Oriente

Un'istantanea
del Sol Levante

con un'insolita luce

All'aeroporto Narita riusciamo a farci capire da un facchino. Si carica sulle spalle le nostre pesanti valige, contenenti il campionario, unendole per le maniglie tramite una cinghia, quindi, salendo e scendendo grandi scale, ci accompagna, borbottando incomprensibili maledizioni dovute all'eccessivo carico, alla stazione dello Shinkansen, il treno che porta a 200 km/h da Tokyo ad Osaka. In un paio d'ore siamo al New Otani di Osaka dove finalmente riusciamo a stenderci su un letto, dopo quasi due giorni di viaggio.

Il tempio Kiyomizu

Siamo venuti sin qui per vendere tessuto in seta stampato per cravatte, è il mio primo viaggio fuori dall'Europa e mi sento a disagio, non capisco una parola ma soprattutto non riesco a leggere. Per fortuna Roberto, il mio giovane socio, ha una notevole esperienza ed è già venuto in Giappone molte volte.
La sera, troppo stanchi per uscire, andiamo al ristorante dell'ultimo piano del New Otani e mangiamo delle ottime costine di agnello, però il conto è talmente salato che mi si blocca completamente la digestione.

Il giorno seguente, sperando di rifarci, visitiamo il primo cliente: la famigerata ditta Matsuda & c. Veniamo accolti molto cortesemente dalle impiegate che, sebbene sia gennaio, dopo averci tolto le scarpe, ci fanno sedere per terra su una stuoia in un locale senza riscaldamento. La tortura sembra interminabile ma in verità, dopo pochi minuti arriva il dr. Matsuda il quale, mosso a pietà, ci fa portare del te verde, amaro ma caldo, ed accende una stufetta elettrica.
Possiamo così, abbastanza comodamente, aprire le valigie e mostrare il nostro campionario autunno/inverno, frutto di vari mesi di lavoro, centinaia di pezzetti di tessuto di seta lunghi 30 centimetri e larghi 20, stampati con disegni differenti, raggruppati per soggetto e per varianti di colore dello stesso disegno. Fortunatamente, la nostra fatica viene ricompensata da un discreto ordine.
Il paese pare così estraneo, sebbene non sia ostile, che sorge spontaneo il desiderio di incontrare qualcuno che parli la nostra lingua, così il mio socio, che conosce una italiano sposato con una ragazza giapponese, organizza una cena in loro compagnia. Sebbene il tenore di vita della coppia sia evidentemente molto alto ci confessano di non avere figli perché il loro appartamento, in centro a Tokyo, è di soli venti metri quadri e non lo permette. Non afferrando il problema suggerisco di comperare una casa più grande, un sorriso ma soprattutto un breve aggiornamento sui prezzi, mi fanno intendere il senso della loro affermazione.

Agli appuntamenti con i clienti, si alternano cortesi rifiuti ed ordini interessanti, purtroppo rimane poco tempo disponibile per i divertimenti o per le gite turistiche, tuttavia, Akira, un amico giapponese che ha studiato in Italia ed è pertanto un perfetto bilingue, una domenica ci accompagna a visitare un santuario a Kyoto, è interamente costruito in legno. Entriamo e battiamo le mani, come si suol fare affinché il rumore attiri su di noi l'attenzione del Budda dormiente. Sugli alberi attorno sono legati tanti bigliettini, sono le grazie chieste dai fedeli, in questo luogo sacro, forse, una divinità potrà leggerle ed esaudirle.

La sera andiamo a bere in un bar dove conosciamo alcune ragazze con le quali riusciamo ad intenderci con i gesti e disegnando ma soprattutto con l'aiuto di Akira. Una di queste, simpatica, ma piccola e non bella, come la maggioranza delle donne giapponesi, si interessa particolarmente a me, lusingato, chiedo agli amici di farla venire con noi a cena ed infatti andiamo tutti assieme in un discreto ristorante in centro a Kyoto, lei, incredibilmente, mi colma di attenzioni per tutta la serata, timidamente mi versa da bere, prepara tutte le mie pietanze arrivando persino ad imboccarmi. Perbacco, penso, con i bastoncini non me la cavo poi così male!
Uscendo, il freddo inverno giapponese mi fa rabbrividire e strofino le mani gelate.
La ragazza, con mia grande sorpresa, prende tra le sue piccole mani le mie zampacce pelose ed alita dolcemente per riscaldarle. Un gesto mai visto che improvvisamente mi fa comprendere perché i Giapponesi siano 80 milioni sebbene la bellezza non si possa annoverare tra i pregi delle loro donne.
Passiamo ancora un po' di tempo in un bar karaoke, ma purtroppo le ore scorrono rapidamente e si deve tornare all'albergo, saluto con rammarico Akira e Hana, la tenera creatura che ha addolcito la nostra serata, poi prendo tristemente, con il mio socio, l'ultimo treno veloce per Osaka.

Dopo un'altra lunga serie di appuntamenti lasciamo il Giappone per proseguire il viaggio di affari. Parto con malinconia da questo paese che pochi giorni prima mi era sembrato estraneo ed impenetrabile.
Non ho più rivisto la ragazza, ma in seguito ho saputo, tramite Akira, che era molto ricca ed in cerca di marito.
Si è sposata circa un anno dopo quella cena.

 Copyright