PAOLO  MONELLI

 

LA DISPERATA DIFESA DELLE MELETTE E IL PROCESSO

 

"Guardate l'Ortigara, ha cambiato colore!" E fumava, gialla e negra, dai suoi mughi inceneriti, dalle buse colme di gas..... »  (P.Monelli)

 

 

Sottotitolo - cronache di gaie e tristi avventure di
alpini di muli e di vino - "Mettere le scarpe al sole"
significa morire in combattimento. Veramente non di soli
caduti è il discorso, in questa mia cronaca di guerra.
Molti siam tornati ......


Paolo Monelli nasce a Fiorano Modenese il 15 luglio 1891. Il padre è colonnello medico direttore dell’ospedale militare di Bologna e Monelli qui frequenta il liceo “Minghetti”. Concluso il liceo e rifiutato dall’Accademia di artiglieria di Torino si iscrive alla facoltà di legge di Bologna. Mentre studia lavora per il quotidiano cittadino con articoli sullo sport e sulla montagna. Buon alpinista scala anche il Bianco. Allo scoppio del conflitto si arruola come Ufficiale negli Alpini pur avendo la possibilità della esenzione (come figlio unico maschio (suo fratello era morto due anni prima) presenta domanda nella “Milizia Territoriale”). La sua ferma si traduce ben presto nella scuola ufficiali di complemento e il tirocinio da aspirante prima al 7° Alpini di Belluno poi al Feltre. In dicembre, con la nomina a sottotenente di complemento, viene destinato al Btg. “Val Cismon” sempre del 7° Alpini e precisamente alla 265a compagnia quale comandante del terzo plotone, che raggiunge a Bieno in Trentino dove è dislocato e dove il giorno di Natale ha il suo “battesimo del fuoco”. Nel marzo 1916 la sua prima decorazione: la medaglia di bronzo al valore militare così motivata
– “Ricevuto ordine di rioccupare una posizione dalla quale aveva dovuto ritirarsi con perdite in seguito a vivo contrattacco e dopo aver esaurite le munizioni, adempì il proprio compito con energia e ben diretta azione, procedendo e trascinando con l’esempio il proprio reparto alquanto scosso e stanco” Marter (Trentino) 18 marzo 1916.
Il 10 agosto 1916 viene promosso tenente. L’8 marzo 1917 lascia il 7° Alpini per assumere il comando della 22a compagnia sciatori del 6° Alpini. Passa poi con le funzioni di aiutante maggiore in seconda al 6° Btg. del 1° Rgt. dal 10 aprile 1917 . Qui è nuovamente protagonista di un’azione che gli merita un secondo bronzo
– “Funzionando da aiutante maggiore in seconda, con sprezzo del pericolo portava un ordine ai reparti del proprio battaglione sotto violento bombardamento e le raffiche di mitragliatrici nemiche. Assolto il proprio mandato, di sua iniziativa e con grave rischio, raggiungeva con un collega un comando superiore, fornendogli preziose notizie per la preparazione di un attacco” Monte Ortigara, 25 giugno 1917.
L’8 agosto 1917 gli viene assegnato il comando della 301a compagnia del Btg. sciatori “Monte Marmolada” rientrando così al 7° Alpini. Il 31 ottobre è promosso capitano. Nel novembre 1917 posto a difesa di una posizione per arginare l’avanzata degli austriaci che culminerà con la disfatta di Caporetto, guadagna la terza medaglia di bronzo
– “Comandante di una compagnia alpina, posta a difesa di una posizione tatticamente importante, ma debolmente organizzata, mercé le sagge disposizioni impartite e l’esempio di coraggio personale, seppe mantenerla per un’intera giornata contro ripetuti attacchi di forze nemiche superiori, che obbligò a ripiegare con gravi perdite” Monte Tondarecar (Asiago) 15 novembre 1917.
La difesa disperata dell’altopiano operata per evitare l’aggiramento del Grappa si risolve il 5 dicembre sulle Melette di Gallio. Esattamente a Castelgomberto; sopraffatto e con i pochi superstiti della sua compagnia cade prigioniero. Durante la prigionia tenta per due volte la fuga ma è ripreso. Alla data dell’armistizio rimane a Vienna con l’incarico di addetto alla Commissione Militare d’Armistizio. Il 3 dicembre 1919, rimpatriato, giunge al deposito del 7° Alpini ed il 1° gennaio 1920 è posto in congedo. La sua vera carriera giornalistica era cominciata proprio nel '20 con la guerra tra Russia e Polonia per il possesso della Lituania, cui Monelli aveva assistito quale inviato del Carlino di Missiroli. Le scarpe al sole scritto in forma di diario nel 1921 (dal quale fu tratto liberamente un film nel'35 vedi locandina a lato), sarà considerato una delle sue opere migliori. Insieme ad Orio Vergani, Riccardo Bacchelli, Mario Vellani Marchi e molti altri è fondatore nel 1926 del Premio Bagutta. Nel novembre 1929 è promosso 1° capitano. Il 21 gennaio 1940 viene richiamato presso il Btg. alpini “Aosta” in previsione della guerra. La sua età non gli consente la prima linea e per la sua esperienza viene nominato corrispondente di guerra per il Ministero della Marina, mantenendo il suo status di ufficiale degli alpini e il grado superiore di maggiore. Sarà in Africa dove, come corrispondente civile, era già stato nel 1935-36 per la Campagna coloniale italiana in Etiopia. Il 9 marzo 1942 viene nominato tenente colonnello. Con questo grado viene definitivamente posto in congedo dal 22 febbraio 1943. Nel 1963 sposa Palma Bucarelli, direttrice della Galleria nazionale d'arte moderna di Roma. Alcune altre sue opere oltre la collaborazione a giornali (passerà nel 1946 dal Corriere alla Stampa, dove resterà fino al 1967) Io e i tedeschi, del 1927, Roma 1943, del 1947, Mussolini piccolo borghese, scritti sulla professione del giornalista Questo mestieraccio, sui costumi e sulla lingua d'Italia Barbaro dominio del 1933, e L'alfabeto di Bernardo Prisco, Ombre cinesi, Morte del diplomatico, Avventura nel primo secolo, il Ghiottone. Morirà a Roma, 19 novembre 1984
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Profilo biografico riassunto da noialpinibolognesiromagnoli e integrato da altre notizie
 

Cap. Paolo MONELLI - Relazione sulla cattura dello scrivente avvenuta da parte del nemico il 5 dicembre 1917 a Castelgomberto (7° Reggimento alpini - Battaglione M. Marmolada (Magg. Boffa Cav. Cesare)  301a Compagnia - III Gruppo alpino T. Col. Milanesio  IV Raggr. alpino. Gen. di Br. Rho -  Firenze 10 Dic.1919
Il mattino del 4 dicembre 1917 la 301a compagnia (comandata dallo scrivente) del Battaglione alpini Monte Marmolada occupava le trincee di prima linea comprese fra le pendici est del Monte Castelgomberto e la cosiddetta quota dei Bersaglieri (fronte 400 metri di spazio), nel nodo montuoso delle Melette sull' altipiano dei Sette Comuni, essendo collegata alla sua sinistra con la 284a comp. Alpina (Batt. Marmolada) ed a destra con una compagnia di bersaglieri. La 300 comp. era di rincalzo presso il Comando del Battaglione. Il battaglione era in prima linea dalla fine d'ottobre ed aveva ricevuto i complementi in linea una decina di giorni prima, dopo i vittoriosi combattimenti del 15 e 22 novembre 1917 a M. Tondarecar che gli valsero la citazione sul bollettino ufficiale. Alle ore 10 circa del 4 dicembre, dopo due ore di bombardamento nemico diretto sulle trincee della detta compagnia (perdite accertate cinque morti ed una decina di feriti), contemporaneamente, come appariva, ad uno più violento che batteva le posizioni, sulla destra di essa, dal Monte Tondarecar, nuclei nemici di forma imprecisata, verso le ore 10 (terreno coperto pianeggiante sul davanti) si mostrarono sulla fronte e contro di essi fu rivolta l'attenzione della difesa. Tali nuclei non diedero alcuna preoccupazione: i più audaci spintisi contro i reticolati furono dispersi col tiro di mitragliatrici e lancio di bombe eseguito dai reparti di testa. Pochi minuti dopo, quando già pareva che la calma fosse subentrata su tutta la fronte, in seguito al cedimento dell'ala destra (comp. Bersaglieri del capitano Calderoni) la 301a compagnia si trovò d'improvviso minacciata sul fianco e sul tergo da masse nemiche che avanzavano impetuose ed urlanti.
  Bollettino di guerra del 5 dicembre 1917: "Dopo avere reso formidabile lo schieramento delle artiglierie e accresciute le forze duramente provate nei precedenti combattimenti, ripresero gli attacchi contro le nostre posizioni. Preceduto da un tiro iniziato nella notte e continuato violentissimo per molte ore, accompagnato da poderose raffiche di interdizione, le masse nemiche eseguirono un doppio attacco contro il nostro caposaldo delle Melette. Il primo, da nordovest, dopo vari tentativi di avanzata arrestato dal nostri tiri di sbarramento, si infranse definitivamente nel pomeriggio sul tratto Monte Sisemol-pendici sud-occidentali di Meletta di Gallio; con violenti corpo a corpo, gli assalitori furono decisamente respinti con gravi perdite lasciandoci anche qualche centinaio di prigionieri. Il secondo, da nord-est, fu sferrato con maggiori forze e tenacia tra Monte Tondarecar e il Monte Badenecche. Qui, dopo lotta accanitissima, prolungatasi fino alle prime ore del 5, l'occupazione di alcune trincee, riuscita dall'avversario, ci consigliò a ritirare qualche tratto più avanzato della nostra linea.

Bollettino di guerra del 6 dicembre: "All'alba del giorno 5, la battaglia si riaccese violenta. Profittando dei vantaggi conseguiti il giorno precedente fra il Monte Tondarecar e il Monte Badenecche, il nemico respinse a fondo l'azione per far cadere da tergo il formidabile bastione Monte Castelgomberto-Meletta di Gallio, che aveva dovuto rinunciare ad attaccare frontalmente. Si è combattuto accanitamente l'intera giornata dalle pendici sud di Monte Castelgomberto al costone di Foza. A1 poderoso sforzo avversario, esercitato con schiacciante superiorità numerica, ma nella direzione per noi più vantaggiosa, le truppe che difendevano il caposaldo delle Melette opposero Boriani dalla scheda Senatoreostinata resistenza in numerosi contrattacchi, cedendo il terreno a palmo a palmo soltanto quando, predisposta dai nostri la retrostante linea di difesa, fu dato l'ordine di ripiegarvi. Sul Monte Fior e Monte Castelgomberto alcuni reparti di alpini rimasti isolati hanno preferito all'incerto ripiegamento il glorioso sacrificio di un'eroica difesa ad oltranza. Un forte tentativo di superare il nostro sbarramento di fondo Val Brenta, fu sanguinosamente respinto".

Ordinai immediatamente ad un sottotenente comandante una sezione d'artiglieria da campagna, postata dietro la mia compagnia, di far girare i pezzi e sparare a zero sul nemico - ordine che non fu eseguito, sia per mancanza di decisione dell'ufficiale e negli artiglieri che non furono potuti sorvegliare (perché dato l'ordine lo scrivente non poté curarne l'esecuzione essendosi portato in trincea per occuparsi della sua compagnia) direttamente dallo scrivente, sia per il ritegno che essi avessero di sparare contemporaneamente su truppe nostre che s'arrendevano - e disposi perché il plotone di destra (aspirante Tamassia) facesse immediatamente fronte all' attacco. Il plotone eseguì l'ordine, ed oppose al nemico la richiesta resistenza; cosicché quando, caduto ferito l'aspirante, caduti i graduati, completamente avvolti e soprafatti i superstiti del plotone, il nemico poté procedere oltre, urtò contro il fuoco delle due sezioni mitragliatrici assegnate alla compagnia che s'era avuto il tempo di spostare verso la nuova direzione d'attacco. Anche qui l'impeto nemico procedente da tre parti all' attacco ebbe presto ragione della resistenza oppostagli; si riuscì però a salvare tre delle quattro armi contendendole all' avversario in combattimento a corpo a corpo e ad assumere una posizione più arretrata. Finalmente un terzo sbalzo, protetto dalle mitragliatrici, mi permise di distendere la compagnia ai piedi di Castelgomberto. Ivi, presi gli ordini dal comandante del Battaglione, feci fare fronte di nuovo contro il nemico, arrestandone ogni ulteriore progresso, ed inviai pattuglie per stabilire collegamenti, che mi risultavano tosto perduti: la compagnia, a cui si erano aggiunti due plotoni della 284a comp. rimasti sulle loro posizioni, era completamente accerchiata (ore 13 del 4/12). Trascorse così il pomeriggio senza altri seri tentativi d'attacco da parte dell' avversario, che si accontentò di battere le nuove linee, scoperte al suo fuoco, con mitragliatrici e fucileria; controbattuto efficacemente dal tiro misurato e preciso dei miei uomini e delle mie armi mitragliatrici.  
Durante la notte, il nemico ritentò l'attacco, che condusse due volte con energia e decisione, tutte e due le volte fu ributtato dalle truppe vigili e serene, nonostante il freddo intenso della notte e la mancanza di cibo dall' ultimo rancio del 3/12. I due attacchi, oltre ad altri tentativi d'attacco (che non erano definitivi) fecero esaurire le munizioni: le ultime disponibili furono raccolte ed assegnate alle mitragliatrici. Venuto il giorno (5/12) il nemico ci lasciò tranquilli, ma ricominciò a battere le posizioni con qualche colpo di cannone a gas lacrimogeni. Alle 14 circa del pomeriggio, in seguito ad ordine del comandante del Battaglione, facevo deporre le armi ai miei uomini (La resa fu causata dalla mancanza di munizioni e dallo stato di esaurimento degli uomini, cagionato dal digiuno, dalla mancanza assoluta di viveri e d'acqua sulle nuove posizioni, dal freddo intenso in condizioni atmosferiche cattive (nevischio), dalla mancanza di coperte e, per molti, il cappotto dovuti lasciare sulle vecchie posizioni per l'attacco repentino). Contegno degli ufficiali e soldati ai miei ordini superiore ad ogni elogio, alto spirito di sacrificio, decisione di resistenza fino all'ultimo nonostante la fame ed il freddo.   Bollettino di guerra del 7 dicembre: "La battaglia sull'Altopiano di Asiago continuò il giorno 6 dicembre, e nel pomeriggio… dopo violentissima preparazione di fuoco, estesa dal nord della valle dei Ronchi al Monte Kaberlaba, l'avversario tentò con grandi forze lo sfondamento della nostra linea a sud di Gallio. Il tentativo nemico fallì per la bravura delle nostre truppe che, affrontato l'avversario al Monte Sisemol e impegnatolo in strenua lotta durata dodici ore, diedero tempo ai reparti retrostanti di saldare regolarmente le difese anche da quella parte. Dopo sei tentativi, respinti dai nostri contrattacchi, il nemico, decimato, dovette arrestare sul Sisemol la propria avanzata".
Il racconto di Monelli continua con le vicende della prigionia.    
Condotto prigioniero a Trento (marcia a piedi), A donde a Franzenfeste, e di qui (20/12) al castello di Salisburgo. Il 10 gennaio fuggii dal castello con l'aiuto di corde fatte coi lenzuoli, con quattro subalterni. Scoperto in un treno a Rischofahofen fui ricondotto a Salisburgo e punito con 20 giorni di carcere duro. Un secondo tentativo di fuga compiuto verso la fine di febbraio non ebbe esito migliore: dopo sei giorni di marcia a piedi fui arrestato a S. Giovanni in Tirolo con i due compagni di fuga (Capitani Longarini dei Bersaglieri e Costa di fanteria), ammanettato, rinchiuso nelle prigioni comunali, poi ricondotto a Salisburgo fui punito con 30 giorni di carcere, ed in seguito trasferito al campo di Braunau in Boemia (30 marzo). Ai primi di maggio ero trasferito ad Hart bei Ansletten - il 15 luglio a Puchenstuben bei Maria Bell. Alla fine di settembre subii la visita medica della Commissione speciale, giudicato invalido di guerra per deperimento organico, e destinato al rimpatrio per scambio, venivo trasferito intanto a Sigmundsherberg (15/10/1918). Il primo novembre i prigionieri di guerra di Sigmundsherberg disarmavano il presidio nemico e si proclamavano liberi, costituitosi un battaglione armato per la custodia dei depositi viveri, lo scrivente assunse il comando di una compagnia di detto battaglione. Il 24/12, per ordine del colonnello Menna, comandante le truppe di Sigmundsherberg, si presentava a Praga al Colonnello di S.M. Invernizzi, capo della Missione che curava il rimpatrio di profughi trentini di lingua italiana. Il 20/1/1919 lo scrivente partiva per Leopoli, segretariato della sottocommissione della Missione Armistiziale della Galizia (Confine Polacco). Fu trattenuto in servizio fino al 20/11/1919 e quindi inviato al deposito di Belluno per il congedo. Cap. Cpl. Paolo Monelli di Ernesto.  

Le medaglie d’oro al V.M. dei Bersaglieri
04/12- Ten. Guido MAIFRENI - Melette di Gallio -12°
04/12- S.Ten. Giacomo PALLOTTI - Tondarecar - 6°

04/12 - Serg. Francesco ROSSI - Badenecche - 6°

05/12- Ten. Giuseppe MANCINI - Monte Miela - 12°

06/12- Ten. Emilio PANTANALI - Monte Sisemol -14°

     

Lo schieramento italiano sull'acrocoro delle Melette*, un arco montuoso che partiva dal Monte Zomo e terminava al Monte Badenecche, presentava sullo Zomo la Br. Liguria, a seguire sulle Melette di Gallio due battaglioni di bersaglieri, a cavallo della Val Miela due battaglioni del 129° Br. Perugia. Sulle alture che guardavano verso nord erano sistemati a Monte Fior i battaglioni alpini M. Pasubio, M. Cervino e M. Saccarello, riuniti nel XV Gruppo Alpino al comando del Ten. Col. Faglia; sul Castelgomberto e fino alla Val Segantini i Batt. Cuneo e Marmolada, con di rincalzo il Val Dora, costituivano il III Gruppo Alpino comandato dal Ten. Col. Milanesio. Infine dal Tondarecar al Badenecche erano in linea i bersaglieri del 4° Bersaglieri**, al comando del Col. Novelli. Tutte le truppe italiane erano riunite nella 29a Divisione comandata dal Gen. Giuseppe Boriani (foto sopra) già protagonista della retroguardia della III armata dal Carso al Piave. L'azione austriaca, svelata da un disertore al comando del IV Raggr. Alpino, aveva come obiettivo quello di impadronirsi di M. Zomo e di M. Badenecche per far cadere per aggiramento M. Fior e Castelgomberto (da Aquile in Guerra 14/2006).

* Con il nome di Melette si intendono i rilievi montuosi (pascoli 1400/1800 m) della parte nord orientale dell'Altipiano, da Gallio a Foza comprendente i monti Sbarbatal, Meletta di Gallio, Zomo, Fior, Spil, Miela, Castelgomberto, Tondarecar e Badenecche. **Negli ultimi giorni di novembre del 1917, la 1a brigata bersaglieri (6°e 12° Bersaglieri) è schierata sull'altipiano, alla dipendenza della 29° Div. Boriani. Oltre ad essere stata rinsanguata dalle reclute del '98 e del I° '99, ad essa sono stati assegnati i resti del 4° reggimento (Col. Anselmi) distrutto a Caporetto e 21° dalla disciolta 5a brigata (che nel 1918 sarà ricostituita col 5° e col 19° reggimento)

 

a dar man forte allo schieramento italiano in quei giorni i Francesi e gli Inglesi

Lo svolgimento dei fatti:
3 dicembre 1917 la situazione meteorologica era nuovamente peggiorata, ma ugualmente la sera si iniziò il tiro dell' artiglieria imperiale, procrastinando l'attacco delle fanterie al mattino del 4 quando l'attacco austriaco contro le Melette fu rapido e violento. Cedono in rapida successione i presidi italiani della Meletta di Gallio, del Tondarecar, del Badenecche, dello Spil e alla fine del Castelgomberto.
5 dicembre 1917
Isolati reparti italiani resistono in Val Miela, sullo Zomo e sulle pendici della Meletta di Foza allo scopo di consentire la ritirata della 29ª divisione in evidente difficoltà. Le artiglierie italiane del Sasso Rosso e dei roccioni di S. Francesco vengono travolte e il personale riesce a malapena a salvarsi dopo aver fatto precipitare i pezzi nel burrone. Tutta la linea italiana ripiega disordinatamente e la 29ª divisione in particolare rischia il completo accerchiamento. Per impedire la discesa delle truppe austriache in Valstagna, alle spalle delle difese italiane del Brenta (e del Grappa), il gen. Andrea Graziani organizza una estemporanea quanto efficace difesa con i resti di reparti alpini e bersaglieri sul fondo della Val Vecchia.
 

Gen. Luigi Segato: La perdita delle Melette fu certamente dolorosa, però questo importante caposaldo ormai aveva soddisfatto a un importante compito: quello di far logorare, per la sua conquista, le migliori divisioni dell’avversario e quello di coprire le linee retrostanti che nel frattempo poterono venire solidamente organizzate a difesa.

6 dicembre 1917
Combattimento sulle linee arretrate del Sisemol:. Sulla cima c'era una ridotta circolare detta "L'anello del Sisemol" (ora corrispondente a una strada), su quota 1242, circondato da ordini di reticolati disordinati e poco funzionali (ostacolarono anche i difensori). La 4ª Brig. Bers. (col. Piola Caselli) schiera tra Valbella e Sisemol il 5º reggimento Bersaglieri (btg. 14, 24 e 46°), sul Sisemol il 14º (btg. 40 e 54 sulla cima e sulla ridotta, 61 sino a Bertigo) in riserva il 20º (btg. 71, 72, tra Bertigo e i rovesci E-N-E del Sisemol). La forza della brigata è ridotta per la recente ricostituzione post Caporetto. L'attacco parte ad ondate poco dopo le 13. Alle 14.45 la linea cede a Roncalto Perk tra la destra del 50º btg. e la sinistra del 14º bersaglieri. Alle 16 gli austriaci investono l'anello da N-N-E. Perdite italiane fra morti e dispersi (prigionieri?) 69 uff. e 2456 truppa su un totale di 86 uff. e 3000 soldati. Gli austriaci riferirono di 1060 prigionieri. Dopo che le truppe austriache hanno occupato definitivamente M. Miela cede anche il M. Sisemol, nonostante la resistenza dei bersaglieri. In seguito a quanto accaduto gli italiani abbandonano le posizioni arretrate di Stenfle ritirandosi definitivamente su una linea posta più a sud, Echar, Valbella e Col del Rosso. In totale si sono persi in quei giorni sull’altopiano 700 ufficiali, 18.000 soldati (di cui 14.000 prigionieri). Perduti anche 81 pezzi, più di 200 mitragliatrici, 400 bombarde, materiali e depositi di carburante di Foza in fiamme (che brucia anche il paese). La situazione non è difficile è disperata.
 

Non era esattamente così perché le linee successive cedettero fino alla fine dell’anno e solo con la fine di gennaio del '18 si pose mano alla loro riconquista, passando dalla condizione di passività a quella di reazione. 

Caviglia: “Dopo tutto, la linea delle Melette e del Castelgomberto aveva reso un grande servizio, contenendo sugli Altipiani l’offensiva di Conrad per oltre un mese”.  Era stato l’imperatore stesso, Carlo I (ora Beato) il 22 novembre a dare lo stop al massacro dei suoi per prendere quelle maledette posizioni.

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