Titolo: Linea di confine
Autore: Pusher xpusher@libero.it
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Genere:  ?
Spoiler: Tre anni dopo Existence
Summary:
Una terribile scoperta porta Scully ad allontanarsi da Mulder.
Ma  dopo la chiusura degli x-files, Monica e Scully vengono mandate a Londra per indagare su una strana catena di omicidi. E li riincontra Mulder. Un incontro difficile vista l'incrinatura del loro rapporto.
E mentre le indagini sui delitti rivelano risvolti inquietanti, Mulder s Scully dovranno recuperare la fiducia l'uno nell'altro per risolvere il caso prima che l'assassino colpisca ancora.

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Non avrebbe mai immaginato quello che avrebbe trovato in quella stanza.

Sepolto nella penombra, quell’archivio celava un innumerevole numero di prove sull’esistenza di forme di vita aliene. Ma a lei quello non interessava. L’avevano mandata li. Li avrebbe trovato la verità.

Tutto era iniziato quando aveva scoperto di essere ancora sterile. E dopo pochissimo, una pista.

Non faticò a trovare il registro. Lì nelle ultime pagine, l’uomo che fuma aveva registrato il suo ultimo tentativo di fermare la colonizzazione. E il tentativo era lei.

L’aveva attirata a sè 3 anni prima, con la scusa di una miracolosa cura di tutti i mali, e le aveva impiantato un embrione.

Un embrione creato con gli ovuli di una volontaria e fecondati da Mulder.

Ma quello che le fece più male non fu che William non fosse figlio suo.

Ma che fosse figlio di Diana Fowley.



Linea di Confine di pusher


• aereo-prima classe- linea Washinton/Londra-


Stava concentrandosi soltanto sul ritmo del proprio respiro. L’aria entrava, ossigenava il suo sangue, e usciva dal suo corpo. Non voleva pensare.

Pensare l'avrebbe portata in alto mare, come sempre. Il carico di ricordi era troppo pesante, e il dolore troppo fresco e forte. Inspirare ed espirare. Nien’altro.

L’hostess chiese se aveva voglia di bere qualcosa. Scully si limitò a fare di no con la testa. Non riusciva nemmeno a parlare.

Dio, perchè avevano chiesto il suo aiuto a Londra? Non sapeva se ne era pronta. Non sapeva se era pronta a rituffarsi in indagini paranormali. A risprofondare nel passato.

L’aereo attraversò una turbolenza e lei tornò con la mente a 10 anni prima. L’inizio di tutto. Il suo arrivo negli x-files, sezione che era stata appena chiusa, in seguito all’ennesima e inutile morte per la verità.

Aveva saputo della morte dell’Ag. Dogget in una terribile notte di tre mesi prima.

Era appena tornata a casa dopo la sua intrusione negli archivi del pentagono. Aveva appena scoperto la verità su William. Una verità che mai avrebbe voluto scoprire.

Ricevette una telefonata da una Monica in lacrime. Qualcuno aveva messo nell’aria condizionata del loro ufficio un potente gas letale, e naturalmente era stato bollato come un atto terroristico.

Ma sapevano che non era così. Avevano tentato di coprire ai piani alti la sua intrusione al pentagono, e Dogget l’aveva pagata cara. Era morto per lei. Un altro lutto inutile nel lungo strascico di lapidi che avevano lasciato gli x-files.

“Scully....tutto bene?” L’agente Reyes sedeva accanto a lei e le rivolse un debole sorriso.

“Si, non preoccuparti per me. A proposito, hai letto il fascicolo delle donne uccise?”

“Si, 5 erano prostitute, e la sesta non sono riusciti ad identificarla. Aspettiamo il calco dentale.”

“Fantastico... mi aspettano almeno 5 cadaveri da aprire e rivoltare a Londra...” cercò di scherzare Scully.

Monica la guardò preoccupata.”Ti senti pronta? Sai chi dirige il caso vero?”

Scully chiuse gli occhi. “ Si, so chi dirige il caso, e a essere sincera non so se sono pronta. E tu?”

Monica tornò a guardare l’oceano sotto di loro. “Allora siamo sulla stessa barca.”



Londra le accolse con un carico di pioggia che preludeva a un temporale.

Scully stava per andare a ritirare le valige, quando una voce la pugnalò alle spalle.

“Agente Reyes, benvenuta, e... Scully?!”

Scully iniziò a correre. Si sentiva incredibilmente stupida, ma non era ancora pronta.

C’era ancora troppa rabbia. Non era ancora pronta per vederlo.

“Scully?! Che stai facendo?” Mulder la stava guardando con aria divertita. Era chiaro che aveva superato la cosa. Lui.

Scully non faticò a trovare un idea. ”Merda. Quel vagabondo mi ha rubato il potrafogli!!! Stavo cercando di fermarlo- urlò, simulando il ruolo dell’isterica- ...ah ...salve ag. Mulder.”

“Scully, senti...”

“Mulder, non c’è niente da aggiungere a quello che ci siamo urlati quasi un anno fa. Sono qui solo perchè avete chiesto il nostro aiuto. E perchè c’è un assasino che deve essere fermato. Ma questo non cambia quello che mi hai fatto.”

Lui rimase in silenzio mentre lei si allontanava con Monica verso la loro vettura.

Aveva ragione. Quello che era successo non poteva essere superato.

Ed il fatto che lo avesse fatto per il bene di Scully, non cambiava il fatto che lui e Diana avevano ottenuto l’affidamento di William. Per salvarla, l’aveva persa per sempre.

I tergicristalli lavoravano incessantemente e senza successo. Acqua. Acqua. E ancora acqua.

Giganteschi ammassi di nubi nere continuavano a vomitare su londra.

Scully stava incanalando la propria rabbia nel pedale dell’accelleratore.

Come quella volta. E mentre il mondo annegava fuori dai quei finestrini, i pensieri riportarono a galla quella notte.

Buio. Non riusciva a trovare luce in quella storia. Dogget era morto. William era figlio di Diana Fowley. Diana Fowley non era morta. Dio! Dio! Fa che sia un uncubo!

Ma era tutto vero. Palpabile nella sua concretezza. Stava andando da Mulder, voleva sfogarsi, condividere con lui quel dolore. La macchina sfrecciava veloce nella notte, forse troppo, ma era tutto sotto controllo. William era assicurato nel sedile posteriore. Al sicuro.

Poi si rese conto che poteva essere seguita. Mettere Mulder in pericolo. Svelare il suo nascondiglio. Gettarlo in pasto ai leoni.

Fece inversione per ritornare ad Annapolis, ed optò per una telefonata.

“Pronto Mulder... sono io.”

Non le piacque fin dal primo momento la sua reazione.

“Scully che ti è saltato in mente di chiamarmi? Sei impazzita?”

“Mulder... non sai cosa ho scoperto, adesso quadra tutto, perchè vogliono William, i poteri..”

La sua risposta, esitante ma spietata le gelò il sangue.

“Hai scoperto di Diana? Dell’embrione? Scully ascoltami...”

Le mancò il respirò. Quel barlume di sicurezze a cui si era aggrappata fino ad allora le si era sbriciolato sotto i piedi. Per sempre. Ricacciò le lacrime ed attaccò il cellulare. Riprese a guidare, nella notte, verso casa. Ma niente sembrava piu come prima. Tutto era distorto, astratto. Alieno.

Poi accadde. Un auto contro mano. La più geniale delle montature.


Monica ordinò a tutti i suoi sensi di concentrarsi su cio che aveva davanti.

Tutti i rumori e le immagini di disturbo dovevano essere elusi, cancellati.

Quindi, niente ciarlare dei poliziotti. Niente fotografi. Niente giornalisti.

Niente personale della scientifica a dissacrare il corpo.

Sbattè le palpebre lentamente, sgomberando i pensieri: Doggett, il suo omicidio, Scully, la sua dolorosa odissea tra carcere e tribunale.

Non fu difficile. Semplicemente, finse che quelle cose non fossero mai accadute.

Restavano solo lei. E quella donna senza nome.


Nome. Dana. Cognome. Scully.

Lo ripetè per un infinità di volte alle infermiere che affollavano la stanza.

Nessuno però rispondeva alle sue domande. Nessuno le diceva se William stesse bene. Nessuna visita da amici o parenti. Neanche il permesso di una telefonata.

Non riusciva a capire. Era fiaccata dalla morfina e aveva voglia di piangere. Si sentiva in prigione.

Il giorno dopo il risveglio arrivò un uomo ad interrogarla sull’incidente. Le disse che William stava bene. Non le disse altro.

Nel pomeriggio venne a trovarla la madre con Bill.

Suo fratello era furibondo. Continuava a dire che se lo aspettava da uno come lui. Che l’aveva avvisata.

Intuì subito una ventata di brutte notizie. Ma nessuno si decideva a dirgliele.

Seguirono cinque minuti di imbarazzante silenzio, ed occhiate nervose tra madre e figlio.

Che stava succedendo?


Quando Margareth le disse la verità, non esternò nessuna reazione.

Aveva i muscoli contratti, Il respiro intrappolato nei polmoni.


Aspettò che la sua famiglia lasciasse la stanza e chiudesse la porta per scoppiare a piangere.



Aveava pianto, le lacrime erano scese dagli occhi sbarrati e si erano congiunte al percorso del sangue che attraversava il collo.

Dio... che le aveva fatto?

Aveva le braccie scomposte in un abbraccio nel vuoto. Gli occhi annegati nell’orrore.

Senza motivo, Monica arretrò di un passo.

Di che aveva paura?

Aveva lottato con l’assassino. Aveva tentato di fuggire. Doveva aver gridato, pianto, implorato.

Perchè diavolo nessuno l’aveva sentita?

Alzò lo sguardo, abbandonando il corpo della ragazza martoriato da 127 coltellate.

E la vide. La macchia sul muro. Qualcosa non quadrava.

Qualcuno stava omettendo le prove.




Dana Scully e Monica Reyes erano nell’ufficio di Mulder.

“Perchè non ci hai detto che l’assassino lasciava la sua firma nel lugo del delitto?” sbottò Monica.

“Non è una firma.” Ribattè lui.

“Ah si... e che sarebbe?” Si intromise Scully.

“Il ritratto della prossima vittima. Ce n’è uno in ogni luogo del delitto. E fino adesso, tutti i ritratti corrispondono..”

“Eseguiti col sangue?” Monica era esterrefatta.

Scully ridusse la distanza tra sè e Mulder. “Questo non cambia il presente. Qualcuno ha cancellato l’ultimo ritratto. Nessuno lo ha visto?”

“No. Quando è stato rinvenuto il corpo era gia così.”

“Sono sicura che non sia stato l’assassino.” Affermò Scully.

Mulder si limitò a un ”Forse... ma mi fermerei a ipotesi più plausibili. Magari non aveva più voglia di snoccialarci indizi...”

“Un momento... com’è che non ci siete arrivati prima? Com’è che non siete riusciti a salvare le ragazze?” Esclamò Monica.

Lui non si scompose. “Ce ne siamo resi conto dopo la terza vittima. E non è semplice identificare prostitute, spesso senza permesso di soggiorno, senza contare che l’ultima è ancora senza nome...”

Scully tamburellò il piede irrequieta. Quello non era Mulder. Nessuna teoria stramba, nessuna ipotesi da fumettone di fantascienza.

Il suo Mulder avrebbe sostenuto che i ritratti non erano compiuti dall’assassino. Avrebbe ipotizzato che le macchie di sangue avressero spontaneamente preso la forma di un volto, a causa di qualche potere inconscio del Killer. Che cosa era diventato?

Si guardò intorno. Aveva uno splendido ufficio che affacciava su uno splendido panorama. Dirigeva la squadra omicidi. Aveva una libertà di azione incredibile. E questo grazie a Diana.

Lo aveva sempre saputo. Temuto.

Diana Fowley aveva il potere di realizzare i sogni di Mulder. Poteva dargli tutto quello che lei non poteva dare.

Vagò con lo sguardo e incrociò un portafotografie capovolto in fretta e in furia.

Pur intuendo che il contenuto sarebbe stato un pugno allo stomaco la sollevò.

Il cuore smise di battere.

William spegneva due candeline, e accanto a lui Diana Fowley e Mulder.

Le salì la nausea.

Mulder e Monica erano così impegnati a discutere del caso che non si accorsero che Scully aveva lasciato la stanza.




Mulder stava seduto nel suo ufficio fissando il sole che tramontava dietro la città.

Monica era appena uscita. Non appena si erano accorti che Scully se ne era andata. Aveva chiamato un taxi.

Probabilmente lo aveva fatto per arrivare in orario dal coroner per l’autopsia. Ma sapeva che non era così. Aveva visto la foto.

Cercò di non pensare. Di non colpevolizzarsi. Di non ascoltare il cuore.

Nessuno aveva idea di quello che stava passando lui. Non era facile recitare la parte di un direttore della squadra omicidi, razionale, freddo, rispettabile.

Fingere di aver dimenticato Scully, quando ad ogni incontro salivano le vertigini e la voglia di dirle la verità diventava un imperativo inalienabile.

Ma non poteva, quella era l’unica soluzione per salvarla. Diana era stata chiara.

Chi voleva il bambino l’avrebbe trovata e uccisa. Scully non aveva i mezzi e gli appoggi che aveva lei.

Andava fatto così e basta. Era per il suo bene.

Per il bene di tutti.





“Agente Scully, le ricordo che ha giurato di dire la verità. Aveva bevuto la sera dell’incidente?”

“Diamine... lo avrò detto mille volte! No!”

“Strano le analisi hanno attestato il contrario..”

Lei abbassò lo sguardo, consapevole di ciò che stava accadendo.

“Gia... c’era da aspettarselo... i conti quadrano...”

“Che sta insinuando?”

Cercò di trattenersi. Di non fare cavolate.

Ma lui era lì. Con lei. Con William. A recitare il ruolo della famiglia felice. L’avevano descritta come una donna soggetta a profonde crisi depressive.

Scully calmati.

Lui l’aveva definita “ instabile”.

Scully resisti.

Si erano inventati un mare di frottole, ed adesso la guardavano con aria di trionfo.

“Signorina le ho fatto una domanda...”

Stavano ridendo di lei. Tutti. Della sua sconfitta.

Poi sentì la voce di William. ”...che fanno alla mamma?” E la risposta di lei. “Quella non è tua madre.”

Tutto sparì. Il tribunale. Il giudice. Gli avvocati. Restavano solo lei, e Diana Fowley.

Si alzò. Niente aveva più importanza. Voleva ucciderla con le sue mani.

E’ lei! Quella puttana ha organizzato tutto!! Ha falsificato i dati della scientifica, ha assegnato le parti per questa recita. Lei ha provocato l’incidente!!

Qualcuno la fermò. Tutto era rumore. Tutto crollava. Sentì la puntura di un ago.

Il tribunale perse gradualmente consistenza.

Fissò Mulder. Nei suoi occhi lesse per un attimo una parola.

Perdonami

Poi vide William. La guardava in lacrime.

Fu l’ultima volta.



“Signorina??”

Si trovava nel Taxi. Di nuovo.

Deglutì rimproverandosi gli occhi lucidi. Quante volte ancora avrebbe dovuto rivivere quel momento?

Pagò la corsa e s’incamminò dal coroner.


Già lo sapeva. Sarebbe stata la sua condanna.





Se c’era una cosa che aveva imparato a medicina, era prendere distacco dalla morte.

Ciò che adesso aveva sotto gli occhi era soltanto un elemento di indagine. La sua vita, i suoi sogni, le sue più intime ambizioni che non avevano avuto modo di realizzarsi non avevano alcuna importanza. Non più.

Scotland Yard voleva un nome per quel cadavere.

Tutto ciò a cui al momento era giunta, è che era una donna dell’età approssimativa di 26 anni. Bianca. Nessun piercing. E nessun tratto distintivo.

Capelli corvini, lunghi. Una strana cicatrice sopra il sopracciglio destro.

Ma a parte questo, una faccia su un milione di simili.

Era morta prima di riuscire a digerire la cena, elemento utile per determinare un approssimativa ora del decesso.

Notò con disgusto che gran parte degli organi interni era lesa dalle pugnalate. Ma niente, niente di utile per l’indagine.

Stava per imprimere nel registratore la sua sconfitta quando notò un segno sotto pelle che le era sfuggito. Accanto all’ombelico, si notava una macchia scura la cui forma faceva escludere un ematoma. Sembrava più qualcosa di artificiale, un opera dell’uomo.

Un tatuaggio.

Che aveva già visto. Nel giorno peggiore della sua vita.





Monica appoggiò gli occhiali sulla scrivania e si abbandonò ad un sospiro spossato.

Che diavolo si era messa in testa?

Si trovava a spulciare archivi nella biblioteca comunale di Londra. Razionalmente, quanto di più sbagliato e fuorviante potesse fare al momento. Ma sentiva che andava fatto.

Aveva sotto gli occhi centinaia di casi, che si differenziavano in base a situazione, movente, e circostanze.

Migliaia di bivi.

Un infinitesimale probabilità di successo.





Era quasi arrivato a casa. Doveva gettarsi nella doccia e sistemarsi entro le otto. Diana e Willy lo aspettavano ad un ristorante a pochi isolati da li.

Mulder si fermò davanti al sontuoso cancellone davanti alla villetta, premette il telecomando ed il cancello obbedì all’ordine elettronico.

Quella sera avrebbe voluto mangiare bene, divertirsi, dimenticare tutto.

La costruzione mentale crollò non appena si accorse che il suo giardino non era deserto come si aspettava. Mulder iniziò a respirare a fatica.

Scully.

Lo aspettava davanti al portone di ingresso. Era bagnata fradicia dal temporale.

Ma i suoi occhi erano fermi e determinati.

Che diavolo voleva?

Gli venne incontro senza parlare, con ciocche rosse sature di acqua, con un silenzio che non sembrava promettere buone notizie.

Parlò. O meglio, iniziò a gridare, ad accusarlo.

Ci volle qualche secondo per superare la sorpresa ed afferrare il senso delle sue parole.

E’ così allora?? Una stupida trappola per me e Monica? Dio... Mulder...che cosa sei diventato!!
Una stupida marionetta!!


“Che cosa stai insinuando?”

“L’ultima vittima si chiama Elisabeth Orison. Naturalmente non era una prostituita. Così come le altre, che ho riidentificato correttamente come Jennifer Roland e Marita Newman.

Mulder lasciò cadere le chiavi della macchina sull’erba bagnata del suo impeccabile prato inglese.



“Ti suonano familiari agente Mulder?”



Monica stava per mollare quando un articolo le balzò all’occhio.


“Elisabeth Orison scomparsa da Venerdi sera. Le ricerche continuano.”

Spalancò gli occhi incredula.

Dio. Ecco cosa l’aveva colpita in quel corpo sensa vita sotto di lei, nel luogo del delitto.

Quella donna. Anche se resa irriconoscibile dalla violenza subita. Lei l’aveva gia vista.

Precisamente un anno prima, in un aula di tribunale.

La ragazza al volante. Che affermò che l’agente Scully era entrata nella sua corsia provocando l’incidente.

La testimone chiave.

Ogni tassello combaciava. Il puzzle era completo adesso.

La trappola era stata tesa, l’esca gettata.

E avevano abboccato.

Le tornò alla mente la mattinata. Prima di andarsene un poliziotto le aveva di firmare un modulo per il silenzio stampa.

Avevano le sue impronte, e probabilmente anche quelle di Scully.

Chiuse immediatamente il libro intenzionata a raggiungere la collega, ma una presa forte la spinse sul tavolo, fermandole i polsi.

“Ag. Reyes la dichiaro in arresto. Tutto quello che dirà, potrà essere usato contro di lei in tribunale. Se non può permettersene uno, le verrà assegnato un avvocato di ufficio...”

Monica sentì il suono metallico delle manette e chiuse gli occhi.

Doveva trovare il modo di parlare con Scully.

+++++++++++

Scully. Dio Santo. No.                                                          
Mulder era come paralizzato sotto quell’inferno di acqua e emozioni.             
Aveva scoperto tutto. Aveva riedintificato il cadavere. Sapeva la verità.
Che idiota era stato. Sapeva che sarebbe successo.                             
Lo sapeva quando Diana gli aveva spiegato il piano.                                  
Lo sapeva quando aveva fatto chiamare Scully e Monica per indagare sul caso.             
Lo sapeva quando aveva dato l’ordine di arrestare l’agente Reyes.
E sapeva anche cosa fare nel caso Scully fosse venuta a conoscenza di tutto.
Eccola. Sotto la pioggia. Terrorizzata ma determinata. Disperata ma fiera.     
Si era voltata, era il momento. Se ne stava andando, armeggiando con il cellulare. 
Sbrigati, Mulder, fai in fretta. Estrai la pistola. Fermala fino a che sei in tempo.
Chiuse gli occhi, sfiorò la fondina, ricacciò una lacrima.    
Mentre il cielo continuava a piangere su Londra, Mulder si apprestava ad uccidere la donna che amava.

Scully si voltò esasperata. Parlare con lui non stava servendo a niente. Si limitava a guardarla con sguardo assente. Uno sguardo che non conosceva e che la spaventava. Afferrò il cellulare e digitò il numero di Monica.
Andiamo. Forza. Monica, rispondi. Ti prego.
Un fulmine, più forte e vicino degli altri. Un lamento tra le nubi.
Aspettò il silenzio per capire se Monica aveva riposto. Restò senza fiato.
Incapace di visualizzare, recepire, accettare, una verità troppo crudele da assimilare.
A pochi metri alle sua spalle, il cellulare di Monica stava suonando nella tasca di Mulder.


Monica si voltò all’istante e scagliò una gomitata sull’uomo che le stava leggendo i diritti.
Il poliziotto perse l’equilibrio e cadde sulle ginocchia.
Non perse tempo. Non poteva. Si gettò verso l’uscita, e sfociò nell’affollatissimo marciapiede.
Perfetto.
Corse verso la macchina, girò la chiave e la macchina rispose con un confortevole borbottio.
C’era solo una cosa da fare. Chiamare Scully e pregare che non fosse gia troppo tardi.
Iniziò a frugare nella borsa e dovette assimilare in fretta la verità. Il suo cellulare era sparito.
E molto probabilmente era nelle mani di chi aveva disposto il suo arresto.

Scully capì che non c’era niente da fare.  Era semplicemente intrappolata nella tela del ragno.
Spense il telefono, e lo scagliò a terra, a pochi cm da Mulder.
“Che aspetti? Sparami.”
Mulder era davanti a lei, e le puntava un arma, terrorizzato.
“Mulder, mi ascolti? Sono sotto tiro. Sono disarmata. Che aspetti? Premi quel fottuto grilletto!”
L’uomo continuava a tenerla sotto tiro, il viso contratto da mille emozioni.
“Mi, mi dispiace. Non doveva andare cosi…”
Scully aspettò il passaggio di un tuono per farsi sentire.”Ah si, e come sarebbe dovuta andare??  Mulder, sapevi che avrei scoperto tutto. Sapevi che avresti dovuto uccidermi. Non cadere dalle nuvole come un bambino!”
Uno proiettile tagliò l’aria e esplose sull’asfalto a meno di un metro da Scully.
La donna strinse i denti ma non mutò la sua gelida espressione. “Sono stanca. Stanca di crederti, di giustificarti, di darti delle attenuanti. Tu..tu mi hai privato di mio figlio, e non mi interessa cosa ti ha spinto a farlo. Sei esattamente come loro…come le persone che prima combattevamo…
Scully tradì un tremolio della voce.
…assieme.”

E lo fece.
Si voltò, gli diede le spalle e si diresse verso il cancellone.
Sapeva che un proiettile molto probabilmente avrebbe sondato l’aria e attraversato il suo corpo, dilaniando il suo cuore o il suo cranio, o, peggio ancora, lo stomaco.
Sapeva che poteva essere l’inizio della fine ma non le importava.
Che la uccidesse.
In fondo l’aveva gia fatto, in un aula di tribunale, in una gelida mattinata di due anni prima.

Mulder non riusciva a riprendere il controllo su se stesso.
Si era immaginato mille volte quella scena. Mille volte Scully era stata colpita dal suo proiettile prima di stramazzare a terra priva di vita.
E anche se erano solo ricostruzioni virtuali, non ci riusciva. Una volta era persino corso in bagno a vomitare.
Ed adesso era li. Scully. La vera Scully. Gli aveva voltato le spalle e aveva quasi raggiunto il cancello.
Perché diavolo non riusciva a premere il grilletto?
Ormai c’era dentro fino al collo, e non poteva più tirarsi indietro, nonostante lo desiderasse con tutto se stesso.
Gli sfuggi un singhiozzo.
“ Addio Scully. “
Chiuse gli occhi , pensando che fosse un incubo, e premette il grilletto.
Monica raggiunse trafelata l’albergo in cui alloggiavano.
Corse alla reception e si rivolse alla giovane dipendente.”Scully?”
“E’ uscita circa mezz’ora fa. Ha detto di lasciarle un messaggio.”
Monica le rivolse un cenno per esortarla a continuare.
“Ha detto di dirle che il caso è risolto. Ha detto di andare a chiarire un conto in sospeso con una persona e…”
La donna si rese conto che stava parlando alla reception vuota.
La sua interlocutrice aveva appena abbandonato l’albergo.

Diana Fowley guidava placidamente verso casa. William si era addormentato, non aveva resistito all’attesa nel ristorante.
Avrebbe dovuto essere furiosa. Ma non lo era.
Se non era venuto, c’era un preciso motivo. Scully.
Finalmente era venuta a capo della storia, finalmente Mulder non aveva altra scelta se non ucciderla.
Sorrise.
L’ultimo ostacolo tra lei, Mulder e William stava per essere falciato dalla morte.

Non capì subito quello che era successo.
Una forte spinta la fece cadere in avanti. Poi un dolore, lacerante e infinito, le esplose nel petto.
Un lampo, troppo vicino, scosse il terreno.
L’acqua continuava a scendere, a frantumarsi nel suolo.
Scully provò a strisciare in avanti ma stramazzò dopo una manciata di secondi.
A terra, bocconi, realizzò che il proiettile aveva colpito lo stomaco. Sapeva fin troppo bene cosa l’aspettava. Dolore. Agonia. Una morte lenta.
La peggiore delle morti.

Era successo. Dio. Era tutto vero.
Mulder si sentì mancare il terreno sotto i piedi per qualche secondo.
Lo aveva fatto.
Non pensava si potesse provare tanto dolore tutto assieme.
Vederla cadere in avanti, spinta dalla forza della sua pallottola. Piombare a terra, senza difese, nell’asfalto allagato dal temporale.
Era paralizzato. Lei aveva appena provato a strisciare bocconi. Era crollata subito.
Sarebbe dovuto andare a controllare che il lavoro fosse ultimato. No.
Non guardarla. Non uccidere anche te stesso.
Con mano tremante, ripose l’arma nella fondina, oltrepassò il cancello, ed iniziò a correre. Sotto la pioggia.
Nella più nera disperazione.


Monica avvertì una strana sensazione quando si avvicinò al villino.
Una sorta di cappa oscura. Male compresso. Dolore.
Varcò il cancellone e restò gelata dal terrore. Scully era a terra, bocconi. Una piccola figura fradicia e tremante. Sotto di lei una chiazza di sangue in veloce espansione.
Il giardino era deserto, scosso da un temporale che sembrava solo peggiorare.
Si inginocchiò verso Scully e notò con conforto che era cosciente.
“Dana resisti ci sono io.”
Scully faticava a respirare, e riusciva a stento a mantenere gli occhi aperti.
“Monica…”riuscì a bisbigliare a fatica.
Le restò inginocchiata accanto guardandosi intorno in quell’ambiente spettrale.
Sola, senza cellulare, e con una collega e amica che stava morendo dissanguata.
Non perse tempo, dette la sua pistola a Scully e corse verso la villetta.
Doveva riuscire ad entrare.
Entrare, e raggiungere il telefono.
A tutti i costi.




Buio. Luce.
Quante volte questi elementi si erano rincorsi caoticamente nella sua vita?
Un continuo salire e scendere dalla giostra della morte.
Era di nuovo lì.
A terra, stremata, sotto il temporale. Ferita.
Forse, pensò, si era sbagliata.
Se il proiettile le avesse colpito lo stomaco gli spasmi addominali sarebbero dovuti essere più acuti.
Respirava a fatica e aveva la bocca piena di sangue.
Un polmone, pensò rapidamente.
Si accorse di stringere qualcosa tra le mani.
La pistola. Si. La pistola che le aveva lasciato Monica. Era andata a cercare un telefono.
Dio, se ne era gia dimenticata: la pozza di sangue che la circondava si stava facendo troppo vasta.
Ogni secondo che passava diminuiva nettamente il flusso di ossigeno al cervello.
“Devo resistere”Si disse.
Ma un freddo incredibile si impadronì del suo corpo che aveva preso a tremare convulsamente.
“Devo resistere”Le sfuggi un singhiozzo. Non voleva morire così. Da sola.
Sentì un rumore. Un auto in avvicinamento.
Strinse più forte la pistola ma il senso del tatto era ormai scomparso.

Monica riattaccò il telefono.
Dio, ti ringrazio.
Ce l’aveva fatta. Un ambulanza stava correndo a sirene spiegate da Scully.
Per entrare, le era bastato raccogliere un mazzo di chiavi che probabilmente qualcuno aveva lasciato cadere inavvertitamente nel prato del giardino.
Doveva agire in fretta. Tornare da Scully.
Si gettò nel temporale, un temporale che rendeva ogni contorno incerto e confuso.
Si bloccò di colpo, ad un paio di passi da Scully.
Dio, no .
Aveva smesso di tremare.
“Scully rispondimi ti preg…”
Monica notò una nuova vettura parcheggiata davanti a lei. Vuota.

Deglutì a fatica.

La sua pistola, che aveva dato a Scully.
Era scomparsa.




Sola, accanto ad una sagoma bagnata e immobile, Monica avvertì un lungo brivido lungo la schiena.
Continuava a guardarsi intorno, a 360gradi. Doveva essere li, a pochi passi da loro.   Nascosta dalla coltre di pioggia infernale che cancellava ogni cosa.
Con la sua pistola.
"Diana Fowley venga avanti con le mani alzate" Gridò. Quell'atteggiamento le dava almeno l'illusione di essere il cacciatore e non la preda.
"Lei è in arresto, quindi le ordino di uscire allo..."
Le parole le morirono in bocca. Una risata, prima debole e poi sostenuta, vibrò nell'aria.
Poi, un tono secco e asciutto schiaffeggiò il silenzio.

"Se non erro la criminale dovresti essere tu. Sei gia evasa?"
Diana Fowley emerse dalla nebbia. Una solida figura spettrale che puntava salda un arma per tenerla sotto tiro. Un lieve sorriso le attraversava il volto.
Il sorriso della vittoria.
Del trionfo.
"L'agente Scully non sopravviverà all'arrivo dell'ambulanza." Disse con nuncuranza mentre toglieva la sicura.
Monica arretrò di un passo.
"Ti sbagli. Stanno arrivando. Scully deve solo resistere qualche..."
Diana Fowley sembrava non badare alle sue parole, continuava a seguire una serie di mosse e movimenti sicuramente premeditati. Un piano.
"Ma per sendare ogni dubbio..."La donna mirò la sagoma inerme sull'asfalto in lontananza e fece fuoco due volte. Nessuna reazione. Nessun gemito. Niente di niente.
"Peccato, un proiettile sprecato." Disse amaramente Diana Fowley.

Monica assisitette alla scena impotente e piena di rabbia.
Le mani impulsivamente si mossero per attaccare l'assassina che aveva davanti ma ordinò a se stessa di fermarsi. Era il momento.
"Davvero un peccato."disse lentamente Monica."Perchè erano gli ultimi due proiettili."
La sua interlocutrice rimase interdetta. Non era possibile. Aveva usato per Scully un proiettile in più del previsto, ma nel bossolo doveva comunque restare una pallottola.
Monica avanzò di un passo, armata da un inedita sicurezza, che era esplosa dopo lo sguardo confuso della donna davanti a lei.
"So a cosa stai pensando. Che deve esserci ancora un proiettile in quella pistola.
Ma nel tuo piano non hai calcolato le casualità. Non appena sono arrivata, ho sentito un fruscio alle spalle e colta alla sprovvista ho sparato un colpo. Era solo un randagio."
Monica Reyes sorrise e avanzò ancora di un passo.

"Doveva pensarci prima di sprecare due colpi per una giacca stesa a terra, agente Fowley."



Diana Fowley indietreggiò, detestandosi per qulla dimostrazione di debolezza che non faceva parte del suo carattere. Ma tutto, tutto quanto, stava andando a puttane.
Merda.
Non induigiò altri attimi e premette il griletto con decisione. Niente.
Lo premette di nuovo, incredula. Niente.
Per una manciata di secondi nella sua testa si creò un vuoto.
Doveva rielaborare, modificare, adattare, ma aveva bisogno di tempo.
Dopo due brevi respiri riuscì a parlare."Dove è l'agente Scully? Quando le ho sfilato la pistola tra le mani era ferita. Gravemente ferita."
Monica con due passi le fu davanti. "Gia. E' così. L'agente Scully è gravemente ferita. E quando sono tornata dalla telefonata, ho creduto che fosse morta, vedendo che la sua sagoma non si muoveva più. Mi sbagliavo. Dopo che le ha sfilato la pistola, e lei perlustrava il retro della casa per cercarmi, l'agente Scully è riuscita a trascinarsi fino a quel cespuglio in ombra." Indicò con la mano una zona che a malapena si distingueva in quella notte scossa dal temporale.
"Sono corsa immediatamente da lei, ed insieme abbiamo deciso cosa fare. Scully si era tolta la giacca e l'aveva lasciata a terra. Io mi sono limitata a gonfiarla con la mia borsa e la mia giacca. La notte e questo finimondo hanno fatto il resto."Disse alludendo al temporale.
"Infine mi sono messa inginocchiata ad un paio di giacche ed una borsa. Ed il resto è storia."
Diana Fowley inaspettatamente tornò a sorridere.
"Crede di aver vinto? Lo crede davvero? Agente Reyes, lei è accusata di una lunga serie di omicidi. E l'agente Scully sta consumando le sue  ultime razioni di ossigeno mentre il suo sangue scivola via spinto dalla pioggia."
Sorrise, notando che ancora non si sentivano ambulanze in lontananza.
"Ma volgio darvi, darti, un occasione. Voglio patteggiare."
"Vi ridarò la vostra vita, il vostro lavoro. Lascerò cadere tutte le accuse. Ed in cambio voglio solo il vostro silenzio. E naturalmente Mulder e William."
Monica guardò in direzione di Scully, come in cerca di una riposta.
Ma sapeva che molto probabilmente aveva gia perso i sensi. Il solo riuscire a togliersi la giacca e strisciare fino al cespuglio doveva essergli costato uno sforzo disumano.
Ovviamente non le giunse nessuna risposta. Suolo un tuono, piu debole degli altri, che annunciava che il temporale stava regredendo.
Perdonami Scully
"Ok. Affare fatto."
Diana Fowley le tese la mano e Monica la strinse per sancire il patto.

"Affare fatto."




Scully ascoltava il ritmo dei propri respiri farsi prima lento e poi impercettibile.
E' questa la morte?
Nessun pensiero, nessuna emozione. Solo aria, che entra ed esce da un corpo elettrico che si sta spegnendo per sempre.
Voleva resistere. Pensare. Cercare un senso. Credere.
Ma ogni quesito rimase sospeso nel nulla perchè il suo cuore aveva smesso di battere.


Riaprì gli occhi quattro giorni dopo in un ospedale di Londra.
Era stata rianimata in ambulanza ed il suo cuore era tornato a battere.
Poi il coma, tre giorni di vuoto e di sogni senza nome.
Il suo primo pensiero fu: "Sono viva."
Avrebbe tanto voluto dire, o pensare:"Abbiamo vinto" ma sapeva che non era vero.
Quella maledetta sera di quattro giorni prima aveva rubato qualcosa, lasciato una ferita,   in ognuno di loro.



EPILOGO - L i n e a    d i    C o n f i n e

Monica l'aspettava all'aereoporto tra circa un ora. Tornare a Whashinton significava molto per lei. La fine di un incubo e l'inizio di una nuova vita.
Spinse il portone di Scotland Yard e si rivolse al primo che si trovò davanti.
"L'agente Mulder?"
Il giovane le indicò una porta in fondo al corridoio.
Dana Scully inspirò a fondo cercando di frenare il tremolio alle mani e rafforzando la presa sull'oggetto che portava con se.
Aprì la porta.
Mulder alzò lo sguardo dal monitor di un computer e il suo volto si fece terreo.
Scully compì un tragitto che le parve infinito, e si ritrovo davanti alla sua scrivania.
Davanti a Mulder.
Si schiarì la voce e gli porse l'oggetto che aveva con se.
"Volevo solo ridarti queste. Sono le chiavi del tuo appartamente a WDC.
Non so per quale incomprensibile motivo fossero ancora in mio possesso."
Si era subito voltata in direzione della porta ma la voce di lui la fermò.
"Io ti amo."
Si voltò e lo guardò dritto negli occhi.
"Addio Mulder. Addio per sempre. Cancella Mulder e Scully come ho fatto io e rispediscili nel passato."
"Non ci riesco."
"Esiste una linea di confine, Mulder. Ed è stata superata. Adesso non resta che voltare pagina e dimenticare tutto. Ricostruire una nuova vita, il più lontano possibile da te."
Si fermò, incerta se continuare o meno, gli occhi arrosati e lucidi.
"Solo riportando indietro il tempo, forse, riuscirei a smettere di odiarti."
"E allora fallo. Per un secondo almeno, torna indietro nel tempo e dimmi che mi ami."
Solo un singhiozzo da parte di lei, seguito da dei passi in corsa verso l'uscita.
Non ebbe mai una risposta a quella domanda.

La porta si era richiusa e Dana Scully era scomparsa dalla sua vita.



-the end-