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Questo sito vuole offrire una panoramica degli interventi strutturali negli alpeggi della Valle Seriana e Valle di Scalve, interventi mirati all'adeguamento delle strutture ai fini igienico sanitari per la lavorazione del latte in alpeggio.
SUGLI
ALPEGGI IL TEMPO SI E’ FERMATO ??. L’alpeggio, perpetrato nei secoli sulle montagne lombarde, oggi che le dure equazioni economiche ne hanno stravolto gli equilibri ambientali e umani è soprattutto uno spaccato della cultura montanara che va estinguendosi. Immortalata in romanzi e film, l’antica usanza comune a tutte le popolazioni alpine di lasciare paese e famiglia a valle per accompagnare la mandria in quota in cerca di erba fresca, ha scandito per secoli l’esistenza mai facile delle operose genti di montagna. L’alpeggio è sempre stato operazione impegnativa, non da tutti… Mesi di isolamento e duro lavoro, alloggiati in umili capanne, in balia del meteo, con la responsabilità del proprio e dell’altrui bestiame, invocando una lattazione abbondante per poterne ricavare formaggi da vendere. Mosso da esigenze di sopravvivenza, l’alpeggio si è tuttavia trasformato in un rituale, condito di piccoli gesti di saggezza o di propiziazione. E anche ora che il progresso ha portato allo spopolamento dei nostri alpeggi, chi ancora vi si dedica lo fa sì aiutato dagli strumenti di oggi, ma con la stessa passione di ieri. Ogni anno tra maggio e giugno si perpetua la transumanza: dai maggenghi si sale agli alpeggi e quindi ai pascoli. Pastori e mandriani chiamano a raccolta rispettivamente il gregge e la mandria, composti di propri e altrui capi. Al "caricatore d’alpe" – così detto perché responsabile di "caricare", ovvero sfruttare l’alpe – spettano lunghi mesi di fatica e responsabilità. Sarà suo compito coordinare il lavoro dei mandriani, pagarli, tenere la contabilità, pattuire con i proprietari del bestiame la ripartizione del "bottino" di formaggi accumulato sull’alpe. Se un tempo l’alpeggio
era affidato all’esperienza e alla sensibilità dei malgari, oggi le operazioni
(che possono comunque prescindere dal rapporto profondo tra il montanaro
e la sua terra) sono state razionalizzate e il sovrintendente all’alpeggio
deve possedere, pur a suo modo, vere e proprie doti imprenditoriali. L’alpeggio
è un’azienda agricola in quota, la cui particolare fisionomia non consente
i grandi numeri di quelle di pianura. L’alpeggio, oggi più che mai, è una passione. Facilitati dalla tecnologia che ha portato in quota luce e mezzi moderni e dalla scienza che ha debellato insidiose malattie, i malgari dei giorni nostri remano faticosamente contro le regole di un’economia che favorisce le grandi produzioni. La soluzione è allora unire gli sforzi, condividere gli oneri in nome di comuni intenti e vantaggi. Nascono così cooperative e consorzi, cui si deve il recupero di un patrimonio sia culturale che ambientale. Decidere di continuare l’usanza della monticazione significa evitare che usi e pratiche antiche vadano perdute. Non solo, l’agricoltura e l’allevamento d’altura con le loro specifiche esigenze di regolamentazione delle acque, forestazione, cura dei pascoli e sistemazione dei suoli assumono una forte valenza ecologica. Ancor oggi, dunque,
verso la seconda decade di giugno il malgaro guida i capi lungo i sentieri
che salgono i quota. L’alpeggio solo in rari casi è di proprietà privata,
molto più spesso è comunale o di proprietà mista. Il monte viene affittato
al malgaro in proporzione al bestiame. L’alpeggio è solitamente diviso in stazioni, ovvero "fette" di pascolo attrezzate con baite per l’uomo e tettoie o stalle per le bestie. I ricoveri per il bestiame sono concepiti come ripari d’emergenza e per la notte, poiché una delle motivazioni principali che muovono l’allevatore alla transumanza, dopo naturalmente quelle di trovare nuovo foraggio una volta esaurito quello nei prati a valle, è permettere agli animali di vivere allo stato brado così da immagazzinare cibo ma anche energia per l’inverno. Pascolando in libertà il bestiame si rigenera. Muovendosi all’inseguimento di ciuffi sempre nuovi l’animale fa ginnastica, riattiva circolazione e muscoli, stimola le funzioni vitali e potenzia il sistema immunitario. Si può dire insomma che accumula una scorta di salute per quando riscenderà a valle. Come in una sorta di beauty-farm all’aperto, dove il movimento si sposa a un’alimentazione sana a base d’erba fresca e ricca d’essenze, greggi e mandrie si muovono dunque macinando metri e metri di dislivello, man mano che il tappeto erboso si esaurisce. Quando infatti
tutta l’erba di una stazione è stata mangiata, è ora di passare alla successiva.
I mandriani, raccolte vettovaglie e strumenti del mestiere, si mettono
in cammino al seguito del bestiame per stabilirsi nelle prossime baite.
Le casupole in pietra o legno, sparse qua e là lungo i pendii, per tutta
l’estate saranno i loro alloggi ma anche piccoli caseifici artigianali,
dove dal latte aromatico nascono formaggelle e altre specialità. In alcune
zone le baite assumono architetture particolari. E’ il caso dei calécc
orobici, quattro mura senza tetto su cui il malgaro monta appositi teloni
mobili. Oppure la téa di Livigno, che riunisce in un unico edificio stalla,
focolare per il formaggio e cameretta per il riposo. Raggiunti, solitamente verso la prima decade di agosto, i pascoli più alti, tocca alla demonticazione: si riscende a valle sulle orme dei propri zoccoli, giusto in tempo per razziare la tenera erbetta che nel frattempo è ricresciuta nei prati. A fine settembre, mentre la prima neve spruzza già le cime più alte, bovini e ovini ritemprati rientrano nelle stalle. Ogni estate il rituale si ripete e l’alpeggio si ripopola, non solo di vecchie conoscenze (gli animali e i loro custodi) ma anche di escursionisti che incontrando i malgari all’opera hanno modo di entrare nella tradizione, condividere antichi gesti, scoprire una cultura che si perde nella notte dei tempi, assaggiare il formaggio là dove nasce… Escursionisti che tornati a valle si scopriranno più consapevoli del valore concreto di accorgimenti sempre teorizzati, come quello di non calpestare i prati o quello di non inquinare l’acqua. Tratto da "La rivista della MONTAGNA di LOMBARDIA" |