MENOTTI GARIBALDI figlio di Giuseppe |
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Domenico Menotti Garibaldi nacque nel borgo di São Luís, oggi
quartiere della città brasiliana di Mostardas (a San Simon), stato del
Rio Grande do Sul, primogenito di Giuseppe e Anita (Anna Maria Bento Ribeiro
Da Silva) il 16(22)/9/1840. Venne battezzato con il nome di
Domenico, in onore del padre di Garibaldi, ma il Generale volle soprannominarlo
Menotti, in onore del patriota Ciro Menotti. Menotti rimase in America Latina
fino all'età di sette anni e rientrò in Italia insieme ai due fratelli, Teresita
e Ricciotti e alla madre. Si imbarcarono nel dicembre 1847, con destinazione
Nizza dove furono raggiunti dal padre.
Il Re gli offrì un posto nel Collegio di Racconigi dove vi ricevette un'eccellente
educazione finchè il padre non decise di assumerne direttamente l'educazione, tenendolo
con se a Caprera. Il 21 marzo 1856 diventa mozzo di marina
mercantile e nel 1859 accompagna il padre, con la sorella
Teresa, alle Mandriole presso Ravenna, per l'esumazione della salma della madre
che viene sepolta a Nizza. Menotti iniziò la sua carriera militare da semplice
soldato nel 1859 a fianco del padre nei cacciatori delle Alpi (nello squadrone
Guide dei Cacciatori) a Varese, Como, San Martino, San Fermo.
Partecipò poi alla spedizione dei Mille, nella quale si distinse nel grado di
maggiore. Combattè con il padre a Calatafimi, dove vnne
ferito, a Palermo, a Reggio, sul Volturno poi il trionfo di Napoli. E' il solo
figlio di Garibaldi a dividere con lui questa straordinaria esperienza. Tra i
suoi compagni vi sono Francesco Bidischini, fratello di Francesca Italia, sua
futura sposa, e Stefano Canzio, che sposerà nel 1861 sua sorella Teresa. Nel
1862 é insignito del grado di Cavaliere nell'OMS, per il
suo ruolo nella Spedizione dei Mille.
Benché anche Ricciotti sia a Caprera quando Garibaldi parte per l'Aspromonte, il
Generale porta con se solo Menotti, che comanda un gruppo d'Artiglieria. Nel 1866 durante
la terza Guerra d'Indipendenza comandò, con il grado di colonnello, il 9°
reggimento di volontari garibaldini e fu l'artefice della vittoria nella
battaglia di Bezzecca meritandosi la medaglia d'oro al Valor Militare. Breve e
sfortunata la sua esperienza a Mentana nel 1867. Nel 1870
durante la guerra franco-prussiana comandò un reggimento di truppe
franco-italiane, combattendo a Digione e sui Vosgi, meritandosi la Legion
d'Onore conferitagli dal governo francese. Divenne deputato di Velletri e Roma dal 1876 al 1897; a Velletri è ancora
ricordato per aver dato importanza alla cittadina facendovi spostare o riuscendo
a mantenervi sedi di organi statali e per aver fondato la "Cantina sperimentale
del vino di Velletri". Inoltre riuscì a far finanziare dal governo una vasta
tenuta dell'Agro Romano, idea che anni prima era stata proposta dal padre ma che
non aveva trovato seguito, divenendo un apprezzato imprenditore agricolo.
Comincia per Menotti un'altra fase della sua vita, nella quale si dedica
interamente alla sua famiglia e alla terra di Carano : migliaia di ettari, avuti
nel 1874 in enfiteusi perpetua dal Capitolato di San Pietro, messo in obbligo
dopo il 1870 di concedere che il latifondo (8618 ettari in stato d'assoluto
abbandono, infetto dalla malaria e gravato di pesanti oneri per chi vi lavora)
sia dato in gestione e bonificato. Quando Giuseppe Garibaldi viene eletto deputato
la famiglia soggiorna in Via delle
Coppelle, 3, poi si sposterà in Piazza Vittorio Emanuele, 10. Menotti è in obbligo d'indebitarsi per pagare l'enfiteusi al Capitolato di San Pietro e
comprare bestiame e materiale necessario. Incappa però anche lui nello scandalo
della Banca Romana. Solo dopo la sua morte, la famiglia finirà di riscattare la
proprietà, nonostante l'aiuto di Giuseppe Garibaldi che contribuisce con parte
del dono nazionale. Consigliere
provinciale, sarà anche presidente del Consiglio della Provincia di Roma.
Presiede la Società liberale di Roma e numerosissime associazioni. Gli anni più
critici furono fra il 1885 e il 1887 quando dalla sinistra Crispina (Coloniale)
riceve spesso denaro e sostegni tanto da far dire a Cavallotti "vai piano nei
brindisi tu che insieme con un gran nome ereditasti anche dei doveri". Lavora intensamente e non vive in agiatezze
è
rispettato e benvoluto anche per l'opera sociale che svolge sulle sue terre,
dove crea scuole, stazioni sanitarie, persino chiese, benché sia stato
scomunicato per aver acquistato la terra del Capitolato di San Pietro. Menotti è
anche un importante esponente della Massoneria Italiana.
Capo indiscusso della famiglia, tempera finché vive i rapporti tra il fratello Ricciotti, Stefano Canzio, Francesca Armosino. L'impegno per le sue terre
paludose ne ha
minato la salute, e Menotti muore di malaria il 22 agosto 1903.
Si sposò con Italia Bidischini dall'Oglio e ne ebbe sei figli
Anita Garibaldi (1875 - 1961) -
Rosita Garibaldi (1877 - 1964)
Gemma Garibaldi (1878 - 1951) -
Giuseppina "Peppina" Garibaldi (1883 - 1910)
Giuseppe Garibaldi (1884 - 1886) -Giuseppe "Peppinello" Garibaldi (1887 -1969)
Da li in poi i suoi problemi economici (Menotti Garibaldi) prevalsero su quelli ideali. La sua impresa maggiore la bonifica di Carano nell’Agro Pontino (Aprilia). 1437 ettari scorporati dalla tenuta di Campo Morto (8618 ettari), la più vasta dell'Agro romano. Quando, finalmente, dopo anni di sacrifici, la tenuta iniziava a dare i frutti la sua salute era ormai minata dalla malaria. Per questo motivo la moglie Italia Bidischini, cercò di convincerlo a rinunciare ad andare a Carano. Egli rispondeva che faceva ciò per dare un avvenire ai figli. L'Avanti, nell'edizione di lunedì 24 agosto 1903 così scriveva: "Egli morì alle 5,55 pomeridiane, assistito dalla consorte, dai cognati Maruca e Bidischini, dal colonnello Coriolato e dai dottori Nazzari e Baliva. La morte avvenne dolcemente e quasi insensibilmente". - Alcuni sostengono che la morte sia stata la conseguenza di una caduta in un pozzo della tenuta, non fu così, la causa fu la malaria. La caduta nel pozzo ci fu, ma l'anno precedente. Menotti era salito su una vecchia tavola sistemata sulla bocca del pozzo, per ungere l'ingranaggio della pompa che cigolava; la tavola cedette e Menotti, dopo aver battuto il viso sul ciglio, precipitò per 14 metri sino al pelo dell'acqua e poi giù per altri 5 sotto il livello. Le donne che si trovavano nelle vicinanze iniziarono ad urlare, ma lui, riaffiorato, con voce pacata chiese una corda con la quale risalì in superficie, fradicio e grondante di sangue salì a cavallo e tornò a casa.
Il Funerale. Alle 17 precise, il colonnello Augusto Elia varcò il portone del numero 110 di piazza Vittorio, portando con se il berretto, la sciabola e la camicia rossa di Menotti, seguito da otto garibaldini che trasportavano la bara, la quale fu collocata su un affusto di cannone trainato da sette cavalli. Sulla bara furono sistemate le corone del Re e della Repubblica Francese. Alle 20,30 trenta di martedì 25 agosto, il corteo funebre in forma privata mosse da porta San Giovanni e dopo quattro ore arrivò ad Albano. Ad attenderlo nei pressi della stazione di Cecchina c'era un uomo a cavallo, partito la sera precedente da Anzio, con un ramo di quercia in mano. Avvicinatosi depose il ramo sulla bara, poi al galoppo si diresse verso Carano. Quell'uomo era Gabriele D'Annunzio. La bara, trasportata da otto persone tra cui Gabriele D'Annunzio, percorse il viale e fu depositata nel mezzo del mausoleo, dove già riposava il figlio Beppino. Fu lo stesso Gabriele D'Annunzio a pronunciare l'orazione funebre con un bel discorso, il cui testo è affisso all'interno della tomba. Gianfranco Compagno