La faccia simpatica della guida ed un cartello sul quale è stato orribilmente storpiato il mio nome, sono le prime immagini che mi colpiscono
all'aeroporto di Siemreap.
Sono giunto sin qui per visitare Angkor, la capitale Khmer ritrovata nella foresta da circa un secolo dopo un oblio durato quasi cinquecento anni.
L'autista con una Toyota fiammante mi porta in albergo per depositare il bagaglio e poi, con una adeguata scorta di pellicole, si parte per il giro dei
monumenti.
La guida è una ragazza di 26 anni che risponde ad un nome che suona più o meno "Ona", ha un viso non bello con tratti orientali spiccati ed un
marcato esoftalmo, la sua vitalità non comune la rende però immediatamente simpatica se non addirittura attraente. I suoi genitori sono scomparsi
durante le epurazioni dei famigerati Khmer rossi, nelle quali hanno perso la vita alcuni milioni di cambogiani, in gran parte intellettuali, effettivi o presunti
oppositori del regime.
Nei giorni seguenti, in un sacrario, poco lontano da Phnom Penh, posso vedere, raccolti da mani pietose, mucchi di teschi ammucchiati nelle fosse
comuni di un campo di sterminio e nella campagna immediatamente circostante scorgo ancora poveri resti umani sporgere dalla terra.
Alcuni volti sorridenti
Si entra in Angkor attraverso un viale ai cui lati statue giganti di dei e demoni tirano il serpente cosmico Vasuki ed una porta sormontata da grandi ritratti
del re-dio Jayavarman VII, queste enormi facce scolpite sulle grosse pietre dei pinnacoli sono le immagini cambogiane più conosciute nel mondo.
Durante la visita ai monumenti più isolati vengo accompagnato da una guardia armata di Kalashnikof con la funzione di scoraggiare la raccolta di
souvenir e di difendere da possibili attacchi dei Khmer rossi, purtroppo, sebbene l'intera zona archeologica sia anche munita di posti di guardia ben difesi,
la guida mi informa che alcuni turisti sono stati recentemente uccisi.
Incuranti o forse ignare di queste preoccupanti notizie, due ragazze viennesi che trovo sedute nella corte di un edificio, circolano senza paura e senza
scorta con scassatissimi motocicli a noleggio. Inoltre, quasi sicuramente per mortificare il mio spirito di avventura, mi raccontano che sono arrivate via
fiume con un battello merci e dormono in una stanza affittata da un privato per due dollari il giorno.
Pensando allo squallore del mio albergo da 30 dollari, pur nutrendo un po' di invidia, non ho il coraggio di accertare personalmente le decantate
qualità della loro sistemazione.
Angkor Wat
Ogni volta che ci si ferma per visitare un monumento mi colpisce una violenta ondata di calore, resa più brusca dal contrasto tra il caldo umido della
giungla tropicale e l'aria condizionata a tutta forza della nostra auto, inoltre devo subire l'assalto di un'orda di bambini che propongono l'acquisto, in un
inglese non sempre stentato, di modesti oggetti di artigianato, pellicole e bibite fresche.
In Cambogia, come in tutti paesi sottosviluppati, i bambini sono numerosissimi.
Una dottoressa della Pennsylvania che, con alcuni altri medici americani, gestisce una maternità ed un consultorio anticoncezionale, durante un breve
incontro all'aeroporto, mi dice che comunemente le famiglie del luogo hanno da nove a quindici figli e che non è semplice parlare loro di anticoncezionali,
del resto anche il potere non gradisce appieno l'iniziativa, infatti vede di buon occhio, almeno in via provvisoria, un incremento della popolazione ridottasi
per degli stermini politici già detti.
Ecco Angkor Wat, la meta del viaggio.
Un fossato largo 180 metri delimita un'isola artificiale dai lati di oltre 500 metri, l'unico monumentale ponte in pietra, come un cordone ombelicale,
attraverso il fossato porta all'ingresso dalle cinque porte sovrastate da pinnacoli conici che anticipa la vista che si ha non appena lo si passa.
Una strada in pietra sale alla struttura principale, il tempio-montagna dalle mirabili proporzioni, stagliato nel cielo, che evoca visioni ultraterrene.
Le sue cinque torri, in origine dorate, giungono in quella centrale, la più alta, ad oltre 60 metri.
Più delle dimensioni colpiscono la fede e l'incredibile pazienza che hanno permesso di scolpire ogni singola pietra con un ornato simile al pizzo.
Il loggiato che circonda il tempio è un unico bassorilievo con scene mitiche e storiche, alto 180 cm. e lungo oltre 1500 metri, è considerato per
la sua bellezza uno dei massimi capolavori di tutti i tempi.
Purtroppo quest'antica ed eccelsa opera dell'ingegno umano, apice della civiltà Khmer, non è stata risparmiata dalle recenti guerre e porta i
segni, per fortuna non gravi, della moderna artiglieria.