Il linguaggio poetico 

IL POETA E IL LETTORE

 Credo si possa dire che la poesia nasce col linguaggio. Fin dalle epoche primitive gli uomini hanno praticato cerimonie durante le quali, in forma collettiva, si cantava e si danzava, dando a queste azioni significati rituali e anche magici. Lo scopo era quello di esorcizzare la paura degli eventi negativi, di coltivare la speranza in eventi positivi, nonché quello di stabilire un rapporto e acquisire la benevolenza di immaginarie divinità ipotizzate dietro ad eventi inspiegabili.

 In altre parole si esprimevano dei sentimenti ma anche, in qualche modo, si cercava di acquisire conoscenza cercando di spiegare con l’intervento della divinità fenomeni non altrimenti spiegabili.

 In realtà anche oggi ci sono autori (vedi Jerome Bruner) che vedono nella poesia una sorta di “metalinguaggio” che, mediante similitudini e metafore ardite riesce a stabilire rapporti fra cose ed eventi anche molto distanti, pervenendo, così, a conclusioni illuminanti cui neppure le scienze matematiche riescono a pervenire.

 Ed effettivamente il poeta con la sua opera non ci trasmette soltanto le sue emozioni e i suoi sentimenti ma anche la sua interpretazione del mondo e della vita. E, questa, è conoscenza.

  La poesia come noi la concepiamo è, oggi, diventata un fatto più individuale che collettivo. Tuttavia ancora oggi abbiamo canzoni che amiamo cantare in coro (inni religiosi ma anche canti alpini, ad es.) forse perché esprimono sentimenti comuni e forse perché stimolano e gratificano il nostro senso di appartenenza a una cultura e a un gruppo.

 Ai giorni nostri, però,  il rapporto dell’uomo con la poesia è controverso. Nei giovani il rapporto con la poesia  è, in genere, un rapporto positivo. Fin dalla scuola materna ai bambini sono lette filastrocche e poesie di vario genere. Esse sono, in genere, caratterizzate dalla musicalità, che è l’elemento che le rende gradevoli. Nella scuola elementare, poi, oltre alla musicalità, che, comunque, continua ad essere una caratteristica importante, acquistano valore anche i contenuti, ai quali i bambini diventano sempre più sensibili. Naturalmente i contenuti devono essere adatti all’età, ma è certo che i bambini di scuola elementare comprendono bene i sentimenti trasfusi dal poeta nei suoi versi e si commuovono nel leggerli e nel recitarli. Penso, per esempio, alle poesie pascoliane come La quercia caduta, La cavalla storna, X agosto…. Se la scuola sa coltivarlo, poi, l’amore per la poesia continua e si rafforza nell’adolescenza e nella prima giovinezza. Molti giovani, anche al di fuori dell’impegno scolastico, leggono poesie. E molti si dilettano a scriverne, magari cercando di imitare il poeta più amato, ma non solo.

Allorchè l’adulto entra nell’età lavorativa, però, tale rapporto, salvo eccezioni, si riduce fino a interrompersi.

 Interrogati sul perché, molti dicono che le poesie moderne sono difficili da comprendere, molti dicono che le urgenze della vita quotidiana non lasciano tempo per pensare a queste cose e che la poesia è cosa per chi non ha nulla da fare. E’ facile, però, ribattere che, malgrado questi impedimenti, anche chi lavora trova il tempo per leggere il giornale e qualche libro, anche se non molti. Ma non poesie. E, infatti, i libri di poesia non si vendono.

E’ come se si fosse interrotto il dialogo fra il poeta e il lettore. Che sia fondata la prima risposta  (poesie difficili) ? Forse i poeti non sono più interessati a comunicare con il lettore ? E scrivono soltanto per se stessi ? Sarebbe un peccato e un impoverimento della nostra cultura.

CHE COS’E’ LA POESIA

Noi definiamo poesia un testo che, in genere, non è eccessivamente lungo; con righe che contano un numero limitato di sillabe e che, comunque, non toccano mai o quasi mai il margine destro della pagina; righe che, talvolta, sono legate da una rima ma che, anche quando la rima non c’è, esprimono una certa musicalità; un testo che può recare qualunque contenuto ma che, comunque, tende a mettere in risalto le emozioni e i sentimenti dei personaggi di cui si parla e del poeta stesso.

 Cerchiamo, ora, di analizzare quelle che sono le caratteristiche che ha, o che, a parere nostro, dovrebbe avere un testo poetico:

La musicalità  Nella Roma imperiale la poesia veniva musicata e “danzata”. La rigorosa metrica latina garantiva una gradevole musicalità. E  anche oggi molte bellissime poesie diventano canzoni e al loro suono si danza. E’ la musicalità che rende gradevole, fin dal primo impatto, una poesia. La musicalità è data dalla metrica, dal ritmo, dalla rima, dalla stessa armonia della parola e della costruzione linguistica.

 Dai bambini è monto apprezzata la musicalità, tanto che sono loro molto gradite, accanto a filastrocche dotate di significato (Stella stellina, Cammina un bimbo…) anche certe filastrocche prive di significato (Cecco velluto, Zucca pelata, le “conte”…)

  A conferma che la musicalità dei versi è gradevole anche quando le parole non significano nulla, cito la prima strofa di una poesia scherzosa scritta da adolescente per riderne con gli amici:

                                           Dimmi che farò se tu non ritorni

                                            papero però a non mangiare il sole

                                            se venivi giù c’eran le mutande

                                            senza limone

 Come si vede il significato è proprio e volutamente assente. Malgrado ciò la dolce musicalità della strofa “saffica” si fa sentire e la rende non sgradevole.

 E quanto merito ha, la musicalità, nel renderci gradite le poesie dei nostri classici ? Consideriamo tre esempi:

 Da “La tomba sul Busento”:

                                          Cupi a notte canti suonano

                                          Da Cosenza su ‘l Busento

                                          Cupo il fiume li rimormora

                                          Dal suo gorgo sonnolento      (A.von Platen – G.Carducci)

 

 Da “ T’amo pio bove” di Carducci, in cui anche un solo verso esprime una eccezionale musicalità:

 

                                           il divino del pian silenzio verde

 

Da “Alexandros” di Pascoli:

                                           e così piange poi che giunse anelo

                                           piange dall’occhio nero come morte

                                           piange dall’occhio azzurro come cielo    

 

L’essenzialità La poesia che arriva più direttamente al nostro cuore è quella che riesce a esprimere le emozioni e i sentimenti che il poeta ci vuol comunicare col minor dispendio di parole. Le parole in eccesso diventano prolissità e denotano mancanza di chiarezza interiore da parte di chi scrive. Un pensiero chiaro può essere espresso con poche e chiare parole.

 Un paio di esempi tratti dalla poesia di Ungaretti:

 

   Mattina:                                           M’illumino d’immeso

  

   Soldati:                                            Si sta come

                                                            d’autunno

                                                            sugli alberi

                                                            le foglie

 

L’ambiguità e il mistero La poesia è ricerca e, nella ricerca, talvolta possono trovare spazio ipotesi contrastanti. Ne può derivare una certa ambiguità e quasi un certo alone di mistero che conferisce solennità al testo e rappresenta un forte stimolo a concentrarsi nella riflessione. Non si vuole fare qui un diretto riferimento alla poesia esoterica, ma, semplicemente, a quelle espressioni e a quei riferimenti a certe condizioni della nostra vita sulle quali aleggia un’ombra di incertezza e di mistero. Due esempi:

Da “Alexandros” di G. Pascoli

                                                  Azzurri come il cielo, come il mare

                                                  o monti, o fiumi, era miglior pensiero

                                                  ristare, non guardare oltre, sognare

                                                  il sogno è l’infinita ombra del vero

 

Da “Sono una creatura”  di G.Ungaretti

                                                                 La morte

                                                                 si sconta

                                                                 vivendo

 

La similitudine e la metafora

Il poeta usa spesso le parole per il loro valore connotativo. Fa, infatti, largo uso di similitudini e di metafore. Con esse riesce a evocare legami insospettati fra le cose, a stabilire relazioni  fra le cose e gli uomini, fra gli uomini e gli animali, fra gli uomini e il cosmo….

 Tale uso, tra l’altro, consente l’essenzialità e l’immediatezza, con la presentazione di immagini folgoranti, di percezione abbagliante.

 Esempi di similitudine:

Da “La morte del cervo” di D’Annunzio:       Come l’uom pei capei di retro acciuffa

                                                                    il nemico e lo trae finchè lo calchi

 

Da “La divina commedia” di Dante, Inferno, Canto V:

                                                                   Quali colombe dal disio chiamate            

                                                                   con l’ali alzate e ferme al dolce nido

                                                                   vegnon per l’aere, dal voler portate

 

Da “Sono una creatura” di Ungaretti:        Come questa pietra

                                                                 è il mio pianto

                                                                 che non si vede

 

 Esempi di metafora:

Da “Meriggio” di E.Montale                      ……….

                                                                    cos’è la vita con il suo travaglio

                                                                    in questo seguitare una muraglia

                                                                    con sopra cocci aguzzi di bottiglia

 

Da “La beffa di Buccari” di D’Annunzio:  siamo trenta su tre gusci

 

E concludiamo con la seguente poesia, “Pipì”, scherzosa ma ricca di metafore di R.Piumini:

                                                                    Spesso a chi fa poesia

                                                                    scappa pipì perché

                                                                    poesia è un ansioso spettacolo

                                                                    che si fa e si guarda da sé.

                                                                    E’

                                                                    un ponte oscillante sull’alto

                                                                    cupo laggiù zitto fiume. E’

                                                                    caccia grossa

                                                                    a mani nude

                                                                    per piste nuove

                                                                    soli

                                                                    o solamente il sole in compagnia.

                                                                    La poesia

                                                                    sente il rombo montare

                                                                    della balena che sale dal profondo

                                                                    e sgorga immensa nel mare. La poesia ha

                                                                    appuntamento

                                                                    col più bello dei principi

                                                                   però il più lento. Perciò

                                                                   scappa spesso pipì

                                                                   a chi fa poesia, così

                                                                   quando al poeta scappa la

                                                                   poesia

                                                                   prima fa la poesia e poi

                                                                   pipì.

 

L’asse sintagmatico

Nella lingua possiamo distinguere un asse verticale detto semantico o della selezione ed uno orizzontale detto sintattico o della combinazione.

 Producendo linguaggio, infatti, noi scegliamo parole opportune nel nostro vocabolario personale e, poi, le ordiniamo, le mettiamo in fila secondo un certo ordine.

 Ora l’ordine con cui mettiamo in fila le parole, che è, appunto, un agire sull’asse sintagmatico, è rilevante nel linguaggio poetico perché consente di dare al linguaggio una musicalità maggiore, consente di mettere in risalto la figura o il concetto che vogliamo esaltare, consente, insomma, di rendere più efficace e anche più poetico il nostro linguaggio.

 Non è chi non veda la differenza fra l’espressione del poeta

                                                             Il divino del pian silenzio verde (Carducci)

 E quella che chiameremo “normale”

                                                              Il divino silenzio verde del piano

 

INSEGNARE A SCRIVERE POESIE

 Ovviamente non si può insegnare ai ragazzi a diventare poeti. Si può, però, tentare di far scoprire nelle poesie che facciamo leggere, quelle che sono le “tecniche” usate dal poeta per ottenere il risultato che si prefiggeva.

 Questo può servire per fare intuire ai ragazzi come la lingua sia uno strumento flessibile e duttile, estremamente manipolabile, che consente interventi consistenti e che consente, soprattutto, di ottenere risultati pregevoli anche da un punto di vista estetico.

 Proponiamo, come esempio, un lavoro eseguito anni fa in una scuola milanese:

Si parte da un testo prodotto dai ragazzi:

                                                           La piazza è rotonda.

                                                           In mezzo c’è una chiesa.

                                                           Dietro c’è una pianta.

                                                           Il sole splende

I ragazzi, analizzando diverse poesie, hanno precedentemente scoperto alcuni “trucchi” usati dai poeti per rendere esteticamente più gradevoli i loro versi. Hanno, così, individuato quattro criteri di intervento che hanno così sintetizzato:

1) Potenziamento informativo (dal più comune al meno comune)

2) Sostituzione/trasformazione (da espressione standard a espressione originale)

3) Sviluppo (ampliamento metaforico e metonimico)

4) Riordinamento (intervento sull’asse sintagmatico).

 Così si prova a sostituire le espressioni usate con espressioni meno comuni:

                                         La piazza è una conchiglia

                                         In mezzo c’è una chiesa

                                         Dietro c’è un albero

                                         Canta il sole

 I cambiamenti sono sottolineati. Come si vede si è anticipato l’uso di una metafora (conchiglia). A questo punto si decide un ulteriore intervento per arricchire il testo con delle attribuzioni e delle predicazioni:                      La piazza è una conchiglia

                                         In mezzo c’è una chiesa bianca

                                         Dietro c’è un albero storto

                                         Sta all’ombra del campanile

                                         Canta il sole

 Nel successivo intervento si continuano ad applicare i criteri di intervento precedenti:

                                         La piazza è una conchiglia

                                         In mezzo c’è una chiesa di gesso

                                         Dietro c’è un albero gobbo

                                         Dorme all’ombra del campanile

                                         Canta il sole

Facciamo ora delle associazioni per somiglianza (metafore) e dei collegamenti per vicinanza (metonimie):                    La piazza è una conchiglia

                                         È una luna gialla

                                         I passanti ondeggiano lenti

                                         Un albero gobbo

                                         Dorme all’ombra del campanile

                                         Il sole canta

Oltre alla metafora della luna gialla e alla metonimia del campanile (una parte per il tutto, che consente di eliminare la chiesa) si introduce un nuovo elemento, i passanti e, nell’ultima riga, si anticipa un intervento sull’ordinamento. Ed è proprio nel prossimo passaggio che si interviene sull’ordinamento e sui collegamenti:

                                         La piazza è una conchiglia

                                         Una gialla luna

                                         Ondeggiano lenti i passanti

                                         Un albero gobbo

                                         Dorme all’ombra del campanile

                                         Il sole canta.

Rivediamo, infine, la punteggiatura e la metrica:

                                         La piazza è una conchiglia,

                                         una gialla

                                         luna.

                                         Ondeggiano lenti

                                         i passanti.

                                        Un albero gobbo

                                        dorme

                                        all’ombra del campanile.

                                        Il sole canta.

E si ottiene, così, una dignitosissima versione del testo, che i ragazzi chiamano con orgoglio “la nostra poesia”.

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