Riflessioni generali sull'educazione

1) La cultura come fattore di evoluzione

Bruner afferma che l'evoluzione non è più di tipo darwiniano bensì lamarkiano perché è la trasmissione della cultura che porta a compimento l'evoluzione della specie umana. L'uomo, infatti, è il primo essere vivente che realizza l'adattamento al suo ambiente mediante l'utilizzo di uno strumento esterno al proprio corpo: la cultura, appunto.

La trasmissione della cultura, pertanto, è essenziale al completamento del ciclo evolutivo. e ciò indipendentemente dal fatto che la cultura, nel senso più ampio del termine, sia trasmessa ad opera di apposite istituzioni come la scuola o, semplicemente, dagli adulti che vivono vicino al bambino.

In origine, ai primordi dell'umanità, gli strumenti culturali utilizzabili per l'adattamento all'ambiente consistevano essenzialmente nelle tecniche per procurarsi il cibo e un riparo. Ma non appena, per procurarsi il cibo, l'uomo apprese a cacciare e, poi, ad allevare, le tecniche per la caccia (costruzione di armi, caccia in gruppo,...) e per l'allevamento (costruzione di recinti, ecc.) si fecero più complesse. Allo stesso modo quando alle semplici grotte si sostituirono ripari appositamente costruiti (a cominciare dalle palafitte) l'apprendimento delle tecniche, pur avvenendo nel contesto del vivere e dell'operare quotidiano, che i bambini condividevano con gli adulti, presumibilmente richiesero dei veri e propri insegnamenti impartiti dagli anziani ai più giovani.

Oggi lo strumento cultura, che occorre all'uomo per adattarsi proficuamente al suo ambiente è così complesso da richiedere, per la sua trasmissione, la indispensabile presenza di una istituzione ad essa finalizzata, all'interno della quale operino gli specialisti dei vari settori di conoscenza.

2) La trasmissione dei "valori"

Di cosa è fatta una "cultura" nel senso antropologico del termine ? Sicuramente è fatta di TECNICHE, perché ogni generazione possa avvantaggiarsi utilizzando tecniche già possedute dalle generazioni precedenti. E' fatta di TRADIZIONI, perché ogni generazione ha anche bisogno di riconoscersi nella propria cultura e le tradizioni danno il senso dell'appartenenza e della continuità. E' fatta di MEMORIA STORICA, perché ogni generazione ha bisogno di conoscere le origini e la storia della propria gente. E' fatta di VALORI perché ogni generazione ha bisogno di possedere un senso morale che ne orienti l'azione dirigendola verso ciò che viene percepito come bene ed evitando ciò che viene percepito come male.

Si può, quindi, dire che i VALORI identificano ciò che una società considera come il bene comune mentre i disvalori identificano ciò che la società considera il male comune.

Ovviamente ogni individuo dà più valore a certe cose e meno valore ad altre e non sempre il giudizio di valore dato da un individuo coincide con quello dato da altri.

Esistono, però, dei valori fondamentali che dovrebbero essere accettati come tali da tutti o, almeno, dalla stragrande maggioranza dei membri di una società. Si parla, allora, di VALORI CONDIVISI.

La coesione di una società e la buona integrazione dei suoi membri dipendono dalla quantità di valori condivisi, che non devono essere né pochi né troppi. Se sono pochi la società risulterà scarsamente coesa e tenderà a prevalere l'individualismo e la disgregazione sociale. Se sono troppi tenderà a divenire monolitica ma chiusa e tendenzialmente intollerante nei confronti di altre culture.

Come comportarci, dunque, di fronte al problema della trasmissione dei valori ?

Abbiamo visto che ogni individuo possiede una propria costellazione di valori e ogni adulto tende a trasmettere, coscientemente o meno, tali valori come valori positivi. Così i genitori tendono a trasmettere ai figli i propri valori che, all'interno della piccola società familiare, risultano largamente condivisi.

E anche l'insegnante avrà la tendenza a fare altrettanto. Ma l'insegnante opera in una società già più vasta della famiglia - la scuola - ove affluiscono bambini provenienti da famiglie diverse. E dove non tutti i valori di cui ogni alunno è portatore sono condivisi da tutti gli altri.

Occorrerà pertanto, specie in una società multietnica, mostrare la più ampia comprensione per le diversità e ricercare quei valori forti, come il rispetto della vita e della dignità di ciascuno, da condividere con tutti.

La proposta di valori non condivisi, infatti, genera negli allievi che non li condividono, imbarazzo e, talvolta, risentimento.

Si ribadisce, quindi, la necessità che la scuola mostri il massimo rispetto per i valori di altre culture e manifesti la necessaria sensibilità e delicatezza.

3) La istituzione "scuola"

La scuola è quella istituzione in cui si parla della realtà che si cerca di far comprendere al fine di attuare la "trasmissione della cultura" e contribuire, così, alla formazione degli allievi.

Il primo rischio che si corre è quello di farla percepire come uno strano luogo ai margini, se non addirittura al di fuori, della realtà, in cui si parla di una realtà "reale" che, appunto, sta fuori dalla scuola.

In verità, invece, anche la scuola fa parte della realtà (come è ovvio) ma il suo problema è che, talvolta, i suoi rapporti con il resto della realtà non sono corretti.

Così può accadere, ad esempio, che una scuola eccessivamente chiusa in se stessa, finisca col risultare il luogo dove il contatto non è con la realtà "reale" ma con una sorta di realtà virtuale.

Se, invece, la scuola mantiene contatti corretti con la realtà - e, quindi, con la società che sta intorno, essa torna ad essere il luogo della realtà in cui si parla di una realtà che, pur rimanendo fuori dall'aula, è in strettissimo collegamento con essa.

Inoltre, essendo così la scuola percepibile non come una realtà ai margini ma come una parte - e non secondaria - della realtà "reale", è ovvio che essa stessa può diventare oggetto di studio e di riflessione, col fine esplicito di comprenderla pienamente nella sua essenza e nella sua funzione.

E' da ritenere, infatti, che gli allievi possano trarre notevoli vantaggi e che la scuola possa aumentare la sua efficacia se gli allievi stessi sono resi pienamente consapevoli di come è fatta la scuola e di come funziona per aiutarli a crescere nel modo migliore.

4) Il problema della "motivazione"

Molto difficilmente si apprende se non si è motivati a farlo. Il problema della motivazione, perciò, è un problema centrale per chi desidera insegnare qualcosa a qualcuno. Esistono vari tipi di motivazione ma, innanzi tutto, è necessario fare una distinzione fondamentale fra motivazione intrinseca o interna e motivazione estrinseca o esterna. Quest'ultima è, appunto, esterna al processo di apprendimento e si tratta, nella sostanza di un premio o di una punizione. Non riteniamo sia questo il tipo di motivazione da utilizzare. Esaminiamo, pertanto, alcuni tipi di motivazione "intrinseca", interna, cioè al processo di apprendimento (in altre parole: è lo stesso piacere dell' apprendere che lo motiva) :

LA CURIOSITA'

La curiosità di conoscere si manifesta quando ci si trova in uno stato di "insoddisfazione cognitiva". Compito di chi insegna, quindi, è quello di generare un simile stato in chi deve apprendere. Guido Petter fa un simpatico esempio: Tutti conosciamo il detto "Per un punto Martin perse la cappa" che rappresenta una situazione in cui qualcuno, per una inezia, non è riuscito a raggiungere un traguardo. E lo usiamo tranquillamente senza preoccuparci di conoscere l'origine del detto. Ma se qualcuno ci pone delle domande: Chi era Martino ? Che cappa perse ? Di quale punto si tratta ?, subito veniamo a trovarci in quel benedetto stato di insoddisfazione cognitiva che ci induce a cercare delle risposte. Verremo così a sapere che Martino era un frate che aspirava alla cappa di priore, per conseguire la quale c'era una sorta di esame consistente nel tradurre una frase latina posta sulla travatura di un tempio. Martino non tenne conto di un punto (segno ortografico) per cui lesse male la frase e non fu....promosso. Occorre anche dire che, secondo Petter, le conoscenze così apprese rimangono stabilmente nella mente di chi le ha acquisite in quanto si legano, in un "rapporto di complementarietà" con le conoscenze già possedute prima.

LA MOTIVAZIONE DI COMPETENZA

Un giovane insegnante degli anni cinquanta confidava a un collega le sue perplessità di fronte al fatto di alcuni alunni che, dopo aver eseguito rapidamente sei operazioni come breve esercitazione di calcolo, chiedevano: - Maestro, ne posso fare altre sei ? - Erano tempi in cui si raccomandava di non fare eseguire noiosi calcoli immotivati, essendo opportuno che ogni operazione fosse motivata da un problema aritmetico e non fine a se stessa e quel maestro non sapeva spiegarsi come mai quegli alunni volessero fare altri noiosi calcoli immotivati. Solo leggendo Bruner  qualche anno dopo si rese conto che quegli alunni erano gratificati dal fatto che riuscivano bene ed eseguirli ed, eseguendoli, si esercitavano e diventavano sempre più abili nel farli. Bruner chiama questa "motivazione di competenza", appunto.

LA MOTIVAZIONE PER IDENTIFICAZIONE

E' estremamente probabile che l'insegnante, un adulto che, dopo i genitori, è quello che passa più tempo con l'alunno, diventi modello di identificazione secondaria (dopo quella primaria, col genitore). In questo caso l'alunno è stimolato ad "essere come lui" e, quindi, ad essere come lui competente nella disciplina che esso insegna. Può divenire, questa, una forte motivazione ad apprendere, specie se l'insegnante trasmette il suo amore per la disciplina e il piacere che prova nell'insegnarla e nel vedere i suoi alunni che la apprendono.

5) Il problema del rapporto fra autorità e libertà

Il problema che ogni insegnante (specie di scuola elementare) deve porsi può essere espresso in questi termini : Come può l'insegnante esercitare la sua autorità evitando di conculcare la libertà dell'alunno. Cercheremo, anzitutto, di definire e di dire in che consiste l'autorità del docente e la libertà dell'alunno. L'insegnante è investito istituzionalmente dell'autorità che compete, appunto, al docente. Essa consisterà nel dirigere l'attività della classe, nel trasmettere conoscenza e norme di comportamento, nel reprimere i comportamenti inadeguati. Esso, naturalmente, è investito anche della responsabilità di fare tutto ciò avendo come obiettivo quello di assecondare e di sostenere il corretto sviluppo dei suoi alunni. L'insegnante accorto, però, sa che dovrà fare in modo che la sua autorità emani dalla sua autorevolezza, cioè dalla sua competenza professionale, dalla sua capacità di gestire nel modo corretto i rapporti interpersonali, nella sua attitudine ad ascoltare e a capire, nel suo essere coerente con le cose che insegna, cioè nel saper essere d'esempio. In questo modo la sua autorità non sarà più percepita come meramente istituzionale bensì come una autorità naturale.

Per introdurre il discorso sulla libertà dell'alunno mi permetto di iniziare con un esempio: Un bambino di due anni ha senza dubbio il diritto di avere un'ampia libertà di movimento. Ma se il bambino, trovata la porta aperta, comincia a dirigersi verso la strada su cui sfrecciano veloci auto e altri mezzi, è inevitabile, addirittura doveroso, che qualcuno lo fermi. E', questa, una indebita limitazione alla sua libertà di movimento ? Credo che nessuno lo pensi. Un bambino di due anni, infatti, è solo molto limitatamente responsabile delle sue scelte per cui è necessario e legittimo che qualcuno intervenga per impedire quelle scelte che potrebbero avere esiti dannosi. In altre parole la libertà di scelta cui un bambino ha diritto deve essere commisurata al livello di responsabilità da lui raggiunto. Questo significa che l'autorità che limita le scelte irresponsabili dei bambini non conculca la loro libertà ma li educa alla libertà sviluppando il loro senso di responsabilità. Gli alunni, pertanto, dovranno essere sempre sollecitati a esercitare la loro libertà facendo scelte responsabili, valutando, cioè, le conseguenze delle loro scelte. E' questo un esercizio prezioso per aumentare gradatamente i livelli di responsabilità e, quindi, gli spazi di libertà. Potremmo a questo punto concludere con questa definizione: la vera libertà è la capacità di fare scelte responsabili.

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