Gli ultimi Presidenti del Consiglio prima del Fascismo:

Vittorio Emanuele Orlando

Nasce a Palermo nel 1860. Deputato dal 1897, più volte ministro, diventa Presidente del Consiglio dopo la ritirata di Caporetto. Le sue rigide posizioni sulla questione di Fiume (ma aveva ceduto su tantissime altre), non supportate da atteggiamenti e sostegno politico adeguati, lo portano alla emarginazione da parte degli alleati. Costretto a dimettersi, di fronte al fascismo tiene un atteggiamento possibilista accettando la candidatura nel listone del 1924. Dopo il delitto Matteotti si ritira a vita privata. Nel 1946 viene eletto alla Costituente e muore a Roma nel 1952.

Francesco Saverio Nitti

Nasce a Melfi nel 1868. Vicino a posizioni radicali è eletto in Parlamento nel 1904. Assume la guida del Governo dopo le dimissioni di Vittorio Emanuele Orlando. Deve affrontare i grandi problemi del dopoguerra nell'Italia che è rimasta emarginata dal consesso internazionale dove è sempre stata trattata da cenerentola. Il 9 giugno 1920, con l'occupazione di Fiume ancora in corso, (D'annunzio lo chiamava "Cagoia") è costretto a dimettersi. Durante le elezioni del 1921, comincia ad essere bersaglio delle violenze dei fascisti. È rieletto, ma si ritira nella sua casa di Acquafredda nei pressi di Maratea. Dopo il 28 Ottobre del 1922 si rifiuta di partecipare ai lavori parlamentari e non riconosce la legittimità del governo fascista. Nel 1923 alcune centinaia di squadristi danno l’assalto alla sua abitazione romana devastandola. Nitti decide di lasciare l’Italia prima in Svizzera poi in Francia. Il 5 Maggio del 1925 scrive la Re sottolineando le responsabilità della monarchia per la sua convivenza con il regime liberticida. Nel 1926, a Parigi, continua l’attività di organizzazione antifascista. Nel 1943 è prelevato dalle SS e deportato in Tirolo. Torna libero nel Maggio del 1945 quando fonda con altri l'Unione democratica nazionale, nella quale fu eletto l'anno dopo all'Assemblea costituente insieme a Orlando, Croce e Bonomi. Nel 1948 capeggia il Blocco nazionale, vano tentativo di tracciare una "terza via" tra il blocco democratico e quello socialcomunista. Morirà a Roma nel 1953.

Antonio Salandra

Giovanni Giolitti (4th time)         27.03.1911-21 03.1914
Antonio Salandra (1853-1931)    21.03.1914-19 06.1916
Paolo Boselli (1838-1932)           19 06.1916-30 10.1917
Vittorio E. Orlando (1860-1952) 30 10.1917-23 06.1919
Francesco S. Nitti (1868-1953)   23.06.1919-16 06.1920
Giovanni Giolitti (5th time)         16.06.1920- 4 07.1921
Ivanoe Bonomi (1873-1951)       04.07.1921-25.02.1922
Luigi Facta (1861-1930)             25.02.1922-31.10.1922
Orlando a sinistra, Bonomi al centro, a destra Nitti nel 1946.

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Giovanni Giolitti

Nasce a Mondovì nel 1842. Laureato in legge, dopo una carriera di dirigente statale (Corte dei Conti 1887-1892)  viene eletto deputato. Ministro del Tesoro dal 1889 al 1890 deve dimettersi per lo scandalo della Banca Romana. Nel 1901 viene ripescato da Zanadelli per gli Interni. Nel 1903 diventa primo ministro, carica che reggerà quasi ininterrottamente per 10 anni. Neutralista e si diceva filo-austriaco, torna alla prima carica nel giugno 1920 dopo le dimissioni del secondo Governo Nitti. Risolve l'occupazione delle fabbriche e liquida la questione Fiumana a Natale, a cannonate. Indice nuove elezioni facendo la corte ai Fascisti. Deluso dai risultati si dimette in Giugno del 21 e passa alla opposizione pur non aderendo agli aventinisti. Muore a Cavour nel 1928. 

Ivanoe Bonomi

Nasce a Mantova nel 1873 ed appartiene alla cosiddetta “seconda generazione” della classe politica italiana. Si laureò in scienze naturali e in giurisprudenza. Svolse l’attività di giornalista e iniziò la sua attività politica nel Partito Socialista Italiano aderendo alla corrente moderata e riformista. Durante la guerra per l’occupazione coloniale della Libia voluta dal IV gabinetto Giolitti si trovò in minoranza nel suo partito. Infatti la maggioranza dei socialisti italiani (sia riformisti, sia massimalisti) erano contrari all’impresa libica che, uno dei più insigni ed autorevoli dirigenti ed intellettuali socialisti, Gaetano Salvemini, aveva definito come il voler conquistare “uno scatolone di sabbia”. Bonomi e pochi altri socialisti, invece vedevano nella piccola esperienza coloniale il modo di ottenere nuove terre per lo sfruttamento agricolo per sfamare la popolazione italiana che, in rapida crescita, necessitava sempre di maggiori spazi e che, prima dalle regioni del nord (in primis Veneto e Liguria) e poi da quelle del sud, cominciava a prendere la via dell’emigrazione verso il sud e il nord America. La rottura con il gruppo dirigente socialista nel 1912 è insanabile: Bonomi da vita ad un piccolo partito (questa è la prima delle numerose scissioni che hanno caratterizzato e travagliato la vita del Partito Socialista Italiano) denominato Partito Socialista Riformista Italiano (Psri) che appoggerà il governo Giolitti nel corso della campagna di occupazione della Libia e poi, negli anni successive, entrerà a far parte delle maggioranze liberal-riformiste di Giovanni Giolitti. Durante la Prima Guerra Mondiale fu un convinto interventista e rappresentante del cosiddetto “interventismo democratico” e andò volontario al fronte. Nel 1916 e nel 1919 fu Ministro dei Lavori Pubblici e in seguito fu responsabile del Ministero della Guerra e del Tesoro. Tra il 1921 e il 1922 formò un governo che si dimostrò debole verso l’attività degli squadristi di Mussolini. Alle elezioni del 1924 venne candidato dall’opposizione, ma non risultò eletto e si ritirò a vita privata. Nel 1942 partecipò alla rinascita del movimento antifascista tenendo rapporti diplomatici tra Badoglio e la Casa reale. Divenne presidente del Comitato di Liberazione Nazionale, organo composto dai partiti antifascisti (Dc, Psiup, Pci, Pd’A, Pli e Democrazia del Lavoro). Formò, dopo la liberazione di Roma e dopo la crisi del II governo Badoglio, due successivi governi di unità nazionale antifascista. Nel 1947 fu tra i rappresentanti dell’Italia nella conferenza di pace. L’anno successivo fu eletto presidente del primo Senato della Repubblica italiana. Quando venne ricostituita l’Associazione nazionale della stampa ne fu nominato presidente. Alla veneranda età di 88 anni è morto a Roma nel 1951: si spegneva un testimone di due secoli e di passaggi e fatti che avevano segnato drammaticamente la storia di tutta l’umanità.

 Luca Molinari da Cronologia

Luigi Facta - (Pinerolo 1861 - id. 1930)

Proveniente dalle amministrazioni locali, appena trentenne, nel 1892 entrò in parlamento schierandosi con Giolitti, prima come sottosegretario nei vari gabinetti Giiolitti e Fortis, poi ministro delle Finanze nel 1910-1911 nel gabinetto Luzzatti, e ancora con lo stesso incarico nel quarto governo Giolitti del 1911/14. Avverso all'entrata in guerra dell'Italia. Nel 1919 lo ritroviamo nel ministero della Giustizia nel governo Orlando, e nuovamente ministro delle Finanze nel quinto ministero Giolitti del 1920-1921. Poi nella crisi del 1922 assunse la presidenza del Consiglio dopo la caduta del governo Bonomi. Incapace a contenere l'avanzata fascista, osteggiato dai popolari e dall'estrema sinistra, nel luglio dello stesso anno fu costretto alle dimissioni. Riformato il secondo incarco risultarono vani i tentativi di una conciliazione nazionale, e altrettanto inefficaci quelli di far ritornare Giolitti. O per incapacità, o per connivenza, o per i contrasti all'interno del governo, la preannunciata "Marcia su Roma" trovò Facta con nessun provvedimento di ordine pubblico in mano. Solo durante la notte del 27, rispolverando un vecchio decreto del 1800 (nessuno era in grado di farne uno nè si sapeva come farlo) si decise a proclamare lo stato d'assedio, che però il Re non gli firmò. Convocato a Roma Mussolini per formare un nuovo governo, Facta fu costretto a dare le dimissioni. Inizia un periodo di ambiguità. Non ci dovrebbero essere dubbi sul suo collaborazionismo, perchè lo ritroviamo subito fiancheggiatore del nuovo governo fascista; e lo stesso Mussolini due anni dopo - nel 1924- lo nomina senatore. Alle soglie del 70 esimo anno, Facta  muore a Pinerolo, nel 1930.  

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