LA SCUOLA PRIMARIA 

l'ingresso 

Da tempo si discute su quale sia l'età giusta per l'ingresso alle elementari. In realtà ciò aveva un senso quando le condizioni erano diverse da quelle odierne. Infatti quando la scuola materna non era diffusa e per molti bambini la scuola elementare era la prima esperienza di distacco dalla famiglia per essere introdotto in un ambiente in cui erano richiesti comportamenti controllati e prestazioni particolari, era opportuno che i bambini avessero maturato certi livelli di sviluppo affettivo e intellettivo. In Italia tale età era stata individuata a sei anni compiuti entro il 31 dicembre dell'anno in cui, in autunno, iniziava la frequenza della scuola. In altri paesi, come l'Inghilterra, tale età era stata individuata a cinque anni. Tuttavia, anche in tale situazione che riteneva di aver tenuto nel debito conto i livelli di maturazione dei bambini, si avevano casi di bambini con differenze di età fino a un anno (nati il 1 gennaio e nati il 31 dicembre). Ciò comportava che, anche in presenza di una scuola che privilegiava un programma piuttosto rigido, gli insegnanti si trovassero ad operare con bambini che avevano livelli di sviluppo diversi e si rendesse necessario tenere conto di ciò.

Oggi, in una scuola che, comunque, privilegia la centralità del bambino e utilizza programmi meno rigidi, che accoglie bambini provenienti, nella quasi totalità (rarissime le eccezioni) dalla scuola materna, che ha già provveduto alla loro scolarizzazione, tale problema è meno avvertito, tanto che la riforma Moratti prevede la possibilità di iscrivere alla prima elementare anche bambini che non hanno ancora compiuto i sei anni entro il 31 dicembre dell'anno di frequenza.

Il rapporto insegnante-alunno 

Un problema centrale della scuola concerne il rapporto insegnante-alunno. Nella scuola elementare, malgrado si cerchi di lasciare spazio, specie nelle scuole a tempo pieno, anche ad attività ludiche e motorie, tendono a prevalere attività che necessitano di silenzio, raccoglimento e permanenza nel proprio banco. Poiché nella scuola materna prevalevano attività che, comunque, consentivano al bambino una maggior libertà di movimento, ecco che un primo problema dell'insegnante elementare è quello di abituare i bambini al nuovo e più impegnativo regime. Occorrerà un po' di pazienza e molta delicatezza. Il pretendere un immediato adattamento alle nuove norme di comportamento potrebbe produrre nei bambini la percezione di un insegnante "cattivo" e, quindi, compromettere il rapporto. L'accettazione da parte dell'insegnante, nei primi giorni di scuola, di un "clima" simile a quello della scuola materna, viceversa, favorirà un  rapido adattamento al nuovo ambiente e l'instaurarsi di un positivo rapporto. Ovviamente nei giorni successivi e in particolari momenti (quando la maestra spiega, quando siamo impegnati in attività di lettura e scrittura....) verrà richiesto silenzio e attenzione spiegandone i motivi, fino ad ottenere il comportamento desiderato. Le trasgressioni (che sicuramente ci saranno) dovranno essere rilevate con fermezza ma senza irritazione e con calma. In ogni occasione l'insegnante dovrà avere un atteggiamento improntato ad una amorevole comprensione che, però, non dovrà risolversi in sdolcinate debolezze, ma dovrà consistere, soprattutto, in una costante attenzione prestata a ciascun alunno. Ogni alunno, cioè, dovrà sentirsi oggetto di attenzione da parte dell'insegnante, dovrà sentire che l'insegnante ha interesse per lui e che le richieste dell'insegnante, sempre ferme e motivate, vengono avanzate nell'interesse dell'alunno stesso. Ma l'alunno dovrà anche sentire l'insegnante come un adulto che lo sta aiutando a crescere e non come un "pari", che può anche essere ignorato. E' diffuso, oggi, consentire ai bambini di date del "tu" all'insegnante, specie dalle insegnanti più giovani. La cosa non è, di per sé, troppo negativa, se non altera la natura del rapporto fra l'adulto e il bambino. Dopo tutto ai genitori ci si rivolge con il "tu" senza che questo comporti una alterazione dei rapporti. Diventa negativo se l'insegnante consente che la eccessiva familiarità finisca col far percepire l'insegnante stesso come un amico e lo ponga allo stesso livello del bambino. In questo caso verrebbe addirittura vanificata la figura e il ruolo dell'insegnante.

Per concludere si ritiene utile un accenno ai casi di bambini caratteriali, che si ribellano ad ogni disciplina e ad ogni controllo. Talvolta questi bambini mancano di rispetto all'insegnante rispondendo male e, addirittura, aggredendolo con parolacce. Tali situazioni sono imbarazzanti e anche traumatizzanti per gli altri bambini che assistono attoniti. Che fare in questi casi ? Diciamo anzitutto cosa non bisogna fare. Anzitutto è necessario non perdere la calma, perché la perdita della calma è un segnale di debolezza di fronte alla situazione e, questo, viene percepito immediatamente. Occorre, quindi, con calma, rilevare l'inadeguatezza del comportamento e chiedere con fermezza un comportamento diverso. Nel caso di crisi particolarmente lunghe e furiose può essere opportuno prendere provvedimenti come far accompagnare il bambino dal direttore o altro in modo da allontanare temporaneamente il bambino dalla classe.  Può anche accadere che l'insegnante, esasperato, dica agli altri bambini di non fare caso al bambino ribelle, cercando poi di proseguire la sua lezione. Questo è bene evitarlo, sia perché sarà poco efficace, sia perché anche questo può essere letto come una "resa" al ribelle. La professionalità del docente dovrà, invece, sempre affrontare queste crisi con fermezza, sanzionando i comportamenti scorretti ma avendo cura di far sentire al diretto interessato e anche agli altri, che ciò che si rifiuta non è il bambino che attua il comportamento scorretto ma solo ed esclusivamente il comportamento stesso. Se riusciremo, infatti, a far sì che il bambino ribelle riesca a fare una distinzione fra la sua persona, che la maestra non rifiuta e continua ad amare, e i suoi comportamenti, questi sì, rifiutati, forse avremo fatto il primo passo verso il recupero del caratteriale.

Cosa insegna la scuola primaria

Con Circolare n.68 (Prot. n.2131) dell'8 agosto 2003 il Ministero della P.I. ha diramato le "Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati nella scuola primaria" che, ovviamente, vanno attentamente lette e seriamente meditate. Ciò fatto si sarà notato anzitutto quanto, tali indicazioni siano abbondanti e dettagliate. Forse troppo. Tuttavia non bisogna dimenticare che si tratta di indicazioni che non pretendono di rappresentare un programma cui l'insegnante debba rigidamente attenersi, bensì delle indicazioni, appunto, da cui trarre, da parte di ciascun insegnante o team di insegnanti, ciò che si ritiene utile e necessario per redigere il piano di offerta formativa cui ogni istituzione scolastica e, per la parte di competenza, ogni singolo insegnante, nella sua autonomia è tenuto a redigere. Ed è proprio nel momento in cui ciascun insegnante si trova a scegliere i contenuti delle attività che andrà a proporre ai suoi alunni che egli dovrà attentamente valutare cosa è veramente essenziale.

 

 

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