10 Dicembre 2003
Balletto Sindacati-Governo attorno alle Pensioni

 

È cominciato il balletto Sindacati-Governo attorno alle Pensioni.
Entro Gennaio 2004 "se ne dovrà vedere la fine", dice il Governo e "non saranno accettate modifiche che facciano saltare i parametri della Finanziaria", ossia ottenere risparmi almeno pari ad un tot% del PIL!
A scanso di equivoci, sarà meglio riportare qui sotto le posizioni attuali del Sindacato rispetto al Governo in materia di Pensioni, così che alla fine di questa pantomima sarà possibile misurare l'entità del raggiro nei confronti dei lavoratori, quelli che sono ormai alla fine di un loro percorso lavorativo (sovente il primo lavoro, intrapreso più come imposizione sociale o familiare che come scelta caratteriale ed attitudinale), quelli in mezzo al loro percorso e quelli all'inizio del percorso, nessuno escluso.

(Fonte: http://www.uil.it/economia/comunicato024.htm)


  1. Cgil Cisl e Uil dicono no alla controriforma delle pensioni proposta dal governo Berlusconi perché ritengono tale riforma inutile, dannosa, iniqua e fondata su evidenti falsità.
    Cgil Cisl e Uil ribadiscono che non c’è nessuna emergenza previdenziale perché il sistema, che si è consolidato nell’arco degli anni 90, con tre riforme di carattere strutturale, ha determinato un valido equilibrio del sistema nel tempo, rendendolo così tra i più sostenibili in Europa.
  2. Dicono (il Governo, NdR) che il sistema previdenziale non regge.
    È falso: le tre riforme degli anni 90 hanno già determinato un risparmio di spesa pari a circa 100 miliardi di euro e continueranno a determinare risparmi considerevoli fino all’andata a regime del sistema, al punto tale che l ’Italia, che avrà il maggior invecchiamento demografico tra tutti i paesi europei, nel 2050 sarà, comunque, anche il paese con il minor incremento di spesa previdenziale, spesa previdenziale che deve essere, peraltro, correttamente calcolata dal momento che ancora oggi diverse prestazioni di carattere assistenziale continuano ad avere copertura finanziaria dai contributi previdenziali versati all’Inps, sul quale vengono anche a scaricarsi le situazioni deficitarie dei fondi speciali, da ultimo quello dei dirigenti di azienda (per l’intesa tra Governo e Confindustria), che nel 2003 comporterà un buco nel bilancio dell’Istituto.
  3. Dicono che la riforma delle pensioni è richiesta dall ’Europa
    È falso: l’Europa ha riconosciuto all’Italia il merito di aver fatto una riforma strutturale completa, cosa non ancora avvenuta in altri paesi.
    L’Europa ci raccomanda invece di avere particolare attenzione e di intervenire per l’emersione del lavoro nero e per il recupero delle evasioni contributive, per ridurre drasticamente i prepensionamenti, per allungare la permanenza al lavoro solo attraverso la volontarietà espressa dal lavoratore, per sviluppare la previdenza complementare, per garantire una pensione dignitosa ai giovani che svolgono i nuovi lavori, per mettere in atto tutte le misure necessarie per garantire un aumento dell’occupazione dei giovani, delle donne e dei cosiddetti lavoratori anziani.
  4. Dicono di voler garantire e migliorare il trattamento dei pensionati.
    È falso: il tanto sbandierato aumento a un milione di lire di tutte le pensioni che stavano al di sotto del minimo, non solo va ad aggravare il bilancio dell’Inps (essendo computato come spesa previdenziale, mentre invece avrebbe dovuto essere considerato come spesa assistenziale) ma ha riguardato soltanto 1.400.000 soggetti rispetto a una platea di 6 milioni; mentre a tutti i pensionati non sono stati riconosciuti i trattamenti fiscali stabiliti dal precedente governo e nello stesso tempo non è stata presa neanche in considerazione l’idea di rivedere il sistema di adeguamento annuale delle pensioni per garantirne il potere di acquisto, anche attraverso uno specifico negoziato.
  5. Dicono di voler garantire le pensioni future dei giovani.
    È falso: con la decontribuzione si determinerà un ulteriore abbassamento dei loro trattamenti, e nello stesso tempo si metterà veramente a rischio il sistema pubblico con una diminuzione delle risorse destinate al pagamento delle pensioni.
    La riforma del governo coinvolge anche i giovani lavoratori assunti dopo il 1° gennaio 1996, per i quali si cambia del tutto la normativa attuale che prevede un’età minima di 57 anni e una contribuzione minima di 5 anni per andare in pensione, prevedendo, anche per loro, un’età minima di 60 anni per le donne e di 65 per gli uomini o 40 anni di contributi. In questo modo il governo non solo stravolge le riforme già fatte, ma mina alla radice il punto più innovativo, anche a livello europeo, del sistema previdenziale italiano: il sistema contributivo, rispetto al quale la prospettiva più giusta doveva essere la liberalizzazione dell’età pensionabile e non la sua uniforme rigidità.
  6. Dicono che le pensioni di anzianità non saranno toccate.
    È falso: le pensioni di anzianità saranno di fatto addirittura cancellate.
    A partire dal 1° gennaio 2008, infatti, per andare in pensione di anzianità saranno necessari 40 anni di contributi oppure bisognerà attendere i requisiti per la pensione di vecchiaia (65 anni per gli uomini e 60 per le donne), senza tenere conto che da tempo le imprese scelgono di espellere dai processi produttivi masse di lavoratori sempre più giovani, considerandoli vecchi e inutilizzabili per le attività produttive.
    La misura proposta dal governo è quindi contraddittoria e iniqua, oltre a introdurre nel nostro sistema delle rigidità che vanno proprio nel senso contrario rispetto a quanto viene indicato dall’Europa.
    Inoltre la scelta del governo penalizzerà ulteriormente le donne, che già difficilmente riescono a raggiungere i 35 anni di contribuzione.
    Infine, rappresenta un’aggravante l’ultima e improvvida trovata del Consiglio dei ministri di penalizzare i lavoratori che decideranno dopo il 2008 e, sperimentalmente fino al 2015, di lasciare il lavoro prima della vecchiaia.
    Il ricalcolo con il sistema contributivo di tutta la vita lavorativa comporterà per questi lavoratori una pensione tagliata della metà rispetto all’ultima retribuzione, perché si pretende di rendere retroattivo un sistema di calcolo, senza che esso sia accompagnato dai dovuti correttivi, introdotti dalla riforma Dini, per garantire un rendimento adeguato alle future pensioni pubbliche.
  7. Dicono che è necessario l’utilizzo obbligatorio del Tfr per lo sviluppo della previdenza complementare.
    È falso: non si considera che il Tfr è salario differito dei lavoratori, ha già diverse finalità di utilizzo previste dalla legge e ha una salvaguardia di rivalutazione annuale garantita.
    Da tutto ciò ne consegue che per la destinazione di tale istituto alla previdenza complementare deve essere garantita la facoltà per il lavoratore di esprimere la propria opzione.
    L’inadempienza del governo poi non ha limiti per quanto riguarda i lavoratori del settore pubblico, per i quali la previdenza complementare è ancora una vaga promessa.
  8. Dicono che vogliono superare le diversità ancora presenti nel sistema.
    È falso: in tema di armonizzazione delle aliquote contributive si prevede solo l’aumento di quelle relative ai co. co. co., senza prevedere nessun intervento per le altre situazioni in atto (almeno 100 aliquote contributive diverse tra le quali quelle, privilegiate, dei lavoratori autonomi).
    Inoltre si dimentica che siamo ancora in presenza di trattamenti privilegiati, che richiederebbero in nome dell’equità un intervento strutturale, mentre il governo individua come unica disparità di trattamento ancora esistente quella relativa al sistema di calcolo della pensione tra dipendenti pubblici e privati, non tenendo conto che le vere disparità continua a praticarle il governo, datore di lavoro pubblico, non attivando la previdenza complementare, non concedendo gli incentivi ai pubblici dipendenti, e per di più non rinnovando neanche i contratti.
  9. Dicono che ci saranno norme particolari per i lavoratori che effettuano lavori usuranti.
    È falso: al di là delle dichiarazioni di principio, nulla si dice nel merito della questione, né tanto meno vengono stanziati i necessari finanziamenti, mentre il governo, senza alcuna concertazione con le parti sociali, ha deciso di modificare radicalmente, peggiorandole, le norme relative alla tutela dei lavoratori esposti all’amianto.


Quello che si vuole in Europa, allo scopo di nascondere 50 anni di imbrogli pubblici, assomiglia più alla creazione di un campo di concentramento, dove tutti (meno quelli che si divertono, cioè faccendieri, preti, militari e politicanti) sono costretti a macinar pietre per almeno 40 anni, di cui i primi 20 ad alto tasso di contribuzione e gli ultimi 20 (quando si diventa tecnologicamente obsoleti) a tasso sempre minore, per crepare poi il primo giorno di una ridicola pensione.
Un bel piano che dovrebbe essere giustificato, oltreché con i buchi finanziari anche con la colossale stronzata dell'elevazione stratosferica della vita media (com'è che la vita media non ha mai pesato sui trattamenti pensionistici nella P.A. centrale o locale?!).

A fronte di tutto questo, che farà il Sindacato?!
Farà l'interesse dei lavoratori, oppure quello del Governo, che finalmente lo ha preso in considerazione concedendogli un "tavolo a tempo" a Palazzo Chigi?!
Davvero crederemo che questo tavolo sia la risposta tremula del Governo alla presenza della gente in piazza?!

 

NOTA MEGLIO CHE PUOI: nel punto 3 qui sopra, si dice che l'Europa, in realtà e tra le altre cose, ci chiede di ridurre drasticamente i "pre-pensionamenti".
Ora, in un sistema previdenziale non esistono "pre-pensionamenti", ma solo "pensionamenti" alla fine del percorso contributivo concordato nel piano individuale.
La dicitura "pre-pensionamento", ovvero "pensionamento anticipato", è stata introdotta in questo paese con riferimento improprio alle pensioni di anzianità.
Tale improprietà è nel fatto che, almeno nel settore privato, i contributi previdenziali erano stati interamente versati, rendendo pertanto esigibile il diritto all'erogazione.
Per opportunismo finanziario, si voleva convincere la gente che andare in pensione con 35 anni di contributi era una specie di "privilegio" da sempre e che invece era da considerare giusto solo il pensionamento almeno con 40 anni di contributi e/o 65 anni d'età.
Naturalmente, per salvare i propri consensi politici nell'ambito soprattutto dei privilegiati pubblici, non si parlava delle vere uniche e sole "pensioni anticipate", anzi, sarebbe più corretto dire delle "pensioni-regalo", cioè di quelle che si ottenevano nel settore pubblico con soli 19 anni di contributi, peraltro insufficienti, "pensioni-regalo" che da sempre pesano sul Bilancio dell'INPS a danno delle altre casse previdenziali e che corrono tutt'ora, delineandosi in definitiva come "pensioni-furto".
È quantomeno abnorme che il Sindacato, che queste cose le sa, accetti che si parli ancora di "pre-pensionamenti" con riferimento generico alle pensioni d'anzianità e che sia il Sindacato a dire che l'Europa ce ne chiede la "drastica riduzione", tanto più che nel punto 6 il Sindacato sembra voler difendere tali Pensioni, come del resto è giusto che sia, Europa o non Europa, perché il dato essenziale in materia di Pensioni è che uno i contributi li abbia pagati, sia per 30 sia per 35 o per 40 anni, senza derubare nessuno, e non che abbia 65 piuttosto che 57 o 40 anni d'età!

 

F. G. Urbon

 


 

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