Viaggi

Le isole
di Darwin

nell'epoca del turismo di massa

Il volo di linea Quito-Guayaquil-Baltra ci porta alle Galapagos. Baltra è un'isoletta disabitata, sarebbe più esatto dire un mucchio di sassi inutilizzabili che l'Ecuador ha prestato agli Stati Uniti durante l'ultima guerra mondiale ed in tale occasione vi è stato costruito un aeroporto.
Un ragazzo sorridente ci accoglie e ci aiuta a sbrigare le formalità che consistono sopratutto nel pagare la tassa di accesso alle isole, ammontante a circa 100 dollari, è la guida turistica dello yate Antartida, un cabinato di 18 metri che ci aspetta all'ancora a Puerto Ayora. Bagagli alla mano, con tutti gli altri ospiti dello yate, saliamo su un mezzo pubblico che dopo circa un chilometro, ci lascia sulla sponda del mare, l'isola di Santa Cruz è di fronte, a meno di cento metri. Un traghetto ci porta in pochi minuti sull'altra sponda ed un altro autobus ci scarrozza su una strada polverosa in terra battuta che pare tracciata da un colpo di fucile. Dopo un'ora di scossoni, la strada diventa asfaltata in vicinanza di un abitato, è Puerto Ayora, il centro nevralgico dell'arcipelago, che conta circa 3000 abitanti.

Mentre attendiamo la barca che ci deve portare allo yate incontriamo, sul molo, alcune iguane marine che si scaldano pigramente al sole. Ignari dell'indigestione di animali che ci aspetta, scattiamo le prime foto.
L'equipaggio dell'Antartida è composto da un capitano vispo e riccioluto, che viene immediatamente a fare la nostra conoscenza, da un macchinista, un cuoco, un cameriere tuttofare e ovviamente dalla guida che abbiamo incontrato all'aeroporto.
Gli ospiti sono una giovane coppia inglese ed una svedese, una signora di Zurigo ed una tedesca, ambedue oltre i cinquanta, una dottoressa trentenne di Boston ed un impiegato trentacinquenne canadese, oltre a mia moglie ed a me.
Un momento imbarazzante è la sistemazione nelle cabine, la guida, non sapendo quali siano le coppie, tira ad indovinare ed io finisco con la dottoressa americana, l'equivoco è però subito chiarito ed andiamo a fare conoscenza con l'alloggio, una cabina larga poco più di un metro e lunga due con un altro metro quadrato destinato alla doccia ed all'impianto igienico. Per una settimana questo sarà il nostro piccolo mondo, fuori solo l'oceano e qualche isola poco attraente.

Famigliola.

La notte è tremenda, siamo in mezzo al Pacifico strapazzati dagli scossoni del mare grosso e per non cadere dobbiamo tenerci aggrappati alla nostra branda. Per fortuna, verso le tre, sentiamo calare l'ancora ed il movimento rallenta, riusciamo quindi a dormire alcune ore prima di svegliarci e fare la prima colazione nei pressi di una piccola isola rocciosa che ci ripara dal vento.
Il sole picchia a latitudine zero ma, come ci spiega il capitano, nella stagione secca le correnti marine sono molto fredde e l'acqua non supera i venti gradi, di conseguenza l'aria non è calda, nella stagione umida, corrispondente al nostro inverno/primavera, la situazione è molto migliore.
La barca di servizio ci porta a terra, la guida spiega che si tratta di un "dry landing", in pratica: Un tremendo saltone dalla barca ad uno scoglio, per evitare di bagnarci. Ogni peripezia viene dimenticata non appena riusciamo a prendere contatto con la vita dell'isola, abbiamo finalmente raggiunto la ragione di tutte le nostre fatiche.
A pochi metri dall'approdo troviamo una foca distesa tra i sassi, a prima vista sembra morta, si tratta di una giovane femmina di "lobo de mar" che dorme, ci dice la guida, subito dopo un'altra si muove arrancando tra le rocce, in seguito ne incontriamo a decine.
La nostra attenzione viene attratta dai bassi cespugli dell'interno dove nidificano le fregate, nidi ovunque, i piccoli coprono tutti gli stadi di sviluppo dall'uovo in avanti, i maschi adulti gonfiano l'enorme gola rossa per attirare le femmine e quest'ultime li sorvolano in cerca del più attraente per accoppiarsi, ma ecco che nascosta negli anfratti della riva scorgiamo la prima iguana marina, altre la seguono, la quantità degli stimoli è tale che non riusciamo a seguire e vedere tutto. Fotografiamo e filmiamo quanto più è possibile, per un paio d'ore, poi torniamo, con il solito saltone, alla barca appoggio e quindi allo yate.

Nel pomeriggio altra traversata, la maggior parte degli ospiti si lascia cogliere impreparata ed è costretta ad interrompere, bruscamente e senza volerlo, la digestione di quanto ingerito durante il pranzo.
Verso sera gettiamo l'ancora in una rada e passiamo una notte tranquilla.
Altra mattinata luminosa ma non calda, si sbarca su una colata di lava, la superficie fa pensare ad un fluido solidificato da poco sul quale le pieghe disegnano un paesaggio irreale. Per aspetto, durezza e pesantezza, le rocce ricordano una colata di ghisa, l'eruzione è avvenuta oltre cento anni fa ma questo terreno arido ed inospitale è colonizzato solo da rarissimi cactus, qualche lucertola e pochi insetti.

A Bartolomé saliamo su una vetta di un vulcano spento, alto più di cento metri, il panorama è suggestivo, una lingua di bianca sabbia corallina unisce la collina ad altre due più piccole a destra delle quali una lama di roccia è puntata verso il cielo, al di là si vede l'isola di Santiago che abbiamo appena visitato, è molto vasta e la parte occupata dalla colata di lava è di grandi dimensioni, dalle rocce nere dell'eruzione spuntano collinette più antiche di diverso colore.
La guida ci spiega che la spiaggia a sinistra della lingua di sabbia è frequentata da pescecani, mentre quella a destra è sicura e potremo quindi farvi il bagno. Mi approprio di un paio di pinne, una maschera ed un boccaglio poi entro lentamente in acqua. Data la temperatura preferisco non togliere la maglietta che mi aiuterà a sopportare il freddo, subito vengo raggiunto da un paio di leoni marini in vena di scherzi, la loro presenza non è rassicurante, quindi me ne vado puntando diritto verso lo yate che ci aspetta al largo, nel tragitto scorgo sul fondo, tra gli sconfinati banchi di pesci, dei ricci di circa un metro di diametro ed in lontananza, un piccolo squalo martello. Non appena mi avvicino allo scafo, il motorista carogna, indicando l'acqua, comincia a gridare: "La tintorera, la tintorera!"(squalo mangiatore di uomini). La faccia sorridente rende lo scherzo troppo evidente ma è pur sempre inquietante per un marinaio d'acqua dolce, come me. Mi affretto quindi a salire in barca per fugare ogni dubbio.

Galapagos: Un lobo de mar

Prima di questo viaggio avevo visto le foche solo allo zoo, dove avevo legato il loro odore pungente alla cattività, all'approdo del giorno successivo mi devo ricredere. A parecchie centinaia di metri da terra, l'aria irrespirabile ci informa che l'isola è frequentata da una colonia di leoni marini. La costa è divisa in territori dai grandi maschi, pesanti varie centinaia di chili, che difendono il loro spazio contro chiunque, incluso qualche sprovveduto turista, mentre le femmine giovani e vecchie si scaldano al sole ed i piccoli ne approfittano per attaccarsi e mangiare. Tutta la zona risuona di richiami o semplicemente di grida di gioia. Gli animali sono centinaia e le rocce sono consumate ed arrotondate per il loro continuo passaggio.
I documentari che siamo abituati a vedere alla televisione, non sono in grado di rendere appieno le sensazioni che si provano di fronte a questo spettacolo tremendo ed affascinante.
Parecchi animali portano i segni dei pescecani, una ferita fresca sulla schiena, di notevoli dimensioni, deturpa una povera bestiola. Una mamma, che allatta un piccolo di pochi giorni, scaccia con un gesto umano, usando la pinna anteriore, le mosche che le torturano un occhio, del quale è rimasta solo l'orbita vuota e sanguinante. Ne la madre ne il piccolo potranno cavarsela.
Più avanti, tra i massi, incontriamo le iguane terrestri che, data la scarsa vegetazione delle isole, si sono adattate a mangiare i cactus, dei quali apprezzano particolarmente i frutti, pur non disdegnando le foglie. Questi strani rettili, dalle dimensioni non superiori al metro per una quindicina di chili, sono un residuato dell'era dei dinosauri.

Le isole si susseguono senza sosta, una è un'enorme posatoio per uccelli, la roccia, che in origine era nera, ora è diventata completamente bianca, corrosa e ricoperta dagli escrementi, la visita è resa difficile dalla attenzione che si è costretti a tenere per evitare di calpestare un piccolo, un nido o un uovo lasciato incustodito.
La signora tedesca del nostro gruppo, appassionata documentarista, mentre è intenta a filmare, passa distrattamente troppo vicina ad un nido. La madre, dedita alla cova, non gradisce l'intrusione e le procura, con una beccata, una profonda ferita alla gamba lunga alcuni centimetri, che siamo costretti a medicarle con la dotazione della infermeria di bordo.
Anche l'albatros fa parte della fauna di quest'isola, un uccello dall'apertura alare di due metri, grande come un tacchino, dal buffo incedere e dall'ancora più buffo rituale di corteggiamento, rituale al quale assisto impotente con la batteria della telecamera ormai scarica. Pur essendo un grande volatore, questo uccello necessita di una lunghissima pista di atterraggio, poiché in tale operazione ha serie difficoltà e spesso finisce per picchiare tremende facciate per terra, inoltre, per ripartire, necessita di una scogliera dalla quale buttarsi, la sua presenza è quindi legata ad una pista e ad una scogliera non distanti tra loro. Le particolarità di questo uccello hanno ispirato spesso i cartoni animati di Walt Disney.
Un'altra isola ospita la solita colonia di leoni marini ed è pure zeppa di iguane marine dal colore rosso, la temperatura bassa le costringe a riposare nelle zone più riparate dal vento, dove si raggruppano a centinaia.
Quando torniamo allo yate lo troviamo circondato da leoni marini, resi ormai coraggiosi dall'esperienza, facciamo il bagno in mezzo ai simpatici ed innocui pinnuti.

A Floreana, una delle due isole più a sud, si usa mettere la posta in partenza in un barile e poi controllare gli indirizzi di quella lasciata in precedenza. Se l'indirizzo è italiano, la ritira un italiano, poi, appena tornato a casa, l'affranca e l'imbuca. Se l'indirizzo è francese, tocca ad un francese e così via.
Si tratta di una simpatica usanza per turisti, residuo del sistema usato dalle baleniere, nel passato, durante le battute di pesca che si prolungavano per molti mesi. La nave in arrivo depositava la posta, mentre quella in partenza, a fine lavoro, la ritirava e la spediva non appena giunta a terra.
In questo mare, ricco di pesce, le navi si alternavano senza sosta, quindi, l'utilità di questa pratica è evidente.
L'abbondanza di pesce è il motivo delle presenza di tanti animali che se ne nutrono, anche il nostro yate è parzialmente autosufficiente, infatti tutte le mattine, di buon ora, il capitano ed il motorista si dedicano alla pesca ed il piatto del giorno si adegua ai risultati di questa attività. In un paio di fortunate occasioni anche l'aragosta entra a far parte del menù.

Una mattina il capitano mi invita a seguirlo sulla barca appoggio che si usa per pescare. Non appena buttiamo in acqua i due pesci finti che servono da esca, a soli trenta metri dallo yate, il capitano cattura un barracuda e subito dopo un "bacalao", poi anch'io aggancio una bestiaccia di quasi cinque chili.
Proseguiamo per un quarto d'ora, poi cambiamo tipo di pesca ed utilizziamo, come esca, un pesce trovato in bocca ad un "bacalao". Dopo dieci minuti di continue catture, durante i quali alcuni pinguini, incuriositi dal trambusto, ci osservano dalla vicina scogliera, il capitano decide che il cibo è ormai sufficiente e quindi si ritorna.
In totale trenta minuti di pesca per quindici chili di pesce.

Uno degli animali più famosi delle Galapagos è la tartaruga gigante, la cui morfologia cambia così radicalmente, adattandosi alle condizioni ambientali, che ogni isola ha la sua razza.
Le ottime qualità culinarie e la lunga resistenza in vita a bordo delle navi hanno portato questi cheloni sull'orlo dell'estinzione, oggi alcune isole sono ormai spopolate. Un cenno particolare merita "Solitario George" l'ultimo della sua razza, trovato su un'isola sessantacinque anni dopo l'ultimo avvistamento noto di un altro esemplare simile. Attualmente è custodito nella "Estacion cientifica Carlos Darwin" e gli sono state messe vicine due femmine della razza più simile alla sua, alle quali però il povero George non presta affatto attenzione.
E' noto che nella prima metà dell'ottocento, proprio qui, dove sono presenti tanti animali modificati dall'isolamento, Darwin trova spunti essenziali per la sua teoria evoluzionistica, allora molto contrastata ma ormai unanimemente condivisa.

Dopo una traversata finale, accompagnata dai festosi balzi di un branco di delfini, i saluti all'equipaggio ed ai nostri compagni di viaggio sono l'ultimo ricordo di una bellissima settimana, colma di nuove esperienze e con il solo piccolo rimpianto di non avere visto nemmeno una balena.

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