SPECIALE |
CAMILLO BENSO CAVOUR Il regista dell’Unità d’Italia fra agricoltura e politica: ritratto inedito e poco conformista |
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"Sono figlio della libertà e a lei devo tutto ciò che sono."
L’agricoltore "affarista" 1a parte |
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L'umanità è diretta verso due scopi, l'uno politico, l'altro economico. Nell'ordine politico essa tende a modificare le proprie istituzioni in modo da chiamare un sempre maggior numero di cittadini alla partecipazione al potere politico. Nell'ordine economico essa mira evidentemente al miglioramento delle classi inferiori, ed a un miglior riparto dei prodotti della terra e dei capitali. (da Discorsi parlamentari - C. Cavour) |
Camillo Benso “Conte” di Cavour era nato a Torino il 10 agosto 1810 da antica famiglia nobiliare risalente, al titolo di marchese, al feudo di Cavour dato per soldi da Carlo Emanuele II a Michele Antonio (1600-1655) già signore di Ponticelli (erano anche Conti di Albugnano, Baldissero, Isolabella, Montanera, Pino Torinese, Castelvecchio e Pralormo). Il padre di Camillo, Marchese Michele Giuseppe Antonio (1781-1850), era stato Capitano di S.M. alla Corte del Principe Camillo Borghese (Roma 1775 - Firenze 1832) marito di Paolina Bonaparte duchessa di Guastalla, quindi ufficiale e Barone dell’Impero Napoleonico (Governatore del Piemonte). Nel 1833 il padre di Camillo, venne nominato sindaco di Torino e, dal 1835 al 1847, divenne Vicario di Polizia. Nel 1805 il marchese di Cavour, aveva sposato Adele de Sellon, calvinista ginevrina convertitasi al cattolicesimo, ed avrà due figli Camillo (1810), in onore al principe Borghese e il primogenito, il solo autorizzato al titolo di Marchese, Gustavo (1806-1864) che avrà tre figli da Adelaide Lascaris di Ventimiglia: Augusto (morto ventenne sul campo di battaglia di Goito, nel 1848, nipote prediletto di Camillo, vedi stampa 2a parte), Giuseppina e Ainardo, VII e ultimo marchese, che morirà senza eredi. A Camillo Benso secondogenito venne, secondo le consuetudini, attribuito in sott'ordine il titolo "onorifico" di Conte. |
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Cavour aveva una nonna savoiarda di quella famiglia de Sales che aveva dato un San Francesco alla Chiesa Per i sudisti la figura di Cavour è molto diversa |
L’AFFARISTA Così qualcuno, anche recentemente, qualifica Cavour a similitudine d'un noto personaggio politico entrato nel lessico familiare come "il Cavaliere" (per qualche anno Presidente del Consiglio come lo fu lui). Le somiglianze però si fermano qui, perché il “Conte” era "ricco"di famiglia da generazioni, non aveva televisioni, non aveva la Brambilla e l’unica donna con cui dissero se la facesse era sposata (Anna Giustiniani Schiaffino). Naturalmente come secondogenito e di radicata famiglia piemontese la parola "ricchezza" assume aspetti e significati diversi da quanto oggi si pensa. Lui personalmente ambiva a diventare ricco facendosi da solo (complesso del Nord e del maggiorascato), ma la realtà era un po' diversa. L’"affarista" prendeva cantonate dovute a sue segrete e diverse passioni. Era giocatore d’azzardo, amava il gioco pesante al tavolo verde (Parigi 1837. "Un soir j’ai gagné soixante mille (60.000) francs, et j’en ai reperdu trente le lendemain" e la speculazione in borsa. (Fondò anche tre sodalizi, basati sulle sue passioni, il Circolo del Whist, l’Associazione agraria, e la Società nazionale). A Parigi, a trent'anni, basandosi su informazioni riservate (di donna) vinse 15.000 franchi in borsa (insider trading doc d'annata). Più tardi aveva ritentato il colpo: ne perse 45.000, esattamente come succedeva al gioco. Scrisse a suo padre chiedendo aiuto: « Il faut payer ou se bruler la cervelle » (o si paga o ci si brucia le cervella, nel senso che ci si spara). Il padre, come succede in questi casi, coprì i vizi del figlio. Sempre degli anni giovanili speculazioni sbagliate come una società di navigazione sul Rodano che non poté mai funzionare, una società di navigazione sul Lago Maggiore e altre imprese che costarono a lui e ai suoi accoliti montagne di denaro. Imparò così sulla propria pelle, a piegare la fortuna, a non avventarsi se non a ragion veduta, a trattenersi dai rischi troppo grossi. Solo un giocatore d’azzardo poteva comunque ardire, dopo Villafranca, di continuare la politica piemontese e condurre a termine l’impresa ormai disperata dell’unità nazionale. Puntare su Garibaldi e la spedizione dei Mille e chiedere a Vittorio Emanuele di invadere gli Stati Pontifici, lasciando scoperta l’Italia settentrionale ai cannoni austriaci !!!. era stato un grosso rischio. |
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http://www.brigantaggio.net/brigantaggio/Personaggi/Cavour01.htm |
MISERIA E NOBILTA’ | |
Economia politica della prima metà dell'800 http://www.torinoscienza.it/accademia/dossier/apri?obj_id=8501
bandiere degli stati italiani (ma non solo) rendono omaggio a quella austriaca, dopo il congresso di Vienna |
L’impero inglese fu fatto da uomini simili a lui, cadetti di grandi
famiglie (in bolletta) gettati per il mondo a caccia d'un nome, di fortune e terre. Visse negli appartamenti del secondo
piano, nel palazzo Cavour, quelli dal soffitto basso, dove erano vissuti i
vecchi zii scapoli e squattrinati della sua infanzia, mentre il fratello
maggiore si godeva gli appartamenti eleganti del primo piano. Camillo naturalmente
litigò con tutta la famiglia, per anni, finché la ricchezza
conquistata, il potere e la fama non lo placarono. In Piemonte
l’aristocrazia agraria era, ed è ancora al tempo, povera, dignitosa, al
servizio del re, di generazione in generazione, per il quale aveva
sacrificato, nelle lunghe guerre, patrimoni e figli. Abitavano in vaste
case disadorne, alla maniera del "Castello di Fratta di Ippolito Nievo".
Dove e come vivesse Cavour lo descrive il Guerrazzi: « Avendomi egli dato posta al suo palazzo andai, dove cominciando così per mio genio a considerare minutamente le scale, le trovai luride, e su pei muri grommose di un colore di ranno dopo fatta la lisciva; la porta di casa esternamente vidi ornata di portiera di bambagino rosso, che da noi in Toscana sogliono mettere alle baracche dove vendono il cocomero: dubitai avere sbagliato, ma no: egli era proprio il palazzo del Conte di Cavour. Aperto l’uscio entrai dentro una maniera di galleria ammirabile non mica per quadri, non per istatue, non per bassorilievi di queste cose nemmanco l’ombra, bensì di una doppia fila di scarpe e di stivali. Di qui fui intromesso in certa anticamera, e la meraviglia crebbe su le porte e pei muri notai talune figure colorate col sugo di regolizia, sedie vecchie e sciatte, armadioli unti e bisunti ad uso di riporre i lumi; e poi certe urne, che di sicuro dovevano essere avanzate al catafalco di qualche atavo del nobile conte... » « Ammesso nello studio, intantoché il conte terminava scrivere non so quale lettera, inventariai l’uomo. Egli vestiva un gabbano da camera sudicio, e mi parve ancor lacero, con uno straccio al collo, e in capo una papalina, logori entrambi e laidi; stavasene accoccolato su di una tavoluccia dove scriveva in furia con molto disagio; avanti questa tavola ne vidi un’altra più grande dove notai una tazza d’argento dono non mi ricordo di quale municipio o consorteria. La stanza parata di carta con alquanti specchi né più nè meno di qualunque sala di moderna osteria...» Luigi Barzini jr Epoca 30 aprile 1961 |
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L'obiettivo che Cavour si prefiggeva con la guerra di Crimea era la partecipazione del Piemonte alle trattative di pace per illustrare le penose condizioni di soggezione e vassallaggio in cui le popolazioni del Lombardo Veneto e dell'Italia meridionale erano tenute dagli Asburgo e dai Borboni. In una seduta suppletiva chiesta ed ottenuta, nonostante le proteste austriache, la questione italiana era posta come qualcosa di cui l'Europa progressista, che si contrapponeva al blocco reazionario Austro-Russo, doveva in qualche modo prima o poi occuparsi. Successivamente con gli accordi di Plombières si ipotizzava on una alleanza difensiva Italia e Francia e che l'Austria attaccasse il Piemonte. A guerra vinta la penisola insorta veniva così risistemata: Il Nord ricco e industriale, ad esclusione di alcune province, andava ai Savoia. Il centro con lo spazio del Papato ridotto a un piccolo Lazio a un cugino di Napoleone III. Il regno dei Borboni a un discendente dei Murat. Insieme si sarebbe costituita una federazione sotto l'ala francese o sotto l'ala piemontese a seconda di chi la giudicava. |
Cavour, a sinistra in piedi, alle trattative di pace seguite alla guerra di Crimea del 1854/55 |
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L’AGRICOLTORE Già lo potete chiamare come volete ma contadino agricoltore glielo dovete. Aveva abbandonato la carriera militare (Genio), non si esprimeva in italiano ma francese e, vista la mentalità dei contadini odierni, era decisamente intraprendente. Per riandare ai suoi tempi è necessario fare un piccolo excursus sulla economia italiana della prima metà dell’800 (approfondimento qui sotto e nella 2a parte) che era solamente agricola o agricola di trasformazione. Camillo aveva cominciato ad interessarsi di agricoltura quando suo padre, per le cariche che rivestiva, non poteva più occuparsene. Sul primogenito, Filosofo, non era il caso di fare affidamento (e pensare che adesso sono i filosofi a gestire la cosa pubblica). « Cela m'occupe, cela m'interesse jusqu'à un certain point, et cela m'aide à passer le temp - scriveva il conte a Paul-Emile Maurice qualche giorno dopo l'arrivo alla tenuta di Leri, nuova proprietà di famiglia nel vercellese. Ruffini dice della tenuta « Al centro di un latifondo di più che tremila giornate, intersecato solamente delle linee simmetriche dei canali e degli argini alberati, è un cascinale vasto, quadrato e tozzo. Qui tutto appartiene, non meno che la terra circostante, al padrone. Suoi i monumentali candidi buoi di razza piemontese, i fienili, i granai smisurati; sue le abitazioni dei contadini, le botteghe del falegname, del fabbro ferraio, del maniscalco, del carradore; sua la farmacia e la casa del medico; sua la chiesa parrocchiale e la canonica; suo perfino il cimitero. Poiché il latifondo è un piccolo mondo, che basta a se stesso in tutto. Ma il padrone non vi troneggia da nessuna torre dalla ostile merlatura; poiché egli non vi sta per godere o per prepotere, ma per lavorare e produrre, e non ha quindi bisogno di difendersi. Il padrone abita una casina appena decente, che dà con tutte le sue finestre e le sue porte direttamente sull’aia immensa, ove vivono, crescono, si moltiplicano, schiamazzano e ruzzano, alla rinfusa, uomini e buoi, pollame e ragazzaglia. » « l'agriculture est la plus agréable et la plus convenable occupation dans ce siècle » diceva Camillo quando girava l’azienda a piedi con in testa un cappello di paglia. Già che non parlava italiano, sembrava uno di quei manager venuti da lontano a raddrizzare l’azienda nazionale qualche secolo dopo. Non ci crederete ma questi sono bilanci e conti economici dell’epoca che neanche le floride Fs hanno mai sfornato. http://www.valsesiascuole.it/crosior/1_vercellese/cavour_leri_bilanci.htm |
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Senso artistico ? “0”. diceva Guerrazzi che così lo descrive al suo primo incontro: ..>>>> |
Quando il padre lo fece nominare sindaco di Grinzane,
Cavour decise di imparare “un po’” d'italiano!!! e di inglese. L'italiano gli
usciva dalle labbra gallicamente (francese) smozzicato
( metterlo d’accordo col
dizionario sarebbe parso a tutti impresa impossibile
- scrisse malignamente Brofferio, suo avversario politico anni
dopo ). E viaggiava: dalla Sorbona alle fiere
agricole inglesi, dal Belgio (dove incontra Gioberti) alla Germania. Il paese dove imparò
di più fu però l'Inghilterra dove vi aveva apprezzato le forti concimazioni d'ossa e
guano del Perù, le selezioni del bestiame e l'uso delle macchine in
agricoltura (L'Inghilterra all'inizio dell'800 era una nazione sottopopolata e molto lanciata nella rivoluzione industriale da anni). Questa sua vita intensa di giovane brillante e infaticabile
lo portò a conoscere (bene) tanti altri paesi più avanzati del suo Piemonte
e dell'arretrata Italia, che non conosceva e non ebbe occasione di
conoscere mai Non vide mai nè Roma né Venezia..
”Avendo io indole poco artistica, sono persuaso che in mezzo ai più splendidi monumenti di Roma antica e di Roma moderna io rimpiangerò le severe e poco poetiche vie della mia terra natale” “Je me suis decouvert un sens que je ne me savais pas posséder, celui de l’art”, disse con stupefazione agli intimi a Firenze. ....“È questi l’uomo che ha da comprendere l’Italia? Sarà... Che il conte di Cavour possedesse ingegno di certo non nego. Impugno avesse capacità di ministro italico... Egli non chiamò mai le Grazie a spruzzarlo con la loro acqua lustrale. Chi non ha senso d’arte non può intendere l’Italia”. |
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Tratto riassunto e ispirato da T. Detti- G. Gozzini "Storia contemporanea - l'Ottocento Bruno Mondadori ed... | ||
. - La I guerra di indipendenza era finita male ma dopo
l’armistizio bisognava firmare la pace e questo con un nuovo Re
costituzionale era di competenza del parlamento. Parlamento subalpino
che non era d’accordo tanto che il Re lo sciolse e chiaramente disse di
votarne uno favorevole alla chiusura dei sospesi e di guardare
avanti. Il nuovo ebbe così una salda maggioranza moderata,
che nel 1850, Primo Ministro D'Azeglio, ratificò il trattato di pace. .. Nell'ambito
del rafforzamento del neo varato regime costituzionale piemontese fu
particolarmente significativa la crescita di ruolo e di importanza del
parlamento come organo di controllo sul governo, a fronte del fatto che
lo stesso statuto prevedeva che i governi fossero responsabili solo di
fronte al re e non al parlamento. L’artefice di questa politica
riformatrice fu il moderato Camillo Benso di Cavour. Cavour fondò il
giornale "Il Risorgimento" nel 1847 e da queste colonne sostenne la
rivendicazione dello statuto e la guerra antiaustriaca. Eletto nel primo
parlamento subalpino, divenne ministro dell'Agricoltura (1850) nel
governo D'Azeglio e sostenne le leggi Siccardi sulle
manomorte
e sul foro ecclesiastico*
(vedi meglio in biografia d'Azeglio
sotto RISORGIMENTO in questa stessa sezione)
da una posizione di "centro-destra". Con una
serie di trattati commerciali Cavour impresse una svolta libero scambista
alla politica economica piemontese, ammodernò il sistema creditizio (la
Banca Nazionale), dette impulso all'istruzione popolare e riformò
l'amministrazione dello stato favorendo l'ascesa di un moderno ceto
borghese, e ad esso si accompagnò lo svecchiamento della burocrazia e di
tutti gli altri organi dello stato. Per dare più solide basi alla sua
politica, nel 1852 Cavour scavalcò D'Azeglio e si alleò con il gruppo
democratico isolando sia la destra conservatrice sia la sinistra
"ultra" democratica. Il "connubio" (così fu detta quella operazione) fruttò a
Cavour una vasta maggioranza parlamentare e lo portò nel novembre di
quello stesso anno alla guida del governo. La politica economica del
nuovo ministero sviluppò sensibilmente le basi produttive, grazie alla
funzione di stimolo svolta da un impegnativo programma di opere
pubbliche sostenute dall'intervento dello stato, riportandone in deficit il
bilancio e facendo salire in misura considerevole il debito pubblico. La
costruzione di canali favorì il rinnovamento dell'agricoltura, mentre il
forte impulso dato alle ferrovie sostenne la crescita dell'industria
meccanica e siderurgica, dislocata in Liguria.
Il foro ecclesiastico come detto sottraeva al giudizio civile e penale i religiosi macchiatisi di reati anche gravi sia nei confronti dei cittadini (e dello Stato) che di altri appartenenti al clero. La legge Siccardi toglie alla Chiesa l'autonomia giurisdizione e quindi il riconoscimento di essere “Stato nello Stato” con sue leggi e ordinamenti. |
Le diverse "Italie"
ottocentesche ereditate da Cavour LEGGE SICCARDI |
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*La manomorta era un istituto
giuridico di origine longobarda !!, che determinava un possesso
inalienabile (cioè non trasmissibile ad altri) di una massa di beni
solitamente fondiari. La manomorta ecclesiastica fu favorita dalle
numerose donazioni accumulate dalla Chiesa nel corso dei secoli: un
patrimonio ingente che nel 18° sec. (1700) fu contestato dal potere politico.
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(G.C.Abba-Noterelle
di uno dei Mille)
...a quei
tempi (1850/60), si avevano in Italia 269 tra Arcivescovati e Vescovati
pari a 1/3 delle sedi vescovili del mondo cattolico, cifra che si
stimava in 816 unità. La tabella seguente può illustrare al meglio il
numero degli ecclesiastici negli ex stati (post unità) italiani.
Roma da sola, ne contava 12.000. Roma, Napoli e Palermo insieme (città)
ne contavano complessivamente 30.000. in pratica un ecclesiastico ogni 140 persone, un vescovo ogni 100.000 |
Per comprendere quanto la proprietà immobiliare urbana ed extra urbana in mano al clero incidesse sulla realtà sociale dell’epoca, ci si permetta di raccontare ad esempio quanto, il 22 maggio 1860, G. Cesare Abba, allora poco più che ventenne, riportò nelle sue “Noterelle di uno dei Mille”. Egli racconta della conversazione che ebbe con un frate (Padre Carmelo) prima che iniziassero i combattimenti per l’assalto di Palermo. Il frate rivelò allo scrittore di essere “con tutto il cuore con i garibaldini” e che avrebbe voluto combattere con loro, ma che qualcosa gli impediva di farlo. Abba racconta che il frate aveva parlato con molti volontari e ad essi aveva chiesto perchè erano venuti a combattere contro i Borboni in Sicilia. Questi ultimi avevano risposto “per l’Unità d’Italia”: il frate allora fece presente che si aspettava qualcosa di più, insomma “voleva che il popolo fosse felice”. Il garibaldino, di rimando, affermò che il popolo avrebbe avuto “la libertà e le scuole”, il religioso rispose “e niente altro?”. Poi continuando “perché, mio giovane amico, la libertà non è pane e le scuole nemmeno. Queste son cose che basteranno per voi Piemontesi. Per il popolo siciliano, in stragrande maggioranza contadino e senza terra, non basta!”. Abba replicò dicendo “ma allora, che ci vorrebbe per i Siciliani?”. Pronto il frate disse “una guerra! Ma non contro i Borboni soltanto, ma degli oppressi contro gli oppressori, grandi e piccoli, che non sono soltanto alla Corte del Re delle due Sicilie, ma in ogni città, in ogni villaggio”. Abba soggiunse, con un filo di sarcasmo, “allora anche contro di voi frati che avete conventi, terre, case e campagne ovunque”, “certo" disse il frate "anche contro di noi, anzi prima di ogni altro”. | |
L'Italia degli ex |
Processo a Cavour | |
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«L'unità d'Italia?
una corbelleria: ma ogni tanto la storia fa delle corbellerie». Va in
onda in occasione dei 150 dell'unità nazionale una piece teatrale sul
personaggio dal titolo - Processo a Cavour - di Corrado Augias e
Giorgio Ruffolo |
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LA MALEDIZIONE DEI SAVOIA | |
Nel dicembre del 1854 don Bosco scrisse a Vittorio Emanuele II minacciandolo di "mali sopra mali" se non "ritirava" il progetto di legge Rattazzi sulla soppressione degli ordini religiosi. Venti giorni dopo, il 12 gennaio, morì a corte la regina madre, Maria Teresa, vedova di Carlo Alberto. Che era una donna pia e aveva appena inviato, a metà' novembre, un sussidio di 400 lire a don Bosco. Maria Teresa morì di polmonite a Torino, dov' era venuta da Moncalieri per assistere la regina Maria Adelaide, la sposa di Vittorio Emanuele, che aveva 33 anni e che morì il 20 gennaio 1855, pochi giorni dopo l' ottavo parto. Quello stesso mese di gennaio don Bosco scrisse di nuovo al re, annunciando un altro lutto e, a distanza di un mese, il 10 febbraio morì il fratello del re, Ferdinando, duca di Genova. Anche lui aveva 33 anni. L' inquietante gara tra le "lettere monitorie" di don Bosco e l' iter parlamentare del progetto Rattazzi non si fermò . Il terzo messaggio, con l' avviso di un nuovo lutto, il santo l' inviò in marzo e il 17 maggio morì il figlioletto del re Vittorio Emanuele, Leopoldo, che la povera Maria Adelaide aveva partorito a gennaio. La corte era ancora in lutto quando, il 29 maggio, finalmente il re firmava la "maledetta legge". Di "premonizioni di morte" sono piene le memorie e le biografie del santo che fondò gli oratori e la Congregazione salesiana. Un testimone della causa di beatificazione affermò che Giovanni Bosco "predisse quasi tutte le date di morte dei giovani dell' Oratorio". Le tre lettere inviate a corte sono perdute. Si dice che il re fosse superstizioso e, chissà , le avrà distrutte. Il loro contenuto era noto dal racconto che ne aveva fatto in privato lo stesso don Bosco. Accattoli Luigi (7 maggio 1992) - Corriere della Sera Pagina 17 | ||
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Nel 1855 Cavour decise, in deroga al principio "Libera Chiesa in libero Stato" di colpire (si disse per motivi d' interesse generale, economia e ordine pubblico), la struttura organizzativa della Chiesa che ostacolava secondo lui l’evoluzione in senso moderno ed europeo del Regno. Il progetto di legge prevedeva la soppressione dei soli ordini religiosi marginali, mendicanti e contemplativi, non caratterizzati, secondo la legge, da alcuna utilità sociale. La condanna di papa Pio IX si fece subito sentire in Parlamento dove la polemica fu capitanata da una singolare figura di vescovo-senatore, Luigi Nazari di Calabiana, capo della diocesi di Casale, il quale, coinvolse a sostegno delle tesi della destra conservatrice, attraverso la regina (prima che morisse), lo stesso Vittorio Emanuele II, mettendo in grave imbarazzo Cavour che si dimise (26 aprile 1855). I tentativi per arrivare a soluzioni diverse in Parlamento furono inutili: data la decisione mostrata dai deputati il Sovrano dovette richiamare Cavour per riaffidargli l’incarico di Presidente del Consiglio. Fu così che Cavour, battuta l’opposizione in Parlamento e le paure di Vittorio Emanuele II (la maledizione di Don Bosco vista sopra), varò la tanto osteggiata legge che portò alla soppressione di 334 conventi, che ospitavano più di 5000 frati. Ci furono proteste aizzate dal clero, e alcuni preti facinorosi, come si diceva allora, che avevano esortato dal pulpito i parrocchiani a disobbedire alle leggi furono ancora una volta arrestati e incarcerati. |