceo, 129 - 130, in DIOG. LAËRT., X, 122, 135.

esercitata dal piacere come tale, bensì dal ragionamento e dal calcolo, ossia dalla ragione 79 ». Per Pesce la dottrina del calcolo utilitario è connessa al comportamento degli uomini comuni e non dei saggi: « La saggezza per Epicuro non sta affatto in questo cal-

colo quantitativo, che, come tale, deve presupporre che tutti i piaceri siano qualitativamente omogenei, ma sta proprio, nella discriminazione qualitativa tra piacere cinematico e piacere catastematico, tra un falso piacere, cioè, ed un vero piacere 80 ».

Ogni considerazione quantitativa, di intensità o di durata, è del tutto estranea ad Epicuro, per il quale anzi il piacere, quando sia rettamente inteso, diventa una qualità costante che non ammette nessun aumento o diminuizione.

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79   G. REALE, L’intellettualismo dell’etica di Epicuro e le sue origini in « Scritti in onore di Cleto Carbonara », Napoli 1976, p. 774.

80   D. PESCE, Epicuro e Marco Aurelio. Due studi sulla saggezza antica, cit., p. 34

Tratto da: " Epicuro: la filosofia come unica via alla felicità"  Tesi di laurea di Raffaella Palma