SPECIALE

CAMILLO BENSO CAVOUR  

Il regista dell’Unità d’Italia fra agricoltura e politica: ritratto inedito e poco conformista

"Sono figlio della libertà e a lei devo tutto ciò che sono."

 

L’agricoltore "affarista" 1a parte

     

L'umanità è diretta verso due scopi, l'uno politico, l'altro economico. Nell'ordine politico essa tende a modificare le proprie istituzioni in modo da chiamare un sempre maggior numero di cittadini alla partecipazione al potere politico. Nell'ordine economico essa mira evidentemente al miglioramento delle classi inferiori, ed a un miglior riparto dei prodotti della terra e dei capitali. (da Discorsi parlamentari - C. Cavour)

 

Camillo Benso “Conte” di Cavour era nato a Torino il 10 agosto 1810 da antica famiglia nobiliare risalente, al titolo di marchese, al feudo di Cavour dato per soldi da Carlo Emanuele II a Michele Antonio (1600-1655) già signore di Ponticelli (erano anche Conti di Albugnano, Baldissero, Isolabella, Montanera, Pino Torinese, Castelvecchio e Pralormo). Il padre di Camillo, Marchese Michele Giuseppe Antonio (1781-1850), era stato Capitano di S.M. alla Corte del Principe Camillo Borghese (Roma 1775 - Firenze 1832) marito di Paolina Bonaparte duchessa di Guastalla, quindi ufficiale e Barone dell’Impero Napoleonico (Governatore del Piemonte). Nel 1833 il padre di Camillo, venne nominato sindaco di Torino e, dal 1835 al 1847, divenne Vicario di Polizia. Nel 1805 il marchese di Cavour, aveva sposato Adele de Sellon, calvinista ginevrina convertitasi al cattolicesimo, ed avrà due figli Camillo (1810), in onore al principe Borghese e il primogenito, il solo autorizzato al titolo di Marchese, Gustavo (1806-1864) che avrà tre figli da Adelaide Lascaris di Ventimiglia: Augusto (morto ventenne sul campo di battaglia di Goito, nel 1848, nipote prediletto di Camillo, vedi stampa 2a parte), Giuseppina e Ainardo, VII e ultimo marchese, che morirà senza eredi. A Camillo Benso secondogenito venne, secondo le consuetudini, attribuito in sott'ordine il titolo "onorifico" di Conte. 

Cavour aveva una nonna savoiarda di quella famiglia de Sales che aveva dato un San Francesco alla Chiesa

Per i sudisti la figura di Cavour è molto diversa

  L’AFFARISTA
Così qualcuno, anche recentemente, qualifica Cavour a similitudine d'un noto personaggio politico entrato nel lessico familiare come "il Cavaliere" (per qualche anno Presidente del Consiglio come lo fu lui). Le somiglianze però si fermano qui, perché il “Conte” era "ricco"di famiglia da generazioni, non aveva televisioni, non aveva la Brambilla e l’unica donna con cui dissero se la facesse era sposata (Anna Giustiniani Schiaffino). Naturalmente come secondogenito e di radicata famiglia piemontese la parola "ricchezza" assume aspetti e significati diversi da quanto oggi si pensa. Lui personalmente ambiva a diventare ricco facendosi da solo (complesso del Nord e del maggiorascato), ma la realtà era un po' diversa. L’"affarista" prendeva cantonate dovute a sue segrete e diverse passioni. Era giocatore d’azzardo, amava il gioco pesante al tavolo verde (Parigi 1837. "Un soir j’ai gagné soixante mille (60.000) francs, et j’en ai reperdu trente le lendemain" e la speculazione in borsa. (Fondò anche tre sodalizi, basati sulle sue passioni, il Circolo del Whist, l’Associazione agraria, e la Società nazionale). A Parigi, a trent'anni, basandosi su informazioni riservate (di donna) vinse 15.000 franchi in borsa (insider trading doc d'annata). Più tardi aveva ritentato il colpo: ne perse 45.000, esattamente come succedeva al gioco. Scrisse a suo padre chiedendo aiuto: « Il faut payer ou se bruler la cervelle » (o si paga o ci si brucia le cervella, nel senso che ci si spara). Il padre, come succede in questi casi, coprì i vizi del figlio. Sempre degli anni giovanili  speculazioni sbagliate come una società di navigazione sul Rodano che non poté mai funzionare, una società di navigazione sul Lago Maggiore e altre imprese che costarono a lui e ai suoi accoliti montagne di denaro. Imparò così sulla propria pelle, a piegare la fortuna, a non avventarsi se non a ragion veduta, a trattenersi dai rischi troppo grossi. Solo un giocatore d’azzardo poteva comunque ardire, dopo Villafranca, di continuare la politica piemontese e condurre a termine l’impresa ormai disperata dell’unità nazionale. Puntare su Garibaldi e la spedizione dei Mille e chiedere a Vittorio Emanuele di invadere gli Stati Pontifici, lasciando scoperta l’Italia settentrionale ai cannoni austriaci !!!. era stato un grosso rischio.

http://www.brigantaggio.net/brigantaggio/Personaggi/Cavour01.htm

  MISERIA E NOBILTA’

Economia politica della prima metà dell'800 http://www.torinoscienza.it/accademia/dossier/apri?obj_id=8501

bandiere degli stati italiani (ma non solo) rendono omaggio a quella austriaca, dopo il congresso di Vienna

  L’impero inglese fu fatto da uomini simili a lui, cadetti di grandi famiglie (in bolletta) gettati per il mondo a caccia d'un nome, di fortune e terre. Visse negli appartamenti del secondo piano, nel palazzo Cavour, quelli dal soffitto basso, dove erano vissuti i vecchi zii scapoli e squattrinati della sua infanzia, mentre il fratello maggiore si godeva gli appartamenti eleganti del primo piano. Camillo naturalmente litigò con tutta la famiglia, per anni, finché la ricchezza conquistata, il potere e la fama non lo placarono. In Piemonte l’aristocrazia agraria era, ed è ancora al tempo, povera, dignitosa, al servizio del re, di generazione in generazione, per il quale aveva sacrificato, nelle lunghe guerre, patrimoni e figli. Abitavano in vaste case disadorne, alla maniera del "Castello di Fratta di Ippolito Nievo".

Dove e come vivesse Cavour lo descrive il Guerrazzi: « Avendomi egli dato posta al suo palazzo andai, dove cominciando così per mio genio a considerare minutamente le scale, le trovai luride, e su pei muri grommose di un colore di ranno dopo fatta la lisciva; la porta di casa esternamente vidi ornata di portiera di bambagino rosso, che da noi in Toscana sogliono mettere alle baracche dove vendono il cocomero: dubitai avere sbagliato, ma no: egli era proprio il palazzo del Conte di Cavour. Aperto l’uscio entrai dentro una maniera di galleria ammirabile non mica per quadri, non per istatue, non per bassorilievi di queste cose nemmanco l’ombra, bensì di una doppia fila di scarpe e di stivali. Di qui fui intromesso in certa anticamera, e la meraviglia crebbe su le porte e pei muri notai talune figure colorate col sugo di regolizia, sedie vecchie e sciatte, armadioli unti e bisunti ad uso di riporre i lumi; e poi certe urne, che di sicuro dovevano essere avanzate al catafalco di qualche atavo del nobile conte... » « Ammesso nello studio, intantoché il conte terminava scrivere non so quale lettera, inventariai l’uomo. Egli vestiva un gabbano da camera sudicio, e mi parve ancor lacero, con uno straccio al collo, e in capo una papalina, logori entrambi e laidi; stavasene accoccolato su di una tavoluccia dove scriveva in furia con molto disagio; avanti questa tavola ne vidi un’altra più grande dove notai una tazza d’argento dono non mi ricordo di quale municipio o consorteria. La stanza parata di carta con alquanti specchi né più nè meno di qualunque sala di moderna osteria...»  Luigi Barzini jr Epoca 30 aprile 1961

L'obiettivo che Cavour si prefiggeva con la guerra di Crimea era la partecipazione del Piemonte alle trattative di pace per illustrare le penose condizioni di soggezione e vassallaggio in cui le popolazioni del Lombardo Veneto e dell'Italia meridionale erano tenute dagli Asburgo e dai Borboni. In una seduta suppletiva chiesta ed ottenuta, nonostante le proteste austriache, la questione italiana era posta come qualcosa di cui l'Europa progressista, che si contrapponeva al blocco reazionario Austro-Russo, doveva in qualche modo prima o poi occuparsi. Successivamente con gli accordi di Plombières si ipotizzava on una alleanza difensiva Italia e Francia e che l'Austria attaccasse il Piemonte. A guerra vinta la penisola insorta veniva così risistemata: Il Nord ricco e industriale, ad esclusione di alcune province, andava ai Savoia. Il centro con lo spazio del Papato ridotto a un piccolo Lazio a un cugino di Napoleone III. Il regno dei Borboni a un discendente dei Murat. Insieme si sarebbe costituita una federazione sotto l'ala francese o sotto l'ala piemontese a seconda di chi la giudicava.

 

Cavour, a sinistra in piedi, alle trattative di pace seguite alla guerra di Crimea del 1854/55

 

Il padre

la madre

   
  L’AGRICOLTORE
Già lo potete chiamare come volete ma contadino agricoltore glielo dovete. Aveva abbandonato la carriera militare (Genio), non si esprimeva in italiano ma francese e, vista la mentalità dei contadini odierni, era decisamente intraprendente. Per riandare ai suoi tempi è necessario fare un piccolo excursus sulla economia italiana della prima metà dell’800 (approfondimento qui sotto e nella 2a parte) che era solamente agricola o agricola di trasformazione. Camillo aveva cominciato ad interessarsi di agricoltura quando suo padre, per le cariche che rivestiva, non poteva più occuparsene. Sul primogenito, Filosofo, non era il caso di fare affidamento (e pensare che adesso sono i filosofi a gestire la cosa pubblica). « Cela m'occupe, cela m'interesse jusqu'à un certain point, et cela m'aide à passer le temp - scriveva il conte a Paul-Emile Maurice qualche giorno dopo l'arrivo alla tenuta di Leri, nuova proprietà di famiglia nel vercellese.

Ruffini dice della tenuta « Al centro di un latifondo di più che tremila giornate, intersecato solamente delle linee simmetriche dei canali e degli argini alberati, è un cascinale vasto, quadrato e tozzo. Qui tutto appartiene, non meno che la terra circostante, al padrone. Suoi i monumentali candidi buoi di razza piemontese, i fienili, i granai smisurati; sue le abitazioni dei contadini, le botteghe del falegname, del fabbro ferraio, del maniscalco, del carradore; sua la farmacia e la casa del medico; sua la chiesa parrocchiale e la canonica; suo perfino il cimitero. Poiché il latifondo è un piccolo mondo, che basta a se stesso in tutto. Ma il padrone non vi troneggia da nessuna torre dalla ostile merlatura; poiché egli non vi sta per godere o per prepotere, ma per lavorare e produrre, e non ha quindi bisogno di difendersi. Il padrone abita una casina appena decente, che dà con tutte le sue finestre e le sue porte direttamente sull’aia immensa, ove vivono, crescono, si moltiplicano, schiamazzano e ruzzano, alla rinfusa, uomini e buoi, pollame e ragazzaglia. » « l'agriculture est la plus agréable et la plus convenable occupation dans ce siècle » diceva Camillo quando girava l’azienda a piedi con in testa un cappello di paglia. Già che non parlava italiano, sembrava uno di quei manager venuti da lontano a raddrizzare l’azienda nazionale qualche secolo dopo. Non ci crederete ma questi sono bilanci e conti economici dell’epoca che neanche le floride Fs hanno mai sfornato. http://www.valsesiascuole.it/crosior/1_vercellese/cavour_leri_bilanci.htm 

     

Senso artistico ? “0”. diceva Guerrazzi che così lo descrive al suo primo incontro: ..>>>>

  Quando il padre lo fece nominare sindaco di Grinzane, Cavour decise di imparare “un po’” d'italiano!!! e di inglese. L'italiano gli usciva dalle labbra gallicamente (francese) smozzicato ( metterlo d’accordo col dizionario sarebbe parso a tutti impresa impossibile - scrisse malignamente Brofferio, suo avversario politico anni dopo ). E viaggiava: dalla Sorbona alle fiere agricole inglesi, dal Belgio (dove incontra Gioberti) alla Germania. Il paese dove imparò di più fu però l'Inghilterra dove vi aveva apprezzato le forti concimazioni d'ossa e guano del Perù, le selezioni del bestiame e l'uso delle macchine in agricoltura (L'Inghilterra all'inizio dell'800 era una nazione sottopopolata e molto lanciata nella rivoluzione industriale da anni). Questa sua vita intensa di giovane brillante e infaticabile lo portò a conoscere (bene) tanti altri paesi più avanzati del suo Piemonte e dell'arretrata Italia, che non conosceva e non ebbe occasione di conoscere mai Non vide mai nè Roma né Venezia..

Avendo io indole poco artistica, sono persuaso che in mezzo ai più splendidi monumenti di Roma antica e di Roma moderna io rimpiangerò le severe e poco poetiche vie della mia terra natale”  “Je me suis decouvert un sens que je ne me savais pas posséder, celui de l’art”, disse con stupefazione agli intimi a Firenze.

....“È questi l’uomo che ha da comprendere l’Italia? Sarà... Che il conte di Cavour possedesse ingegno di certo non nego. Impugno avesse capacità di ministro italico... Egli non chiamò mai le Grazie a spruzzarlo con la loro acqua lustrale. Chi non ha senso d’arte non può intendere l’Italia”.

    Tratto riassunto e ispirato da T. Detti- G. Gozzini "Storia contemporanea - l'Ottocento Bruno Mondadori ed...
. - La I guerra di indipendenza era finita male ma dopo l’armistizio bisognava firmare la pace e questo con un nuovo Re costituzionale era di competenza del parlamento. Parlamento subalpino che non era d’accordo tanto che il Re lo sciolse e chiaramente disse di votarne uno favorevole alla chiusura dei sospesi e di guardare avanti. Il nuovo ebbe così una salda maggioranza moderata, che nel 1850, Primo Ministro D'Azeglio, ratificò il trattato di pace. .. Nell'ambito del rafforzamento del neo varato regime costituzionale piemontese fu particolarmente significativa la crescita di ruolo e di importanza del parlamento come organo di controllo sul governo, a fronte del fatto che lo stesso statuto prevedeva che i governi fossero responsabili solo di fronte al re e non al parlamento. L’artefice di questa politica riformatrice fu il moderato Camillo Benso di Cavour. Cavour fondò il giornale "Il Risorgimento" nel 1847 e da queste colonne sostenne la rivendicazione dello statuto e la guerra antiaustriaca. Eletto nel primo parlamento subalpino, divenne ministro dell'Agricoltura (1850) nel governo D'Azeglio e sostenne le leggi  Siccardi sulle manomorte e sul foro ecclesiastico* (vedi meglio in biografia d'Azeglio sotto RISORGIMENTO in questa stessa sezione)  da una posizione di "centro-destra". Con una serie di trattati commerciali Cavour impresse una svolta libero scambista alla politica economica piemontese, ammodernò il sistema creditizio (la Banca Nazionale), dette impulso all'istruzione popolare e riformò l'amministrazione dello stato favorendo l'ascesa di un moderno ceto borghese, e ad esso si accompagnò lo svecchiamento della burocrazia e di tutti gli altri organi dello stato. Per dare più solide basi alla sua politica, nel 1852 Cavour scavalcò D'Azeglio e si alleò con il gruppo democratico isolando sia la destra conservatrice sia la sinistra "ultra" democratica. Il "connubio" (così fu detta quella operazione) fruttò a Cavour una vasta maggioranza parlamentare e lo portò nel novembre di quello stesso anno alla guida del governo. La politica economica del nuovo ministero sviluppò sensibilmente le basi produttive, grazie alla funzione di stimolo svolta da un impegnativo programma di opere pubbliche sostenute dall'intervento dello stato, riportandone in deficit il bilancio e facendo salire in misura considerevole il debito pubblico. La costruzione di canali favorì il rinnovamento dell'agricoltura, mentre il forte impulso dato alle ferrovie sostenne la crescita dell'industria meccanica e siderurgica, dislocata in Liguria.

Il foro ecclesiastico come detto sottraeva al giudizio civile e penale i religiosi macchiatisi di reati anche gravi sia nei confronti dei cittadini (e dello Stato) che di altri appartenenti al clero. La legge Siccardi toglie alla Chiesa l'autonomia giurisdizione e quindi il riconoscimento di essere “Stato nello Stato” con sue leggi e ordinamenti.

 

Le diverse "Italie" ottocentesche ereditate da Cavour
Tra l'inizio del secolo e il 1861 la popolazione italiana passò da meno di 18 milioni a poco più di 25. Questo incremento era più basso però di quello medio europeo; perciò ridusse solo in parte la forbice tra l'Italia e il resto del continente, che nel corso del 700 era stata aperta da una crescita demografica a ritmi molto diversi: l'aumento della popolazione italiana non si realizzò inoltre nelle città, ma nelle campagne, e rispecchiò situazioni profondamente diversificate. Lo sviluppo fu infatti sensibile in Lombardia, nella Valle Padana e in parte in Toscana, più moderato nel resto della penisola. Da un punto di vista generale, in Italia la popolazione crebbe più lentamente rispetto ad altri paesi europei, perché la mortalità vi rimase a lungo molto elevata e fece ritardare l'inizio della transizione demografica di circa 50 anni. Nelle campagne gran parte della terra era in mano a un ristretto numero di grandi proprietari aristocratici (e in misura minore borghesi). Solo nelle zone irrigue della valle Padana si veniva sviluppando una moderna agricoltura mista, che integrava le colture cerealicole con l'allevamento del bestiame. Prime Locomotive RocketQuesto tipo di agricoltura si fondava su rapporti di produzione capitalistici, contrassegnati cioè dalla doppia presenza di un ceto di affittuari della terra che vi investivano ingenti capitali e di una manodopera salariata di braccianti senza terra. In parte dell'Emilia-Romagna e soprattutto in Toscana, in Umbria e nelle Marche dominava invece il contratto di "mezzadria". Vi prevaleva la grande proprietà (in Toscana il 42 % della superficie era in mano all'l % dei "possidenti"), ma questa era suddivisa in una miriade di "poderi", ciascuno dei quali coltivato da una famiglia di mezzadri, i cui prodotti venivano ripartiti a metà fra questa e il proprietario con una prevalenza di colture promiscue volte in larga misura all'autoconsumo che limitava gli scambi fra i diversi stati preunitari: ognuno di essi intratteneva rapporti commerciali più intensi con altri paesi europei, che con i propri vicini. Non esisteva cioè un mercato nazionale. Nel Mezzogiorno dominava infine un sistema semifeudale centrato sul latifondo: sterminati possessi nelle mani di una grande proprietà assenteista (nobiliare ed ecclesiastica) !!!, caratterizzati da un'agricoltura cerealicola estensiva ed estremamente arretrata (e soggetta agli usi civici). Spesso i braccianti, che costituivano il nerbo della popolazione rurale del meridione, erano anche affittuari o proprietari di un piccolissimo fondo. A differenza dei braccianti della Valle Padana, che erano stati sradicati dal loro tradizionale rapporto con la terra e vivevano del solo salario, per migliorare le loro poverissime condizioni di vita, i braccianti del sud continuavano perciò ad aspirare al possesso della terra. Lo sviluppo dei commerci, delle manifatture e delle industrie fu in generale contenuto e, ben oltre la metà del secolo, il 70% della popolazione italiana rimaneva dedito all' agricoltura. Non a caso le regioni più avanzate erano da questo punto di vista la Lombardia e il Piemonte, dove si concentrava anche il grosso della produzione tessile (seta, lana e cotone), meccanica e metallurgica. Fatta eccezione per alcuni centri manifatturieri nel Veneto, per un'arcaica industria mineraria in Toscana e per pochi poli produttivi sostenuti dallo stato nel regno delle Due Sicilie, nel resto della penisola si poteva trovare poco più di un diffuso artigianato e attività connesse con la pesca.

LEGGE SICCARDI

 

*La manomorta era un istituto giuridico di origine longobarda !!, che determinava un possesso inalienabile (cioè non trasmissibile ad altri) di una massa di beni solitamente fondiari. La manomorta ecclesiastica fu favorita dalle numerose donazioni accumulate dalla Chiesa nel corso dei secoli: un patrimonio ingente che nel 18° sec. (1700) fu contestato dal potere politico.
Nel Regno delle Due Sicilie, il ministro Tanucci varò tra il 1775 ed il 1780 diverse norme per eliminare i privilegi feudali. Furono introdotte tassazioni anche sulle donazioni e successioni ecclesiastiche, pur nel rispetto della funzione della Chiesa di scolarizzare i giovani e provvedere alle necessità dei contadini e dei poveri. Questo è lo sfondo su cui si muove il guardasigilli Giuseppe Siccardi quando propone su mandato del Governo D’Azeglio, le leggi che da lui presero nome (1850), subito approvate a gran maggioranza dalla Camera, malgrado le resistenze dei conservatori più legati alla Chiesa cattolica. Resistenze dovute soprattutto all'abolizione di tre grandi privilegi che il clero godeva nel Regno come il foro ecclesiastico, un tribunale che sottraeva alla giustizia laica gli uomini di Chiesa, il diritto di asilo, ovvero l'impunità giuridica di coloro che chiedevano rifugio nelle chiese, la manomorta e l'inalienabilità dei possedimenti ecclesiastici.

     
(G.C.Abba-Noterelle di uno dei Mille) 

...a quei tempi (1850/60), si avevano in Italia 269 tra Arcivescovati e Vescovati pari a 1/3 delle sedi vescovili del mondo cattolico, cifra che si stimava in 816 unità. La tabella seguente può illustrare al meglio il numero degli ecclesiastici negli ex stati (post unità) italiani. Roma da sola, ne contava 12.000. Roma, Napoli e Palermo insieme (città) ne contavano complessivamente 30.000. 
82.000 nel Napoletano e Sicilia
40.000 negli ex Stati Pontifici
31.900 nell’Italia Centrale
16.500 negli ex Stati Sardi
19.400 nel Lombardo-Veneto

in pratica un ecclesiastico ogni 140 persone, un vescovo ogni  100.000

  Per comprendere quanto la proprietà immobiliare urbana ed extra urbana in mano al clero incidesse sulla realtà sociale dell’epoca, ci si permetta di raccontare ad esempio quanto, il 22 maggio 1860, G. Cesare Abba, allora poco più che ventenne, riportò nelle sue “Noterelle di uno dei Mille”. Egli racconta della conversazione che ebbe con un frate (Padre Carmelo) prima che iniziassero i combattimenti per l’assalto di Palermo. Il frate rivelò allo scrittore di essere “con tutto il cuore con i garibaldini” e che avrebbe voluto combattere con loro, ma che qualcosa gli impediva di farlo. Abba racconta che il frate aveva parlato con molti volontari e ad essi aveva chiesto perchè erano venuti a combattere contro i Borboni in Sicilia. Questi ultimi avevano risposto “per l’Unità d’Italia”: il frate allora fece presente che si aspettava qualcosa di più, insomma “voleva che il popolo fosse felice”. Il garibaldino, di rimando, affermò che il popolo avrebbe avuto “la libertà e le scuole”, il religioso rispose “e niente altro?”. Poi continuando “perché, mio giovane amico, la libertà non è pane e le scuole nemmeno. Queste son cose che basteranno per voi Piemontesi. Per il popolo siciliano, in stragrande maggioranza contadino e senza terra, non basta!”. Abba replicò dicendo “ma allora, che ci vorrebbe per i Siciliani?”. Pronto il frate disse “una guerra! Ma non contro i Borboni soltanto, ma degli oppressi contro gli oppressori, grandi e piccoli, che non sono soltanto alla Corte del Re delle due Sicilie, ma in ogni città, in ogni villaggio”. Abba soggiunse, con un filo di sarcasmo, “allora anche contro di voi frati che avete conventi, terre, case e campagne ovunque”, “certo" disse il frate "anche contro di noi, anzi prima di ogni altro”.

L'Italia degli ex

  Processo a Cavour

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«L'unità d'Italia? una corbelleria: ma ogni tanto la storia fa delle corbellerie». Va in onda in occasione dei 150 dell'unità nazionale una piece teatrale sul personaggio dal titolo - Processo a Cavour - di Corrado Augias e Giorgio Ruffolo
con Gherardo Colombo - PM  / Ruggero Cara – Cavour / Martina Galletta – Italia
- Cosa furono le cinque giornate di Milano
- La questione meridionale ....
quei piccoli regni erano già allora esigui rispetto alle potenzialità del nascente capitalismo europeo. Lasciati a se stessi avrebbero finito per soffocare
- La questione romana - Aver sottratto Roma al Papa ... (
quando noi si prende Roma Cavour è morto da 9 anni: qualcuno avvisi gli autori). L’accusa concentra la sua requisitoria su tre punti (vedi sopra)…. Colombo sostiene che aver riunito alla corona sabauda un Mezzogiorno di cui si ignorava tutto, fu gesto sconsiderato e produce a testimonianza le lettere degli ufficiali piemontesi sorpresi dalle condizioni di vita di quelle genti, e i rapporti al Parlamento del Regno. Le accuse a Cavour sono pesanti, ma la sua difesa dispone di ottimi argomenti. I richiami sono alla storia culturale, alla lingua, alle aspirazioni profonde quanto meno delle élites , al sogno lungamente delineato fin dal XIII secolo con Dante, Guicciardini e poi Machiavelli. Lo spettacolo è insolito e ha il ritmo incalzante della requisitoria: un’ora e passa, e alla fine, inevitabilmente, la sospensione del giudizio. Scelta centrata: non dare risposte, piuttosto suggerire domande, sollevare interrogativi, stimolare una riflessione critica su uno dei temi più caldi del dibattito politico attuale: fare in modo che gli uomini, in Italia, abbiano uguali comportamenti etici. dalla
recensione di Fabiana Dallavalle copyright Messaggero veneto
La strana coppia: Giorgio Ruffolo era (un pò come gli ex o i post di sempre, ex o post Socialista Craxiano), ministro dell'ambiente in quota Psi quando nel '92 con "Mani Pulite" cadde Bettino Craxi. Ora è post comunista.
Gherardo Colombo, ora ex Magistrato, all'epoca "cacciatore" di socialisti, ha vinto recentemente una causa contro Vittorio Sgarbi (60.000 euro) per pareri espressi nel 1994, sui suicidi di mani pulite, nella veste di parlamentare. Slogan d’epoca "Colombo, Di Pietro: non tornate indietro!"
http://www.difesadellinformazione.com/ultime_notizie/57/condannato-sgarbi-diffamo-i-magistrati-del-pool-di-mani-pulite/

     

  LA MALEDIZIONE DEI SAVOIA
Nel dicembre del 1854 don Bosco scrisse a Vittorio Emanuele II minacciandolo di "mali sopra mali" se non "ritirava" il progetto di legge Rattazzi sulla soppressione degli ordini religiosi. Venti giorni dopo, il 12 gennaio, morì a corte la regina madre, Maria Teresa, vedova di Carlo Alberto. Che era una donna pia e aveva appena inviato, a metà' novembre, un sussidio di 400 lire a don Bosco. Maria Teresa morì di polmonite a Torino, dov' era venuta da Moncalieri per assistere la regina Maria Adelaide, la sposa di Vittorio Emanuele, che aveva 33 anni e che morì il 20 gennaio 1855, pochi giorni dopo l' ottavo parto. Quello stesso mese di gennaio don Bosco scrisse di nuovo al re, annunciando un altro lutto e, a distanza di un mese, il 10 febbraio morì il fratello del re, Ferdinando, duca di Genova. Anche lui aveva 33 anni. L' inquietante gara tra le "lettere monitorie" di don Bosco e l' iter parlamentare del progetto Rattazzi non si fermò . Il terzo messaggio, con l' avviso di un nuovo lutto, il santo l' inviò in marzo e il 17 maggio morì il figlioletto del re Vittorio Emanuele, Leopoldo, che la povera Maria Adelaide aveva partorito a gennaio. La corte era ancora in lutto quando, il 29 maggio, finalmente il re firmava la "maledetta legge". Di "premonizioni di morte" sono piene le memorie e le biografie del santo che fondò gli oratori e la Congregazione salesiana. Un testimone della causa di beatificazione affermò che Giovanni Bosco "predisse quasi tutte le date di morte dei giovani dell' Oratorio". Le tre lettere inviate a corte sono perdute. Si dice che il re fosse superstizioso e, chissà , le avrà distrutte. Il loro contenuto era noto dal racconto che ne aveva fatto in privato lo stesso don Bosco. Accattoli Luigi (7 maggio 1992) - Corriere della Sera Pagina 17
 

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colonna Siccardi da Mepiemont

  Nel 1855 Cavour decise, in deroga al principio "Libera Chiesa in libero Stato" di colpire (si disse per motivi d' interesse generale, economia e ordine pubblico), la struttura organizzativa della Chiesa che ostacolava secondo lui l’evoluzione in senso moderno ed europeo del Regno. Il progetto di legge prevedeva la soppressione dei soli ordini religiosi marginali, mendicanti e contemplativi, non caratterizzati, secondo la legge, da alcuna utilità sociale. La condanna di papa Pio IX si fece subito sentire in Parlamento dove la polemica fu capitanata da una singolare figura di vescovo-senatore, Luigi Nazari di Calabiana, capo della diocesi di Casale, il quale, coinvolse a sostegno delle tesi della destra conservatrice, attraverso la regina (prima che morisse), lo stesso Vittorio Emanuele II, mettendo in grave imbarazzo Cavour che si dimise (26 aprile 1855). I tentativi per arrivare a soluzioni diverse in Parlamento furono inutili: data la decisione mostrata dai deputati il Sovrano dovette richiamare Cavour per riaffidargli l’incarico di Presidente del Consiglio. Fu così che Cavour, battuta l’opposizione in Parlamento e le paure di Vittorio Emanuele II (la maledizione di Don Bosco vista sopra), varò la tanto osteggiata legge che portò alla soppressione di 334 conventi, che ospitavano più di 5000 frati. Ci furono proteste aizzate dal clero, e alcuni preti facinorosi, come si diceva allora, che avevano esortato dal pulpito i parrocchiani a disobbedire alle leggi furono ancora una volta arrestati e incarcerati.