Umberto Visetti

Umberto Visetti nacque nel 1897 a Saluzzo (Cuneo), padre ufficiale di Cavalleria, Vittorio, e madre, Gullino Giacinta, molto religiosa. Interrotti gli studi liceali, si arruolava appena diciassettenne “volontario” nel 4° Reggimento Bersaglieri: era il 29 ottobre 1915. Nominato l’anno dopo sottotenente nel 94° fanteria, partecipò alle operazioni di guerra col 68° Reggimento Fanteria. Gravemente ferito, fu promosso tenente nel giugno 1917. Tornato in linea sul Montello nel gennaio 1918 col V Battaglione d'assalto, si distingueva ancora una volta a Pieve di Soligo durante l'offensiva di Vittorio Veneto (vedi in calce). Congedato nel marzo 1919, riprendeva gli studi interrotti, ma verso la fine dell'anno partecipava all'impresa di Fiume. Ancora congedato nel maggio 1920 e conseguita la laurea in giurisprudenza all'Università di Torino, si dedicava alla professione e al giornalismo. Visetti in divisa da Granatiere
 

Molti giovani i cui gradi acquisiti durante il conflitto non potevano essere utilizzati per la carriera militare, non avendo alle spalle regolari corsi d’Accademia, lasciavano i corpi e la carriera militare. Della sua vita in questo frangente si sa per citazioni su rete di un rifiuto di un duello (peraltro proibito per legge).
Riporto dal sito Unione catechisti più sotto citato.. Dopo la vittoria la sua coscienza ebbe la prova del fuoco da una sfida al duello. Voi sapete che Dio solo è padrone della vita e che il duello è espressamente vietato dalla legge divina. Anch'egli lo sapeva. E perciò, pur essendo un abile schermitore e prevedendo le conseguenze, rifiutò la sfida. Fu dichiarato un vile e degradato (civilmente). Per quasi tre lustri andò ramingo all'estero esercitando, più che la sua professione di avvocato, la franca professione della fede cattolica colla parola e coll'esempio dall'assistenza alla Messa e alla Comunione quasi quotidiana, fino alla fedele osservanza di tutti i Comandamenti, fino all'esercizio dell'apostolato fra soldati e ufficiali. Ad un superiore che voleva distoglierlo dal servir la Messa rispose un giorno fieramente: Chi non sa professare la propria fede, non saprà mai difendere degnamente la propria Patria.
 

All'inizio della campagna etiopica si trovava a Parigi addetto all'ufficio stampa dell'Ambasciata italiana e rientrato in Italia si arruolava volontario nella Divisione "Peloritana" mobilitata, con la quale prendeva parte alle operazioni di guerra in Somalia. Nell'aprile 1937, assegnato all'11° Reggimento Granatieri (vedi foto a dx) e destinato alla 2a Brigata coloniale, gli veniva affidato il comando della 3a Compagnia del IV Battaglione "Toselli". Promosso capitano (foto a dx) con anzianità 1935 venne rimpatriato per le gravi mutilazioni riportate nel combattimento di Dengheziè: qualcuno lo descrisse …disteso in una misera capanna col petto crivellato di colpi e rigonfio di cotone insanguinato. Il braccio frantumato, fra la vita e la morte, ma con una strana serenità, una forza nel corpo di morituro che vinceva l’emozione dei presenti…. S. E. il Maresciallo Graziani dando notizia al Ministro dell'Africa Italiana S. E. Teruzzi scrisse: « Se il Visetti è ancor vivo, lo si deve ad uno di quei miracoli dell'alta chirurgia, che non si possono spiegare se non con l'intervento divino ».                                                                                                                                      Fonte foto Visetti http://www.istitutonastroazzurro.org/documents/21/novembredicembre2010.pdf


Da sito del Quirinale: Medaglia d'oro al valor militare al Tenente !! di cpl. IV battaglione coloniale «Toselli» Data conferimento: 1937 -

motivazione: Rinnovellava in terra d’Africa le leggendarie tradizioni del volontarismo e dell’arditismo della grande guerra. In combattimento aspro e cruento, durato più di undici ore, comandante di compagnia, estrema avanguardia di tutta la colonna, si lanciava audacemente all’assalto di fortissime posizioni che l’impervia natura del terreno e la rabbia abissina rendevano pressoché imprendibili. Ferito una prima volta al capo, una seconda volta alla testa dell’omero e spalla sinistra, proseguiva imperturbato ad avanzare, trascinando col valore e con l' esempio i suoi ascari già duramente provati. Ferito ancora al polso destro da pallottola esplosiva, magnifico di calma e di cosciente spirito di sacrificio, infliggeva forti perdite al nemico, occupando la posizione al grido di « Savoia », disperatamente contendendola ai reiterati contrattacchi nemici. Travolto, infine, da una raffica di mitragliatrice al petto, che gli trapassava i polmoni, cadeva fra le urla dei ribelli; ma con mirabile forza di volontà si rialzava per gridare: « Viva il Re! » e, fatti ancora pochi passi, ricadeva svenuto. Ad un ufficiale sopraggiunto con rinforzi, per ricuperare il suo corpo, non appena ripresa conoscenza, ordinava di non occuparsi di lui, ma di difendere la posizione così duramente conquistata, e, con sereno stoicismo, esortava l’ufficiale medico accorso, a rendere prima le sue cure agli ascari che d’ogni intorno coprivano il terreno. Lo stesso feroce avversario percosso da tanto fulgido valore in uno dei frammischiamenti della pugna, lungi dall’infierire sull’eroico combattente gli tributava la fantasia che già i suoi avi avevano cantata sul caduto Leone di quel medesimo battaglione nero. Dengheziè, 9 ottobre 1937.

 

Dopo lunga degenza in ospedale veniva collocato in congedo. Richiamato a domanda nell'agosto 1940, era destinato nuovamente in Africa (Libia) al Battaglione Fanteria libica "Zuara", mobilitato. Ferito nel combattimento di Alan el Nibewa (colonna Maletti) e raccolto sul campo dal nemico (aveva ormai collezionato 19 ferite), veniva in seguito rimpatriato su nave ospedale per scambio di malati nel maggio 1943.

Il fatto di Nibewa
- Alle 7 del 9/12 dopo una notte di sporadici scontri l'artiglieria britannica scatena un fuoco d'inferno contro ALAM NIBEIWA. Rispondono tutti i pezzi in dotazione contro i probabili centri di provenienza dei colpi. Alle 7,30 alle spalle del caposaldo si profila la minaccia dei Matilda MKII. Le artiglierie controcarro intervengono per battere il nemico ma i proiettili rimbalzano sulle corazze da 75 mm frontali (30 mm i nostri carri-M11, solo il 47 dell'M/13/40 era efficace). Alle 11, 45 gli ultimi reparti si arrendono. Lo stesso Gen. Maletti viene colpito sulla soglia della tenda mentre, imbracciando un fucile mitragliatore, cerca di intervenire in una situazione ormai disperata. Secondo la testimonianza del medico dott. Leonida Lolli apparsa sulla rivista specializzata "Storia Militare" le truppe Inglesi usavano pallottole esplosive vietate.


la lettera spedita alcuni giorni prima del fatto su esposto fonte http://www.unionecatechisti.it/UnioneC/Italiano/Bollettino/1942_1_2/art06.htm 
Zona di operazione, 1° Dicembre 1940-XIX
Miei carissimi fratelli in Cristo N. S.,
È una giornata di ghibli furiosa e non si può mettere la testa fuori della tenda: sono tutto infarinato di questa polvere argillosa e fulva, quasi impalpabile, come la cipria che vi penetra negli occhi, nei polmoni e pare possa raggiungere chissà per quali vie, il cervello: la miglior cura per costringervi alla pazienza. Ho un po' male al capo e così amo intrattenermi con chi, lo so, di lontano mi sostiene con le preghiere. Questa lettera è diretta a voi, cari Catechisti, ma potrei indirizzarla al diletto Fr. Teodoreto, che farebbe lo stesso; perché io vi considero tutti uniti e tesi verso lo stesso scopo, che è la passione di Cristo Crocifisso e risorto, e che ci addita a tutti la mèta che è al di là del Calvario; per giungervi bisogna accettare e conoscere le Stazioni X - XI - XII, che sono la prova del fuoco e in sintesi la perfezione cristiana. Vi ricordate che ne avevo parlato quel pomeriggio, dopo la Via Crucis, fra le fondazioni del tempio in collina, che dovrà un giorno essere la basilica al nostro adorato Gesù Crocifisso?
X: spogliarsi di tutto; di più lasciarsi denudare: amore del prossimo.
XI: dopo la rinuncia, l'obbedienza totale e definitiva: inchiodati alla Croce di Cristo.
XII: e solo così si può morire con Lui, per risorgere poi anche con Lui. Amen.
Ma non tutti comprendono, ne possono comprendere la bellezza della rinuncia e la gloria della Croce. Ragione di più per umiliarci ed essere perennemente grati a Chi ci ha dato di gustare a quel calore divino, che è la gioia di pochi, anche se è offerto a tutti. Pregate per me, voi che lo potete fare con più raccoglimento e con più fervore anche se il Signore riserva a me la grande benedizione di poterlo ricevere tutti i giorni, in questa linea avanzatissima; ma sono quasi sempre solo o accompagnato da pochi soldati, quasi mai un ufficiale; eppure è lì che è la forza, è lì che è la vita; tutto il resto è relativo! Nei momenti del massimo pericolo i propositi sono sinceri e le promesse tante e ferventi; ma poi ... passata la tempesta, la memoria è precaria come quella del marinaio. Ci vuole la tempra dell'apostolo ed il cuore del missionario; ogni anima che ci sfugge, può essere un'anima perduta; ma la misericordia di Dio è infinita!. Ho raccolto un bell'omaggio da porre ai piedi del Crocifisso; e credo che così il Signore abbia voluto ricompensarmi dell'incomprensione e del dileggio di taluni; speravo, di essere validamente sostenuto da ... ma l'ho trovato da prima un po' indifferente e poi persino ostile: i Fratelli delle Scuole Cristiane sono così ricchi! ...Non riesco a comprendere come ci possa essere chi semina la zizzania nel campo del Signore; anche a prescindere che i Fratelli delle SS. CC. non sono l'Unione di Gesù Crocifisso; e la Casa di Carità Arti Mestieri non debba essere solo un aggravio per i dilettissimi Fratelli. Mi pare di riavere qui dinanzi a me il sereno sorriso di Fra Leopoldo e l'ammonimento suo fraterno e saggio, che pure lui ebbe a soffrire dell'incomprensione di quelli che più l'avrebbero dovuto apprezzare ed imitare!. Ma è sempre stato così per tutti i figli di Dio, ad ogni modo il Signore sparse la sua benevola rugiada, su quest'aridità; più di venti miei colleghi risposero all'appello e hanno dato con il cuore e contenti di avere contribuito all'opera del Signore. E così che ho amici che sono già alla seconda e persino alla terza offerta ( Comm. Pallotta, Ispettore del P.N.F. ); l'invio, che supera già le ... lire, partirà per aereo, insieme con questa mia, Un abbraccio fraterno a tutti voi in Cristo Nostro Signore.
Vostro aff.mo Umbero Visetti
17 luglio 1941
Carissimi Catechisti,
Spero vi sia giunta la mia precedente, dove vi davo notizia del combattimento da cui venni raccolto seriamente ferito, accanto alla salma del mio buon Generale Maletti, che cadde da eroe; il buon Pallotta pure è morto, e così Toesca, Gallo e tanti altri che avevano inviato la loro fraterna offerta per la « Casa di Carità Arti e Mestieri »; certo il Signore ha tenuto conto della loro buona volontà; a me rincresce di non poter più fare nulla per voi, in memoria del nostro serafico Fra Leopoldo che, di lassù certo mi ha protetto visibilmente, quando tante giovani vite mi cadevano intorno. Ora sono prigioniero in un campo nel deserto; ma sono felice - come lo si può essere in tale condizione - e sereno; il Signore mi benedice e io posso rimanere tranquillo, quando tanti altri si agitano inutilmente; essere qui o là, non e indifferente, quando il Signore è con noi e si tende con tutte le nostre energie spirituali a fare la sua santa volontà. Se il soldato, necessariamente, è morto, vive il cristiano, che ha il suo compito da assolvere, in mezzo a tanti fratelli che sono sofferenti. La preoccupazione di questi rari giovani è la mancanza di notizie dalla famiglia. Per me benedico la Divina Provvidenza, ma voi sostenetemi validamente con le vostre preghiere, perché prevedo che il sacrificio sarà lungo, e la natura è debole. Chi sa che il Signore voglia risparmiarmi, perché in seguito io collabori con voi.Ricordatemi al buon Fr. Teodoreto, Fratelli e amici tutti.
In Corde J.C.. Aff.mo Umberto Visetti


Partecipava alla lotta di liberazione dall'8 settembre 1943 all'aprile 1945, poi, a guerra conclusa, entrava nell'Ordine degli Agostiniani e tre anni dopo veniva ordinato sacerdote.
 

La battaglia del Piave 1918

"Dopo la battaglia del Montello", scrive padre Agostino al secolo Visetti Umberto, "venni trasferito al 72° reparto d'assalto. Quel magnifico battaglione di fiamme cremisi (Bersaglieri) ebbe il vanto di sfondare la resistenza opposta sul Piave a Fagarè, di coprirsi di gloria nella piana di Sernaglia, ove infranse una carica di cavalleria per cui fu citato sul bollettino del comando supremo, di liberare Pieve di Soligo, Vittorio Veneto e Belluno. Fu un'impresa leggendaria da ricollegare agli episodi più luminosi e romantici del nostro Risorgimento, di cui concludeva il ciclo. Per il forzamento del Piave, l'assalto fu sferrato quando il fiume sacro alla Patria era avvolto nelle brume. Mentre le fanterie e gli altri reparti cercavano di mimetizzarsi, gli arditi- come Enrico IV , le vert galant- per spavalderia bersaglieresca sfoggiavano i loro vistosi pennacchi svolazzanti! Servendoci di barconi del genio pontieri occupammo un isolotto che sarà poi chiamato isola dei morti perchè vi perdemmo circa 600 bersaglieri arditi con due ufficiali; ma la tenace resistenza del nemico abbarbicato sull'altra sponda con grande abbondanza di mitragliatrici Schwrzlose mai viste, ci impedì di varcare il Piave in piena, che si trascinò via i barconi con il glorioso carico di morti. Finalmente, sotto l'imperversare delle nostre terrificanti bombarde che vomitando tonnellate di alto esplosivo volatilizzarono con i reticolati i nidi di mitragliatrice, riuscimmo a passare, buttandoci a nuoto dietro un barcone superstite che per fortuna aveva qualche fune; reggendoci a catena l'un l'altro, aggrappati chi alle funi, chi al cinturone delle giberne. "Perdemmo altri arditi, il capitano Marchand (vedi carneade) scomparve nell'esplosione di una granata di grosso calibro. Vedemmo il suo bel pennacchio fuori ordinanza proiettato in aria , spiegar le penne in un ultimo sussulto come un'aquila a morte e poi precipitare di schianto con gli altri sollevati dall'esplosione.
"Come ufficiale più anziano, avendo assunto il comando del battaglione puntai decisamente su Pieve di Soligo, obbiettivo assegnatoci dal generale Vaccari. Liberata Pieve, attaccammo Solighetto e Soligo, nonostante il fuoco che ci fulminava dal Col San Gallo che prendemmo d'assalto. Coronata l'altura mi dirigevo su Follina, quando una vedetta si precipitò urlando ch'eravamo minacciati da una divisione di cavalleria che irrompeva al galoppo. Ebbi appena il tempo di schierare a cavallo di un provvidenziale reticolato le mitragliatrici e i lancia-fiamme, sperando nell'effetto di questi ultimi per spaventare i quadrupedi, che già ci piombava addosso il primo squadrone; così infrangemmo la carica ( si trattava di un reggimento di ussari) che se ci avesse sorpreso in pianura ci avrebbe sicuramente annientati. Dopo di che i miei arditi si trasformarono in cavalieri. Era la sera ed avendo esaurite le munizioni rientrammo al piccolo trotto a Pieve di Soligo. Eravamo rimasti in pochi e tutti montati si procedeva cantando, quando una voce tonò nella notte rischiarata dalla luna nascente: "Che cos'è questa cavalcata delle Walkirie?". Mi accostai all'ombra avvolta nella mantella e vidi luccicare l'aquila sull'elmetto. Era il generale Rolando Ricci, capo di stato maggiore del nostro Corpo D'armata. "Balzai di sella e diedi la novità. Egli mi accompagnò dal generale Vaccari, che m'accolse con un grido trionfale:"Teniamo la vittoria e vivaddio non ci sfuggirà". Gli offersi la bella sciabola dall'elsa d'argento bulinata con lo stemma gentilizio consegnatami dal colonnello austriaco, disarcionato proprio sui reticolati, quando si arrese alla mia intimazione. Il generale elogiò senza riserve il nostro comportamento e impartì nuovi ordini. Per la notte : rientrare a Solighetto e a Soligo, il battaglione costituendo l'estrema punta avanzata dell'intero schieramento. Per il giorno seguente: sfruttare al massimo la vittoria Puntando su Belluno per tagliare la ritirata al grosso dell'esercito nemico. Egli aveva preceduto le sue divisioni sicuro che i suoi arditi avessero eseguito la consegna di liberare Pieve di Soligo.
Mi resi conto allora che il generale era circondato soltanto dal suo sparuto stato maggiore. Egli si accorse del mio sbigottimento e disse:" Anche il vostro generale è bersagliere. Per non perdere tempo abbiamo varcato il Piave a Cavallo. Vi avevo dato appuntamento qui e ho mantenuto la parola". Il mattino, per tempo, ci giunsero quattro o cinque Fiat 15 TER senza viveri, con varie casse di munizioni e bombe a mano. Pigiai letteralmente sugli autocarri tutti gli arditi che potei, ordinando agli altri di precederci a cavallo, e raggiunsi Follina, Cison e Tovena ove staccai i cavalieri verso il passo di San Baldo, mentre io proseguivo con le macchine, costeggiando i laghetti di Lago e Rivine; e ci dirigemmo verso Vittorio Veneto. Le macchine ansimanti, su per l'èrta di Fadalto non ce la fecero più e s'arrestarono di botto. Proseguimmo a piedi; al lago di Santa Croce avemmo uno scambio di fuoco con una batteria da 105 che stava ritirandosi. Gli artiglieri abbandonati i pezzi si diedero alla fuga inseguiti dagli arditi. Entrammo in Belluno il 29 Ottobre. La popolazione ci accolse gridando e con le lacrime agli occhi. Più che un'apoteosi fu un delirio".
 

Editore: Italia Editrice New 2009
ISBN: 8895038312 ISBN 13: 9788895038315 È la storia di Umberto Visetti raccontata attraverso i passaggi più significativi della sua autobiografia. Classe 1897, volontario di tre guerre, mutilato, pluridecorato, dopo mille avventure Visetti entra nell'Ordine degli Agostiniani dell'Assunzione, diventa frate e sacerdote con il nome di Padre Agostino di Cristo Re. Il racconto si muove essenzialmente su due filoni, diversi ma profondamente intrecciati uno con l'altro: quello umano e quello spirituale. In realtà le peripezie di Visetti sono un pretesto per attraversare con un volo immaginario i primi 50 anni del XX secolo

 

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