2. Effetti della corrente elettrica nel corpo umano
Indice
2. Fattori che influenzano gli effetti della corrente elettrica nel corpo umano
- Intensità e densità di corrente
3. Effetti della densità di corrente D nel corpo umano
4. Effetti della corrente elettrica nel corpo umano
6. La sicurezza del paziente e dell'operatore
- Generalità sugli impianti di messa a terra
- Pregi e difetti dei principali sistemi di difesa contro shock elettrici accidentali
- Esempi di micro e macro shock elettrici
- Paziente collegato ad un pm esterno 1
- Paziente collegato ad un pm esterno 2
- Paziente collegato ad un pm esterno 3
- Paziente collegato ad un pm esterno 4
- Paziente sottoposto a cateterismo cardiaco
Il corpo umano si comporta, ai fini del passaggio della corrente elettrica attraverso di esso, come un conduttore; se in due punti del corpo si applica una differenza di potenziale, istantaneamente esso è attraversato da una corrente elettrica.
L’intensità di tale corrente I è direttamente proporzionale alla differenza di potenziale V ed inversamente proporzionale alla resistenza R opposta dal corpo umano al passaggio della corrente stessa, secondo la nota legge di Ohm.
V = R x I
da cui:
I = V/R
dove: V = Volt; I= Ampere (A, mA, µA); R = Ohm (W, kW)
Quindi tensioni V anche molto basse, se applicate a corpi aventi una bassa resistenza R, provocano il passaggio di una corrente circolante I di valore elevato e pericoloso.
Gli effetti provocati dal passaggio di un flusso di corrente di sufficiente intensità e durata attraverso il corpo umano si definiscono shock elettrico. 23
Il corpo umano, dal punto di vista elettrico, può essere considerato come una soluzione elettrolitica contenuta in un involucro isolante: la cute
La resistenza cutanea del corpo umano varia, a seconda delle condizioni, fra i 1.000 ed i 10.000 ; si assume, convenzionalmente, un valore medio di 3.000 .
Indicativamente si considera che differenze di potenziale di circa 30 V applicate per alcuni secondi sulla cute possano essere sopportate agevolmente dal corpo umano; infatti la corrente circolante sarà:
I = V/R = 30 V/3.000 = 10 mA
Una corrente I di 10 mA può venire sentita, ma non ha apprezzabili effetti sull’organismo.
Durante l’uso di apparecchiature biomediche basta un cattivo isolamento per fare circolare attraverso il corpo umano, per alcuni secondi, correnti in grado di provocare micro-shock o macro-shock elettrici.
Per micro-shock si intendono effetti clinici transitori provocati dal passaggio di corrente elettrica che cessano quindi all’atto dell’eliminazione della causa. Per macro-shock si intendono effetti clinici permanenti provocati dal passaggio della corrente elettrica che permangono quindi anche dopo l’eliminazione della causa.
Questo rischio ha spinto tecnici e medici ad utilizzare particolari dispositivi antishock elettrico.
Tali dispositivi (prese speciali, sofisticati impianti di messa a terra, pavimenti speciali, trasformatori d’isolamento, fusibili differenziali, ecc.) sono sufficienti, se installati ed usati correttamente, nella maggior parte dei casi. I sistemi tradizionali di protezione antishock elettrico però sono spesso risultati insufficienti nell’uso di pacemaker (PM) esterni e durante cateterismo cardiaco.
La mancanza di statistiche ufficiali sulla quantità e sulle caratteristiche di eventi fatali per macro-shock o per micro-shock ripetuto non debbono far credere che tali eventi non esistano. D’altra parte tali statistiche saranno sempre molto imprecise in quanto, viste le bassissime correnti in gioco, sarà estremamente complicato attribuire un evento fatale come risultato di uno shock elettrico piuttosto che ad altre cause cliniche che possono provocare effetti analoghi.23
Nella Tabella 1 vengono descritti gli effetti dei micro shock e dei macro-shock provocati dalla corrente elettrica.
Tabella 1
effetti provocati dal passaggio della corrente elettrica
Micro-shock elettrico |
a) forte dolore |
b) importanti contrazioni muscolari |
c) blocco respiratorio transitorio |
d) aritmie ipercinetiche ventricolari temporanee |
e) ustioni lievi |
Macro-shock elettrico |
a) blocco respiratorio permanente |
b) ustioni |
c) aritmie ipercinetiche ventricolari permanenti |
d) fibrillazione ventricolare |
e) folgorazione |
Gli effetti del passaggio della corrente elettrica nel corpo umano sono influenzati da numerosi fattori. Tali fattori, che debbono quindi essere rigidamente tenuti sotto controllo, sono mostrati nella Tabella 2
1. tempo di applicazione |
2. sede del contatto |
3. intensità e densità di corrente |
4. caratteristiche della corrente elettrica |
Tempo di applicazione
La quantità di corrente tollerata dal corpo umano aumenta notevolmente se il passaggio di corrente è di breve durata; il tempo di passaggio della corrente elettrica nel corpo umano è senz’altro il fattore più importante per valutare eventuali effetti dannosi. Infatti:
Correnti letali diventano terapeutiche se circolano per tempi brevi dell'ordine dei msec.
Tutte le terapie elettriche si effettuano con correnti circolanti per tempi dell’ordine dei msec.
Alla luce di quanto detto, gli effetti della corrente elettrica nel corpo umano sono stati studiati calcolando tempi di passaggio della corrente elettrica dell’ordine dei secondi.
Sede del contatto
Gli effetti della corrente elettrica nel corpo umano variano notevolmente con la sede del contatto. La Tabella 3 mostra le possibili sedi di contatto.
Tabella 3
1. cutanea |
2. epicardica o endocardica |
3. sottocutanea con o senza contatto sulla muscolatura |
Intensità e densità di corrente
Per stabilire in modo corretto i pericoli del passaggio della corrente elettrica nel corpo umano non si deve valutare esclusivamente l’intensità della corrente circolante, ma anche la superficie di contatto in modo da poter valutare il valore della densità di corrente D.47
La densità di corrente D è il valore della corrente che attraversa l’unità di superficie:
D = I/S
dove:
D = densità di corrente (µA/cm2);
I = corrente circolante (µA);
S = superficie di contatto (cm2)
E’ necessario sottolineare l’importanza del valore della densità di corrente D; infatti, alcuni fenomeni dovuti al passaggio della corrente elettrica nel corpo umano sono direttamente proporzionali al valore di D. Assume quindi una grande importanza non solo il valore della corrente I, ma anche la superficie degli elettrodi cutanei di contatto. Nella Tabella 4 sono evidenziati in una colonna i fenomeni che dipendono dalla sola intensità di corrente I e nell’altra colonna quelli che dipendono anche dalla superficie S degli elettrodi cutanei di contatto e quindi dalla densità di corrente D.
Sede del contatto: cute
fenomeni dipendenti da I |
fenomeni dipendenti da D |
blocco respiratorio transitorio |
percezione passaggio di corrente |
blocco respiratorio permanente |
dolore |
stimolazione cardiaca |
contrazioni muscolari |
aritmie ipercinetiche ventricolari transitorie |
ustioni |
aritmie ipercinetiche ventricolari permanenti |
|
fibrillazione ventricolare |
|
folgorazione |
|
I fenomeni indicati nella Tabella 2.IV a sinistra dipendono esclusivamente dalla corrente circolante I e sono quindi indipendenti dalla superficie degli elettrodi cutanei di contatto.
Per quanto riguarda i fenomeni cardiaci, la superficie di contatto tra torace e cuore è costante e risulta essere l’area della sezione del tronco pari a 400 cm2.
Nella Tabella 5 sono evidenziati in una colonna i fenomeni che dipendono dalla sola intensità di corrente I e nell’altra colonna quelli che dipendono dalla densità di corrente D con sede del contatto sull’epicardio o sull’endocardio. Il contatto epicardico od endocardico si verifica nel caso di stimolazione elettrica del cuore provvisoria, nel caso di misura in continua della pressione centrale o nel caso di interventi chirurgici a cuore aperto.
Sede del contatto: epicardio od endocardio
fenomeni dipendenti da I |
fenomeni dipendenti da D |
folgorazione |
stimolazione |
|
aritmie ipercinetiche ventricolari transitorie |
|
aritmie ipercinetiche ventricolari permanenti |
|
fibrillazione ventricolare |
|
ustioni |
Corrente continua
Supponiamo di avere due cariche elettriche Q1 e Q2 e che la carica Q1 sia maggiore della carica Q2 in modo da avere una differenza di potenziale; collegando Q1 con Q2 mediante un conduttore elettrico C si avrà il passaggio di una corrente elettrica di tipo continuo. Gli elettroni della carica Q1 passeranno lungo il conduttore per andarsi a collocare in Q2 finché le due cariche non avranno lo stesso valore.
Se mediante un generatore (pila) si continua a fornire elettroni alla carica Q1 in modo da mantenerne il valore ad un potenziale costantemente più elevato che non in Q2, avremo un flusso di corrente continua lungo il conduttore C. L’intensità della corrente (cioè il numero di elettroni che passano in una sezione del conduttore C nell’unità di tempo) sarà direttamente proporzionale alla differenza di potenziale fra Q1 e Q2 ed inversamente proporzionale alla resistenza opposta dal conduttore C al passaggio degli elettroni secondo la legge di Ohm (v. fig. 1). La corrente continua ha effetti sul corpo umano diversi da quelli degli altri tipi di corrente.
fig. 1 - Corrente continua
Corrente alternata
Importanti fenomeni fisiologici (come i battiti del cuore, il movimento dei polmoni, le vibrazioni delle corde vocali, ecc.) sono moti alternati; fenomeni fisici (come la luce, il calore, il suono) consistono in vibrazioni e sono quindi moti alternati; le più importanti creazioni dell’uomo (come il moto degli stantuffi o dei bilanceri dei meccanismi ad orologeria) sono moti alternati.
Non deve quindi stupire se le più importanti applicazioni dell’elettricità riguardino le correnti alternate.
La corrente alternata è sempre legata al passaggio di elettroni lungo un conduttore ma, a differenza della corrente continua che fluisce in una sola direzione, la corrente alternata è costituita da un flusso di elettroni che si muove alternativamente avanti e indietro lungo il conduttore.
Una grandezza si definisce periodica, con periodo T, quando assume nel tempo, ad intervalli regolari uguali a T, i medesimi valori.
Una grandezza si definisce alternata quando assume nel tempo valori positivi e negativi. Fra le grandezze alternate, interessano in particolare quelle periodiche a valor medio nullo, cioè quando l’area della semionda positiva è identica all’area della semionda negativa.
In elettronica si impone che, oltre al valor medio nullo, queste grandezze siano tali da assumere, nel secondo semiperiodo, gli stessi valori assunti nel primo semiperiodo ma con segno cambiato.
Fra tutte le grandezze alternate, periodiche, a valor medio nullo, con gli stessi valori nella semionda positiva e nella semionda negativa, sono particolarmente importanti quelle che variano con legge sinusoidale per le quali vale la legge di sviluppo di Fourier.
Il teorema di Fourier dice che ogni funzione periodica, finita e continua, può svilupparsi in una serie di termini sinusoidali di ampiezza e fase diverse e frequenza crescente secondo la serie naturale dei numeri. Il primo termine si definisce armonica fondamentale, i successivi armoniche superiori.
In fig. 2 è mostrato l’andamento di una corrente elettrica alternata dove in ordinata è riportata l’ampiezza della corrente ed in ascissa il tempo.
L’intervallo T definisce il periodo (in msec) cioè l’intervallo che intercorre fra due istanti in cui la funzione assume gli stessi valori (nel semiperiodo T/2 la corrente assume lo stesso valore numerico iniziale ma di segno opposto).
La frequenza (Hertz=un periodo al secondo) rappresenta il numero di periodi nell’unità di tempo; la corrente alternata industriale ha la frequenza di 50 Hz (T=20 msec).
Gli effetti della corrente alternata sul corpo umano sono diversi da quelli della corrente continua.
fig. 2 - Corrente alternata
Corrente pulsante
La corrente pulsante fluisce lungo un conduttore in un solo senso come la corrente continua ma passa ad intervalli regolari da un valore 0 ad un valore massimo e quindi di nuovo a 0.
La corrente pulsante viene definita dal suo valore massimo, dalla durata Dt dell’impulso e dal periodo cioè dall’intervallo fra l’inizio di due cicli (fig. 3).
La frequenza si misura in impulsi o battiti al minuto (bpm), la durata Dt ed il periodo T si misurano in millesimi di secondo (msec).
Se gli impulsi di corrente pulsante sono perfettamente rettangolari, il generatore che li produce si definisce ideale.
Gli effetti della corrente pulsante sul corpo umano sono diversi da quelli delle correnti continua e alternata.
Questo tipo di corrente è l’unica atta ad indurre una contrazione cardiaca.
fig. 3 - Corrente pulsante
3. Effetti della densità di corrente D nel corpo umano
(tempo di applicazione, sede del contatto e tipo di corrente definiti)
Nel paragrafo 2.2.3 è stato evidenziato come alcuni effetti della corrente I sul corpo umano dipendano, oltre che dal tipo di corrente, dal tempo di applicazione e dalla sede di contatto, anche dalla superficie di contatto S e quindi dalla densità di corrente D.
Nella Tabella 6 vengono mostrati gli effetti di una corrente alternata sul corpo umano, per valori crescenti della densità di corrente D, per differenti sedi di contatto con tempi di applicazione dell’ordine dei secondi.
Tabella 6
sede contatto |
densità d |
effetto |
cute |
10 µA/cm2 |
soglia di percezione |
cute |
100 µA/cm2 |
soglia dolore |
cute |
500 µA/cm2 |
soglia di eccitabilità muscolare |
cute |
200.000 µA/cm2 |
ustioni |
epicardio oD endocardio |
300 µA/cm2 |
fibrillazione ventricolare |
epicardio oD endocardio |
100.000 µA/cm2 |
ustioni |
Il valore di D = 300 µA/cm2, sufficiente a provocare fibrillazione ventricolare, è stato ricavato sperimentalmente medianti studi elettrofisiologici su animali; tale valore è stato confermato in sede operatoria sul corpo umano.
Nella Tabella 7 vengono mostrati gli effetti di una corrente continua sul corpo umano, per valori crescenti della densità di corrente D, per differenti sedi di contatto con tempi di applicazione dell’ordine dei secondi.
Si noti che con corrente continua i valori di D, a parità di effetti, risultano dimezzati rispetto a quelli per la corrente alternata.
Corrente continua
sede contatto |
densità d |
Effetto |
Cute |
5 µA/cm2 |
soglia di percezione |
Cute |
50 µA/cm2 |
soglia dolore |
Cute |
250 µA/cm2 |
soglia di eccitabilità muscolare |
Cute |
100.000 µA/cm2 |
ustioni |
epicardio oD endocardio |
150 µA/cm2 |
fibrillazione ventricolare |
epicardio oD endocardio |
25.000 µA/cm2 |
ustioni |
Nella Tabella 8 vengono mostrati gli effetti di una corrente pulsante (100 bpm; Dt = 0,5 msec) sul corpo umano, per valori crescenti della densità di corrente D, per differenti sedi di contatto con tempo di applicazione dell’ordine dei secondi.
Applicando al cuore una corrente pulsante è possibile indurre fibrillazione soltanto con valori di frequenza maggiori di 800 bpm.
Corrente pulsante
sede contatto |
densità d |
effetto |
cute |
10 µA/cm2 |
soglia di percezione |
cute |
100 µA/cm2 |
soglia dolore |
cute |
500 µA/cm2 |
soglia di eccitabilità muscolare |
cute |
500.000 µA/cm2 |
ustioni |
epicardio oD endocardio |
2.000 µA/cm2 |
soglia di stimolazione |
epicardio oD endocardio |
250.000 µA/cm2 |
ustioni |
Per eventuali casi di stimolazione monopolare con elettrodo positivo a piastra, si riportano nel seguito, per completezza, anche gli effetti della corrente pulsante con sede di contatto sottocutanea con e senza contatto con la muscolatura. |
||
sottocutanea su muscolatura |
250 µA/cm2 |
soglia di percezione |
sottocutanea su muscolatura |
500 µA/cm2 |
soglia di eccitabilità muscolare |
sottocutanea su muscolatura |
10.000 µA/cm2 |
soglia dolore |
sottocutanea senza contatto con muscolatura. |
1.000 µA/cm2 |
soglia di percezione |
sottocutanea senza contatto con muscolatura |
2.000 µA/cm2 |
soglia di eccitabilità muscolare |
sottocutanea senza contatto con muscolatura |
10.000 µA/cm2 |
soglia dolore |
4. Effetti della corrente elettrica nel corpo umano
(tempo di applicazione, sede del contatto e tipo di corrente definiti)
CorrentE I |
Effetto |
30 mA |
blocco respiratorio transitorio |
60 mA |
blocco respiratorio permanente |
70 mA |
aritmie ipercinetiche ventric. transitorie |
80 mA |
aritmie ipercinetiche ventric. permanenti |
120 mA |
fibrillazione ventricolare |
240 mA |
folgorazione |
corrente i |
Effetto |
15 mA |
blocco respiratorio transitorio |
25 mA |
blocco respiratorio permanente |
30 mA |
aritmie ipercinetiche ventric. transitorie |
40 mA |
aritmie ipercinetiche ventric. permanenti |
50 mA |
fibrillazione ventricolare |
100 mA |
folgorazione |
Corrente pulsante (100 bpm; Dt = 0,5 msec)
corrente i |
effetto |
800 mA |
stimolazione cardiaca transcutanea |
Con 800 mA la stimolazione transcutanea era praticamente inutilizzabile in quanto provocava forti dolori e contrazioni muscolari insopportabili.
Recentemente tale stimolazione è tornata d’attualità in quanto le moderne tecnologie hanno consentito di ridurre notevolmente la soglia di stimolazione e quindi di limitare i fenomeni cutanei al disotto degli elettrodi.
Osservando la fig. 4 si nota come nei punti 1 e 2 siano stati posizionati due elettrodi cutanei fra i quali viene applicata una differenza di potenziale alternata a frequenza industriale di 50 Hz.
Fra questi due punti si ha quindi un immediato passaggio di corrente alternata di intensità inversamente proporzionale alla resistenza opposta dal corpo umano al passaggio della corrente.
E’ stato provato sperimentalmente (Tabella 6) che la fibrillazione ventricolare si instaura quando si raggiungono valori di densità di corrente D pari a 300 µA/cm2 sull’epicardio o sull’endocardio. Nell’esempio riportato nella fig. 4 il flusso di corrente si distribuisce praticamente in maniera uniforme attraverso il tronco.
fig. 4 - Fibrillazione ventricolare - Elettrodi cutanei
La superficie degli elettrodi cutanei di contatto, come mostrato nella tab. 4, è ininfluente per i fenomeni cardiaci; è importante invece la superficie di contatto fra cuore e torace che risulta essere l’area della sezione del tronco che si assume essere pari a 400 cm2.
Assumendo quindi:
D = 300 mA/cm2
(densità di corrente necessaria per provocare fibrillazione ventricolare);
e S = 400 cm2
(area sezione tronco; superficie di contatto tronco-cuore)
per provocare fibrillazione ventricolare è necessario che tra i punti 1 e 2 passi una corrente I di valore:
I = D x S = 300 mA/cm2 x 400 cm2=120.000 µA = 120 mA
Nella Figura 5, invece, l’elettrodo 2 risulta posizionato direttamente sull’epicardio.
In questo caso il flusso di corrente si richiuderà tutto attraverso l’elettrodo (superficie 50 cm2) e quindi attraverso il cuore stesso.
Per provocare fibrillazione ventricolare è sufficiente che tra i punti 1 e 2 passi una corrente I:
I = D x S = 300 mA/cm2 x 50 cm2 = 15.000 µA = 15 mA
Quindi la corrente necessaria per provocare fibrillazione ventricolare risulta di 8 volte inferiore a quella necessaria a provocare fibrillazione nella situazione descritta nel caso precedente.
fig. 5 - Fibrillazione ventricolare - Elettrodo miocardico
La situazione può essere ancora più pericolosa nel caso di un paziente con elettrodo endocardico per stimolazione elettrica del cuore provvisoria avente una superficie di contatto di soli 20 mm2 (come nei normali elettrodi utilizzati per la stimolazione endocardica):
In tal caso avremo:
I = D x S = 300 mA/cm2 x 0,20 cm2 = 60 µA
Ne consegue che, nel caso di un paziente con elettrodo endocardico, l’insorgere di fibrillazione ventricolare interviene già con una corrente debolissima (2.000 volte inferiore a quella che induce fibrillazione ventricolare con elettrodi posizionati sulla cute).
Per la legge di Ohm (tenendo presenti le diverse resistenze interposte), con elettrodi posti sulla superficie del corpo, si induce fibrillazione ventricolare applicando una differenza di potenziale di valore:
V = I x R = 120 mA x 3.000 W = 360 V
mentre con uno dei due elettrodi posto direttamente sul cuore, si induce fibrillazione ventricolare applicando una differenza di potenziale di valore:
V = I x R = 60 µA x 500 W = 30 mV
Tutto questo fa capire l’importanza dell’isolamento elettrico delle apparecchiature biomediche.
E’ infatti evidente come correnti di dispersione bassissime, dell’ordine dei µA (e quindi, in molti casi, non rilevabili dagli operatori) possano provocare effetti letali sui pazienti in terapia.
L’uso sempre crescente di strumentazione biomedica altamente sofisticata per tecniche diagnostiche sempre più precise e per terapie sempre più efficaci ha aumentato il rischio di micro-shock ripetuti e di macro-shock anche se le citate tecniche tendono ad essere sempre meno invasive. Purtroppo gli eventi letali esistono e purtroppo sono anche numerosi (De Bellis e Palma22).
Considerando che le correnti in gioco sono bassissime, sarà estremamente complicato attribuire il decesso di un paziente a shock elettrico piuttosto che ad altre cause cliniche che possono provocare effetti analoghi.
D’altra parte è estremamente pericoloso assumere un atteggiamento mentale tale da considerare il pericolo di micro-shock o macro-shock legato esclusivamente all’uso di strumentazione biomedica particolarmente sofisticata dato che anche un normale elettrocardiografo può essere causa di shock elettrico.
Fortunatamente tale evento è assai raro e può verificarsi solamente in presenza di grossolani errori dell’operatore ed in assenza dei più elementari sistemi di sicurezza.
Il presente paragrafo mira pertanto ad evidenziare, con la massima chiarezza possibile, i seguenti aspetti:
- generalità sugli impianti di messa a terra;
- pregi e difetti dei principali sistemi di prevenzione degli shock elettrici;
- esemplificazione degli effetti di shock elettrico in pazienti sottoposti a cateterismo cardiaco o ad impianto per stimolazione elettrica del cuore provvisoria.
Prima di iniziare a commentare gli aspetti sopra menzionati appare però opportuno descrivere le modalità attraverso le quali è possibile che si generino quelle differenze di potenziale spurie o di dispersione sui contenitori degli apparecchi che costituiscono la principale preoccupazione per gli operatori ed il principale rischio di passaggio di correnti attraverso il corpo dei pazienti o degli operatori.
Le differenze di potenziale spurie sui contenitori degli apparecchi si evidenziano generalmente per fenomeni di tipo capacitivo o resistivo con i circuiti elettronici dell’apparecchio stesso. Ad esempio, per eliminare i disturbi di rete (cioè le componenti a radiofrequenza dell’alimentazione) si mettono in ingresso, tra fase e contenitore e tra neutro e contenitore, dei condensatori; con il tempo tali condensatori possono perdere parte del loro isolamento; in tal modo si determinerà un passaggio di corrente che sarà, a parità di calo dell’isolamento, molto più elevato fra fase e terra (dove vi è una differenza di potenziale di 220 V) che non fra neutro e terra (dove la differenza di potenziale è di una decina di V).
Un’altra fonte di differenze di potenziale spurie può essere il trasformatore d’entrata che serve ad isolare l’apparecchio dalla linea di alimentazione.
Le spire del primario del trasformatore tendono ad allargarsi, per effetto di ripetuti cicli termici e, nel tempo, si possono deformare fino a venire in contatto con lo schermo elettrostatico che le separa dal secondario.
Tramite lo schermo si può verificare un passaggio di corrente sul contenitore (fig. 6); tale passaggio di corrente sarà tanto più intenso quanto più è vicino il filo di fase; la tensione nel primario infatti va gradatamente diminuendo man mano che ci si allontana da tale filo (dai 220 V di rete fino alla decina di V del neutro a cui è collegato l’altro capo del primario del trasformatore).
fig. 6 - Trasformatore d’entrata
Va rammentato che la normale alimentazione delle prese può essere a 125 V fra una fase ed un neutro oppure a 220 V con due fasi laterali e un neutro centrale.
Quando, convenzionalmente, si dice che la fase va sul contenitore dell’apparecchio si intende quindi che il cavo di alimentazione è stato inserito nella presa in modo tale che il filo di fase passi proprio attraverso il condensatore che abbia perso parte dell’isolamento oppure che la spira che tocca lo schermo elettrostatico del trasformatore è più vicina al filo di fase che non al neutro.
La probabilità che ciò si verifichi è del 50% essendo ovviamente impossibile decidere, in una presa a 125 V, quale sia il neutro e quale sia la fase: invertendo semplicemente una spina nella presa si può passare da una situazione non pericolosa ad una pericolosa.
Va rammentato infine che, in Italia, l’alimentazione a 125 V va gradatamente scomparendo mentre l’alimentazione a 220 V deve, per legge, possedere un circuito di terra centralizzato collegato al foro centrale delle prese (dove in precedenza era collegato il neutro).
Ciò non deve fare ritenere che sia ora possibile abbassare il livello di guardia in quanto le condizioni descritte, nell’estrema varietà delle situazioni che si possono incontrare, rimangono sempre possibili.
Generalità sugli impianti di messa a terra
Data la sua enorme massa, si considera che il globo terrestre abbia un potenziale elettrico uguale a zero.
Collegando quindi un impianto, un’apparecchiatura o un punto di un circuito con il terreno, significa rendere il potenziale di tale punto uguale a zero.
Si definisce pertanto un impianto di messa a terra tutto quel complesso di conduttori atti a mettere gli impianti elettrici degli edifici in diretto contatto elettrico con il terreno allo scopo di dissipare nel terreno stesso tutte le correnti di dispersione o di contatto accidentale che potrebbero generarsi nell’esercizio di apparecchiature elettriche.
La legislazione italiana ha recentemente reso obbligatoria, per tutti gli edifici pubblici e privati, la realizzazione di un impianto di messa a terra.
Nel caso specifico delle strutture ospedaliere, l’impianto di messa a terra è di fondamentale importanza nella protezione degli operatori da tensioni di contatto, cioè dalla differenza di potenziale che può nascere alle estremità di un corpo umano in contatto con i contenitori delle apparecchiature e con il terreno stesso.
L’impianto di terra è inoltre molto importante per un corretto funzionamento delle apparecchiature, al fine di contenere entro limiti ben determinati la tensione massima che può venire raggiunta da un punto qualsiasi del circuito sia nel normale funzionamento che in caso di guasto.
In realtà un impianto di messa a terra, per buono che esso sia, non sarà mai in grado di portare un’apparecchiatura a potenziale zero in quanto esiste sempre una resistenza dei conduttori di terra che non consente il raggiungimento di tale obiettivo. Inoltre la dispersione nel terreno è legata alle caratteristiche del terreno stesso.
Si considera una buona messa a terra un collegamento che abbia una resistenza complessiva dei conduttori e del terreno dell’ordine dei 5 W.
Anche il raggiungimento di tale valore non è sempre semplice in quanto la resistenza R del terreno aumenta con il diminuire dell’umidità e con l’aumentare della temperatura.
Diventa pertanto fondamentale la profondità alla quale viene inserito nel terreno il dispersore di terra al fine di risentire in maniera minore delle condizioni climatiche; al variare delle condizioni del terreno nell’arco di un anno il valore della resistenza R del terreno può fluttuare anche del 60%.
Le caratteristiche del terreno vengono tenute in debita considerazione calcolandone la resistività r che rappresenta la proprietà intrinseca del terreno ad opporsi al passaggio della corrente.
La resistività r del terreno è legata alla resistenza R dalla seguente relazione:
R = r . l/s
e quindi:
r = R . s/l
dove: r = resistività (W. .m); R = resistenza del terreno (W); l = lunghezza del conduttore (m); s = superficie del conduttore (m2)
Supponendo di essere riusciti a realizzare un impianto di terra perfetto, nel momento in cui un’apparecchiatura viene collegata all’impianto di terra questa assume lo stesso potenziale del terreno: V = 0.
Un operatore che venga in contatto con l’apparecchiatura trova, anche in caso di cattivo funzionamento o isolamento, un potenziale V=0 sia nel contatto tra la mano e l’apparecchio, sia fra i piedi ed il terreno.
Attraverso il suo corpo non passerà quindi alcuna corrente o almeno questa assumerà valori irrilevanti dovuti ai modesti potenziali che si generano per le citate resistenze dei conduttori di terra e del terreno.
Per quanto riguarda il buon funzionamento delle apparecchiature, un buon impianto di terra è ugualmente una condizione fondamentale.
Basti pensare, ad esempio, che un poligrafo è in grado di rilevare valori di tensione dell’ordine dei mV da amplificare fino a valori di qualche Volt che sono necessari alla penna per registrare un elettro-cardiogramma (ECG).
Per poter registrare un elettro-encefalogramma (EEG), l’apparecchio deve addirittura essere in grado di rilevare tensioni dell’ordine dei mV (1/1.000.000 di Volt).
Si può quindi facilmente intuire come correnti di dispersione di modestissimo valore possano provocare disturbi tali da non consentire la registrazione dell’ECG o dell’EEG.
La presenza di un buon impianto di terra è condizione essenziale nella realizzazione di una sala operatoria o di un’unità emodinamica per poter effettuare tutte le misure e le terapie necessarie: ma ciò non è sufficiente.
Infatti, se si prevedono forti disturbi elettromagnetici provenienti da sale adiacenti (raggi X, marconiterapia, TAC, risonanza magnetica, ecc.), la sala operatoria deve essere elettricamente isolata mediante una rete in maglia di acciaio, fino a formare la cosiddetta gabbia di Faraday che verrà opportunamente collegata all’impianto di terra.
Infine è importante verificare che il foro centrale di tutte le prese di corrente sia effettivamente collegato all’impianto di terra e non al neutro dell’utenza in modo da consentire la messa a terra delle apparecchiature attraverso le normali spine di utilizzazione.
Pregi e difetti dei principali sistemi di difesa contro shock elettrici accidentali
Come visto in precedenza, nel caso di pazienti con elettrodo-catetere provvisorio, una differenza di potenziale del tutto insignificante (100 mV) è sufficiente a far circolare una corrente alternata di 60 mA in grado di provocare una fibrillazione ventricolare.
I sistemi anti-shock elettrico devono quindi impedire che si creino differenze di potenziale sul corpo dei pazienti.
In teoria, per eliminare la principale fonte di shock elettrici accidentali, basterebbe disperdere con un opportuno sistema di prese di terra tutte le correnti di dispersione che si creano sui contenitori delle apparecchiature usate dai pazienti o applicate ai pazienti.
Generalmente, nei moderni ospedali in regola con le prescrizioni di legge, l’impianto di terra è centralizzato con collegamento al foro centrale di tutte le prese femmina di corrente.
L’impianto deve venire sottoposto a verifiche periodiche atte a controllare il valore della resistenza verso terra che deve essere rigorosamente mantenuto nel limite inferiore dei 10 W.
Gli apparecchi debbono essere collegati alle prese di corrente con cavi di alimentazione a tre conduttori di cui due per l’alimentazione dell’apparecchio ed il terzo per il collegamento alla presa di terra.
Risulta sempre e comunque necessario osservare una serie di avvertenze:
- il cavo di alimentazione deve essere conservato con cura; debbono essere evitate brusche compressioni, stiramenti o piegature;
- le norme di sicurezza prevedono un conduttore di terra di sezione maggiore rispetto ai cavi di alimentazione per aumentarne la resistenza meccanica e diminuirne la resistenza elettrica;
- i cavi di alimentazione di più apparecchi (i quali possono entrare in diretto contatto con il paziente) debbono essere alimentati sulla stessa presa o su prese vicine collegate l’una all’altra, ciò per evitare il generarsi di differenze di potenziale dovute alla diversa tensione a cui si possono trovare i due conduttori di fase ed i due conduttori di terra; le ragioni di ciò sono dovute a fenomeni di caduta di potenziale lungo la linea per sovraccarichi, inadeguatezza delle sezioni dei conduttori, fenomeni di induzione elettrica nei conduttori o all’interno delle prese stesse per passaggio di corrente fra fase e terra;
- evitare di utilizzare adattatori, prolunghe e raccordi che rappresentano la maggiore fonte di pericolo;
Bisogna però tenere presente che apparecchiature che non sono normalmente pericolose possono diventare molto pericolose quando esse vengano utilizzate su di un paziente collegato ad altre apparecchiature.
E’ pertanto importante tenere sempre presente le avvertenze di cui sopra anche in presenza di un buon impianto di terra; ovviamente, però, non sempre ci si trova nelle condizioni ottimali di un ospedale con buon impianto di messa a terra mediante il quale è possibile, con poche avvertenze, garantire la massima sicurezza al paziente.
Molto spesso, ad esempio negli interventi di estrema urgenza extra moenia, l’operatore si può trovare ad agire in strutture che non dispongono di un adeguato impianto di messa a terra.
Ciò non può certo costituire una scusante per non intervenire o per intervenire senza le adeguate precauzioni.
Verranno appresso indicate quelle avvertenze addizionali che, se attuate con scrupolosità, consentono di operare in sicurezza anche in assenza di un impianto di messa a terra e di evitare incidenti spesso letali.
Dove manchi la messa a terra centralizzata, le prese di corrente potrebbero avere il foro centrale (dove esiste) collegato al neutro.
Utilizzare il neutro come terra è molto pericoloso perché il neutro rappresenta un ritorno elettrico a potenziale sicuramente diverso da zero.
In tal caso occorre realizzare un sistema di messa a terra secondario, non solo tralasciando completamente di utilizzare il foro centrale delle prese di corrente, ma, anzi, rimuovendo lo spinotto centrale delle spine di alimentazione degli apparecchi.
Come prese di terra secondarie possono essere utilizzate delle condutture metalliche (termosifoni, lavandini, ecc.) da collegare ad un cavo di terra separato dai cavi di alimentazione.
Il cavo di terra separato verrà collegato da una parte all’apparecchiatura e dall’altra alla tubazione prescelta mediante morsetti a coccodrillo.
Le avvertenze da seguire in questo caso sono:
- evitare assolutamente di collegare il neutro dell’impianto alle prese; rimuovere lo spinotto centrale delle spine di alimentazione, se esiste qualche dubbio;
- scegliere il sistema di tubazioni metalliche che presenti la massima garanzia di bassa resistenza. Le tubazioni dei termosifoni, nella stagione calda, possono essere stati svuotati dell’acqua e quindi presentare una maggiore resistenza;
- assicurarsi che il morsetto a coccodrillo sia ben in contatto con il metallo vivo della tubazione; rimuovere quindi lo strato di vernice e qualsiasi tipo di sporcizia ed evitare di collegarsi a tubi cromati in quanto può essersi formato uno strato di ossido fra cromatura e metallo della tubazione;
- verificare che le saldature del cavo di terra con i morsetti a coccodrillo siano efficaci e non presentino cricche e rotture;
- collegare sempre il cavo di terra prima di collegare il cavo di alimentazione; scollegare sempre il cavo di alimentazione prima di scollegare il cavo di terra anche se l’apparecchio è stato spento;
- evitare contatti fra schermo elettrostatico dell’apparecchio con il cavo di terra; ciò provoca l’esclusione del fusibile-paziente di cui tutti gli apparecchi sono dotati.
Esempi di micro-shock e macro-shock elettrici
Tutti i casi che verranno descritti sono realmente avvenuti.
Attualmente, con i PM esterni a batteria, con gli innesti degli stessi isolati, con le attuali centraline di monitoraggio, con gli impianti di terra esistenti in tutti gli ospedali, l’eventualità del ripetersi di tali episodi risulta estremamente improbabile.
La disparità delle situazioni e la molteplicità dei pericoli connessi con l’impiego dell’energia elettrica invitano ad essere sempre vigili ed a non prendere mai nulla per scontato. Per tali motivi si è ritenuto opportuno riportare i casi descritti nel seguito.
Le conseguenze dei casi esposti sarebbero state certamente evitate se tutte le avvertenze e gli accorgimenti descritti in precedenza fossero stati messi in atto.
Sebbene le conseguenze di una mancata o incorretta messa a terra di un apparecchio siano sempre le stesse (passaggio di corrente attraverso il paziente), molto differenti sono le situazioni da cui possono nascere gli incidenti e differenti le conclusioni che si possono trarre.
La possibilità per un paziente di andare incontro a fibrillazione ventricolare è tutt’altro che remota ed avviene quasi certamente in tutti quei casi per i quali si abbia la presenza contemporanea dei seguenti elementi:
1) un elettrodo endocardico od un catetere cardiaco;
2) un apparecchio mal collegato a terra o addirittura collegato a terra soltanto in modo apparente;
3) un apparecchio ben collegato a terra.
Non sempre è facile o possibile riuscire a riconoscere la presenza dei tre elementi che conducono ad un micro-shock o ad un macro-shock.
Occorre pertanto fare ricorso a personale specializzato in grado di identificare la presenza di tutti i potenziali elementi pericolosi e, una volta identificati, eliminarli; lo stesso personale specializzato avrà inoltre cura di prevenire la possibilità che gli stessi inconvenienti si possano ripresentare mediante opportuni interventi di manutenzione preventiva e di sostituzione dei componenti che risultino difettosi o sospetti.
Paziente collegato ad un PM esterno a rete ed in contatto con il terreno
Nel caso mostrato in fig. 7, il paziente è collegato ad un PM esterno a rete sul quale è presente una corrente di dispersione di 1 mA (PM collegato a terra e paziente in contatto con il terreno).
fig. 7 - Shock elettrico - Contatto con il terreno
Si assume che il ramo del circuito nel quale è inserito il paziente abbia una resistenza complessiva verso terra di:
R1 = 1.000 W
e che il cavo di terra del PM abbia una tipica resistenza di:
R2 = 10 W.
In condizioni regolari (buon impianto di messa a terra), la corrente totale di dispersione IT è uguale alla somma delle correnti I1 e I2 che circolano nei due rami del circuito, a loro volta inversamente proporzionali alle rispettive resistenze.
La corrente I1 che passa attraverso il paziente sarà quindi:
I1 = IT - I2 e cioè I1 = 1 mA - I2
essendo:
I2/I1 = R1/R2 = 1.000/10 = 100
risulta che:
I2 = 100 . I1
sostituendo:
I1 = 1 mA - 100 . I1
I1 + 100 . I1 = 1 mA
I1 = 1 mA/101
si ha:
I1 = 0,01 mA = 10 mA
Nel paziente passano quindi soltanto 10 mA (non pericolosi) mentre 990 mA si scaricano nel terreno attraverso il cavo di terra.
Qualora si ipotizzi il caso di un malfunzionamento o di errore dell’operatore che provochi l’aumento di R2 da 10 W a 10.000 W (ad esempio un pessimo contatto del cavo di terra dovuto ad ossidazione dello spinotto centrale della presa di terra ovvero per incorretta inserzione della spina nella presa), si avrà:
I2 = 1/10 I1
da cui:
I1 = 1 mA - 1/10. I1
I1 + 0,1 . I1 = 1 mA
I1 = 1 mA/1,1
I1 = 0,9 mA = 900 mA
In questo caso, attraverso il paziente passa praticamente tutta la corrente di dispersione del PM esterno a rete.
I livelli di corrente che possono venire raggiunti risultano altamente pericolosi.
Paziente collegato ad un PM esterno a rete e ad un cardiofrequenzimetro centralizzato
Se per errore o scarsa manutenzione la femmina centrale della presa a cui è collegato il PM esterno è connessa con il neutro invece che con la terra, il contenitore del PM risulta in tensione. Il cardiofrequenzimetro, anche se collegato alla stessa presa, viene messo a terra tramite la centrale di monitoraggio alla quale è collegato. Attraverso il paziente si ha quindi un passaggio di corrente determinato dalla differenza di potenziale che si crea tra il contenitore del PM e quello del cardiofrequenzimetro (fig. 8). Pertanto:
- diffidare degli impianti non sottoposti a visite periodiche;
- ricordare sempre che dalla bontà o meno di una presa può dipendere una vita umana;
- far verificare sovente gli impianti dai Servizi Tecnici.
fig. 8 - Shock elettrico - Cardiofrequenzimetro
Paziente collegato ad un PM esterno a rete e ad un elettrocardiografo
In questo caso, se l’elettrocardiografo è stato messo a terra attraverso una presa volante e tale presa, a causa di difetti, risulti avere una resistenza molto elevata, il contenitore dell’elettrocardiografo, in caso di guasto, può andare in tensione.
Il contenitore del PM, invece, essendo collegato correttamente a terra, si trova a potenziale zero.
Si crea di conseguenza un passaggio di corrente attraverso il paziente determinato da tale differenza di potenziale (fig. 9).
Tale esempio mostra il pericolo insito nell’uso di prese di terra d’emergenza scelte con troppa leggerezza.
fig. 9 - Shock elettrico - Elettrocardiografo
Paziente collegato ad un PM esterno a rete e ad un cardioscopio
In questo caso, se la presa del cardioscopio è stata danneggiata a seguito di urti, cadute o sovratensioni e la fase va a toccare il contenitore, questo ultimo va in tensione. Il PM, invece, essendo correttamente collegato con l’impianto di messo a terra, si trova a potenziale zero (fig. 10).
Questa differenza di potenziale crea un passaggio di corrente attraverso il paziente, con conseguenze che possono essere estremamente gravi.
Quindi, un apparecchio che abbia subito cadute o urti violenti oppure sia stato assoggettato a delle sovratensioni accidentali non dovrà essere riutilizzato prima di un controllo generale che confermi le originarie condizioni di sicurezza.
fig. 10 - Shock elettrico - Cardioscopio
Paziente sottoposto a cateterismo cardiaco o ad impianto di elettrodo-catetere per stimolazione elettrica del cuore provvisoria
Prima dell’intervento, il paziente è stato monitorizzato per visualizzare l’elettrocardiogramma.
L’operatore, volendosi accertare della corretta inserzione del catetere, ripieno di soluzione salina, nella vena dell’avambraccio del paziente, avvicina la lampada snodabile con la mano destra e con la mano sinistra tocca il catetere del paziente (fig. 11).
fig. 11 - Shock elettrico - Lampada scialitica
Se la lampada non è correttamente collegata con l’impianto di messa a terra, si ha il passaggio di una corrente di dispersione (tipicamente di 1 mA).
Tale corrente si scarica sulla mano destra del medico e quindi si ripartisce fra due rami collegati a terra, uno rappresentato dal corpo del medico e l’altro dal percorso “catetere, cuore del paziente, torace del paziente, cavo- paziente, monitor, collegamento a terra”.
Stimando che la resistenza dei due rami risulti praticamente equivalente, metà della corrente elettrica di dispersione (500 mA) passerà in ciascuno dei due rami.
Mentre il medico probabilmente non percepirà nulla, essendo la soglia di percezione di circa l mA, un valore di corrente di 500 mA applicato direttamente al miocardio determinarà fibrillazione ventricolare nel paziente.
La causa prima di questo shock elettrico è da imputare alla lampada non correttamente collegata con l’impianto di messa a terra ma la concausa è l’utilizzazione di un monitor non isolato.
è opportuno ricordare che un paziente con elettrodo-catetere per stimolazione elettrica del cuore provvisoria, è un paziente ad alto rischio in quanto è sufficiente una corrente alternata 2.000 volte inferiore al normale per provocare fibrillazione ventricolare.
è pertanto altamente raccomandabile porre la massima precauzione nell’uso di apparecchiature bio-mediche in pazienti sottoposti a terapie intensive rianimatorie o post-chirurgiche.