GIUSEPPE EDOARDO ARIMONDI |
Nacque a Savigliano (Cuneo) da Pietro Francesco e da Barbara
Appiotti il 26 aprile 1846. Allievo nella Scuola militare Modena ne usci nel
1865 col grado di sottotenente dei bersaglieri e
partecipò alle campagne del 1866 e del 1870. Passato nel
1874 nel Corpo di Stato Maggiore e raggiunto il grado di maggiore, andò in
Eritrea nel 1887, quale addetto al corpo di spedizione comandato dal generale Asinari di San Marzano, e vi rimase fino all’anno 1890. Due anni più tardi fu
rinviato in colonia col grado di colonnello e posto al comando delle truppe colà
dislocate. Come tale il 21 dic. 1893 con abile manovra sconfisse ad Agordat dopo
un duro combattimento i Dervisci, che, guidati dall’emiro del Ghedareff, Ahmed
Alì, avevano invaso l’Eritrea con forze molto superiori e puntavano direttamente
su Massaua. Questa vittoria valse all’A. la promozione a maggior generale per
merito di guerra. Nel luglio 1894 prese parte alle operazioni che sotto la guida
del governatore, generale Baratieri, portarono alla conquista di Cassala e
durante la campagna svolta nel Tigrè agli inizi del 1895, si distinse nei
combattimenti di Coatit e Senafè. Con Baratieri Arimondi si trovò in contrasto
alcuni mesi più tardi, allorché si trattò di stabilire i criteri operativi da
adottare per fronteggiare le masse di armati che l’imperatore Menelik, per il
timore di una ulteriore espansione italiana verso Sud, andava centrando ai
confini del Tigrè specie dopo il fatto d’armi di Debra Ailà. L’urto tra il
comandante delle truppe e il governatore che non condivideva le idee del suo
subordinato circa la necessità d’assumere l’offensiva per disorganizzare i
preparativi dell’avversario, rifletteva da una parte la più generale incertezza
e contraddizione della politica coloniale italiana, dall’altra trovava origine
nel diverso temperamento dei due militari e nella loro incompatibilità. L’A. nel
corso del 1895 presentò due volte la richiesta di essere richiamato in patria ma
né il governo prima, né il Baratieri, poi ritennero inizialmente di dar corso
alla domanda. Solo il 10 novembre, a una terza richiesta dell’A. causata dal
rifiuto del governatore di consentire a una operazione nel Lasta, uscente dallo
schema difensivo, il Barattieri ne propose a Roma l’immediato accoglimento per
gravi motivi che però non precisò. Il Presidente del consiglio Crispi non volle
rendere più difficile la politica coloniale col ritiro del vincitore di Agordat
e lasciò l’A. al suo posto. Il dissidio tra i due generali rimase però latente e
riaffiorò ben presto ai primi di dicembre allorché l’A., interpretando secondo
le proprie idee gli ordini del governatore, lasciò inutilmente sacrificare sull’Amba
Alagi (7 dicembre) il maggiore Toselli e i suoi uomini in una lotta impari
contro un nemico enormemente superiore. Poco felice fu anche la successiva
decisione dell’A. di lasciare a Macallè le truppe del maggiore Galliano per
ritardare l’avanzata dell’esercito abissino, poiché esse furono costrette alla
resa dall’imperatore Menelik, che giunse cosi nel febbraio 1896 ad accamparsi
intorno ad Adua. Il giorno 28 nel corso di una riunione dei comandanti in
sottordine presso il Barattieri al fine di decidere dell’atteggiamento da tenere
nei confronti degli Abissini, l’A. sostenne calorosamente la tesi dell’immediata
offensiva appoggiato anche da altri suoi colleghi, cosicché il governatore, pur
non essendo intimamente convinto che fosse la decisione migliore, emanò le
disposizioni per marciare all’indomani sul nemico. Le forze italiane furono
ripartite in tre colonne e una di riserva. All’A. venne affidato il comando
della I Brigata Fanteria, formata da 5 battaglioni tra fanti e bersaglieri, da
una compagnia indigena e 2 batterie d’artiglieria, è assegnato il centro dello
schieramento. Messesi in marcia durante la notte, le truppe entrarono in
contatto con l’avversario al mattino del 1° marzo, ma le difficoltà del terreno
e la stragrande superiorità numerica degli Abissini fecero volgere a sfavore
degli Italiani le sorti della battaglia che si risolse in un vero disastro. La
brigata dell’A. fu sopraffatta sul monte Rajo ed egli stesso cadde ucciso verso
la fine del combattimento, forse mentre cercava di far eseguire l’ordine di
ripiegamento pervenutogli in quel momento. Alla memoria dell’A, fu concessa la
medaglia d’oro al V. M. Da Istituto Enciclopedia
Italiana dizionario biografico degli Italiani