BERLUSCONI: Al fianco dell'America contro il terrorismo internazionale

 19/3/2003 - Discorso alla Camera dei Deputati del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sugli sviluppi della crisi irachena. 

Signor Presidente, onorevoli deputati, come è a tutti noto, il regime iracheno ha violato ripetutamente, nel corso degli ultimi dieci anni, gli ordini di disarmo che le Nazioni Unite gli hanno impartito con numerose risoluzioni.

Il problema nasce da circostanze altamente drammatiche. Saddam Hussein non è l'unico autocrate nel mondo a possedere armi di distruzione di massa di tipo chimico, batteriologico e radioattivo. Non è l'unico ad aver lavorato attivamente per un programma nucleare, ma è l'unico ad aver usato quelle armi su larga scala in una lunga storia di aggressività militarista ai danni dei suoi vicini e del suo stesso popolo. La situazione di crisi internazionale generata dall'11 settembre e dalla scelta, in dimensioni fino a ieri impensabili, del terrorismo suicida contro la popolazione civile, contro donne, vecchi e bambini, ha reso necessaria una seria mobilitazione della comunità internazionale per ottenere finalmente, in modo certo, la resa del regime di Baghdad alle regole che presiedono alla sicurezza globale del pianeta.

L'ultima di tali risoluzioni per il disarmo, la n. 1441, fu approvata all'unanimità dal Consiglio di Sicurezza nello scorso mese di novembre. Il testo era inequivocabile: l'ONU chiedeva un disarmo totale, incondizionato ed immediato e prospettava, in caso contrario, serie conseguenze. Nelle risoluzioni precedenti, che definivano il comportamento del regime iracheno in violazione flagrante degli ordini delle Nazioni Unite, era esplicita la volontà di ricorrere alla forza in caso di inadempienza alle indicazioni del Consiglio di Sicurezza. Dobbiamo giudicare, ora, le evoluzioni della crisi alla luce degli avvenimenti di questi ultimi giorni. Gli alleati hanno rinunciato a mettere ai voti un'ulteriore risoluzione - sarebbe stata la diciassettesima - che avrebbe dato un tempo certo ed ultimativo a Saddam Hussein per disarmare, pena l'inizio di un intervento militare. Hanno rinunciato a farlo dopo quattro mesi e mezzo di affannosi negoziati diplomatici, di lavoro degli ispettori e di sviluppi ambigui della politica irachena. Lo hanno fatto dopo che un paese membro permanente del Consiglio di sicurezza, la nostra amica ed alleata Francia, aveva legittimamente - tuttavia, a mio parere, sbagliando - annunciato che avrebbe messo il veto (…)

Gli alleati hanno ritirato quella che sarebbe stata la diciassettesima risoluzione dopo che la Francia aveva annunciato l'apposizione di un veto ad un'ulteriore risoluzione - cito letteralmente le parole della Francia - in qualunque circostanza.

È così che si è, purtroppo, chiusa la vicenda diplomatica nella quale l'Italia, che pure non è nel Consiglio di Sicurezza, aveva giocato in modo autorevole e responsabile tutte le sue carte. E le aveva giocate allo scopo di tenere insieme l'alto prestigio e l'efficacia delle Nazioni Unite, la funzionalità e l'operatività politico-militare della NATO e quel tanto che era possibile realizzare di coesione in un'Unione europea che su questa materia, purtroppo, si è rivelata politicamente divisa. È forte anche per noi il rammarico perché tale obiettivo di pace non si è realizzato. Non è mancato il nostro impegno in una ricerca ampia ed approfondita di soluzioni che potessero scongiurare il ricorso alla forza garantendo però, naturalmente, il disarmo completo dell'Iraq. Lo abbiamo fatto consapevoli della spinta sincera dell'opinione pubblica e sensibili come sempre al richiamo spirituale ed all'alto messaggio del Santo Padre

Il Governo, che ha la titolarità piena della politica estera, si è mosso in questo sforzo di concerto continuativo con il Presidente della Repubblica, sempre e solo nel solco dei trattati internazionali, nel solco della nostra Costituzione e dell'interesse generale del paese. Sono state sollevate, da alcuni, perplessità circa la legittimità dell'uso della forza per il disarmo dell'Iraq, a seguito del ritiro di un progetto di questa ulteriore risoluzione davanti al Consiglio di Sicurezza. Sono perplessità che impedirebbero, secondo gli esponenti dell'opposizione, non soltanto la partecipazione attiva (situazione che per l'Italia è sempre stata esclusa ed è anche da escludere per il futuro), ma persino il sostegno logistico all'azione militare mediante l'autorizzazione al sorvolo del territorio nazionale e all'uso delle basi militari, che da decenni sono collocate in Italia in applicazione del Patto Atlantico.

L'opposizione o gli esponenti dell'opposizione che sollevano tali argomenti chiedono, in altri termini, che l'Italia neghi agli Stati Uniti d'America quel supporto che, ad esempio, già in Europa è stato concesso e continuerà ad essere assicurato dalla Francia e dalla Germania, paesi che dalla sinistra sono stati più volte additati come un modello virtuoso da imitare.

 Soltanto per ricordare qual è la vera situazione, rammento che la Francia (che non ospita basi militari USA) senza dibattito e direi senza scandalo alcuno (nemmeno della sinistra francese che è all'opposizione) ha autorizzato il sorvolo di aerei USA per operazioni militari in Iraq, precisando - con le chiare parole del Presidente Chirac - che «ovviamente la Francia non può negare all'alleato USA questo diritto, malgrado la posizione assunta dalla Francia stessa in Consiglio di Sicurezza».

Quanto alla Germania, un minimo debito di informazione mi impone di ricordare che il Cancelliere, pur distaccandosi con nettezza dall'opzione militare, ha già concesso...(…)
Vorrei sottolineare invece questo comportamento del Cancelliere Schroeder, il quale ha già concesso il transito, nel territorio, di truppe e materiali USA, il sorvolo del territorio e naturalmente l'uso delle basi USA che sono presenti (e sono due basi) nel territorio della Repubblica federale tedesca. È evidente che non solo ragioni politiche (sulle quali conto di tornare più avanti), ma anche importanti argomenti di ordine giuridico sostengono la decisione del Governo sottoposta oggi, per questo profilo, alla decisione del Parlamento. Sono ragioni che dimostrano come, in mancanza di voti contrari del Consiglio di Sicurezza sui vari momenti decisionali riguardanti l'Iraq, le precedenti risoluzioni (dal 1991 al 2002) conservino il loro valore e quindi la loro applicabilità. Il combinato disposto delle risoluzioni n. 678, n. 687 e n. 1441 autorizza e reclama, al di là di ogni dubbio, direi, il disarmo forzoso dell'Iraq. La risoluzione n. 678 del novembre 1990, in particolare, autorizzava l'uso della forza per far cessare l'invasione del Kuwait. La successiva risoluzione n. 687 dell'aprile 1991 stabiliva il «cessate il fuoco» e le condizioni per il disarmo iracheno. Da tale risoluzione si desume che ogni violazione da parte dell'Iraq dell'obbligo di distruggere le armi di distruzione di massa avrebbe fatto venir meno le condizioni per il cessate il fuoco e, quindi, avrebbe ripristinato immediatamente l'autorizzazione ad usare la forza contro Saddam Hussein.

In effetti questo ripristino vi fu e l'uso della forza avvenne una prima volta già nel gennaio 1993. Su tali raid aerei l'allora Segretario generale dell'ONU, Boutros Ghali, disse letteralmente (cito le sue testuali parole): «Gli attacchi e le forze che li hanno condotti hanno ricevuto un mandato dal Consiglio di Sicurezza secondo la risoluzione n. 678 e la causa degli attacchi è stata la violazione da parte dell'Iraq della risoluzione n. 687 sul cessate il fuoco. Quindi, come Segretario generale dell'ONU, posso affermare che questa azione è conforme con le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e con la Carta dell'ONU». È da notare che, nei giorni appena precedenti a questa azione del 1993, il Presidente del Consiglio di Sicurezza aveva per ben due volte ammonito il regime iracheno sulle serie conseguenze delle sue inadempienze; è lo stesso, preciso linguaggio usato nella risoluzione n. 1441.

A distanza di cinque anni, nello stesso contesto di legittimazione dell'ONU - precisamente nel dicembre del 1998 -, ebbero luogo raid aerei americani, qualche giorno dopo che il capo degli ispettori aveva disposto il loro ritiro dall'Iraq. Allora governava la sinistra e non si levarono grida di scandalo né voci concitate. Nella risoluzione n. 1441, infine, molti dimenticano che il presupposto espressamente citato è la persistenza della violazione materiale della precedente risoluzione n. 687 che impone all'Iraq l'obbligo del disarmo. Questa risoluzione concede soltanto a Bagdad un'ultima opportunità di disarmo pieno ed immediato, con obbligo di cooperazione attiva dell'Iraq con gli ispettori.

Queste due condizioni - è pacifico - non si sono verificate, tanto che il 17 marzo - quindi, due giorni fa - il capo degli ispettori ha presentato al Presidente del Consiglio di Sicurezza un lungo elenco di 12 questioni tuttora irrisolte perché non vi è stata cooperazione attiva da parte dell'Iraq e neppure risposta alle molte domande degli ispettori. Dunque, poiché la risoluzione n. 1441 è in vigore e prevede gravi conseguenze in caso di persistente violazione da parte irachena e poiché la stessa risoluzione richiama e riafferma la validità delle risoluzioni n. 678 e n. 687 - che, come ho ricordato, erano state già attivate nel 1993 e nel 1998 -, le condizioni per l'autorizzazione all'uso della forza si sono, oggi, legittimamente determinate. Il progetto di nuova risoluzione... (…) Voglio insistere, quindi, nel ricordare che il progetto di una nuova risoluzione tendeva non ad incidere sul principio dell'autorizzazione al disarmo forzoso  che è già un principio chiaramente affermato, ma soltanto a fissare un termine ultimativo. E questo si evince dal testo della risoluzione stessa, a conferma questo dello strenuo sforzo politico (…) Mi pare quindi chiaro che c'è stato uno sforzo continuativo per arrivare ad una soluzione pacifica.

È evidente del resto che non fissare alcuna data finale sarebbe equivalso a garantire all'Iraq molti anni ancora di violazione e di elusione delle sedici risoluzioni dell'ONU intervenute dal 1991 sino ad oggi. Mi sono a lungo soffermato sugli aspetti giuridici della decisione che il Governo intende assumere dopo il voto del Parlamento, soltanto per evitare che di una non fondata questione sulla legittimità dell'uso della forza si cerchi di fare, da parte dell'opposizione, un caso strumentale, per evitare cioè che la questione giuridica nasconda la difficoltà di questa sinistra di ammettere... (…) Volevo soltanto sottolineare che con gli argomenti della politica non si può chiedere al Governo di mettere in discussione l'Alleanza Atlantica (…)

Signor Presidente, capisco bene che fa parte delle cose politiche che l'opposizione accusi di tutto il Governo: che accusi il Governo di avventurismo, se il Governo procede con decisione; che accusi il Governo di ambiguità politica, quando il Governo procede con prudenza e senza fare strepito. È successo anche in quest'occasione, anche stavolta. E se l'opposizione me lo consente, rilevo che è mancato finora al centrosinistra quel senso della realtà e delle esigenze della diplomazia  in tempo di crisi. State dimostrando che vi manca quel senso della realtà e della democrazia che abbiamo dimostrato noi, quando eravamo minoranza in questo Parlamento.(…)

Mi spiace, ma devo riportare i fatti. L'Italia partecipò nel 1999 alla guerra senza un'esplicita autorizzazione da parte dell'ONU. Ma la liberazione della Serbia da un tiranno come Slobodan Milosevic era una scelta giusta e noi la appoggiammo perché pensavamo e pensiamo che la funzione dell'opposizione sia quella di partecipare al conflitto politico con un alto senso dello Stato e che l'interesse nazionale venga prima della scelta ispirata.a un interesse particolare o, come state dimostrando, a pura demagogia.  Sono convinto che, se voleste fare altrettanto, fareste solo l'interesse del paese Tuttavia, la crisi irachena ormai si pone in termini nuovi. Gli alleati hanno ingiunto al dittatore, dopo prove di pazienza durate 12 lunghi anni (…)

Se 12 lunghi anni non sono pazienza, non so quale periodo possa essere okay. Hanno chiesto al dittatore di dimettersi e di lasciare il paese con la sua corte, garantendogli una speciale immunità, unica possibilità ormai per scongiurare il ricorso alla forza. La probabilità che si arrivi all'intervento armato è ormai obiettivamente molto alta: è scaduto l'ultimo invito. Noi siamo, lo ripeto, addolorati di questo esito e conserviamo. Non si può continuare a fare strame della verità, signori della sinistra! Conserviamo ancora, conserviamo ancora nel cuore la speranza che una resipiscenza dell'ultima ora possa cambiare il corso delle cose. Siamo anche consapevoli del fatto che istituzioni multilaterali importanti della nostra storia, a partire dalle Nazioni Unite, hanno sofferto questa crisi e non hanno saputo comporre le divergenze ed è a questo proposito che io avevo definito nefasta un'azione unilaterale da parte degli Stati Uniti per le conseguenze che questo avrebbe comportato sulla credibilità delle Nazioni Unite, sull'amicizia transatlantica, sulla stessa unità dell'Unione Europea. Pensiamo che l'Unione europea, come ha detto il Presidente della Commissione di Bruxelles, debba trarre una lezione impegnativa dai fatti e, prima di ogni altra cosa, dalla sua incapacità di presentare una posizione unitaria, chiara e autorevole, sulla scena internazionale (…)

Naturalmente, siamo sin da ora impegnati, speravamo e speriamo con un atteggiamento di collaborazione dell'opposizione, a fare del nostro meglio per trovare soluzioni adeguate alla crisi nel corso del semestre italiano di Presidenza europea che si apre il prossimo mese di luglio. In particolare, gli obiettivi per i quali, pur nella difficoltà del momento, è sin d'ora possibile cercare - e lo credo davvero - di ritrovare già nel Consiglio europeo di domani a Bruxelles l'unità dell'Europa, sono la conferma dell'impegno comune per la lotta al terrorismo e contro ogni forma di proliferazione delle armi di distruzione di massa, il rilancio del vincolo di amicizia e di cooperazione euroatlantica, l'impegno - anzitutto sotto l'egida dell'ONU e dell'Unione europea - a costituire in Iraq condizioni umane, politiche, sociali ed economiche di prosperità per il popolo iracheno e, infine, la forte e determinata accelerazione di un'iniziativa che porti alla ripresa di pace del processo per il Medio Oriente.

Negoziati che abbiamo sempre sollecitato, che in ogni occasione internazionale non abbiamo mai mancato di sostenere e che sosterremo anche domani con forza nel Consiglio europeo. Abbiamo rivolto un doppio appello ai nostri amici ed alleati americani, anche da questi banchi l'ultima volta che abbiamo discusso in quest'aula della politica estera italiana. Avevamo detto loro di non coltivare la solitudine perché il capolavoro della diplomazia occidentale dopo l'11 settembre era stato la costruzione di una grande alleanza mondiale contro il terrorismo, un'alleanza che resta e deve restare pienamente in vigore anche al di là di ogni contrasto sulla guerra in Iraq. Ma avevamo anche promesso loro che non li avremmo lasciati soli nella lotta contro il terrorismo internazionale, le sue cause e i suoi effetti, e fra questi la proliferazione delle armi di distruzione di massa. Il Parlamento è, dunque, oggi impegnato a ragionare e a discutere responsabilmente intorno ad una questione diversa da quella che abbiamo dibattuto nelle passate sessioni dedicate alla crisi. Non è più in gioco la via al disarmo iracheno, ma la chiara collocazione del nostro paese rispetto al conflitto che oppone alcune grandi democrazie nostre alleate...

È in gioco la scelta tra chi ha, storicamente ed eroicamente, testimoniato un impegno per la libertà degli uomini e chi ha trasformato il suo paese in una camera di tortura e di eliminazione degli avversari .È in gioco il nostro sostegno aperto a un paese che ha subito il terrorismo e vuole combatterlo estendendo nel mondo il perimetro delle libertà. Sono certo di poter ritenere che il Parlamento italiano e il paese, condividendo la proposta del Governo sapranno scegliere in coerenza con cinquant'anni di storia democratica e repubblicana, cinquant'anni di una politica estera di pace, europea ed atlantica. L'Italia non parteciperà direttamente alle operazioni militari, non invierà perciò in Iraq né uomini né mezzi, come sin dall'inizio ho dichiarato pubblicamente e ho detto con franchezza e con lealtà agli amici americani, dalla prima conversazione con il Presidente americano George Bush.  Non siamo, dunque, una nazione belligerante

L'Italia è, del resto, già seriamente impegnata con i suoi soldati su altri fronti della sicurezza e della pace, dai Balcani all'Afghanistan. L'Italia, fedele alla linea che ha ispirato i precedenti accordi internazionali, anche oggi concederà l'uso del nostro spazio aereo e delle basi militari sul nostro territorio. Lo concederà non per attacchi militari che partano da queste basi. Lo hanno fatto e lo faranno anche le democrazie europee che hanno contrastato, perfino annunciando un voto contrario o addirittura un veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Come ho già ricordato, la Francia, il Belgio, la Germania, oltre all'Olanda, alla Danimarca ed ovviamente alla Spagna, hanno chiaramente concesso, a sostegno dell'azione angloamericana, l'autorizzazione all'uso delle proprie basi militari e il diritto di sorvolo. Sarebbe una farsa tragica se l'Italia facesse una scelta contraria all'interesse nazionale, all'interesse dell'Europa ed ai valori intangibili che ci uniscono ai nostri storici alleati, al di là della Manica e al di là dell'oceano  È inutile sottolineare la gravità di un atto di diniego che significherebbe un vero e proprio contrasto all'azione degli alleati nei confronti del tiranno iracheno. In questo senso, il Governo, sin dall'inizio ed in ogni occasione, ha fatto per intero, con coerenza, con trasparenza e con limpidezza, la sua parte. Lo abbiamo fatto, lavorando con dedizione totale, con decisione ed anche con prudenza. Continueremo a farlo - ne sono sicuro - con il sostegno e la fiducia del Parlamento repubblicano. Vi ringrazio

 


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Aggiornato il: 29-09-04 .