I disturbi dello sviluppo

 Non riteniamo di parlare, in questa sede, di malattie conclamate, sia di natura fisica che psichica, consci del fatto che un disturbo serio non va certo  trattato con dei consigli per un "faidate", bensì rivolgendosi tempestivamente agli specialisti del caso.

 In questa sede parleremo, invece, di quei piccoli disturbi che non sono assimilabili a vere e proprie malattie ma che potremmo chiamare piccoli disagi riscontrabili nei bambini di scuola materna o elementare e che possono regredire con qualche attenzione e un po' di pazienza da parte dell'insegnante. Parleremo, quindi, di piccole disabilità motorie, di timidezza, di bambini iper-attivi , agitati e aggressivi.

Piccole disabilità motorie

Accade di incontrare, nelle scuole materne ed elementari, bambini poco abili nelle attività motorie. Ciò si evidenzia soprattutto, come è ovvio, durante le attività di educazione motoria e durante le attività ludiche di movimento. Può, così, accadere di notare che questi bambini corrono meno veloci degli altri, sono maldestri nell'afferrare e nel lanciare oggetti come palle, cerchi, bilie, bocce, ecc., non si reggono in equilibrio sull'asse e cose di questo genere. In questi casi i bambini, rendendosene conto, reagiscono in modo diverso. Fermo restando che tutti finiscono con l'avvertire un fastidioso senso di inferiorità, ci sono coloro che, non volendolo ammettere, rinunciano ai giochi nei quali non riescono dicendo che quei giochi non piacciono loro e non li interessano. Oppure ci sono quelli che ne rimangono fortemente frustrati e che rifiutano le attività motorie dicendo che "non sono buoni a farle". Ammettono, cioè, la loro inferiorità ma non reagiscono sforzandosi di migliorare pur soffrendo per la loro disabilità. Ci sono, infine, quelli che, preso atto dei loro limiti, si sforzano di migliorarsi accettando i consigli e allenandosi. E' evidente che questi ultimi sono i casi più facili da risolvere o, per meglio dire, sono i casi che si risolvono da soli. Infatti, ove non ci siano fattori organici che compromettono la motricità, un serio impegno e l'allenamento possono portare rapidamente l'abilità motoria a livelli di normalità. Sono noti non pochi casi di soggetti con handicaps fisici di notevole gravità che, con l'allenamento, riescono a raggiungere eccezionali risultati atletici e sportivi. I casi meno semplici, invece, sono quelli descritti per primi. In tali casi, infatti, bisogna, prima di tutto, far loro accettare la loro condizione di poca abilità come una condizione assolutamente non vergognosa e non drammatica. Non c'è, infatti, nessuna ragione di vergognarsi se ci sono cose che non sappiamo fare. Ciascuno di noi sa fare bene certe cose e non sa farne altre. E', questa, una condizione assolutamente normale. E, d'altra parte, la condizione di poca abilità motoria è transitoria e come tale va percepita e vissuta. Possiamo, infatti, migliorarla con l'esercizio e l'allenamento. Naturalmente non basta affermate tali verità per risolvere il problema. L'insegnante accorto lo sa bene e, quindi, cerca anzitutto di far sì che la disabilità del soggetto in questione non risulti mai troppo evidente e, comunque, non risulti mai ridicola onde evitare le "canzonature" dei compagni. Cercherà, poi, di creare condizioni favorevoli per convincere il bambino ad accettare i suoi consigli e ad esercitarsi sistematicamente. Questi tipi di soggetti sono, in genere, molto orgogliosi e, quindi, non sarà difficile convincerli che hanno la possibilità di diventare abili fino ad eccellere. Questa, di avere fiducia nelle loro possibilità, è una condizione necessaria per riuscire. Meno facile iniettare questa fiducia in se stessi sarà con i soggetti descritti per secondi. La loro difficoltà, infatti, non consiste nella non accettazione della loro disabilità, che hanno accettato anche troppo, bensì nel non ritenerla modificabile. Bisognerà, anzitutto,  evitare assolutamente che questi soggetti si autoescludano dalle attività motorie, come tenderebbero a fare, quindi occorrerà, con molta pazienza, farli partecipare assegnando loro compiti facilmente eseguibili, con leggerissime difficoltà crescenti, onde renderli, piano piano, consapevoli del lento miglioramento delle loro prestazioni. Sarà prezioso il sostegno dei compagni, che non sarà difficile ottenere, giacché questi bambini sono, in genere, miti, dolci nella loro umiltà e nel loro bisogno di protezione, tanto che gli altri bambini faranno a gara nell'aiutarli e nel proteggerli. Vorremmo concludere con la raccomandazione di non sottovalutare e, quindi, di non trascurare questi lievi disturbi. Essi, infatti, se trascurati, possono compromettere l'autostima e la sicurezza si sé, con conseguenti difficoltà nel rapporto con gli altri e, nei casi più gravi, anche con difficoltà di apprendimento.

Timidezza

La timidezza denuncia la presenza di ansia e di insicurezza. Essa è propria delle cosiddette strutture nevrotiche e può sfociare, se non risolta, in una vera nevrosi infantile che dovrà, poi, essere trattata dallo psicologo. La timidezza, come è noto, si manifesta con improvvisi rossori del volto, incapacità di rispondere alle domande, difficoltà a stabilire rapporti con gli altri. Qualche volta gli alunni timidi possono apparire molto scarsi nell'apprendimento malgrado che si tratti, in genere, di bambini intelligenti. Il fatto è che essi incontrano, effettivamente, difficoltà a inserirsi produttivamente nell'attività della classe. Tale difficoltà si manifesta, essenzialmente, nella incapacità di comunicare oralmente con disinvoltura. Il bambino timido, se interrogato, risponde a fatica, è sempre incerto nelle risposte, spesso risponde soltanto dopo svariate sollecitazioni. E se tali sollecitazioni sono fatte con tono spazientito e sgarbato può accadere che il bambino si blocchi del tutto e reagisca con un pianto disperato. Naturalmente l'insegnante che conosce il bambino non usa questi toni e trova modo di accertare la preparazione del bambino con questionari scritti o con altri mezzi. E cerca, soprattutto, di essere paziente e di rassicurare il bambino, al fine di sedarne l'ansia e consentirgli di parlare. In genere con le rassicurazioni di un insegnante paziente questi bambini si sbloccano e rendono meglio. Allora, sottolineando in modo opportuno i successi da lui conseguiti, si riesce anche a dargli la necessaria sicurezza. La timidezza di cui stiamo parlando, poi, si manifesta in maniera molto marcata durante le conversazioni in classe. Difficilmente il bambino timido interviene spontaneamente nella conversazione, anche perché non trova mai uno spazio comunicativo, che viene occupato tutto dagli altri. Notevoli risultati si ottengono se la conversazione è ordinata e si svolge su un argomento preciso. Se, ad esempio, ogni bambino deve riferire su ciò che ha visto durante una visita didattica, ciascuno interverrà a turno, ovvero ciascuno avrà un suo spazio comunicativo prefissato e garantito. Può darsi, tuttavia, che anche in questo caso il bambino timido non riesca a parlare, specie se il gruppo è numeroso. Bisogna, in questo caso, evitare assolutamente di "saltarlo" perché questo genererebbe altra insicurezza e scontentezza di sé. Bisognerà, invece, aiutare il bambino ponendogli delle domande semplici (nei casi più seri occorrerà porre domande particolarmente semplici e tali che ad esse si possa rispondere anche soltanto con un sì o con un no. Evitiamo sempre, naturalmente, domande tipo "E tu che ne pensi ?" che richiederebbero risposte complesse e articolate). Se necessario si potrà far fare al bambino timido esperienza di conversazione nel piccolo gruppo ( 4 - 5 alunni) dove è più facile vincere la timidezza, specie se  gli altri bambini sono ben conosciuti. Concludendo: Poiché il bambino timido è ansioso e insicuro, occorrerà assumere atteggiamenti e favorire la creazione di situazioni che rassicurino il bambino e ne riducano l'ansia. Piano piano la timidezza, anche se non scompare, si riduce e le prestazioni del bambino diventano normali.

Bambini iper-attivi, agitati e aggressivi

Bambini che non riescono a stare fermi al loro posto anche quando il tipo di attività lo richiederebbe, bambini che gridano e parlano fuori luogo, bambini in perenne agitazione, che urtano e spintonano gli amici durante il gioco, che spesso assumono atteggiamenti istrionici e, a volte, manifestano anche aggressività verso le cose o le persone. Quando questi comportamenti assumono rilevanza tale da sfuggire a ogni controllo, si parla di strutture caratteriali e, quindi, si definiscono questi soggetti come caratteriali. In presenza di soggetti veramente caratteriali la scuola vive una situazione veramente difficile e ha bisogno di aiuto. In questa sede, tenendo fede a quanto dichiarato in premessa, parleremo di comportamenti di questo tipo ma di grado non grave e, quindi, quasi sicuramente reversibili. La presenza di un bambino di questo tipo in classe genera diversi problemi: Anzitutto l'attività didattica risulta intralciata e ritardata, sia per il tempo che è necessario perdere per tentare di ricondurre il soggetto verso comportamenti accettabili, sia per la distrazione che le "performances" del soggetto in questione provocano nella classe. In secondo luogo, se viene meno l'equilibrio e la pazienza dell'insegnante (es.: insegnante che perde la calma e sbraita indecorosamente, ovvero insegnante che, completamente scoraggiato, "finge di non vedere") esso corre il rischio di perdere credibilità e anche rispetto da parte di tutta la classe che, in qualche modo, finisce con il considerare possibili comportamenti  come quelli del soggetto in questione. Accade anche, talvolta, che l'insegnante si lamenti coi genitori dell'alunno chiedendo loro di collaborare comportandosi con maggior severità e spesso queste lamentele dell'insegnante finiscono col compromettere i buoni rapporti con la famiglia. Infine, e non è cosa da sottovalutare, se il bambino caratteriale è anche aggressivo, la reazione degli altri sarà di rifiuto, per cui il soggetto verrà emarginato e, questo, probabilmente aggraverà la sua condizione.

Quale può considerarsi, allora, un comportamento adeguato da parte dell'adulto che si occupa del bambino caratteriale ? Occorreranno, anzitutto, nervi saldi, pazienza e comprensione. Soprattutto comprensione. Accade quasi sempre, infatti, che questi bambini siano trattati come "bambini cattivi" e siano poco amati. E poiché l'immagine che il bambino ha di sé dipende in gran parte dall'immagine che l'adulto mostra di avere di lui, inevitabilmente quel bambino finirà con sentirsi un bambino cattivo e non amato. Se questa situazione non viene prontamente corretta il bambino si chiuderà dentro il suo "cliché" di bambino cattivo e continuerà a comportarsi di conseguenza. Anche perché sarà l'unico modo per indurre l'adulto ad occuparsi di lui, sia pure per rimproverarlo e sanzionarlo. Comprensione, dunque, e ancora comprensione. Ma quale strategia adottare per rimuovere la situazione appena descritta ? L'obiettivo deve essere quello di far uscire il bambino dal "cliché" del quale è prigioniero. Per far questo occorre cominciare a fare una drastica distinzione fra il bambino e i suoi comportamenti. Il buon insegnante (ma questo vale per qualunque adulto si occupi del bambino) non dovrà né perdere la calma né "far finta di non vedere". Egli dovrà severamente riprovare i comportamenti scorretti, sempre e comunque. Ma, subito dopo, il bambino dovrà essere trattato serenamente e come tutti gli altri. Egli dovrà sentire che l'adulto rifiuta i suoi comportamenti cattivi ma lo accetta e lo ama come tutti gli altri. Pian piano questo atteggiamento dell'adulto indurrà anche il bambino a distinguere fra la sua persona e i suoi comportamenti, a capire che l'adulto non rifiuta lui come persona, ma semplicemente i suoi comportamenti, a rendersi conto che i suoi comportamenti, che possono essere corretti, sono cattivi, ma che lui non è un bambino cattivo senza possibilità di riscatto. Ed è, quindi, un bambino che può essere amato. Occorrerà del tempo, ma, alla fine, il nostro bambino si libererà dal "cliché" di bambino cattivo e normalizzerà il suo comportamento.

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