Cina Nordorientale, 29 Marzo 2002
Dove finisce la Rivoluzione Industriale

 

Daqing, Cina Nordorientale: la Rivoluzione industriale promossa 40 anni fa è degenerata in guasti ambientali, disoccupazione e condizioni sociali d’intollerabile disagio, seguendo un prevedibile copione.
Secondo la Banca Mondiale, il tasso di disoccupazione ha superato il 40% in molte delle città del Nord-Est.
Dal 1998 i lavoratori licenziati dalle compagnie di Stato hanno raggiunto i 25 milioni e il Regime cinese teme che tutto ciò possa tramutarsi in un movimento di protesta su scala nazionale; perciò sta agendo per sopprimere ogni dissenso ed impedire che i lavoratori delle varie Province riescano ad organizzare una protesta unitaria.
La rabbia della gente è diretta soprattutto contro le vane promesse di pensioni e sanità, ricevute negli anni passati dalla gestione.
Quest’operazione è facilitata dalla mancanza di un’Opposizione, dal controllo dei mezzi di comunicazione di massa e dalla vigilanza della Polizia di Stato.
Le Squadre anti-sommossa agiscono per intimidire i lavoratori; i dissidenti sono facilmente individuati e colpiti.
L’idea dell’ingresso della Cina nel WTO serve solo ad aumentare la tensione e le proteste e questa situazione indispettisce il Regime di Pechino.
Una delle tecniche repressive è diffondere la notizia che le sommosse sono opera dei membri del Movimento Falun-Gong (cfr. "Il Governo cinese contro il Falun Gong"; NdR), attualmente capro espiatorio di tutti i mali della Cina.
Uno degli attivisti della formazione di un Sindacato indipendente a Pechino nel 1989 afferma tuttavia di credere nell’inizio di una nuova era per i lavoratori cinesi.

(fonte: Rivista economica dell’Estremo Oriente, David Murphy, Daqing, pervenuto il 5 Aprile 2002)

 


 

In questo periodo, Jiang Zemin, l’attuale Capo del Regime di Pechino, porta in giro per il mondo la doppia faccia di un uomo che vuole entrare nel WTO mascherando che in Cina non c’è neanche una sembianza di Democrazia.

I suoi interlocutori ad Ovest lo accolgono con la doppia faccia di coloro che sanno che in Cina non c’è neanche una sembianza di Democrazia ma che non ne vogliono parlare perché sono più interessati al profitto che può derivare dall’ingresso della Cina nel WTO.

Liberismo statunitense e Comunismo russo/cinese si stanno ritrovando agli estremi del cerchio che si è appena chiuso, anche se con piccole differenze.

Si potrebbe infatti dire che il povero Jiang Zemin è un esempio del metodo burino, mentre i suoi interlocutori ad Ovest sono l’esempio dei metodi raffinati per lo stesso scopo, che è quello di sfruttare ogni altra cosa ed ingrassare come un cancro.

Sarebbe un miracolo d’intelligenza, di consapevolezza e di self-control se la Social-Democrazia europea, presa in mezzo a questi schiacciasassi, riuscisse a non perdere la propria identità e a non lasciare strada libera ai ripuliti nostrani.

Più probabile che quest’Europa - e l’Italia con essa - diventi il terzo incomodo nel Risiko che si profila come Orizzonte degli Eventi, cioè il “cornicione” che sta proprio sull’orlo del Buco Nero.

Come si può in definitiva condividere l’ottimismo del “Sindacalista” di Pechino ?!

Quello non ha ancora constatato che si può parlare di Democrazia e allo stesso tempo praticare mancanza di Opposizione, controllo dei mezzi di comunicazione di massa e vigilanza della Polizia di Stato.

F. G. Urbon