Oggetto: a proposito di INVIM

 

Roma, 12 Luglio 1989

 

 

Come si può ancora oggi accettare la metodologia dell'accertamento induttivo?

A parte la implicita assenza di oggettività e conformità alle regole del mercato, è una palese violazione della indispensabile pariteticità fra cittadino e Pubblica Amministrazione ed un aiuto a pubblici dipendenti intenzionati a commettere abusi di potere.

Inoltre, per aggravare le cose, una delle norme che regolano i ricorsi afferma che ogni grado successivo al primo non può che ricalcare lo schema tecnico del primo, consentendo solo memorie aggiuntive e tagliando la possibilità di portare nuove evidenze o correggere errori di impostazione del rappresentante legale. Non è forse questa una limitazione del diritto alla difesa?

Solo a titolo di esempio, nel 1981 un cittadino vendette un appezzamento di terra; si trattava di quota di 1/2 d'ettaro proveniente dalla divisione di un ettaro fra il padre e lo zio.

La vendita fu fatta in circostanze non proprio favorevoli, sia per la necessità di soldi sia per la mancanza di un curatore sul posto; ciò determinò sicuramente una perdita di denaro per la parte venditrice ed un maggior guadagno per quella acquirente, che di certo era meglio informata sui valori correnti.

Contestualmente all'atto notarile fu pagata l'INVIM relativa.

In seguito, la PA scatenò i suoi scagnozzi e per tutte le transazioni svolte nel territorio nazionale cominciarono ad arrivare delle 'ingiunzioni a chiedere il condono', toutcourt, senza altra specifica (bell'esempio di rapporto fra 'Stato' e contribuente!).

L'ingiunzione pervenne anche a quel cittadino, il quale rispose che non chiedeva alcun condono perché non c'era niente da condonare e richiedeva la specifica degli estremi della 'presunta evasione'.

Su questa onesta e veritiera risposta, un 'solerte gabelliere' del pubblico Registro locale sparò un super accertamento induttivo di 80 milioni su un valore dichiarato di 20, pretendendo il pagamento INVIM in proporzione.

Ci fu un ricorso alla Commissione di I grado, preparato da un commercialista, il quale, per non saper fare di meglio, invocò i vizi e le servitù prediali dell'appezzamento (reali peraltro), onde ottenere ragione.

Il ricorso fu bocciato, ma notiamo che la stessa Commissione di I grado dette ragione al proprietario del 1/2 ettaro adiacente, dotato delle medesime caratteristiche.
Questo secondo ricorso era stato preparato da persona del luogo, nonché facente parte proprio dell'Ufficio del Registro accertante (curiosa circostanza!).

C'è subito da chiedersi: quali erano e sono ruolo e competenza delle Commissioni tributarie se possono verificarsi casi come questo?

Ma non era finita.

Il successivo ricorso alla Commissione di 2° grado, preparato stavolta da un avvocato, ottenne uno sconto di ben 40 milioni; restava dunque una eccedenza di 20 milioni sul dichiarato, che comportava un'imposta addizionale sull'incremento di valore; tale differenza, considerato che il contenzioso durava da qualche anno per la solita celerità del servizio pubblico, includeva interessi tali da assommare ad una cifra pari quasi alla differenza stessa.

In ogni caso era almeno evidente che la competenza delle Commissioni giaceva tutta nella 'competenza' dei ricorrenti; bel sistema davvero!

L'Ufficio del Registro fece ricorso contro questo sconto presso la Commissione centrale senza ottenere nulla, ma in ogni caso alla fine il cittadino discriminato restò tale.

Meccanismi perversi rendono il 'lavoro' dei predoni pubblici estremamente facile in questo paese.
Non è questa un'incommensurabile vergogna?!