La violenza in Spagna
e la Valle del los Caidos
Le Violenze repubblicane
Sempre Vittorio Messori da " Le cose della vita,
San Paolo, 1995, paq. 192 ss.
La violenza toccò il suo acme nei primi
mesi della rivolta (18 luglio – fine ottobre 1936), quando più prepotente
era la voglia di vendicare i massacri dell’Asturie nel 1934 e di porre fine
alle ingiustizie sociali, generate da secoli di sfruttamento, mentre massimo era
il caos interno per la defezione delle istituzioni pubbliche (burocrazia,
magistratura e forze di polizia), passate in gran parte ai ribelli. Le uccisioni
colpirono indiscriminatamente militari golpisti, ecclesiastici (circa 7.000),
falangisti, borghesi e grandi proprietari terrieri.
28 marzo 1939. Le truppe del generale Franco entrano in Madrid. Il 1° aprile 1939 termina la guerra civile. La persecuzione contro la Chiesa presenta un drammatico bilancio: 13 vescovi, 4.184 sacerdoti e seminaristi, 2365 religiosi, 283 suore e decine di migliaia di laici uccisi dai comunisti e dalle sinistre in odio alla fede.
Il 5 novembre 1936 il
nuovo governo, presieduto da Llargo Caballero, che contava tra i suoi componenti
4 ministri anarchici con García Oliver alla Giustizia, per mettere un
freno ai tanti tribunali del popolo che agivano al di fuori d’ogni legalità,
adottò due provvedimenti: la riorganizzazione dell’Esercito, per controllare
le milizie anarchiche, che amministravano in proprio la giustizia, e la
creazione dei Tribunali Popolari composti di tre magistrati di carriera e
14 giurati. Istituì inoltre il Servicio de Investigación Militar (SIM)
e i Tribunales de Espionaje y Alta Traición per debellare lo spionaggio ed il
sabotaggio e i Tribunali Permanenti dell’Esercito per giudicare i numerosi
disertori e renitenti alla leva. Dopo di che, le uccisioni sommarie diminuirono
drasticamente. García Oliver istituì numerosi campi di lavoro dove internare i
prigionieri fascisti, nei quali il trattamento era duro ma era vietata la
violenza fisica. Si pretendeva che il prigioniero lavorasse, e all’entrata dei campi era
posta la scritta:
"Lavora e non perderai la speranza". Come incentivo
alla fatica, la promessa che nove anni di lavoro ne valevano trenta di pena. Con
l’avanzare dei ribelli, i campi divennero mobili, cioè i prigionieri erano
aggregati alle truppe combattenti ed utilizzati a scavare trincee o costruire
fortificazioni.
Pietro Ramella Anpi
Le violenze dei franchisti
Paul Preston, nella biografia di Francisco
Franco, (Mondadori, 1995) mette in evidenza l'uso strategico del terrore da
parte delle truppe nazionaliste sin dall'inizio del conflitto, quando erano
formate in prevalenza da Regulares marocchini e Legionari del Tercio. Truppe
che, appena conquistata una città grande o piccola, procedevano
sistematicamente a massacrare i prigionieri: ufficiali e sottufficiali
dell’esercito o delle milizie, commissari politici, soldati semplici o
volontari stranieri delle Brigate Internazionali. Subito dopo entravano in
azione squadre di falangisti, borghesi, proprietari terrieri, di massima figli
di vittime dei repubblicani, che in preda ad una frenesia di vendetta,
infierivano sugli oppositori in particolare: insegnanti, sindacalisti, esponenti
e militanti dei partiti democratici, sindaci ed amministratori comunali e quanti
accusati di delitti contro la Chiesa. Nel febbraio 1937 il tenente colonnello
italiano Faldella esortò Franco ad imprimere un ritmo più celere alle
operazioni belliche ma egli dichiarò: "In una guerra civile la sistematica
occupazione del territorio nemico accompagnata dalla necessaria
"limpieza"
(pulizia cioè sterminio di tutti gli oppositori) è preferibile ad una rapida
disfatta degli eserciti avversari che lascerebbe il paese infestato di
nemici". Il Caudillo, poco prima della fine delle ostilità, per dare un
crisma di legalità alla resa dei conti che aveva in mente fece promulgare il 13
Febbraio 1939 la Legge sulle responsabilità politiche che istituiva Tribunali
per giudicare tutti gli atti di sovversione compiuti dal 1° ottobre 1934
(rivolta di Barcellona e delle Asturie) e i delitti di ribellione contro il
Movimento dal 1936. Dopo la fine della guerra, (1° aprile 1939) il nuovo
ordine, internò in almeno cinquanta campi di concentramento improvvisati, oltre
settecentomila soldati repubblicani. Secondo il Ministero della Giustizia furono
192.684 i giustiziati dall’aprile 1939 al giugno 1944; le sentenze capitali
erano eseguite dalla Guardia Civile, mentre le squadre della morte falangiste
nelle zone di recente occupate dai nazionalisti si scatenavano in paseos,
soprattutto di quanti erano stati assolti nei processi o erano sfuggiti alla
giustizia, oltre alle sopra citate violenze e saccheggi. Le notizie delle feroci
repressioni, italiani compresi, giunse anche a Roma, senza peraltro destare
eccessivo stupore. Dal 1943 le esecuzioni diminuirono e molte condanne a morte
furono commutate in trent’anni di carcere. Nel marzo del 1937, il governo di
Burgos aveva promulgato il decreto n. 281 in cui "concedeva il diritto al
lavoro ai prigionieri di guerra e ai detenuti per delitti non comuni".
Dall’inizio dell’anno seguente cominciarono ad operare i Batallones
Disciplinarios de Trabajadores (Batallones de Trabajo), poi Destacamentos
Penales. Nei quali, quanti erano in attesa di giudizio o erano stati condannati
a pene non gravi, erano utilizzati, come mano d'opera alla ricostruzione di città,
strade e ponti o ad innalzare il faraonico
mausoleo della Valle de los Caidos,
iniziato nel 1940 e terminato nel 1959. Dovettero passare molti anni prima che
la
Chiesa rivedesse le sue posizioni, infatti, non si può tacere la
partecipazione attiva del clero, che tentava con ogni mezzo, lusinghe e minacce,
di riportare a Dio queste anime perdute. Anche dopo aver espiato la pena ed
essere tornati alle loro case, il calvario di questi desafectos non era finito;erano
infatti soggetti ad una lunghissima serie di sanzioni e vessazioni:
obbligo di presentarsi ogni giorno alla Guardia Civil per sottoscrivere il
Registro delle presenze, confisca di denaro, immobili o attività, pesanti
multe, perdita dell’impiego, nessun diritto civile riconosciuto. Ad esempio,
nei Paesi Baschi su una popolazione di 1.325.000 persone, 929.630 subirono le
conseguenze della guerra, di cui 48.000 i morti, 50.000 i feriti gravi, 87.000 i
prigionieri, 150.000 gli esiliati e 596.000 i sancionados. A tal proposito alla
Catalogna (Barcellona) oggi viene riconosciuta una ampia autonomia, non così ai
paesi Baschi. Fino al 1969 (trent’anni dopo) la legge sulle Responsabilità
non fu abrogata.
La parola riconciliazione non fu mai pronunciata dal regime,
che tenne sempre viva la divisione delle Dos Españas, i vincitori avevano vinto
e governavano, ai vinti era consentito sopravvivere.
… Infine, definire screditata la concezione
che in Spagna vi fu una lotta tra fascismo ed antifascismo non mi sembra giusto;
i brigatisti infatti accorsero a difendere una Repubblica il cui governo era
stato legalmente eletto e che i generali golpisti insorsero per abbattere. Che
la democrazia, con il prosieguo della guerra, fosse da parte lealista limitata è
comprensibile, tenuto conto del tragico momento vissuto dalla Repubblica, che
aveva contro tutti, stati interventisti e stati cosiddetti neutrali. Che la
Spagna divenisse un satellite sovietico è molto improbabile, i futuri satelliti
furono tutti confinanti con l'Urss, che in quel preciso contesto storico teneva
molto di più ad un accordo con Francia ed Inghilterra in funzione antigermanica,
che ad espandere la sua ideologia in Europa occidentale.
L'ipotesi
che la vittoria di Franco abbia impedito alla Spagna di divenire comunista resta
da dimostrare, in quanto i seguaci di Stalin erano una minoranza (ancora nel
gennaio 1938 Togliatti segnalava al Comintern in duecentomila l'effettiva forza
numerica del Partito comunista spagnolo). Infatti, quando essi sostennero la
necessità di continuare la guerra dopo la caduta della Catalogna, i militari che
controllavano le province centrali si opposero ed appoggiarono il golpe del
colonnello Casado.
Gabriele Ranzato, il maggiore storico italiano della guerra di Spagna,
nell'introduzione a "L'eclissi della democrazia", ritenuto il libro italiano più
completo sul conflitto, a proposito dei rapporti tra l'Urss e la Spagna scrive:
"Nella seconda fase della guerra, quando la rivoluzione era stata ridimensionata
e la Repubblica per diversi mesi fu governata da una coalizione in cui i
democratici avevano una posizione di rilievo, l'astensione di Francia ed
Inghilterra da qualsiasi intervento che favorisse e incoraggiasse quella
componente politica a risolvere la guerra e a consolidarsi nel governo del
paese, fu, sotto il profilo della loro vocazione democratica, molto più
ingiustificata di quanto non fosse stata nella fase precedente. È vero che nella
Spagna repubblicana russi e comunisti continuarono ad avere un ruolo di
crescente importanza. Ma tutto ciò che ci è noto induce a credere che essi
sarebbero stati ben lieti di lasciare alle potenze democratiche libero il campo,
sia militare sia politico, solo se queste avessero voluto".
dalla recensione di Pietro Ramella al libro di DIMAS VAQUERO PELÁEZ- CREDERE, OBBEDIRE, COMBATTERE - Creer, obedecer, combatir ... y morir Argomenti della guerra civile spagnola - La partecipazione fascista alla guerra di Spagna - su "l'impegno", a. XXVII, n. 2, dic. 2007 © Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.
Pietro Ramella nasce a Castellamonte (To) il 22/1/1932. Laureato in Economia e Commercio (Univ. di Torino) lavora in banca fino a giugno 1991 poi, nello stesso anno, s’iscrive alla Facoltà di Scienze Politiche di Pavia, dove si laurea nel giugno 1995. Scrive sull’antifascismo e sulla Guerra di Spagna in tutti i suoi aspetti http://www.storia900bivc.it/ Alcune sue opere: I Lincolns, La partecipazione fascista alla guerra di Spagna, I reduci della guerra di Spagna nelle Forces françaises libres, Sul diario di "Aldo Morandi", La Centrale d’Eysses, Gli errori e la sconfitta della Repubblica spagnola nel 1936-39, Francesco Fausto Nitti, l’uomo che beffò Hitler e Mussolini, Aracne Ed. srl, Roma, 2007 e la "La Retirada", l'odissea di 500.000 repubblicani spagnoli esuli dopo la guerra civile (1939/1945), Editrice Lampi di Stampa, Milano, 2003
Gli errori ?
Le fogne sono state la causa di tutti i nostri mali. Le masse di questo paese
non sono come le vostre in America e neppure come quelle britanniche. Sono
bestie da soma. Non servono a nulla se non come schiavi e sono felici solo se
usate come schiavi. Ma noi, le persone decenti, abbiamo commesso l'errore di
dare loro case moderne nelle città dove abbiamo le nostre fabbriche. Queste
città le abbiamo dotate di fognature, fognature che si estendono fino ai
quartieri operai. Non soddisfatti dell'operato di Dio, noi ne ostacoliamo la
volontà. La conseguenza è che il numero degli schiavi aumenta. Se non ci fossero
fogne a Madrid, Barcellona e Bilbao, tutti questi capi dei rossi sarebbero morti
in fasce invece di aizzare la plebaglia a spargere sangue spagnolo, di quello
buono. Quando sarà finita la guerra, distruggeremo le fogne. Il miglior sistema
di controllo delle nascite per la Spagna è quello voluto da Dio. Le fogne sono
un lusso che va riservato a chi ne è degno, alla élite della Spagna, non alla
schiatta degli schiavi.
A Peter Kemp il conte confidò che i nazionalisti avevano commesso un errore
imperdonabile non fucilando tutti i lustrascarpe di Spagna. «Mio caro, è una
cosa logica! Un tizio che si accovaccia sulle ginocchia per lucidarti le scarpe
al caffè o per strada non può che essere comunista, e allora perché non
fucilarlo su due piedi e non pensarci più? Che bisogno c'è del processo? Il
mestiere che fa è la prova della sua colpevolezza.»