Occidente

Guatemala

Sulla Sierra e nella foresta tropicale

Città del Guatemala, Guate per gli amici, è caotica e un po' sporca in periferia ma ricca d’interessanti edifici, negozi e mercati artigianali in centro. Fernanda ed io siamo qui da un paio di giorni e ci siamo dedicati allo shopping per avere il tempo di acclimatarci. Tra gli acquisti spicca una bella sacca da tennis, in pelle, dal prezzo veramente convincente.

AntiguaIglesia del Carmen, Antigua.

Ormai è tempo di partire, quindi noleggiamo un'utilitaria per visitare l’altopiano. Imbocchiamo la grande autostrada che esce dalla città in direzione ovest ma fatti pochi chilometri ci ritroviamo su una modesta strada di montagna, tuttavia, senza particolari difficoltà, raggiungiamo Antigua, la vecchia capitale, abbandonata nel 1773 dopo un terremoto e non più completamente ricostruita.
Qui il tempo sembra essersi fermato 300 anni fa, questa è certamente la città coloniale meglio conservata del centro America, annidata tra i vulcani Agua, Fuego e Acatenango, ha una pianta quadrata con al centro la Plaza Mayor. Lungo le strade lunghe e diritte si trovano ancora molti edifici diroccati che diventano sempre più numerosi man mano che ci si allontana dal centro, tra questi spicca l’Iglesia del Carmen che doveva essere magnifica, giudicando da quel che ne resta.
Anche il nostro albergo è un antico edificio, quasi certamente un convento, adattato all’uso attuale.

Mercato a Chichicastenango.

Una mattina mi alzo presto e mentre Fernanda dorme, vago da solo per le strade semivuote incontrando gente assonnata ed una mandria di lama diretta all'abbeverata. Esco un po' dalla città e raggiungo una chiesa dove si celebra una funzione religiosa poi mi soffermo ad ammirare i fedeli, in gran parte donne, che indossano i variopinti costumi degli indiani delle montagne ed ascoltano la messa in spagnolo.
Nei dintorni di Antigua, la meta classica è il mercato di Chichicastenango. Non lo possiamo perdere!
Arriviamo nella cittadina di prima mattina, posteggiamo il nostro mezzo e visitiamo il villaggio. Nella grande piazza dinnanzi alla chiesa di San Tomas, dalla quale escono enormi nuvole d’incenso, lo spettacolo è affascinante. Veniamo sommersi in una indescrivibile cacofonia di dialetti, costumi, colori, fumo e odori. Girando tra le centinaia di bancarelle, dove si vendono prodotti artigianali, troviamo dei bellissimi tessuti, dai colori vivi, decorati con molta fantasia. Queste combinazioni di disegni e colori che a noi sembrano uniche, in realtà seguono uno schema fisso ed un vero esperto è in grado di risalire alla località di provenienza e forse addirittura all'autore.

Piccola intimidita

Dopo qualche giorno ci trasferiamo a Panajachel una bella cittadina sul lago Atitlan ma vi restiamo poco perché dopo una settimana sulle montagne incominciamo ad annoiarci del clima temperato e Fernanda si prende addirittura un’infreddatura, quindi decidiamo di raggiungere rapidamente il clima tropicale di Tikal. Per questo torniamo a Guate dove, sorprendentemente, il noleggiatore ritira l’utilitaria in nostro possesso e ci fornisce un potente fuoristrada giapponese. Al momento questo cambio ci sembra eccessivo ma, alla prova dei fatti, si rivelerà utilissimo.

Scendiamo verso il mare fermandoci solo per visitare gli scavi di Quirigua ricchi d’affascinanti steli Maya e quando ormai si sta facendo notte raggiungiamo il gran ponte sul Rio Dulce.
Nella semioscurità uno strano personaggio dall’aspetto poco rassicurante, che si presenta con il nome di “Pedro”, ci propone una sistemazione per la notte. Stanchi ed affamati non ci sentiamo di contraddirlo, così lo seguiamo su una veloce barca motorizzata che ci scarica su un’isola-albergo in mezzo al fiume. Dopo averci consegnati al personale dell’albergo Pedro promette (o minaccia?) di tornare il giorno seguente.
Ceniamo e ci ritiriamo nel nostro bungalow ma la musica assordante di una festa sull’isola vicina ci tiene svegli fin verso le tre del mattino, quando, alquanto alterato, aggredisco la direzione dell’albergo e mi faccio assegnare un alloggio sull’altro lato dell’isola, così finalmente prendiamo sonno.
Il giorno seguente, puntualissimo, il nostro amico ritorna. Alla luce del sole ha un aspetto più umano e si rivela anche alquanto evoluto, infatti, ci costringe a visitare con la sua barca:
1° - Il Castillo San Felipe De Lara costruito nel 1652, all’imbocco del lago Izabal, per difendere la zona dai pirati che nonostante i suoi potenti cannoni, non sempre si è rivelato all’altezza del compito, infatti, nel 1686 è stato incendiato dal pirata Sharp;
2° - Livingstone una strana cittadina senza vie d’accesso, raggiungibile solo dal mare, che si trova alla foce del Rio Dulce ed è l’unica in Guatemala ad avere una popolazione di razza nera perché trovavano rifugio qui, in passato, tutti gli schiavi in fuga della zona caraibica;
3° - Le sorgenti d’acqua bollente sulla sponda nord del lago Izabal, tipiche delle zone vulcaniche, che sono usate per cure termali estemporanee, non essendo ancora state scoperte dal turismo di massa.
Passiamo un paio di giorni molto affaccendati, durante i quali, in vero, vediamo cose molto interessanti e poi, finalmente, Pedro ci permette di continuare per il Peten.

A Tikal

Il nostro “librone che sa tutto sul Guatemala” dice che è meglio rifornirsi d’acqua e carburante per il lungo tragitto nella giungla. Sono più di 300 Km e questo ci fa attraversare il ponte a pagamento sul Rio Dulce con un po' d'ansia.
In realtà, sebbene si tratti di un’edizione recente, la guida si rivela obsoleta. Lungo il percorso, in un paesaggio che ricorda più la savana che la giungla, s’incontrano molte fattorie, alcune stazioni di servizio ed anche qualche posto di ristoro improvvisato.
A parte la polvere ed il fondo sconnesso, su questa lunga strada sterrata, dove i ponti non esistono, solo i fiumi creano qualche difficoltà.
Un guado particolarmente ostico, affrontato con eccessiva baldanza, arresta la nostra auto in mezzo alla corrente e riusciamo a ripartire solamente dopo avere messo in funzione le quattro ruote motrici. Questo mi costa una passeggiata in acqua perché, sul nostro fuoristrada, l’innesto della trazione anteriore si trova sul mozzo delle ruote. Fortunatamente siamo nella stagione secca. Infatti, nella stagione delle piogge, questa banale imprudenza può procurare seri guai.
Verso sera prendiamo alloggio in riva al lago Peten Itza a Flores, una graziosa cittadina situata su un’isoletta. Perbacco, quanta polvere si è accumulata su di noi e sul nostro mezzo in una sola giornata!

Uaxactun

Il mattino seguente, mentre ci prepariamo a partire, una coppia di turisti americani, oriundi tedeschi, ci chiede aiuto. I due sono rimasti qui per un disguido. Non sono più giovani, le difficoltà con la lingua danno loro un’aria così spaesata che pare siano usciti da un cartone animato. Li soprannominiamo subito “Bibì e Bibò” sebbene il ruolo non calzi proprio a pennello.
Diamo loro un passaggio con il nostro macchinone e raggiungiamo, in meno di un’ora, i templi di Tikal immersi in un grande parco nazionale. Qui la giungla é veramente intricata, anche nella zona archeologica scimmie, pappagalli ed altri animali selvatici ravvivano la colonna sonora con le loro grida.
La visita richiede un'intera giornata, pertanto a mezzogiorno mangiamo nel ristorante degli scavi, aiutando, nella scelta dei cibi, i nostri passeggeri.
La sera i nostri nuovi amici, grati per l’aiuto, c’invitano a cena ed il giorno seguente ripartono per il Belize mentre noi raggiungiamo Uaxactum. In Maya Yucatec significa otto pietre.
Abbiamo scelto questo sito quasi sconosciuto perché recentemente riportato alla luce ed anche perché un cacciatore della zona si è dedicato alla ristorazione cucinando gli animali catturati nella giornata, talvolta capitano piatti veramente strani e vale la pena di provarli, perché difficilmente avremo ancora una simile occasione. Almeno così dice il nostro informatore che incontriamo in un bar, seduto davanti ad un enorme bicchiere di birra semivuoto.

C’infiliamo nella giungla senza paura con il nostro potente fuoristrada ed oltrepassiamo spavaldamente persino un grosso tronco, appena caduto, che dobbiamo spostare con il verricello.
Il sito non è molto lontano. Troviamo facilmente la pista d'atterraggio in disuso, costruita durante gli scavi e poco distante vediamo alcune capanne ai bordi di un laghetto che però ci consigliano di evitare perché infestato dalle amebe.
I monumenti, solo parzialmente visibili, sono straordinariamente belli e qui, lontani dalla folla, forse, riusciamo a cogliere, per un attimo, la magica atmosfera di questi antichi luoghi quando, dall'alto di un tempio, scorgiamo in lontananza, immerse nel verde, le svettanti torri di Tikal.
Un robusto appetito ci richiama alla realtà e raggiungiamo, quindi, il famoso ristorante. Si tratta di una capanna di paglia un po' più grande delle altre ma che, fortunatamente, dispone di cellule solari e questo significa bibite fresche.
Tutto procede per il meglio, pertanto c’informiamo sul piatto del giorno. “Hoy, tenemos un ****** ”. Non capiamo e chiediamo: “Cosa es?”. Ci rispondono: “Pues….. un raton!”.
Così, dopo essere venuti apposta fin qui, decidiamo di scegliere il piatto alternativo, ovvero polenta, uova e salsicce. Consigliati dalla fame, non osiamo nemmeno chiedere da dove provengano queste ultime.

La vacanza è al termine. Il giorno seguente partiamo da Flores per tornare al Rio Dulce, poi a Guate ed infine a casa.

Forse siamo stati sciocchi perché ancora oggi, dopo anni, ci chiediamo: “Che sapore avranno i raton?”

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