PLEZZO - L'ALTRA CAPORETTO

CADORNA - ha detto e fatto

Le magagne e i tic del grande condottiero

''I capi combattono per la vittoria, gli uomini per il loro capo" Tacito

"NELLA VITTORIA HO CREDUTO SEMPRE E SENZA ESITAZIONE. ESSA E' E SARA' IL PREMIO DEL POPOLO ITALIANO CHE, NELLA LUNGA PROVA, CONTRO TUTTE LE PREVISIONI DEI SUOI NEMICI INTERNI ED ESTERNI, HA CREDUTO CON EGUALE FEDE"

LA DISCIPLINA CADORNA FRA LE ALTE SFERE  

http://www.biblio-net.com/storia/il_fronte_italiano.htm  

Cesare De Simone (Colonnello) nel suo “L’Isonzo mormorava”: - “Nel marzo 1916 il mio comandante di divisione, al quale riferivo per telefono le ragioni per cui una operazione ordinatami non poteva riuscire e si sarebbe avuto un macello, osservò che di carne da macello da darmi ne aveva quanta poteva abbisognarmene; risposi che facevo il colonnello non il macellaio; s’interruppe il telefono: un ordine scritto mi ordinò l’onerosa operazione.”. Non c’è da stupirsi più di tanto. Lo stesso Cadorna osava ripetere ai suo generali:“le sole munizioni che non mi mancano sono gli uomini.”. .... esemplificativa anche la testimonianza del capitano Giorgio Oreffice:“E’ dal settembre [del 1915] che la linea non si vantaggia che di pochi metri. Mentre sono in trincea presso l’osservatorio arriva un giorno il Gen. Marchetti [comandante della 21° divisione] insieme col col. Asclepia Gandolfo del 9°Fanteria. Ed è al colonnello che gli mostra l’impossibilità di superare l’ostacolo dei reticolati, il Generale con una mentalità che non merita d’esser qualificata, di fronte ai soldati che ascoltano, risponde: - Superateli facendo materassi di cadaveri -.”.

LA PULIZIA CADORNA IN CADORE (NEL 1915)

(DALLE NOTE AL LIBRO DI DI MARTINO E CAPPELLANO “LA GRANDE GUERRA SUL FRONTE DOLOMITICO” Rossato ed.):

 

Gen. Giovanni Scrivante (comandante 10a Divisione) destituito in maggio, Saverio Nasalli Rocca 2° div. Pietro Marini (IX C.d.A) in giugno, Giacinto Sachero (Comando Artiglieria I C.d.A) e Ottavio Ragni (I C.d.A) in luglio, Diomede Saveri (l7a Divisione) in agosto, Alfonso Petitii di Roreto (la Divisione) in novembre, Donato Etna (17a Divisione di cui sotto poi parla bene) e Vittorio Carpi (l8a Divisione) in dicembre. In ottobre il comandante del IX C.d.A, tenente generale Luigi Segato, fu sostituito, ufficialmente per motivi di salute, dal generale Oscar Roffi. In realtà, ciò fu determinato da un rapporto di Segato al Comando Supremo in cui riferiva il deplorevole stato morale e disciplinare delle sue truppe. Presso il IX C.d.A, tra il 15 settembre ed il 30 ottobre 1915, fu esonerato il comandante dell’82° Fanteria, il comandante del 3° Bersaglieri fu destituito e deferito al tribunale militare, un comandante di battaglione del 60° Fanteria fu messo sotto inchiesta, il comandante del 59° Fanteria fu dichiarato non idoneo all’avanzamento, fu annullata la promozione di un tenente colonnello del 3° Bersaglieri ed il comandante della Br. Reggio ebbe due rimproveri scritti, mentre un altro fu inflitto al comandante della Br. Torino.!!!!
 Nessun ufficiale poteva ribellarsi agli ordini superiori. La disciplina era una delle regole ferree dell’esercito regio (come di tutti gli eserciti). Chiunque osava mettere in discussione le strategie militari di Cadorna, incappava nel suo siluramento. Non si salvarono generali di grosso spessore, come Giuseppe Venturi, il conquistatore del Sabotino e del Passo della Sentinella. Così il nipote, Paolo Caccia Dominioni, racconta il “siluramento” : “ […] In agosto comandava la 14° divisione, proprio a contatto della mia 4° e anche lui doveva attaccare Castagnevizza. Gli ordini erano per il solito attacco frontale. Lui si oppone, dice che non vuole massacrare migliaia di uomini per rispetto a una teoria quando è possibile, con un po’ di scaltrezza, sfruttare i fianchi del nemico. Succede un pandemonio: stavolta la protezione del cugino generale Porro [vice capo di S.M.]non ha salvato Venturi dal siluro di Cadorna.”.

“[…] anche il duca d’Aosta, per non essere da meno agli occhi del re [che lo teneva nelle sue grazie], concesse al colonnello Badoglio, per l’azione del Sabotino, la nomina a maggior generale. Ben altro meritava Badoglio, visto che il suo diretto superiore in quell’azione, il generale Giuseppe Venturi, lo voleva deferire alla corte marziale per aver abbandonato la testa della colonna a lui affidata, dopo la conquista del monte. Badoglio aveva l’ordine di proseguire l’avanzata verso San Valentino, invece se ne andò sostenendo che la sua missione era finita. Quando, quella sera stessa, Capello chiamò al telefono Venturi per ordinargli di proporre Badoglio all’avanzamento per meriti di guerra questi si rifiutò:- Dovrei denunciarlo – disse.- Va bene. Allora se non lo proponi tu lo proporrò io – fece Capello. Badoglio viene nominato comandante del XXVII corpo d’armata” (e fu così che ci avviammo verso Caporetto con l'accoppiata Capello Badoglio) Sempre De Simone:

 

CADORNA E I POLITICI
Dissidi personali si frapponevano da tempo tra il ministro della guerra Zuppelli e Cadorna, e successivamente col primo ministro Salandra (si dimetteranno entrambi). Cadorna per carattere non conferiva con nessuno, anzi era solito dire se " Se volete parlare con me, mettetevi in divisa e seguite la via gerarchica del rapporto". Il 1° giugno 1916 in piena crisi militare Salandra conferisce con Cadorna e deplora per l'ennesima volta la sua condotta (militare e politica). Il 10 giugno in parlamento, convinto di avere con se la maggioranza dei voti, denuncia la situazione e si trova sfiduciato sia dalla opposizione che dai suoi. L'incarico di formare il nuovo governo viene dato a Piero Boselli, il Presidente del Consiglio di Caporetto.

MAMBRETTI

CADORNA E IL GRAPPA    
Sulla vetta del monte Luigi Cadorna sostò a lungo pensoso. D’un tratto gli ufficiali che gli stavano attorno lo sentirono dire al colonnello del Fabbro, come alla fine di un duro ragionamento interiore: - Stia bene attento, colonnello: il Grappa deve riuscire imprendibile. Deve essere fortissimo da ogni parte, non soltanto verso occidente. Anzi, metta la maggior cura nel rafforzare più che può la fronte rivolta a nord. Perchè se, quod Deus avertat, dovesse avvenire qualche disgrazia sull’Isonzo, io qui verrò a piantarmi !!–  Il silenzio degli astanti, diventò enorme. Il generale tacque un momento, poi soggiunse: - Guardi bene. Laggiù l’altipiano di Asiago e le Melette: qui il Grappa: a destra il Monte Tomba e il Monfenera: poi il Montello e la Piave. Le ripeto, in caso di disgrazia questa è la linea che occuperemo. Poi fece un gesto risoluto, come per scacciare il destino. E il velo che si era squarciato sull’avvenire, senza che nessuno lo sapesse ricadde.  

Cadorna teorizzava due tipi di attacco, l'attacco brillante e quello lento: "Per attacco brillante si calcola quanti uomini la mitragliatrice può abbattere e si lancia all'attacco un numero di uomini superiore: qualcuno giungerà alla mitragliatrice […]. Per attacco lento si procede verso la mitragliatrice mediante camminamenti coperti, in modo da subire meno perdite finchè, giunti vicino, si assalta."

CADORNA E LA JELLA - Generale d’armata, Ettore Mambretti.    
Quando si parla di lui, si fanno gli scongiuri “E’ una persona tutt’altro che antipatica. Tutte le azioni alle quali ha preso parte sono andate male da Adua in poi”. A Adua erano in molti a cui era andata male, ma tantè prima o poi qualcuno viene insignito di simili influenze. Alcune infauste circostanze, come la mancanza di visibilità e la pioggia, avevano contribuito a far sì che quell’inizio di battaglia cominciasse per gli italiani con un gravissimo insuccesso. I comandi avevano deciso di ritentare. “Il tempo — scrisse Cadorna il 17 giugno — è bello e caldo. Domani M. ritenta l’operazione. Sull’Ortigara o si va oltre o si torma indietro. Speriamo che egli riesca anche a sfatare la deplorevole leggenda di jettatore che gli hanno appioppato. E’ una stupidaggine, lo so, ma in Italia compromette la reputazione e il prestigio. Figurati che, quando saltò prematuramente quella mina alla vigilia della fallita operazione, che uccise quasi tutti gli ufficiali di due battaglioni (120 fra soldati e ufficiali perdono la vita nella posizione detta della "Lunetta" di monte Zebio), che dovevano andare all’assalto, attribuirono la cosa alla sua jella”.. al termine dell’offensiva un mese più tardi “…La fama di M. cresce tutti i giorni — Ieri (13 luglio) l’ho telegrafato a Lello [il figlio Raffaele] e dice anche lui di non ricominciare perché, quando i soldati vedono M. fanno gli scongiuri ed ormai non può comparire in alcun luogo senza che i soldati si tocchino. Comunque sull’Ortigara ha fatto anche degli errori, pensando di assestarsi li”. Due giorni più tardi Mambretti fu destituito. Il 20 luglio 1917 viene comunque sciolta anche la 6ª armata.  

Il 7 novembre 1917 Cadorna lanciava il suo ultimo messaggio all'esercito

"Con indicibile dolore, per la suprema salvezza dell'esercito e della nazione, abbiamo dovuto abbandonare un lembo del sacro suolo della Patria, bagnato dal sangue glorificato dal più puro eroismo dei soldati d'Italia. Ma questa non è ora di rimpianti. È ora di dovere, di sacrificio, di azione. Nulla è perduto se lo spirito della riscossa è pronto, se la volontà non piega. Già una volta sul fronte trentino, l'Italia fu salvata dai difensori eroici che tennero alto il suo nome in faccia al mondo ed al nemico.

CADORNA E BRUSATI  

Abbiano quelli di oggi l'austera coscienza del grave e glorioso compito a loro affidato, sappia ogni comandante, sappia ogni soldato qual è questo sacro dovere: lottare, vincere, non retrocedere di un passo. Noi siamo inflessibilmente decisi: sulle nuove posizioni raggiunte, dal Piave allo Stelvio, si difende l'onore e la vita d'Italia. Sappia ogni combattente qual è il grido e il comando che viene dalla coscienza di tutto il popolo italiano: morire non ripiegare!".

"Troppo tardi - scrisse più tardi Volpe- Sul fronte orientale, gran parte delle nostre forze erano proiettate oltre Isonzo. Di qua dall'Isonzo, forze minime, almeno a portata di mano. E di queste forze d'oltre Isonzo, la parte di gran lunga maggiore era schierata dalla Bainsizza al mare, il resto, cioè poco più di 1 Corpo d'armata su 9, dalla Bainsizza a Plezzo. Guai se il nemico avesse attaccato al nord della Bainsizza e fosse riuscito lì a passare il fiume!

Cadorna ispeziona le linee della Valsugana il 1º maggio 1916. Circondato dagli ufficiali al seguito, nei locali della mensa della 15ª divisione, afferma con sicurezza di considerare i preparativi un bluff. Gli indizi si fanno poi tanto evidenti da non sottovalutare l’ipotesi di un attacco nel Trentino. L’Adige porta a valle alcune bottiglie con messaggi strani firmati da un patriota trentino. Annunciano che l’attacco è stato annullato, rinviato; le truppe tornano a casa. La stampa svizzera, filotedesca, propone una serie d'articoli che sottolineano l’errore di attaccare in un terreno difficile come il Trentino. Queste sono chiare manovre dei servizi segreti austriaci che tentano di confondere gli Italiani. Cadorna ora si convince. La sua ispezione lo ha fatto molto inquietare poiché le linee di massima resistenza sono poco attrezzate, malsicure e in qualche settore sepolte dalla neve. Teme un attacco nelle valli servite dalle ferrovie, Val Lagarina a sinistra e Valsugana a destra. Ora è sicuro dell’offensiva imminente, ma non sospetta affatto un attacco sui monti, tanto irraggiungibili sembrano massicci come il Pasubio e cima Portule sull’altopiano d'Asiago. Non sembra nemmeno credere che di fronte a Vicenza stanno schierandosi due armate nemiche. La condotta delle truppe italiane in Valsugana ha ora irritato il Capo. Una serie d'attacchi irragionevoli sulle alture tra Borgo Valsugana e Levico hanno logorato i soldati della 15ª divisione ed hanno spostato la prima linea in posizioni sfavorevoli alla difesa.  
Cadorna…"Queste disposizioni sollecitamente e bene attuate dal gen. Etna (che sarà sollevato dall'incarico un anno dopo a Carzano), comandante del C.d.A in Val Sugana, furono quelle che durante l'attacco austriaco permisero di arretrare con ordine la difesa alla linea principale di resistenza e d'infrangervi l'offensiva nemica. Anche in Val Lagarina ebbi a costatare analoghi inconvenienti. Ma, nel complesso, anche in questa valle, come in Val Sugana, si era perduto di vista il compito essenzialmente difensivo e la conseguente sistemazione da darsi alle forze ed ai mezzi. Qui, come altrove, l'azione offensiva non avrebbe dovuto servire che a migliorare le condizioni difensive; miglioramento che razionalmente doveva ritenersi ottenuto con l'occupazione del solco Loppio-Mori. Su questa linea bisognava arrestare ogni ulteriore progresso offensivo e basare tutto il problema difensivo sull'organizzazione delle posizioni del Cornale-Vignola-Altissimo, e del Coni Zugna tra Adige e Leno, quale linea principale di resistenza, ed ivi concentrarvi tutti i mezzi di difesa.".
Le linee italiane erano comunque così a ridosso degli Austriaci e dominate da non poter aver alcun margine di manovra in caso di attacco. Il capro espiatorio viene identificato nel generale Amari, comandante la 15ª divisione che viene destituito. Il gen. Cadorna, francamente adirato, decide di assegnare ad un nuovo corpo d’armata il settore Valsugana. La vittima più illustre della circostanza è il comandante la 1ª armata gen. Roberto Brusati. Il giorno 9 maggio 1916, egli viene avvicendato da Guglielmo Pecori Giraldi, vecchia gloria della campagna di Libia messa in pensione a riserva per errori: persona di brillante intelligenza pur se, come lui stesso soleva dire, corto di vista e del tutto sordo.
Così il supremo generale italiano commenta, in una lettera alla figlia Carla l’8 maggio 1916, la drastica decisione di sostituire Brusati:
[...] Ho dovuto prendere l’energica risoluzione di proporre la sostituzione del comandante la 1ª armata. Nei provvedimenti presi per far fronte ad un attacco austriaco in Trentino, ha mostrato la corda e si è rivelato nel suo vero valore. Teme le responsabilità, rigetta tutto sui comandanti di corpo d’armata, non ha mai forze che gli bastino, perde la serenità e la calma. É una cosa molto dolorosa di dover colpire dei vecchi amici e farsene dei nemici [...]
Brusati verrà riabilitato nel 1919.
 
     

Cadorna nelle sue memorie: "L'ordine di mobilitazione era stato emanato il 22 maggio e l'esercito non poteva essere in grado di operare con tutti i suoi mezzi che verso la metà di giugno; perciò l'ingente massa di truppe radunata presso la frontiera, era bensì capace di effettuare sorprese a non grande distanza sul territorio nemico, ma non di operazioni a fondo. Questa circostanza, troppo spesso dimenticata, deve essere tenuta ben presente da chi voglia giudicare delle operazioni del primo mese di guerra, da taluni appuntate di soverchia lentezza e metodismo," ma uno dei principali addebiti mossi da Cadorna a Nava, contenuto nella motivazione della sua destituzione, fu proprio il non aver agito, durante i primi 15 giorni delle operazioni con la dovuta prontezza ed energia, così da sfruttare la favorevole situazione, non eseguendo le specifiche direttive e gli ordini in tal senso emanati dal Comando Supremo !!!. "del senn di poi son pien le fosse" Si potrebbe dire.

- 18 settembre 1917 -

 

- Dal Romanzo -Cronache non ufficiali di due spie italiane – di Massimo Mongai

CADORNA VERSO CAPORETTO  

.... Gli uffici che si dovrebbero occupare delle informazioni, per renderne conto a Cadorna, sono non meno di tre, l‘Ufficio Situazione, l’Ufficio I e l’ufficio di Stato Maggiore. L’unica cosa certa però è che Cadorna non vuole essere disturbato ed ha messo il Col. Garruccio davanti alla sua porta per impedirlo: deve stare li per impedire con le buone o con le cattive a chicchessia di parlare con Lui, che dovrebbe essere il fulcro della raccolta, l’unico in grado di capire se una informazione è utile o no. Ma le informazioni una volta entrate nel suo ufficio non ne escono più, se non sotto forma di ordini da eseguire, senza spiegazioni. Garruccio è diventato la bestia nera di tutti gli ufficiali esperti di informazioni militari e di spionaggio. Da lui tutto arriva ma tutto li si ferma.

I segnali dell’offensiva si fanno sempre più minacciosi : CADORNA ordina ai comandi della III e della II Armata "di rinunciare alle progettate operazioni offensive e di concentrare ogni attività nelle predisposizioni per la difesa ad oltranza". L'ordine di Cadorna non riuscì gradito al generale CAPELLO, il quale era persuaso che "di fronte ad un'offensiva strategica in grande stile, nessun'altra manovra può dare risultati decisivi se non una corrispondente controffensiva strategica in grande stile, o meglio ancora una pronta offensiva che sorprenda il nemico in crisi di preparazione". E su questo punto rimase condividendo a parole la difesa. Così diceva ai sottoposti Per intanto, per quanto riguarda le forze a disposizione dei C.d.A, posso precisare che per le truppe che sono sull'altopiano di Bainsizza, il primo obiettivo è il raggiungimento dell'orlo dell'altopiano stesso sul Vallone di Chiapovano. Per II Corpo il raggiungimento della soglia di Ravnica; per il VI estendere l'occupazione sul S. Gabriele, specialmente ai lati e sopra tutto poi verso S. Caterina"; e terminava prescrivendo "essere necessario che tutto sia predisposto in modo che il meccanismo della difesa e della controffensiva, in pieno accordo tra fanteria, ed artiglieria, possa svolgersi automaticamente anche se il fuoco arrivasse a distruggere completamente ogni comunicazione" !!!.
L’artiglieria non viaggia come i soldati e se sopra una montagna l’hai spinta a braccia per giorni non puoi in urgenza gettarla di sotto. Così in termini semplificati si espresse Cadorna il 10 ottobre
… non rimanessero sull'altipiano della Bainsizza che i calibri più mobili diversamente da quanto prevedeva Capello …. conservare una congrua quantità d'artiglierie sulla sinistra dell'Isonzo"
Quel giorno (19/10) CAPELLO e CADORNA ebbero un incontro a Udine. Il generalissimo approvò pienamente il concetto di controffensiva tattica, basato sull'attanagliamento; ma disapprovò il concetto della grande controffensiva d'Armata. Anzi non avrebbe concesso un uomo al massimo qualche cannone !!!. Non pago del colloquio, il giorno dopo CADORNA confermava i suoi intendimenti con una lettera a Capello. Ormai il caos decisionale e comunicativo era giunto ai massimi livelli. Cadorna nominava i comandanti di Armata per fiducia e forse per capacità ma poi si asteneva di criticare apertamente l’operato sul terreno a lui si vede così poco congeniale.
Il 22 ottobre mattina, il generale CADORNA andò a Creda dal generale CAVACIOCCHI, (Capello era in clinica per attacco di Gotta) comandante del IV C.d.A, il quale, richiesto se le forze di cui disponeva fossero sufficienti, rispose negativamente. Il generalissimo lo rassicurò affermando "improbabile e, in ogni caso, non temibile un'offensiva austro-tedesca", ed assegnò per la difesa di Saga la 34a, divisione, composta della brigata "Foggia", che fu tolta al VII Corpo. Dei tre reggimenti della brigata il 280° fu mandato a Saga, il 281° e il 282° furono tenuti a Caporetto.
Nel pomeriggio del 23 CAPELLO riuniva a Cividale i dipendenti comandanti di C.d.A e i comandanti d'artiglieria e del genio d'Armata, esponeva loro i disegni del nemico, prospettava le gravissime conseguenze della riuscita di quei piani e sosteneva che, con i rinforzi concessi al IV e al XXVIII Corpo, con lo spostamento del VII dietro le ali interne dei due Corpi suddetti e con le altre riserve confidava che l'urto nemico sarebbe stato contenuto in modo da permettere alle riserve generali di manovrare.
 
   

CADORNA: IL GIALLO DEL 

CADORNA E IL COLPO DI STATO  
Nello scorrere delle vicende belliche e nei suoi personaggi qualcuno ha ravvisato ad un certo momento un’intenzione del Comandante Supremo (C.S.) Cadorna di disfarsi di un Governo a cui non riferiva e che faceva fatica a riconoscere. Ma questo senza il consenso o l'appoggio del Re ? Poi è questa la verità o al contrario era lui la vittima di un macabro disegno il cui parlarne già offende l’onore del Paese. Se gli altri paesi (amici e nemici) non avevano avuto problemi a cambiare il Comandante in capo perché noi li avevamo ? A cosa serve, si chiedeva qualcuno, il servizio “I” di informazioni?. A niente se non a cercare, come fece, di fare le scarpe a Cadorna. Qualcuno su queste teorie si è spinto a credere che ……

….. Visto il conflitto che sempre di più opponeva il C.S. al governo e, soprattutto, ai politici non interventisti, il Col. Giovanni Garruccio (responsabile del servizio informazioni dalla fine del 1915) ispirò una vasta campagna filocadoriana nel paese e sulla stampa. Dopo le prime constatazioni (e le prime disfatte vedi Strafexpedition, 1916) si avviò il progetto di riorganizzazione dei servizi informativi militari voluto da G. e concretatosi nel nuovo ordinamento espresso dalla circolare del 5 ott. 1916. In sostanza all’Ufficio “I” veniva affidata la raccolta delle informazioni relative al fronte interno e all’estero nonché i collegamenti con i centri esteri e gli uffici territoriali di Roma e di Milano. Urti e sovrapposizioni coi servizi d’armata non fecero altro che complicare il lavoro, già di per sé poco coordinato: a Garruccio si imputò anche di voler, in presenza di determinate notizie, acquisire la fonte estera delle informazioni delle armate che potevano andare incontro a una bruciatura.

C’è chi pensa che Cadorna potesse anche tentare prima o poi un colpo di stato vista la piega che prendeva il conflitto e la "divaricazione" che si era formata nel paese. Intanto, nel luglio 1917, l’Ufficio "I" era arrivato a prevedere la «preparazione di complotti insurrezionali» in alcune città d’Italia, fra cui Torino (si tratta forse della rivolta bolscevica del 21 agosto con circa 60 morti ? (ma non era poi così prevedibile). Il 13 agosto erano giunti (ma potevano anche non giungere) a Porta Susa due delegati del Soviet di S.Pietroburgo che così si rivolgono alla folla assiepata davanti alla Camera del Lavoro: «L’anima proletaria italiana ha coscienza internazionale, così come l’ha la grande massa dei lavoratori russi. La Russia rivoluzionaria muove ardita i suoi passi verso la grande mèta che deve fare di tutti i popoli una sola famiglia») soffiando sul fuoco dello scontro fra Cadorna da un lato e Boselli (Presidente del Consiglio) e V.E. Orlando dall’altro che avevano costituito un governo di più larghe intese per l'unità nazionale. Secondo il successore di Garruccio, O. Marchetti, fra la fine della primavera e l’estate 1917, Garruccio avrebbe tentato un riavvicinamento a esponenti politici i quali gli avrebbero chiesto (o promesso?) di organizzare un ufficio informazioni centrale politico-militare (l’ennesimo) collegato al governo; incarico che il G. (ora diventato anticadoriano ?) avrebbe accettato. Eravamo arrivati al “chi controlla Chi”. Probabilmente qualcuno che controllava G. riferì a Cadorna del piano. Ma a questo punto, G. si era esposto eccessivamente e Cadorna, il 1 settembre 1917, lo sostituì sperando di salvare il salvabile.

- Vittorino Tarolli Nordpress ed. Spionaggio e propagandaCosa fa un Governo quando il Capo di S. M. dell'esercito non gli va più a genio? Ha buon gioco ad insinuare attraverso i vecchi e i nuovi nemici l'esistenza del pericolo di un eventuale colpo di stato. Aggiungiamo, infine, l'azione preoccupante, di cui abbiamo parlato in precedenza, dell'ex Capo S.I., Colonnello Garruccio, di costituire, su sollecitazione del Presidente del Consiglio, un ufficio centrale politico-militare di informazione che di fatto sottraeva il supporto informativo al Comando Supremo. Se si voleva a Capo dell'esercito un Comandante diverso (già circolava anche il nome di Capello, sponsorizzato dalla sinistra massonica) come possibile successore o se si temeva realmente un colpo di stato da parte di Cadorna, rimanevano due strade per raggiungere l'obiettivo: decapitare l'esercito del suo Comandante o mantenerlo togliendogli potere. Fu percorsa la seconda strada e l'intera vicenda porta ad una desolante conclusione: Caporetto fu probabilmente opera della nostra politica più che di un eccezionale piano strategico nemico. Mise fuori gioco Cadorna ma il paese subì un colpo durissimo. Fosse stato per le sole nostre forze e soprattutto per la nostra politica, non avremmo potuto celebrare né la vittoria né le centinaia di migliaia di nostri eroici caduti. Qualcuno tolse a Cadorna l'apporto determinante di un efficiente S.I., fece opera di destabilizzazione negli Alti Comandi per motivi politici, indebolì l'azione del C.S. e provocò la catastrofe.…..  Ma qui siamo entrati nella fantascienza che è un altro campo.

Giovanna Procacci-Soldati e prigionieri italiani nella Grande Guerra- La situazione divenne particolarmente tesa quando, dopo la caduta del governo Salandra, avvenuta in seguito alle disastrose conseguenze dell'offensiva nemica nella primavera del 1916, proseguendo il conflitto e facendosi più forte nel paese l'opposizione a esso, il nuovo ministro dell'Interno del governo Boselli, Vittorio Emanuele Orlando, inclinò a una politica più duttile nei confronti del dissenso popolare e politico. Le sconfitte militari avevano al contrario indotto il cs a inasprire il regime disciplinare al fronte, e a pretendere che anche all'interno del paese venisse attuata una politica di capillare repressione. A tal fine Cadorna si era rivolto ripetuta mente a Boselli, inviandogli, a partire dalla primavera del 1917, una serie di lettere, nelle quali veniva sottoposta a giudizio fortemente critico la linea di politica interna di Orlando, cui, secondo il comandante supremo, erano da addebitare non solo le agitazioni che venivano moltiplicandosi nel paese, ma anche lo stato di grande demoralizzazione e insubordinazione diffuso tra le truppe. Diserzioni, indisciplina e ammutinamenti - e in generale tutto il malessere sempre più evidente nell'esercito - secondo Cadorna erano da ricondurre esclusivamente all'influenza nefasta che il paese aveva sui soldati; questa si sarebbe sviluppata sia attraverso i contatti dei militari con i familiari - e infatti per questo motivo fino all'ultimo anno di guerra furono limitate al massimo le licenze, e fu sottoposta a un sempre più rigido controllo la corrispondenza - sia soprattutto attraverso la propaganda delle idee pacifiste e socialiste che, sempre secondo Cadorna, avendo libero corso nel paese, si erano diffuse tra i soldati. L'obiettivo di Cadorna era di addivenire a una crisi ministeriale e alla costituzione di un governo più docile nei confronti del potere militare e della sua linea politica. Il suo piano fallì, perché una crisi governativa profilatasi nell'estate del I917 fu superata con un rimpasto; in quella occasione fu però adombrata anche l'ipotesi di un tentativo di colpo di Stato che, appoggiato da vari gruppi della sinistra interventista sia rivoluzionaria che democratica - i più tenaci sostenitori, insieme ai nazionalisti, della necessità di una politica autoritaria che abolisse forzatamente il dissenso contro la guerra -, avrebbe dovuto apporre anche al vertice del potere politico un generale, molto vicino a Cadorna." Le critiche durissime nei confronti della strategia militare e dei metodi disciplinari, mosse non solo da deputati dell'opposizione, ma anche da esponenti di gruppi dell'interventismo, e addirittura da alcuni membri dell'esercito, indussero il capo di stato maggiore e i suoi sostenitori a desistere dal loro intento. La posizione di Cadorna era però ormai compromessa; e la rotta di Caporetto nel novembre I917 fornì l'occasione per il suo esautoramento.

 

BOLLETTINO DEL 28 OTTOBRE 1917

La mattina del 25 ottobre Cadorna telegrafava al governo: “Alcuni reparti del IV corpo d’armata abbandonarono posizioni importantissime senza difenderle”. E poi diceva al suo fedele collaboratore gen. Gatti: “L’esercito, inquinato dalla propaganda dall’interno, contro cui io ho sempre invano lottato, è sfasciato nell’anima. Tutto, pur di non combattere. Questo è il terribile di questa situazione” . La sera del 25 Cadorna telegrafava a Roma: “Circa 10 reggimenti arresisi in massa senza combattere. Vedo delinearsi un disastro, contro il quale ho combattuto fino all’ultimo”. In realtà Cadorna non aveva informazioni precise sui combattimenti, il suo servizio informazioni era da sempre di scarsa efficienza (si dimentica spesso che buona parte degli uomini, centinaia di migliaia di non combattenti, che ripiegarono in disordine appartenevano alle retrovie dell’esercito). E infatti aveva perso il controllo della situazione, tanto da credere (contro quanto dicevano i suoi generali) che tutta la II armata fosse in piena crisi, travolta dal disfattismo, fino a negarle le linee necessarie per la sua ritirata dall’Isonzo. Giorgio Rochat: Rileggiamo la guerra http://www.rileggiamolagrandeguerra.fvg.it/?p=87

E siamo al 28 ottobre dove, con una frase destinata a rovinare la sua immagine, scrive nel bollettino: «La mancata resistenza di reparti della II Armata, vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte Giulia. Gli sforzi valorosi delle altre truppe non sono riusciti ad impedire all’avversario di penetrare il sacro suolo della patria…»
A Roma resisi conto della portata distruttrice del comunicato riescono, sequestrando i giornali in distribuzione, ad impedirne la diffusione anche se i corrispondenti esteri hanno già passato il pezzo alle loro redazioni. Il nuovo bollettino corretto dal Ministero della Guerra così recitava: "La violenza dell'attacco e la deficiente resistenza di alcuni reparti della II Armata hanno permesso alle forze austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra del fronte Giulia. Gli sforzi valorosi delle altre truppe non sono riusciti ad impedire all’avversario di penetrare il sacro suolo della patria…".

     

I servizi di informazione del nemico venuti in possesso del comunicato generale “originale” e del “falso” ministeriale cavalcano l’onda del risentimento nazionale con lancio di volantini sulle zone occupate.

"Italiani ! Italiani! Il comunicato del Gen. Cadorna del 28 ottobre vi avrà aperto gli occhi sull'enorme catastrofe che ha colpito il vostro esercito. In questo momento così grave per la vostra nazione, il vostro generalissimo ricorre ad uno strano espediente per scusare lo sfacelo. Egli ha l'audacia di accusare il vostro esercito che tante volte si è lanciato dietro suo ordine in inutili e disperati attacchi! Questa è la ricompensa al vostro valore! Avete sparso il vostro sangue in tanti combattimenti; il nemico stesso non vi negò la stima dovuta come avversari valorosi. E il vostro generalissimo vi disonora, v' insulta per discolpare sé stesso". 

     

R. Esercito Italiano - COMANDO SUPREMO

Ordine del giorno all’Esercito (da diramare fino ai comandi di compagnia)
Il primo urto sferrato dalle forze austriache e germaniche , ha dato al nemico sopra un settore della nostra fronte, degli improvvisi risultati per lui stesso inattesi.
Tale subitaneo cedimento della nostra linea in un punto vitale, per opera di truppe avversarie non preponderanti di numero, è solo spiegabile come conseguenza di un cedimento morale i cui terribili effetti gravano su quanti hanno sentito la loro responsabilità di uomini e soldati
Ma oggi lo smarrimento di chi non ha saputo combattere non deve propagarsi come uno stato d’animo deprimente in quanti lottano con valore. Che un falso sentimento della superiorità del nemico non ingeneri un falso sentimento di debolezza e quasi incapacità nostra a resistere.
L’ora è grave. La Patria in pericolo – ma il pericolo vero non sta nella forza del nemico quanto nell’animo di chi è pronto a credere che quella forza e invincibile.
Io mi appello alla coscienza e all’onore di tutti, perché come in giorni ugualmente gravi dell’anno passato, ciascuno riafferrando le proprie energie morali ridiventi degno della Patria. Ricordi ogni combattente che non vi sono che due vie aperte per lui e per il Paese: O la vittoria o la morte
Nessuna esitazione, nessuna tolleranza. I comandanti siano ferrei. Ogni debolezza sia repressa senza pietà. Ogni vergogna sia purificata col ferro e col fuoco. Rendo responsabili tutti i comandanti dell’esercizio inflessibile della giustizia di guerra per tener salda la compagine dell’Esercito. Chiunque non sente che sulla linea fissata per la resistenza o si vince o si muore , non è degno di vivere.
Ma l’appello supremo lo faccio al cuore generoso dei soldati di cui da due anni conosco il valore, la serena e paziente resistenza ai sacrifizi, l’eroismo di cui la nazione è fiera. Essi devono oggi rendersi degni dei loro fratelli che a Passo Buole, sul Novegno, sul’altopiano di Asiago, hanno detto al nemico: ”di qui non si passa”.
Dove i loro Capi diranno che si deve resistere, sentano che li si difende tutto ciò che di più sacro e di più caro hanno nella vita. Sentano nella voce dei loro comandanti la voce stessa dei loro vivi e dei loro morti , che chiede ad essi di salvare l’Italia .

26 ottobre 1917 - Il capo di S.M. dell’Esercito Cadorna

 

ma prima del B.U del 28 era stato emanato il 26 un O.d.G ( a fianco) infarcito di falsità e bugie sui suoi rapporti col soldato italiano e il giorno prima ancora un fono al Min. Guerra.

Da: Comando Supremo a
S.E. il Min. della Guerra, Gen. Gaetano Giardino
Udine, 25 ottobre 1917, ore 19.47
L'offensiva nemica ha ripreso sulla fronte
Saga-Stol-Luico e sull'altopiano di Lom.
L'attacco nemico è riuscito a Luico e ad Auzza.Le perdite in dispersi e cannoni sono gravissime. Circa dieci reggimenti si sono arresi in massa senza combattere. Vedo delinearsi un disastro, contro il quale lotterò fino all'ultimo.Ho disposto per la resistenza fino al limite del possibile, nei monti e sul Carso; ed ho predisposto, senza emanarlo, l'ordine di ripiegamento sul Tagliamento. Prego informare Governo, avvertendo che non viene trasmesso complemento bollettino.
Generale Cadorna

     
Quello che sta piangendo nella satira a fianco è il re Vittorio Emanuele III, e la scritta in tedesco "Cadorna gib mir meine legionen wieder" suona come "Cadorna, ridammi le mie legioni" La sottile ironia teutonica vuole in questo caso ricordare la disperazione di Ottaviano Augusto che si aggirava di notte nelle sale del palazzo imperiale e battendo la testa al muro gridava "Lucio Varo ridammi le mie legioni !!...." Era l’anno 9 a.c. e un capo tedesco !! Arminio (il Rommel di Caporetto), con un inganno aveva annientato nelle buie foreste di Teutoburgo tre legioni romane (circa 20.000 uomini) del suo Governatore Lucio Varo... era allora  l'inizio di settembre e la fine del piano di espansione di Roma oltre l’Elba nella terra dei Germani !!.  

     
L'ulteriore convegno di Peschiera venne richiesto dagli alleati (a Rapallo Lloyd Gorge e Painlevè non ebbero interlocutori che conoscessero la situazione o rispondessero a tono alle domande tecniche non essendo mai stati al fronte). Il Re invece a Peschiera parlò con calma, con chiarezza, con equilibrio, senza esagerare né nell'ottimismo, né nel pessimismo. Era stato tre anni sul confine e aveva memorizzato tutte le assurdità di Cadorna. Lloyd George e Painlevé riconobbero in quel piccolo italiano un uomo dalla testa quadra e dai nervi saldi di cui potevano fidarsi, al quale potevano affidare le loro preziose divisioni. A lui, non ad altri, Vittorio Emanuele, con grande lealtà di soldato, aveva però cercato di temperare il giudizio che gli alleati avevano espresso su Cadorna. Lui e non altri aveva scelto il successore nel generale DIAZ.

Bollettino di guerra dell' 11 novembre: "All'alba di ieri, dopo una preparazione di artiglieria, cominciata la sera precedente, il nemico, oltrepassata la nostra linea di osservazione nei pressi di Asiago, attaccò i retrostanti posti avanzati di Gallio e di Monte Ferragle (quota 1116), riuscendo dopo viva lotta ad impadronirsene. Il XVI Reparto d'Assalto e reparti delle brigate "Pisa" (29° e 30°), "Toscana" (77° e 78°) e del 5° reggimento bersaglieri, con un successivo contrattacco riconquistarono le posizioni, ricacciando l'avversario catturando un centinaio di prigionieri. Un'avanguardia nemica spintasi fino all'abitato di Pezzo, in Valsugana, fu prontamente attaccata e anche questa fatta prigioniera".

 

Lloyd Gorge disse testualmente: "Io sono stato molto impressionato dalla calma e dalla forza che egli dimostrò in un'occasione come quella, in cui il suo Paese e il suo trono erano in pericolo. Egli non tradì alcun segno di timore o di depressione. Pareva ansioso solamente di cancellare in noi l'impressione che il suo esercito fosse fuggito, e trovava mille scuse e giustificazioni per questa ritirata".

     
Il 10 novembre il Re lanciava dal Quartier Generale alla Nazione e all'Esercito il seguente ordine del giorno (NORMALIZZATORE)

"Italiani ! Il nemico favorito da uno straordinario concorso di circostanze, ha potuto concentrare contro di noi tutto il suo sforzo. All'esercito austriaco, che in trenta mesi di lotta eroica il nostro esercito aveva tante volte affrontato e tante volte battuto, è giunto adesso l'aiuto, lungamente da loro invocato ed atteso, di truppe tedesche numerose ed agguerrite. La nostra difesa ha dovuto ripiegare; ed oggi il nemico invade e calpesta quella fiera e gloriosa terra veneta da cui lo avevano ricacciato l'indomita virtù dei nostri padri e l'incrollabile diritto dell'Italia.
Italiani ! Da quando proclamò la sua unità ed indipendenza, la Nazione non ebbe mai ad affrontare una più difficile prova. Ma come non mai né la mia Casa né il mio popolo, fusi in uno spirito solo, hanno vacillato dinanzi al pericolo, così anche ora noi guardiamo in faccia all'avversità con virile animo impavido. Dalla stessa necessità trarremo noi la virtù di eguagliare gli spiriti alla grandezza degli eventi. I cittadini, cui la Patria aveva già tanto chiesto rinunce, privazioni, dolori, risponderanno al nuovo decisivo appello con un impeto ancora più fervido di fede e di sacrificio.
I soldati, che già in tante battaglie si misurarono con l'odierno invasore, e ne espugnarono i baluardi e lo fugarono dalle città con il loro sangue redente, riporteranno di nuovo avanti le loro lacere bandiere gloriose, al fianco dei nostri Alleati fraternamente solidali. Italiani, cittadini e soldati ! Siate un esercito solo. Ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento, ogni recriminazione è tradimento. Questo mio grido di fede incrollabile nei destini d' Italia suoni così nelle trincee come in ogni più remoto lembo della Patria; e sia il grido del popolo che combatte e del popolo che lavora. Al nemico, che ancor più che sulla vittoria militare conta sul dissolvimento dei nostri spiriti e della nostra compagine, si risponda con una sola coscienza, con una voce sola: tutti siamo pronti a dare tutto per la vittoria e per l'onore d' Italia".

Il generale ARMANDO DIAZ che subentrava comunicò

 

Da Villar Pellice Cadorna così si difendeva nel '19 scrivendo al direttore di "Vita italiana" . " La - Gazzetta del Popolo - ha pubblicato ieri (11/9) le conclusioni dell'inchiesta su Caporetto. Si accollano le responsabilità a me e ai generali Porro, Capello, Montuori, Bongiovanni, Cavaciocchi e neppure si parla di Badoglio, le cui responsabilità sono gravissime. Fu proprio il suo Corpo d'armata (il 27°) che fu sfondato di fronte a Tolmino, perdendo in un sol giorno tre fortissime linee di difesa e ciò sebbene il giorno prima (23 ottobre) avesse espresso proprio a me la più completa fiducia nella resistenza, confermandomi ciò che già aveva annunciato il 19 ottobre al colonnello Calcagno, da me inviatogli per assumere informazioni sulle condizioni del suo Corpo d'armata e sui suoi bisogni. La rotta di questo Corpo fu quella che determinò la rottura del fronte dell'intero Esercito. E il Badoglio la passa liscia! Qui c'entra evidentemente la massoneria e probabilmente altre influenze, visto gli onori che gli hanno elargito in seguito. E mi pare che basti per ora!".  (Le altre influenze erano della monarchia). (Ib. pag. 133).

"Assumo la carica di Capo di Stato Maggiore,  e conto sulla fede e sull'abnegazione di tutti"

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