Che il panorama del sistema letterario italiano (editori, critici, librai) non fosse edificante non è una novità, ma ogni volta che ci si imbatte in un libro come “Ultimo parallelo” di Filippo Tuena la sensazione di sconforto prende alla gola. Ci si trova spaesati davanti alla poca attenzione che si rivolge alla Letteratura: il ciarpame che invade le “terze pagine”, che poi finisce sui banconi in bella vista delle librerie e che poi, forse, finisce a casa dei lettori fa venire voglia di tirare su baracche (poche) e burattini (molti) e fare una piccola rivoluzione culturale. Perché “Ultimo parallelo” ad oggi è stato completamente ignorato (tranne rare eccezioni) ed è oggettivamente uno dei pochissimi romanzi che si siano scritti in Italia negli ultimi anni. Un libro in cui la potenza di fuoco della narrativa fa a pezzi la fiction; un libro che evidentemente mette soggezione e imbavaglia la critica: inchiodata alla propria ignoranza (se siamo benevoli) o alla propria impotenza di megafono degli uffici stampa. Sempre pronti a rincorrere come in una caccia alla volpe (con dinamiche poco vicine alla regalità da Principe di Galles) l’ultima novità editoriale, il ruolo del critico letterario ridotto a pubblicitario è cosa nota da tempo: alle nostre coordinate ce la spacciano come l’ultima polemica di Alfonso Berardinelli ma è almeno da un secolo che se ne parla e, soprattutto, se ne scrive: basti pensare a George Gissing che nel suo romanzo capolavoro “New Grub Street” (pubblicato in Italia da Fazi) già faceva notare che nell’Inghilterra di fine ‘800 “la letteratura si è trasformata in un deserto di parole e la critica letteraria è stata declassata a arte del pettegolezzo”. In “Ultimo parallelo” Filippo Tuena affronta proprio il deserto di parole della letteratura contemporanea. E lo fa consegnandoci la storia di Robert Scott e della sua disperata spedizione alla conquista del Polo Sud. Tutto il libro è il racconto di questa impresa ma è in realtà una metafora, potentissima, sul (non) ruolo della scrittura e, cosa fondamentale, della lettura. Sin dall’incipit del suo romanzo: il suo è tra gli attacchi, è davvero il caso di dirlo, migliori e più folgoranti degli ultimi 30 anni di narrativa italiana. Sin dall’inizio Tuena mette subito le carte sul tavolo. Non concede e non si concede nulla: al lettore, al critico, all’editoria. E’ un attacco sfrontato a tutte le regole del buon gioco letterario, è il voler far comprendere, da subito, che quella che racconta non è una storiella, un fatterello, un’invenzione da bric e brac della narrativa. E’ un qualcosa che vuole andare oltre. E’ un qualcosa che non vuole stupire ma prendere subito a testate, pur con eleganza straordinaria, tutto un sistema che ha ridotto anche l’arte dello scrivere a puro marketing. Tuena lo sa, si capisce, e ci sbatte la testa: ma con una naturalezza che porta direttamente al capolavoro, che porta a percepire che gli affondi, tra queste pagine, sfidano non i tomini da classifica ma la tradizione.
Tra autori che cercano i deliri postmoderni, tra sensazionalisti del minimalismo, Tuena non c’entra nulla: il suo è un altro passo, un altro respiro. Il respiro e il passo di un classico.
Quel che ho scritto sono ad ora potevo sintetizzarlo in una riga: questo libro è un capolavoro.
Mi è venuta l’idea, non lo nascondo, di estendere il concetto per tutte le righe, fare come fa il protagonista di “Shining” e continuare a battere sui tasti la stessa frase.
Non scriverò altro. Quanti bla bla leggete già ovunque? Tuena non è un mio parente, nemmeno lo conosco, ma vi dico che questo libro è un capolavoro. Potrei stare qui a motivarlo per pagine e pagina ma poi? Davanti ad un libro come questo qualsiasi cosa scrivessi sarebbe un bla bla bla.
Salto, in alto, tutti i bla bla e ribadisco il concetto: leggete questo romanzo perché è un capolavoro. E ne sono talmente convinto che vi risparmio i bla bla bla e qui firmo: leggete “Ultimo parallelo”. Se non lo troverete un capolavoro vi rimborso il prezzo di copertina. Più di così proprio non posso fare.
Gian Paolo Serino