Oggetto: imposte di registro sulle locazioni

 

 

Roma, 25 Settembre 1997

 

 

 

L'ufficio del registro di Roma, a fronte del recesso anticipato dell'inquilino, chiede al Locatore il pagamento, a mezzo c/c, causale E, di £150.000, altrimenti s’intende che il Locatore continuerà a pagare l'imposta per tutti gli anni a seguire, oppure 2 imposte se riaffitta e ri-registra.

 

Si consideri che l'imposta di registro per un canone di 10milioni/anno è 100000£+20000£/foglio (le 20000/foglio, anche se da usura, rappresentano il costo “reale” dell’operazione, o diritto d'ufficio).

Questa procedura (confermata telefonicamente dall'Ufficio del Registro di Roma) stabilisce il principio che l’imposta di registro non è un mero atto formale di pubblicazione svolto a garanzia dei contraenti anche ai fini di un eventuale contenzioso (per quanto, se per dar valore ad un atto privato ci vuole il bollo dell’Ufficio del Registro, dov’è il valore di un atto privato?), ma (come dice il nome stesso) un acconto d’imposta.

 

Tale acconto d’imposta non è considerato ai fini della dichiarazione IRPEF e perciò resta una regalia allo Stato del tutto priva di giustificazione.

 

In aggiunta a questa usurpazione di reddito, il cittadino, in caso di recesso anticipato del Conduttore o Inquilino, deve ancora pagare a questo Stato una specie di diritto fisso di £150000 per l'interruzione dell'imposta stessa, quasi punizione per non aver garantito la continuità dell’Imposta.

 

Questo è ancora peggio di quello che accade con l'INVIM, poiché, cifre a parte, configura un fatto che, accadesse in America, ma anche in Inghilterra o in Francia, susciterebbe ilarità prima, sconcerto e ira furibonda poi.
Infatti, non si tratta neanche di “fisco improprio”; qui si tratta di autentica “estorsione”.

Non c'è Garante che tenga contro un fisco fatto così!

Un rappresentante del fisco, quale che sia l’imposta o tassa, non ha alcun bisogno di comportarsi da carogna; le leggi e le procedure sono già carogne a sufficienza per tutti gli addetti all'erario.

In queste condizioni, qualsiasi persecuzione di quelli che non registrano i contratti, ancorché ufficialmente colpevoli di evasione, conferma la natura di bandito e vigliacco del fisco italiano, perché il cittadino è indifeso rispetto ad uno Stato che non è associazione per il bene collettivo, ma associazione per delinquere di stampo mafioso.

Poiché, in modo molto consequenziale, la Corte Costituzionale non prende neanche in cosiderazione il cittadino, almeno finché singolo, pongo il problema alle Associazioni dei Consumatori.