VITTORIO EMANUELE DABORMIDA

 


Nato a Torino il 22 novembre 1842 da Giuseppe, allora T. Colonnello dell’artiglieria, successivamente ministro alla Guerra poi agli Esteri, e Angelica de Negry della Niella, il 29 agosto del 1859 entrò come allievo nella Reale Accademia di Torino, uscendone il 15 dic. 1861 col grado di sottotenente d’artiglieria. Il 2 marzo 1862 entrò nello S.M.d'arma, per passare, il 30 marzo 1863, nel 5° reggimento d’artiglieria, dove fu promosso luogotenente il 31 dicembre. Il D. prese parte alla terza guerra d’indipendenza, al comando di una colonna di munizioni. Il 24 Ott. 1866 passò al corpo di S.M. e nel novembre del 1867 entrò, con gli altri tenenti dello S.M., nella Scuola di guerra appena inaugurata. Terminato il corso biennale, divenne, il 28 Ott. 1870, insegnante di storia militare nella stessa scuola, restandovi fino all’agosto del 1876. Testimonianza di questa sua attività è il “Sunto di lezioni sullo svolgimento storico dell’arte della guerra prima della rivoluzione francese (Torino 1874). Nel frattempo, il 26 marzo 1868, era stato promosso capitano nel C.S.M.. Furono anni fecondi per la sua attività di scrittore. Nel 1876 a Torino stampava “Vincenzo Gioberti e il generale Dabormida (padre). Documenti.... fu spinto a quest’opera, come spiega nell’introduzione, dal libro di B.E. Maineri, "Piemonte nel 1850-51-52. Lettere di Vincenzo Gioberti e Giorgio Pallavicino (Milano 1875), che riportava alla ribalta le accuse scagliate nel 1857 da Gioberti contro suo padre.

Il 30 maggio 1878, promosso maggiore, D. passava all’arma di fanteria. Nello stesso anno pubblicava, a Torino, la prima sua opera d'argomento militare di un certo rilievo "La difesa della nostra frontiera occidentale in relazione agli ordinamenti militari odierni". La tradizionale alleanza con la Francia s'era ormai sfaldata. Si andavano profilando, o erano già sorte, numerose ragioni di attrito, mentre la possibilità di un’alleanza con la Germania e l’Austria appariva lontana. Oggetto dello studio era la possibilità di una guerra contro la Francia, che l’Italia avrebbe corso il rischio di affrontare da sola. Il D. si inseriva in un dibattito in corso nelle sfere dirigenti politiche e militari. Sulla base dell’esperienza dell’epoca napoleonica tendeva a prevalere l’opinione che le Alpi fossero un terreno di difesa trascurabile, e che in caso di guerra tutti gli sforzi dovessero concentrarsi esclusivamente nella pianura padana. Il D. sosteneva invece che l’arco alpino non era soltanto un ostacolo ritardatore contro un’eventuale aggressione che procedesse dai valichi della frontiera, ma un’importante base per impostare una lunga ed ostinata difesa ed una vigorosa controffensiva. Presupponendo un attacco da parte della Francia e considerando la reale superiorità delle forze nemiche rispetto a quelle italiane, sosteneva la necessità di concentrare le operazioni proprio nel massiccio alpino per impedire all’avversario di raggiungere la pianura, dove sarebbe prevalso senza difficoltà. In zona di montagna la lotta avrebbe potuto raggiungere un equilibrio tra le forze: le difficoltà del terreno avrebbero costretto l’esercito francese a marciare in piccole colonne separate e la difesa avrebbe potuto operare con la massa di tutte le sue forze riunite contro singoli contingenti nemici, prima che questi fossero riusciti a riunirsi nella pianura. La natura del terreno era favorevole a questa operazione, in quanto non permetteva ai Francesi di attaccare su un numero eccessivo di punti. L’esercito italiano avrebbe dovuto far fronte a tre masse principali.

1) a quella proveniente dalle due valli che sboccano a Pinerolo ed Avigliana
2) a quella proveniente da1la Val di Stura e Vermagnano
3) ed infine a quella proveniente dalla Valle del Tanaro, della Bormida e dell’Erro.
Il D. passava poi in rassegna i vari Settori delle Alpi occidentali, e considerava le varie probabilità d’invasione e le varie possibilità difensive ed offensive nei singoli punti. Seguì uno studio sull’"Ordinamento militare delle popolazioni alpine", pubblicato nel I878 nella Riv. Militare Italiana. (XXIII, pp. 165-97, 237-62).

Il 4 ago. 1879, come professore titolare, riprese l’attività didattica alla Scuola di guerra, fino al luglio 1880. Frattanto, sin dal 20 maggio, aveva ripreso il servizio presso lo S.M.; nel novembre del 1881 diveniva segretario dell’ufficio del C.S.M. generale Cosenz, carica che ricoprì sino al giungo del 1887. Il 19 luglio 1883 era promosso tenente colonnello; il 6 giugno 1887 passava a un comando operativo, nel 3° reggimento con gli assegni di colonnello, grado a cui fu promosso l’8 apr. 1888. Il 30marzo 1890, infine, con lo stesso grado fu addetto al comando del C.S.M.. Usciva nel 1891 a Roma lo studio su "La battaglia dell’Assietta": la sua origine risaliva ad una conferenza commemorativa, affidatagli quando ancora insegnava alla Scuola di guerra, in occasione di un’escursione degli allievi ai luoghi della battaglia. Premessa una esposizione dell’organizzazione dell’esercito piemontese nel XVIII sec., il D. ne esaminava la situazione specifica nel 1747, poco prima cioè della battaglia. Dopo un esame delle condizioni politiche e militari che spinsero i Piemontesi a partecipare alla guerra di successione austriaca, alleati agli Asburgo contro i Franco-spagnoli, descriveva i movimenti di questi ultimi verso il Monginevro e le difficoltà di difesa dei Piemontesi. Esse erano aumentate, oltre che dalla preponderanza dei nemici, anche dalla diffidenza nutrita dagli Austriaci verso i loro alleati e dagli scarsi rinforzi da essi inviati al piccolo esercito sabaudo. Inoltre, la sommossa popolare di Genova del 1747, che aveva costretto gli Austriaci ad abbandonare la città perdendo un importante punto strategico, aveva reso ancor più vulnerabile la posizione di Carlo Emanuele III. Questi, infatti, si vide costretto a difendersi anche dalla parte della costa ligure, oltre che da quella delle Alpi. La battaglia fu un esempio della decisione strategica del re Carlo Emanuele: l’altopiano dell’Assietta, situato fra i forti di Exilles e di Fenestrelle, era uno dei punti di maggior importanza per un’ultima difesa. Il tono encomiastico nei confronti di Carlo Emanuele III e dell’esercito piemontese non sminuisce la serietà e lo spirito critico dell’opera. Promosso maggiore generale il 4 luglio 1895, il D. passò al comando della brigata Cagliari. Il generale Vittorio Emanuele Dabormida chiese ed ottenne di partire per l'Eritrea. Qui giunto era favorevole all'attacco, secondo i principi e le dottrine che andava insegnando, dottrine esasperatamente offensivistiche che in quegli anni permeavano i circoli militari. Queste dottrine comportavano un tendenziale profondo disprezzo verso le capacità dell'esercito nemico e sovrastimavano la potenza di fuoco e l'utilità dei nostri 56 cannoni. Non a caso, occorre evidenziare come molti testimoni abbiano raccontato che Dabormida fosse solito ripetere la frase in dialetto piemontese "ai butoma quatr' granate e l'è faita". Il 12 genn. 1896 parti quindi alla testa di una brigata di fanteria per l’Africa. Morirà il 1marzo 1896 nella battaglia di Adua. E’ rimasto sconosciuto il momento ed il luogo in cui il D. fu colpito a morte; si ricorda l’energia e la decisione con cui ordinò l’ultimo assalto. Da Istituto Enciclopedia Italiana dizionario biografico degli Italiani

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