Il marchio X-Files e tutti i suoi personaggi, ad esclusione di quelli di mia invenzione, sono di proprietà di Chris Carter, della 1013, della Fox e di tutte le menti creative che collaborano a questo splendido prodotto televisivo. Il marchio Jag e tutti i suoi personaggi appartengono a Donald P. Belisario ed alla CBS.
Nel prenderli in prestito non c'è stata nessuna intenzione di violare copyright nè di ledere diritti altrui, nè tantomeno questa ff è stata scritta a scopo di lucro.
L'opera deve sempre essere accompagnata dal nome dell'autore, cioè Patty Zinni piperitapapatty@libero.it.

La meravigliosa copertina che vedete è opera di Teresa (che ringrazio con tutto il cuore ^_^). Vi consiglio vivamente di andare a gustarvi i suoi lavori nel sito di Ale: http://members.xoom.it/AleXFiles/

Premesse: questo romanzo fa parte di un progetto che ho in testa da un pò. E' forse ambizioso e quindi spero di riuscire a portarlo a termine. "Lady Godiva" infatti è il secondo di tre libri che compongono una trilogia appunto, "La trilogia del ritorno". Il primo libro si intitola "La prospettiva di Lancillotto". Ogni fanfiction sarà autoconclusiva, anche se inserita in un arco di ben tre storie collegate tra loro con cui tenterò di ipotizzare il ritorno di Mulder o meglio di suggerire come mi piacerebbe vederlo tornare, nell'attesa che l'evento capiti sul serio in tv. Spero che l'idea vi piaccia.

Spoilers: questo romanzo si colloca dopo gli eventi di Requiem e dopo i primi episodi della ottava stagione per quanto riguarda X-files e tra la quinta e la sesta stagione di Jag. Come ormai sarà chiaro, si tratta di un cross over tra le due serie televisive.

Ratings: pg-13

Genere: case file, Mulder angst, Doggett/Scully, Harmon Rabb/Sarah Mackenzie.

Riassunto: un velivolo sperimentale scompare misteriosamente dalla base militare di Lincoln. I marines Theodor Sullivan e Kirk Mayer vengono accusati. Ad indagare sono chiamati rispettivamente per il Jag Harmon Rabb e Sarah MacKenzie, per l'FBI Dana Scully e John Doggett.
Nel frattempo qualcosa sta succedendo a Fox Mulder! Riuscirà a.......

"LA TRILOGIA DEL RITORNO"
LIBRO SECONDO



LADY GODIVA

di Patty Zinni


ANTEFATTO

"Il mio nome è Fox Mulder.
I giorni della mia vita continuano a scorrermi innanzi come fotogrammi di un vecchio film in bianco e nero.
Mi aggrappo a quelle immagini come una sorta di ancora di salvezza, con la tenacia di chi vuole sopravvivere, di chi vuole rimanere a galla dopo una tempesta. Ma non ne ho più le forze. Onestamente non so per quanto potrò sopportare le pene che mi stanno infliggendo.
Sembra quasi che la psiche si voglia staccare dal mio corpo per non sentire più la sofferenza.
La mia fisicità è compromessa. Sento che potrei morire.
La mia mente è così lucida... Assisto alla mia tortura come se fossi al di fuori e fluttuassi sul mio essere martoriato, oltraggiato, violato.
Ecco perché i ricordi mi sono tanto cari, anche i più funesti. Mi fanno sentire vivo e finché sono vivo posso sperare che tutto questo finisca e che l'oblio mi porti via con sé.
E' in questi momenti che vorrei possedere la fede di Dana Scully in un essere superiore benevolo, comprensivo, capace di alleviare il dolore e dare la pace. Anelo la serenità e la completezza che in più di un'occasione ho scorto nella fermezza della mia collega.
Lei è presente in quasi tutti i frammenti che mi tornano alla memoria. E' proprio qui accanto a me. Sento quasi il tocco gentile ed amico della sua mano. Sembra infondermi un po' del suo calore, della sua energia.
Devo resistere un altro po'. Devo rivederla, voglio farlo. Devo sapere di lei.
Devo uscire da qui. Fuggire...
La fuga!
Vorrei assaporare questa parola tra le labbra, come se fosse un gesto d'amore, ma non posso farlo. Un infernale attrezzo mi impedisce di muovere la mascella. Però posso sempre pensarla intensamente e sopire così il mio tormento."



CAPITOLO UNO

Florida
Base Militare di Fort Lincoln
ore 4,32 am

Il loro turno sarebbe finito fra circa due ore, al sorgere del sole.
La notte in Florida non era mai fredda, però umida questo sì. Quell'aria penetrava subdola nelle ossa e congelava come un iceberg. A poco potevano le divise che indossavano con orgoglio.
Impettiti, arma in pugno e sguardo attento, erano eretti, immobili fuori dall'hangar 7. Le pesanti porte in metallo erano chiuse a non mostrare l'interno del grosso ambiente.
Il loro compito era stato chiaro. Proteggere a costo della vita il contenuto della rimessa.
I due giovani marines, Theodor Sullivan e Kirk Mayer, non avevano fatto domande. Come loro dovere, avevano obbedito rispettosi, ma nella loro testa si erano posti più di una domanda.
A Fort Lincoln era sempre stato tutto tranquillo, non c'erano misteri. Segreti da far rimanere tali. La storia dell'hangar aveva sollevato un polverone, fomentato la fantasia, creato un precedente.
Theodor si massaggiò la fronte, assonnato. Si sentiva stanco ultimamente, forse aveva preso l'influenza. Molti altri si erano ammalati al campo.
I suoi capelli a spazzola erano rossi e sul suo viso spuntavano sporadiche efelidi che lo rendevano buffo, ma simpatico. Con i suoi occhietti vispi color bottiglia, si voltò a guardare il giovane Mayer. Aveva appena 20 anni ed era al primo incarico.
Non aveva una bella cera:
-Hey, Kirk. Stai male?-
Il volto pallido ne era un chiaro sintomo. E poi stava vistosamente sudando.
La sua voce emerse roca dalle labbra contorte in una smorfia:
-Ho mal di stomaco. Non ce la faccio più!-
-Deve essere stato il minestrone di Clyde!-
-Non l'ho neppure assaggiato... e non parlarmi di cibo...- Trattenne a stento un conato. - Devo andare...-
-Scherzi? Non puoi assentarti!-
-Non me ne importa niente... Se resto qui non sopravviverò...- Ed ancora prima che Sullivan potesse protestare, Kirk Mayer si allontanò senza permesso dalla sua guardiola.
Theodor si guardò intorno preoccupato. Se il loro superiore si fosse accorto dell'accaduto, avrebbero passato certo dei guai. Cosa doveva fare? Pregare era l'unica soluzione. Cominciò a contare mentalmente i secondi nell'attesa di veder sbucare Kirk.
Erano passati ormai 10 minuti. Dove diavolo era finito?
Fu allora che cominciò a percepire uno strano ronzio. Ben presto si trasformò in una intensa vibrazione. Era il terremoto?
Ogni cosa si muoveva intorno a lui, tintinnando. Era impensabile rimanere in piedi. Cadde sulle ginocchia.
D'improvviso un fascio luminoso lo colpì. Il suo raggio sembrava incandescente.
Theo non riusciva a tenere aperte le palpebre. Il bagliore si era fatto accecante.
Un suono metallico e roboante gli fece intuire quello che stava accadendo.
"E' la fine della mia carriera!" Riuscì solo a pensare.
Le porte dell'hangar si aprirono come per magia.
-No...- Gridò impotente.
Non poteva muoversi. Era come paralizzato.
Tutto divenne buio in un sol colpo.
Il tremore si arrestò.
Sullivan si rialzò.
Il cielo era tornato ad essere nero come la pece.
Il rumore dei grilli in lontananza era tornato regolare.
Si girò su se stesso per trovarsi di fronte l'ingresso dell'hangar.
Spalancato.
Al suo interno c'era un immenso spazio vuoto. Qualunque cosa fosse stata gelosamente custodita lì dentro, ora non c'era più.

*****************************

Una settimana dopo

Il forte vento che spazzava il campo d'atterraggio, li accolse con violenza appena scesi dall'aereo.
Sarah MacKenzie, un giovane colonnello dei marines, nonché avvocato del Jag, cioè la Procura Militare della Marina, si tenne stretto il berretto dell'uniforme perché non volasse via.
L'uomo accanto lei sorrise con quel non so che di ironico che lo rendeva sicuramente attraente. Non era un caso che nella sua vita da pilota, per non parlare nella sua carriera forense, avesse fatto strage di cuori femminili. La divisa blu poi gli calzava a pennello. Sicuro di sé, in tutta la sua altezza, con quella cadenza un po' dinoccolata, seguì Sarah, per gli amici Mac, giù per le scalette.
Venne loro incontro il capitano Mills, porgendo il saluto militare. Dopo quest'atto di deferenza, si scambiarono saluti più informali:
-Benvenuti in Florida!- Il capitano Henry Mills aveva i capelli leggermente brizzolati, ora scompigliati dall'aria prepotente.
-Ehm...grazie. Ma non dovevate scomodare un tifone per noi!- Esclamò Harmon Rabb sornione.
-Effettivamente si sta preparando. Avete fatto appena in tempo ad atterrare.-
Li fece salire su una jeep decappottabile e premette sul pedale dell'acceleratore.
In pochi minuti arrivarono all'edificio centrale nella base.
Mills li scortò fino al suo ufficio e li ragguagliò con dovizia di particolari sugli estremi del caso.
Fu Sarah ad inquadrare la loro posizione:
-Io difenderò il guardiamarina Sullivan, mentre il capitano Rabb difenderà il guardiamarina Mayer di fronte alla corte marziale.-
-Quali saranno i capi d'imputazione?- Chiese Mills preoccupato.
-Opteranno probabilmente per il non rispetto degli ordini di rimanere di guardia all'hangar 7. Sempre che non acquisiscano le prove di un coinvolgimento nel furto del Lady Godiva!-
Fu a questo punto che Harmon intervenne nella conversazione:
-In effetti ne vorremmo sapere di più su questo velivolo sperimentale.-
-Non sono autorizzato a parlarvi del Lady Godiva.-
-Capitano Mills, abbiamo bisogno di conoscere l'intera situazione, per garantire ai nostri assistiti una difesa equa. Sono sicuro che l'ammiraglio Chegwidden le avrà illustrato l'importanza di questa collaborazione.-
-Eseguo degli ordini, ma farò in modo di chiedere l'autorizzazione alla divulgazione delle informazioni inerenti questo progetto.- Mills sembrava accondiscendente. Rabb ne fu soddisfatto.
-Se è possibile vorremmo incontrare subito i due guardiamarina.-
-Certo. Se volete seguirmi.-
Sarah era pronta ad indagare su quel caso. L'istinto le diceva comunque che le cose non erano esattamente quelle che sembravano. E quando incrociò lo sguardo del collega prima che si allontanasse, ebbe la certezza che lui era d'accordo con lei.

CAPITOLO DUE

Harmon Rabb entrò nella piccola stanza degli interrogatori e trovò il giovane seduto ad un tavolo spoglio, con lo sguardo basso. Sembrava così indifeso, per non dire abbattuto. Effettivamente la sua posizione non era delle più felici, anche se memore di una esperienza acquisita negli anni nelle aule di tribunale, il capitano del Jag era sicuro di poterlo difendere nel migliore dei modi. Sempre che lui collaborasse e non uscissero fuori pesanti accuse di favoreggiamento.
-Salve!- Fece con aria positiva.
-Sono il capitano Harmon Rabb e l' assisterò nel procedimento che la coinvolge.-
Kirk scattò sull'attenti come un automa.
-Riposo, riposo.- Si sedette di fronte a lui.
-Ho letto il rapporto che la riguarda. Ma vorrei sentire dalla sua voce quello che è successo. Perché lei, guardiamarina Mayer, si è assentato senza autorizzazione?-
-Stavo male Signore.-
-Non lo metto in dubbio. Il punto è che ci sono delle procedure da rispettare. Avrebbe dovuto farsi esonerare chiedendo l'autorizzazione al suo superiore. Così ha messo a repentaglio la vita del suo compagno.-
Kirk non rispose.

*****************************

Nello stesso momento, nella stanza accanto Sarah MacKenzie stava interrogando Theodor Sullivan.
-Vorrei la sua esposizione dei fatti.-
-Colonnello, è difficile per me descrivere quello che è successo. Si può dire che pur essendo presente non ho visto nulla.-
-Parlava di una luce intensa ed accecante. Di cosa pensava si trattasse?-
Sullivan la guardò spaventato.
Mac lo notò subito e se ne sorprese. Forse Theodor sapeva più di quello che aveva riferito. E se fosse stato così sarebbe stato un complice per chi aveva rubato il Lady Godiva? E poi che cos'era questo Lady Godiva?
-Era un elicottero?-
-No...forse... no... Non faceva rumore!-
-Allora? Insomma... mi deve aiutare, se no come farò a difenderla?-
-Signora.... se glielo dico non mi crederà, nessuno mi crederà!- Sembrava disperato.
-Ci provi guardiamarina.- Lo incitò. Sarebbe servito?
-Credo si trattasse di un ufo.-
Mac sgranò gli occhi. Un ufo?
-Ma che sta dicendo?-
-Lo sapevo... neppure lei ci crede.... Veramente anche io ho dei dubbi, ma non poteva essere altrimenti.-
-Guardiamarina, le consiglio di dire la verità, altrimenti...-
-Lo sto facendo... lo sto facendo...-
-In base a cosa ha stabilito che fosse un... ufo?-
-Se posso parlarle in confidenza... ho un cugino nel Minnesota che mi ha raccontato di una sua esperienza del terzo tipo.... un primo contatto, un'abduction, capisce?-
Sarah non sapeva come impostare quella conversazione. Quando era entrata lì dentro pensava di poter ottenere informazioni preziose per la sua difesa ed ora scopriva che il suo assistito probabilmente era pazzo. Un ufo? Che razza di difesa avrebbe mai potuto imbastire?
-Sì... quindi?-
-Mi ha descritto le sensazioni che ha provato e le ho avute anche io... è successo tutto in fretta... ma avvertivo la loro presenza...-
-La loro presenza?-
-Si, degli alieni.-
-Ah, ecco!- Mac si passò una mano sulla fronte. Improvvisamente le era venuta una forte emicrania:- Mi può almeno spiegare cosa se ne fanno gli alieni di un nostro velivolo?-
-Non so cosa ci fosse nell'hangar... è lei che mi sta dicendo che c'era un velivolo.-
"Strano davvero!" pensò.
-Lo sa che se io userò la sua testimonianza, verrà inchiodato?-
-Io sto dicendo la verità.-
-Ha parlato a qualcun altro della sua opinione?-
-No.... penserebbero che sono pazzo.-
"Appunto" sospirò.

************************************

Sull'aereo

Fra pochi minuti sarebbero atterrati all'aeroporto di Miami.
L'agente speciale dell'FBI Dana Scully aveva socchiuso le palpebre facendo finta di dormire e questo perché non aveva molta voglia di chiacchierare con il collega, il granitico John Doggett, che sedeva al suo fianco con il dossier in grembo.
L'uomo stava leggendone avidamente il contenuto con professionalità.
Scully dovette riconoscergli i suoi meriti. Era solido, preciso, puntiglioso. Era un po' come lei almeno 7 anni prima. Il tempo l'aveva cambiata. Il tempo e la presenza di Mulder, il suo ex-partner.
Ancora qualcosa la bloccava. Non riusciva ad aprirsi né ad instaurare quel sano quanto naturale rapporto tra partners che condividono indagini ed ufficio, l'ufficio degli x-Files, i casi irrisolti di cui nessuno vuole sentire parlare.
-Lo so che sei sveglia.- Bofonchiò John.
Scully sorrise.
-Pensavo.-
-A cosa, o meglio a chi?-
-A te.-
-Quale onore. E se è di grazia, in che termini pensavi a me?-
-Pensavo che di te mi fido ma non riesco ad abituarmi alla nostra collaborazione.-
-Quanta franchezza!- John si voltò a guardarla: -So benissimo che per te è difficile. Dopo aver condiviso la tua carriera per ben sette anni con l'agente Mulder, ora ti ritrovi un perfetto sconosciuto accanto. Ci vorrà del tempo ma saprai apprezzarmi.-
-Uhm, probabile... comunque ti consiglio maggiore umiltà. Andremo più d'accordo.-
Doggett rise sonoro e soddisfatto:
-Me lo ricorderò!-
-C'è qualcosa di interessante nel fascicolo?-
-E' un caso molto particolare... non capisco perché ce lo abbiano affidato. Non è un x-file.-
-E' vero, l'avevo notato anche io.-
-Forse Kersh sta provando a cambiarci di "ruolo"!-
-Che intendi dire?-
-Semplicemente che ora che Mulder non c'è, sarà più facile smantellare un po' alla volta gli x-files.-
-Non finché ci sarò io.- Rimbeccò Dana piccata. "Non glielo permetterò mai, Mulder!"
-Non temere, ti aiuterò affinché questo non succeda.- Disse John affabile.
Era sincero?

******************************************


"Non so da quanto tempo sono qui.
Non riesco a tenere il conto dei giorni , delle ore, dei minuti.
Sembro sospeso in una eternità senza inizio né fine. Esisto senza vivere. Non è una bella prospettiva.
Ma qualcosa è cambiato.
Per la prima volta da quando mi trovo qui, ho un'occasione per scappare.
Non capisco se è per loro distrazione o se perché ormai mi ritengono talmente debole da non rappresentare una minaccia alla loro sicurezza, ma le mie mani non sono legate. I miei polsi non sono costretti da quelle morse. Li posso muovere, articolare. E' una sensazione mervigliosa, mi fa sentire audace, capace di tutto.
Provo a raddrizzarmi su questa sedia che sembra, nella sua grottesca forma, quella di un dentista folle, che prova piacere nel far soffrire il suo paziente. Quella specie di motosega che ha avuto l'ardire di squarciarmi il ventre, è sospesa sopra di me e sembra più vicina da quando mi sono sollevato. Un brivido mi ghiaccia le membra.
Devo andarmene. Se mi scoprono....
Libero le mie caviglie. Sono gonfie, di colore viola. Fanno male. Non m'importa.
Devo camminare.
Per andare dove?
Non so neppure dove mi trovo!
Sono ancora sull'astronave o in qualche base governativa dove alieni ed umani stanno collaborando, preparando l'invasione che ci spazzerà via come foglie al vento?
Come farò a fuggire?
Un passo alla volta.
Devo riflettere.
Nascondermi è l'ideale. Non posso rischiare che mi trovino a gironzolare.
Quei bastardi.
Protetti dall'ombra li sentivo strisciare. E solo una volta si sono mostrati a me. Ho riconosciuto i volti dell'alien bounty hunter. Tutti disgustosamente uguali ed inespressivi.
So che c'erano anche degli umani. No, non quelli rapiti con me a Bellefleur. Altre persone che osservavano silenziose e si divertivano a scrutare la mia impotenza.
Sentivo quasi il loro fetore. Traditori.
L'idea che un giorno siano loro ad essere immobilizzati e torturati mi riempie di gioia. E succederà, perché gli alieni, questi alieni, ci sono ostili e dopo averci usato, ci getteranno via come un sacco di immondizia."

CAPITOLO TRE

-Posso unirmi a te?- Chiese gentile Harm appena giunto al circolo ufficiali.
-Prego.- Rispose Sarah soprappensiero.
Rabb si sedette accanto a lei, sorseggiando il suo caffè macchiato. La scrutò interrogativo:
-Qualcosa non va?-
-Puoi giurarci. Non so come spuntarla questa volta.-
-Non posso credere che la maga del foro non sappia improntare una linea di difesa.-
-E' così.... Theodor Sullivan o è il più gran bugiardo della storia o è un esaurito.-
-Mi incuriosisci così.-
-Spero che Mayer sia più collaborativo.-
-Sì... anche se è un incosciente. Si è cacciato nei guai per uno stupido mal di stomaco nel momento sbagliato.-
Sarah continuava a girare il cucchiaino nella tazza, con un moto rotatorio lento e costante:
-Credi nell'esistenza degli extraterrestri?-
-Sarah, non mi dirai che ne hai incontrato uno?- Fece burlandosi di lei.
-Rispondi alla mia domanda.-
-No... contenta?-
-Uhm...-
-Non mi diventerai come Bud, spero!- Bud Roberts era un loro collega del Jag, Judge Avvocation General, che aveva una passione per il soprannaturale e l'inspiegabile. Una originalità che nell'ufficio lo rendeva unico.
-Theodor dice che sono stati gli alieni.-
-A fare cosa?- Il caffè gli era andato per traverso.
-A rubare il Lady Godiva. Dice che solo loro possiedono la tecnologia per fare quello che hanno fatto....-
-Consiglierei una bella visita psichiatrica. Potresti cavartela con l'infermità.-
-Ci avevo pensato, ma c'è qualcosa che non mi quadra.-
-Posso immaginarlo.-
-Non scherzare.... E se avessero voluto incastrarlo?-
-Chi e perché, scusa?-
-Mi ha parlato di un cugino che è stato vittima di un'abduction, in parole povere di un rapimento alieno. La sua storia è finita su tutti i giornali circa tre anni fa.-
-Credi che qualcuno ne fosse a conoscenza e vi abbia imbastito intorno una messinscena sicuro della sua reazione?-
-Perché no? Theodor è molto legato a Steve, il cugino appunto e questo lo sanno tutti alla base. E' come un fratello per lui.-
-Non so, mi sembra un ragionamento estremo. Dovresti puntare su qualcosa di più semplice e di maggiore efficacia. Come potresti mai dimostrare un complotto basato su una semplice intuizione?-
-Harm, hai ragione. E' che qui qualcosa non va.-
-Ora ti devo dare io ragione. Questa storia del velivolo sperimentale non mi è chiara. Era un segreto conservato ai più alti livelli. Quindi il punto è: come potevano i presunti "ladri" sapere che il Godiva era custodito qui?-
-Pensi ad una talpa?-
-Sì... e non certo ad un guardiamarina.-
-Infatti. E poi perché nascondere tanto l'esistenza di un prototipo?- Il suo ragionamento fu interrotto dallo squillo del suo cellulare. Sarah rispose, mentre Rabb alzò gli occhi al cielo:
-Saluta il buon vecchio Brumby.- Era sempre così, mentre parlavano arrivava puntuale la telefonata del quasi fidanzato di Sarah. Quasi perché stranamente la collega non si era ancora decisa ad ufficializzare il loro rapporto pur portando al dito, quello sbagliato per ora, l'anello che il capitano Mic Brumby le aveva donato in Australia qualche mese prima.
-Pronto?- Mo, non era Mic.... avevano sbagliato numero ma perché farlo capire ad Harm?
Lo aveva studiato negli ultimi tempi e l'idea che lei stesse con Brumby lo infastidiva tantissimo. Sembrava addirittura geloso e questo le piaceva. Non aveva nascosto a se stessa i sentimenti profondi che provava per Rabb. Aveva però dovuto soffocarli conscia del fatto che Rabb non voleva contraccambiarli e questo chissà per quale assurdo motivo. Era stanca di aspettare e Mic sembrava lì per lei. L'adorava, la rispettava, l'amava sinceramente, perché rinunciarvi per un sogno irrealizzabile?
Questo però non le impediva di provare una gioia immensa nel constatare il fastidio che Harm mostrava spudoratamente quando lei riceveva le telefonate di Brumby. Finse che fosse lui:
-O Mic... che bello sentirti.- Di sottecchi guardava l'espressione di disgusto sul viso di Rabb. Quest'ultimo non poteva udire all'altro capo del telefono che una sconosciuta stava sbraitando contro Sarah per poi riagganciare.
Mac però non poteva perdersi il divertimento e continuò a simulare una conversazione che non c'era:
-Lo so, manchi tanto anche a me.....-
-Abbiamo un caso da seguire Sarah... ci parlerai più tardi.- Si intromise Harmon.
-...Si, è il capitano Rabb accanto a me. Ti saluta....- Fece rivolta al collega.
-Si, si....contraccambia.- Non ne poteva proprio più di Brumby. Più di una volta aveva immaginato di liberarsi di lui con sistemi non proprio ortodossi ma di sicuro effetto.
-Va bene.... si a dopo. Ti amo.-
Rabb distolse lo sguardo... lo amava... Proprio non riusciva a comprendere cosa Mac trovasse in quel pallone gonfiato tutto bicipiti!
-Fatto....di che parlavamo?-
-Di alieni....- Rispose lui laconico.
-Ah ah....-
-Oggi dovrebbero arrivare due agenti dell'FBI.-
-Abbiamo già collaborato con loro?-
-No, mai incontrati prima. Sono Dana Scully e John Doggett.-
-Dana Scully?- Fece Mac sussultando.
-La conosci?-
-Non personalmente, però.... ne ho sentito parlare.-
-Come mai?-
-Ti dirò che la situazione si sta facendo sempre più interessante.-
-Perché lo pensi?-
-Dana Scully lavorava in coppia con un certo Fox Mulder misteriosamente scomparso in Oregon qualche mese fa.-
-Si, allora?-
-Fox Mulder lavorava sugli x-files.-
-Aspetta un momento. Non è quella sezione dell'FBI che si occupa di casi irrisolti, la cui natura è piuttosto singolare?-
-Esattamente. Fox Mulder era conosciuto nel settore come lo spettrale e soprattutto credeva nell'esistenza degli alieni.-
-Un attimo.... questa parola scappa fuori troppe volte nella nostra conversazione.-
-E se la presenza di Dana Scully qui non fosse una semplice coincidenza?- Fece Sarah sicura.
-Significherebbe che forse Theodor Sullivan non è esaurito!- Concluse Harmon, massaggiandosi la mascella.


CAPITOLO QUATTRO

Mac aprì la porta con energico cipiglio pronta ad uno scontro verbale. Aveva appena saputo dal marine di turno che i due agenti dell'FBI stavano parlando con il guardiamarina Sullivan.
La posizione del giovane era già abbastanza precaria. Ci mancava un interrogatorio senza l'ausilio della sua presenza:
-Buon giorno, signori!- Fece asciutta, gettando rapida uno sguardo complice a Theodor, seduto allo stesso tavolino dietro il quale l'aveva lasciato ore prima.
Doggett le andò incontro impassibile:
-Agente speciale John Doggett. Questa è Dana Scully.- Quest'ultima le fece un gesto di assenso con la testa a mo' di saluto.
-Colonnello Sarah Mackenzie. Sono l'avvocato di Theodor Sullivan. Immagino non vi dispiacerà se assisto.- Dal tono della voce era chiaro che non ammetteva repliche. John si scansò per farla passare.
-Theodor, va tutto bene?- Gli chiese affabile. Il ragazzo borbottò un sì a denti stretti.
-Non si preoccupi non avevamo nemmeno iniziato.- Esclamò Doggett con aria di sufficienza.
Mac era già certa di non sopportare la sua supponenza. Comunque si ritrasse in un angolo della stanza, mentre i due agenti cominciavano il fuoco incrociato.
-Guardiamarina Sullivan, ha mai sentito parlare del gruppo armato del Pugno Rosso?-
Sarah analizzò Doggett. A cosa stava alludendo?
-No.-
-Ne è sicuro?-
-Si, signore.-
-Questo gruppo terroristico ha rivendicato tre giorni fa il furto del Lady Godiva. E' certo di non sapere di cosa parlo?-
-Doggett, mi pare che Theodor abbia già risposto.-
-Non come volevo io.-
-Non pretenderà che si inventi una storia solo per farle piacere!-
John si riconcentrò su Sullivan:
-Sembra che la telefonata di rivendicazione sia partita proprio da questa base, guardiamarina.-
Mac mentalmente cominciò a preoccuparsi. Perché lei non disponeva di queste informazioni?
-Cosa sta insinuando?- Proruppe Theo con un moto di stizza: -Non sono stato io, chiaro?-
-Non si scaldi... ho solo bisogno di capire come si sono svolti i fatti!-
-L'unico fatto che so è che non c'entro nulla con questo dannato furto.- Theodor sudava freddo per l'agitazione. Volevano incastrarlo.....
-Ci vuole spiegare allora come mai è rimasto solo al suo posto?-
-Il guardiamarina Mayer si era sentito poco bene. Si è dovuto assentare per motivi di salute.-
-Non conosco molto bene le vostre procedure, ma immagino che data l'importanza del vostro incarico, avreste dovuto avvisare i superiori.-
-Si...- Sussurrò.
-Perché non l'avete fatto?-
-E' successo tutto così in fretta e poi pensavo che Kirk sarebbe tornato presto. Non potevo immaginare che.... -
-Non poteva immaginare... Interessante! Ma lei aveva ricevuto chiari ordini, no?-
-Agente Doggett.- Si intromise Sarah. - Ha intenzione di processare qui il mio cliente?-
-Non credo sarà necessario. In realtà voglio capire perché il Lady Godiva, un velivolo di rilevanza strategica per la nostra difesa nazionale, è rimasto praticamente incustodito. La scelta di non comunicare l'assenza ingiustificata di Mayer ha facilitato il furto. Il mio compito, colonnello, è appurare che questo increscioso contrattempo non sia stato qualcosa di più e la pregherei di non interferire ulteriormente.-
Sarah lo fissò astiosa.
Dana Scully non aveva aperto bocca fino ad ora. Ascoltava muta come se fosse in attesa di inserirsi appena avesse udito quel qualcosa che avesse attirato la sua attenzione. In effetti stava riflettendo sul perché proprio loro due erano stati incaricati di questo caso che chiaramente non gli competeva.
Theo scattò in piedi con vigore:
-Io non c'entro niente e non c'entra niente nemmeno il Pugno Rosso o come accidente si chiama.-
John affilò gli artigli e con rinnovata sollecitudine gli chiese:
-Cosa glielo fa credere?-
-Nessuno ha il loro potere e la loro forza. Solo loro avrebbero potuto prendere indisturbati il Godiva in una base della marina super protetta. Loro arrivano ovunque!-
-Loro?- Doggett era penetrante, quasi ad incitare un suo passo falso.
-Gli alieni!-
MacKenzie si portò la mano alla fronte. Il mal di testa era tornato più subdolo che mai.
-Gli alieni?- Fece eco Dana Scully al giovane.
John guardò la collega con occhi imploranti, ma Dana continuò:
-Guardiamarina, perché parla di alieni?-
-Mi hanno immobilizzato. Non potevo fare nulla e quella luce accecante.... non riuscivo a vedere. Sentivo il rumore delle porte dell'hangar che scorrevano. In pochi secondi se lo devono essere portato via. Se ci fosse stato Kirk, non sarebbe cambiato niente. Non volete arrivarci?-
-Guardiamarina Sullivan, non esistono gli extraterrestri!- Doggett lo stava prendendo in giro.
-Ma che ne sa lei?- Gli rimbeccò Thedor al limite della sopportazione.
-Calmati.... e lei agente Soggett....-
-Doggett, colonnello Mackenzie.-
-Ecco.... è meglio che la pianti di importunare il mio cliente.-
-John...- Scully appoggiò pacatamente una mano sul braccio di lui: - Per ora possiamo andare. Torneremo in un altro momento.-
-Dana... ma...-
-John, ti devo parlare.- Scully uscì dalla stanza, non prima di aver incrociato l'espressione interrogativa di Sarah Mackenzie.
John la seguì immusonito.
Fuori dalla porta costrinse Scully a fermarsi:
-Che ti è saltato in mente?!-
-Ho capito perché Kersh ci ha affibbiato questo caso.-
-Che vuoi dire?-
-Alieni, Doggett, alieni.-
-Quel ragazzo si sta arrampicando sugli specchi... lo sai anche tu che la soffiata è giunta da qui. E lui, dannazione, sa qualcosa!-
-Se dicesse la verità?-
-La verità? La verità?- John stava perdendo la pazienza. Cercò di mantenere comunque la sua proverbiale compostezza: - Quel guardiamarina potrebbe essere una spia, un complice, ti è chiaro il concetto?-
-Io penso che sia tu a non aver chiara la situazione. Kersh ci ha mandato qui per un motivo. Questo non è un caso lineare, John. Dobbiamo stare attenti. Dobbiamo proteggere gli x-Files!-
-Tu vedi complotti ovunque, sembri....-
-Perché non lo dici? Sembri Mulder...-
-Dana, io non volevo mancarti di rispetto.- Improvvisamente più morbido:- E' che a volte sembri voler credere disperatamente in certe assurdità. L'evidenza è un'altra. C'è stato un furto e quel ragazzo là dentro non è così ingenuo come vuol far sembrare. Scoprirò a che gioco sta giocando!-
-Facciamo così allora.... tu segui la tua pista. Io indagherò per conto mio. Vedremo chi arriverà alla verità.- Dana gli voltò le spalle e lo lasciò solo.


CAPITOLO QUINTO

-Ammiraglio, perché Harm ed io non eravamo a conoscenza del Pugno Rosso?- chiese Mac alquanto alterata.
All'alto capo della linea telefonica l'ammiraglio Chekwidden del Jag, un uomo dal viso cordiale e dall'impostazione elegante e fiera, sospirò:
-Colonnello, non ne sapevo nulla neppure io!-
-Come hanno fatto quelli dell'FBI?-
-Forse la rivendicazione è stata fatta presso di loro ed è notorio quanto l'FBI sia ....cooperativa.- Pur essendo lontani parecchi chilometri e ci fossero degli stati a dividerli, le rispettive voci giungevano chiare e limpide.
Mac sedeva ai bordi del suo letto nella camera, dall'arredo spartano, della foresteria assegnatale per la sua permanenza a Fort Lincoln.
Dopo aver bussato alla porta, Harmon Rabb entrò in abbigliamenti civili.
Sarah non poté non ammirarlo per una frazione di secondo, con quella maglia girocollo marrone che gli stava d'incanto. Si riconcentrò sulla telefona:
-Quando arriverà la pubblica accusa ad interrogare i nostri assistiti?-
-Fra due giorni circa. Saranno Dawson e Simpsons a venire.-
-Uhm!- Mugugnò, facendo segno ad Harm di avvicinarsi.
Harm contraccambiò chiedendo la cornetta.
-Signore, il capitano Rabb le vuole parlare.- Glielo passò.
-Buona sera, Ammiraglio, lieto di sentirla.-
-Si...si...- Fece come sempre scorbutico:- Di cosa voleva parlarmi?-
Rabb abbozzò una specie di sorriso. Conosceva ormai Chekwidden come le sue tasche. Sapeva benissimo che faceva il duro quando era imbarazzato. In realtà era una persona estremamente gentile.
-Signore, all'apparenza sembra un caso facile, ma qui a Fort Lincoln ci nascondono qualcosa. Mills si rifiuta ancora di parlarci del Lady Godiva e francamente comincio a non comprenderne i motivi. Poi l'FBI è a conoscenza del fatto che dei terroristi hanno rivendicato il furto di questo fantomatico aereo. Noi del Jag non riusciamo ad acquisire informazioni, come hanno fatto a venirne in possesso coloro che hanno rubato il Godiva? E poi, tutto questo accanimento contro Sullivan e Mayer mi sembra ridicolo. Rischiano la corte marziale e sono solo due sprovveduti alle prime armi.-
-Capitano Rabb. I suoi dubbi sono più che legittimi. Cosa suggerisce?-
-Mi chiedevo se non fosse possibile, Signore, contattare il nostro amico.- Disse con ironia nella speranza che l'altro capisse di chi si trattava.
-Ah... il nostro amico!- Chekwidden stette al gioco, intuendo benissimo a chi Rabb alludeva. -Farò il possibile!-
Harmon guardò Sarah con esultanza:
-Forse lui riuscirà a farci un quadro più preciso.-
-Conoscendolo, sicuramente....- Fece Chekwidden. Era sempre stato così. Quell'uomo ne sapeva una più del diavolo. Era irritante.
Dopo i rispettivi saluti, Harmon riattaccò. Per qualche secondo rimase in silenzio ad osservare Sarah. Pareva assorta in chissà quali riflessioni.
-E' successo di nuovo.-
-Cosa?- Fece lei sobbalzando
-Hai di nuovo quella ruga, lì, proprio al centro della fronte. Tu pensi troppo!-
-Se avessi visto quel Doggett..... Mi chiedo come la sua collega faccia a sopportarlo.-
-Sarah MacKenzie è sul piede di guerra. Dai, ti offro qualcosa da bere.-
-Al circolo c'è caso di incontrare quei due ficcanaso. E proprio non ho voglia di scambiare due chiacchiere con loro.-
-Veramente volevo proporti di andare in città, in un vero locale. Che te ne pare?-
-E' un'ottima idea.- Sarah era sollevata.
Distrarsi un po' era l'ideale per quel suo persistente mal di testa.

*******************************

Anche Dana Scully era nella sua camera della foresteria, poche porte più in là di quella di Sarah Mackenzie. Anche il suo arredo era essenziale. Non che l'agente se ne fosse accorta.
Con premura, si accarezzava il ventre, quasi a voler stabilire un legame con la creatura che portava in grembo.
Per lei era sempre più difficile riuscire a nascondere la futura gravidanza. Presto i segni più evidenti sarebbero stati visibili e quello che era un segreto custodito gelosamente da Walter Skinner e da lei sarebbe diventato un fatto di dominio pubblico. Adesso non voleva soffermarcisi. Doveva ragionare sul caso del Lady Godiva.
Più analizzava i pochi dati in suo possesso, più realizzava che un mistero si nascondeva dietro alla tranquilla apparenza della base.
Proprio non si aspettava si sentire nominare la parola: alieni. Non in un file che sembrava un classico di spionaggio, un normalissimo caso di routine. Kersh lo sapeva!
Quello che proprio non riusciva a digerire era l'ostinazione di John Doggett. Sembrava voler fare di tutto per negare qualsiasi aspetto insolito nei casi su cui indagavano. Era certa che la sua presenza agli x-Files sarebbe stata in qualche modo deleteria e questo perché John non riusciva ad allargare le sue vedute, ad aprire la mente a percezioni più estreme. Questo suo modo di proporsi non avrebbe fatto altro che rinforzare la posizione del vicedirettore Kersh, il loro attuale superiore, preposto alla divisione degli x-Files, e di distruggere così il lavoro meticoloso di anni di Fox Mulder.
Poi sorrise, lì da sola. Immaginò che quelle dovevano essere le stesse meditazioni di Mulder quando l'aveva conosciuta, agli albori della loro collaborazione.
Immancabilmente correva sempre a lui.
Dana non avrebbe mai potuto immaginare l'immenso senso di vuoto che le provocava la sua assenza. Mai nessuno le aveva fatto provare quel senso di sconfitta e di disperazione. Era successo quello che temeva. Si era appoggiata talmente tanto a lui, che ora quella mancanza l'aveva destabilizzata. Non era stato semplice "ricostruirsi", ritrovare se stessa, ma aveva dovuto farlo per il bambino, per la carriera, per gli x-files. Infatti mantenere viva la crociata di Mulder significava tenergli caldo il posto per il suo ritorno.
Perché lui doveva tornare nella sua vita. Non avrebbe mai potuto accettare di non rivederlo più, di non litigare più con lui, di non dover lottare per fargli cambiare idea, o almeno di provarci.
In pochi secondi le passarono innanzi le immagini dei casi più disparati. Si rivide con lui a Comity, nella base della Nasa per il decollo dello Shuttle, a Dudley, la città dove si praticavano attività cannibalistiche.... E si ricordò dei loro più grandi avversari: Eugene Victor Tooms, Robert Modell, Alex Krychek, l'uomo che fuma, l'uomo distinto, Leonard Betts, i fratelli Peacock......
Era sempre così entusiasta, quasi contagioso nel suo perseverare nella sua simpatica cocciutaggine.
Dana si sdraiò sul letto, raggomitolandosi per non sentire freddo.
Socchiuse le palpebre ed in attesa di addormentarsi, immaginò Mulder da qualche parte. Si domandò se stava pensando a lei.

********************************

"E' stato più facile di quel che preventivassi.
Se avessi visto, Dana....
E' un posto tetro ed inquietante.
Pieno di lunghi corridoi tenebrosi e grigi.
Non ho incontrato nessuno...
Mi hanno lasciato qui e se ne sono andati.
Mi hanno abbandonato al mio destino.
Credevo di trovarmi ancora sull'astronave. Invece, mentre ero incosciente, devono avermi trasferito in una sorta di base o centro.
Sembro un bambino che impara a gattonare. Zoppico vistosamente. Le mie gambe sono state ferme troppo a lungo e le caviglie mi danno il tormento. Ma niente mi impedirà di uscire da qui...
C'è un silenzio che fa paura, quasi come lo stridio del metallo nella "sala della tortura".
C'è una porta pesante. Sembra blindata. Provo a spingerla. Si apre.
Un soffio di vento gelido mi alita contro. Fuori è notte e fa freddo.
Solo ora mi accorgo che sono praticamente nudo.
Inizio a tremare....
Sono libero.....
Però la desolazione che scorgo là fuori è terribile. Vedo chilometri e chilometri di niente e di deserto.
Dove mi trovo?
Sono un granello di sabbia sul mappamondo. E' quasi divertente.
Comincio a camminare.
Da qualche parte dovrò pur arrivare!
Dana, dammi al forza, ti prego! Per tutti questi anni ho imparato a fidarmi di te e mi sono appoggiato a te.
Se non ci fossi stata tu, non ce l'avrei mai fatta.
La tua assenza mi pesa come un macigno, ma ti porto nel cuore.
Aiutami a tornare!"

CAPITOLO SESTO


West Rose Bar
ore 22,15

Nel locale si respirava un'aria allegra. Una musica country allietava lo spirito e l'udito degli avventori. Alcuni erano arrampicati a ridosso di un lungo bancone in radica su lunghi sgabelli, sgranocchiando noccioline. Alcuni ballavano in una piccola pista una simpatica quadriglia. Alcuni stavano seduti nei tavolini con séparé a creare un po' di privacy. Tra questi ultimi c'erano Harmon Rabb e Sarah Mackenzie, comodamente abbandonati al piacere di una momento di relax, con in mano due bottiglie di birra. Quella di Sarah era rigorosamente analcolica e questo a causa del suo lontano passato da alcolista.
I due avvocati non erano solo due affiatati colleghi di lavoro ma anche due ottimi amici.
Più di una volta si erano confidati reciprocamente episodi delle loro vite che non avevano rivelato a nessun altro, neppure ai rispettivi partners.
Il legame che li univa era profondo e l'istinto di pensare l'uno all'altro in modo romantico era intenso. I tempi non erano ancora maturi o almeno non lo erano per Harmon Rabb.
Sarah non era stata molto brava a nascondere i propri sentimenti per il seducente capitano di corvetta. In cuor suo sapeva, pur negandolo con vigore, che Mic Brumby, il suo attuale compagno, era quasi un ripiego e questo l'australiano non lo meritava proprio. Se solo Harm le avesse dato una speranza, ci si sarebbe aggrappata. Non era così però.
Qualche mese prima, in un particolare quanto intimo momento di una semplice conversazione, Rabb le aveva fatto capire quanto tenesse a lei, quanto fosse speciale, eppure l'aveva respinta. Poche ore dopo Mac aveva accettato totalmente la corte di Mic Brumby e non si era più guardata indietro. Ora sedevano l'uno davanti all'altra e parlavano delle rispettive difese:
-Lo so, Sarah, ma non puoi insistere.... Non la spunterai.-
-Non posso usare l'infermità. Lo rovinerò per sempre.-
-Ci sono dei testimoni al suo racconto. Quel Doggett parlerà della storia degli ufo. Alla giuria sembrerà un'ammissione di colpa, a meno che non invochi l'infermità.- Fece risoluto Rabb.
Sarah si rigirava la bottiglia fra le sottili mani, in cerca di una ispirazione:
-Harm.... ho visto lo sguardo di Dana Scully. Gli ha creduto.-
-Ma dai...-
-All'improvviso dal mutismo in cui si era rinchiusa, si è ravvivata e gliel'ha ripetuto... alieni? Da come l'ha detto, ho compreso che sa qualcosa.-
-Continua con questa linea e Sullivan subirà il fato della corte marziale. E poi da quando credi nell'esistenza dei marziani?-
-Se ti confidassi che Bud è molto convincente? Mi ha fatto leggere un libro sulle abductions.-
-Che assurdità.- Harm era allibito.
-Sullivan era terrorizzato.-
-Non hai ipotizzato che questo terrore potesse dipendere da una sua presunta collaborazione con chi ha rubato il Godiva e che ora tema di essere scoperto?-
-Tu pensi che sia coinvolto? Ed allora Mayer che improvvisamente si sente male? Molto comodo!- Mac si era fatta scura.- E se fosse lui il collaboratore? La talpa?-
-Ehi... calmati... Non volevo insinuare che Sullivan è colpevole. Stavo cercando di farti vedere le sabbie mobili in cui ti stai impantanando.-
-Preoccupati delle tue sabbie mobili.-
Mac era furente con Rabb e non ne conosceva il motivo. Purtroppo le succedeva spesso, come se avvertisse la frustrante necessità di arrabbiarsi con lui senza interessarsi del perché. Per il solo gusto di farlo.
Si zittirono:
-Pace?- Chiese lui titubante, offrendole una cordiale mano da stringere.
Il bel colonnello offrì la sua e l'armistizio fu siglato.
A questo punto bisognava trovare un altro argomento di conversazione. Fu Sarah ad iniziare:
-Come sta Renè?- Era la compagna di Harm, una sicura ed affascinante regista che aveva fatto breccia nel cuore in affitto di Rabb. Comunque per Sarah non era la prima e non sarebbe stata l'ultima, almeno così sperava.
-Benissimo, grazie. In questo momento è in Thailandia per un documentario.- Sembrava imbarazzato.
-E' fortunata. Viaggia parecchio...-
-Lo fai anche tu!- Esclamò lui sorseggiando l'aspra bevanda.
-Si, ma non è la stessa cosa... lei gira per il mondo, quello vero. Io guardo le aule di tribunale.-
-Si... hai ragione.-
-Come va con lei?- Chiese Mac a bruciapelo, troppo tardi anche per pentirsi.
-La nostra è una storia importante. Ci piacciamo, siamo liberi e soddisfatti.- L'imbarazzo era alla sua apoteosi ormai.
-Bene!- Commentò sillabica Sarah.
Nel frattempo in sottofondo la musica era cambiata. Un lento aveva trasformato il locale in un ambiente accogliente.
Harmon si alzò ed invitò Sarah a ballare. Lei accettò senza parlare.
Si ritrovarono così a dondolare languidi sulle note di "Ice cream" di Sarah Mclachlan.
Il capo di Mac appoggiava appena sulla spalla di lui, tanto era alto. Non voleva incontrare i suoi occhi nocciola. Temeva che potessero leggerle dentro. Sarebbe stato un problema.
Sarah non poteva immaginare come si sentisse Rabb. Era quasi euforico come se avesse bevuto non una ma dieci birre.
In petto il cuore gli pulsava più veloce, come ad un primo appuntamento. Ma Sarah era solo un'amica!
Le sollevò il volto ed i loro sguardi entrarono l'uno nell'altro in un secondo eterno. Lui la fissava indecifrabile. Mac era emozionata. Non l'aveva mai guardata così. Mai! Sentiva che la magia stava crescendo, la febbre del loro desiderio sopito stava per manifestarsi.
Lo squillo del cellulare di Rabb ruppe l'incanto.
Si scostarono di scatto.
La realtà era tornata prepotente nella loro quotidianità.
Harm rispose leggermente scocciato.
-Ciao Renè!-
Sarah non poteva sopportare l'entusiasmo nella sua voce e si allontanò.
Harm la seguì mentre continuava a parlare con la sua donna e si domandò perché diavolo si fosse portato dietro il suo Motorola.

CAPITOLO SETTE

Il mattino dopo

Dana Scully quella notte si era girata e rigirata nel suo giaciglio senza trovare pace. Un chiodo fisso le si era conficcato nel cervello. Doveva estirparlo. Doveva ispezionare l'hangar 7.
Indossò il suo tailleur nocciola; si truccò con cura per nascondere la stanchezza sui tratti del volto.
Quando ormai il disco solare era alto cielo, Dana era già dentro la rimessa.
Non c'erano aerei, non c'erano attrezzature particolari, solo un grande spazio vuoto interrotto da qualche cassa di legno. La lasciò interdetta.
Cominciò a guardarsi intorno per individuare un qualche indizio, un segno, una prova che prima vi fosse realmente custodito il Lady Godiva e che quindi il prototipo fosse stato rubato.
Minuziosamente cercò in ogni singolo angolo, dietro ogni singola cassa.
La sua attenzione fu stuzzicata da alcune bruciature evidenti in una zona scura del pavimento. E poi la vide... quella macchia, poco lontano dal portello scorrevole.
Si chinò. Era raggrumata, secca. Ma il colore manteneva intatta la sua tonalità brillante: verde brillante!
Dana sospirò. Altre volte si era imbattuta in quel fluido verdastro. L'ultima era stata proprio a Bellefleur in Oregon.
La mente le fece uno strano scherzo. Sollecitata la spinse a ricordare con vivida emozione gli ultimi istanti passati con Mulder, prima del suo ritorno con Walter Skinner a Bellefleur.

Entrarono nell' appartamento.
Fox era ancora in giacca e cravatta:
-Vado a cambiarmi!- Sparì nella sua camera da letto, senza chiudere la porta.
Dana si lasciò cadere sul divano ed incrociò le mani a mo' di preghiera, appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
Era estremamente tesa, sia per quei suoi improvvisi malesseri che l'avevano resa incerta, sia per l'imminente partenza di Mulder. Più di una volta si erano separati sul lavoro, ma adesso era diverso. Il senso di funesto presagio che qualche notte prima l'aveva tormentata in sogno, era più presente che mai. Anche se con coscienza si rendeva conto che Mulder non era effettivamente in pericolo, non più che in altre occasioni, dall'altro ripensava all'assurda scena di un'ora prima.
Walter Skinner, loro diretto superiore, il rinnegato Alex Krycek, la doppiogiochista Marita Covarrubias, gli eccentrici guerrieri solitari, loro amici dagli interessi nascosti, redattori di una rivista che si proponeva di svelare i grandi segreti del secolo e loro due, Mulder e Scully, nello stesso ufficio a parlare come se niente fosse di un disco volante occultato da un campo di forze a Bellefleur. Era pazzesco che Mulder e lei avessero ascoltato i farfugliamenti, i falsi pentimenti, le oscure promesse di collaborazione di quell'assassino di Alex Krycek,l'uomo che aveva freddato i rispettivi padre e sorella. Cosa li aveva fermati dal saltargli alla gola e finirlo come un miserevole?
Scully era uscita nel corridoio disgustata, per respirare un po' di aria fresca.
Intuendo il suo tormento, Mulder l'aveva seguita e l'aveva pregata di non accompagnarlo in missione. Non voleva rischiare di perderla. Lui che era sempre stato schivo con le parole, le aveva manifestato tutta la sua apprensione e la sua angoscia. In definitiva il suo amore.
Lo aveva stretto a sé. L'aveva convinto a non andare solo. L'avrebbe accompagnato Skinner.
Seduta su quel vecchio divano rievocava queste immagini di un passato recentissimo.
La voce di Mulder giungeva brillante dalla sua camera.
-Sono preoccupato per te. Dovresti farti visitare.... Magari è solo un'influenza ma è meglio...- Poiché non sentiva risposta, fece capolino con la testa e le sorrise.
-Scully, cos'hai?- Le si avvicinò e si accomodò accanto a lei senza staccarle gli occhi di dosso.
-Mulder, ho paura!-
Fox le accarezzò il viso con tenerezza.
-Ho il capo con me, non succederà nulla!- La canzonava bonario, ma era lampante che anche lui era ansioso. Scully lo conosceva fin troppo bene....
-Dai, fammi compagnia mentre faccio il borsone.- E la trascinò con sé.
C'era già una sacca aperta, pronta per essere riempita. Con noncuranza prese una maglia e ve la cacciò dentro bruscamente, poi prese un paio di jeans e gli fece fare la medesima fine.
Dana osservava quei piccoli gesti così naturali e si sentì leggermente meglio. Sembrava tutto talmente normale.
-Che consigli? Porto il giubbotto imbottito o quello di pelle nera?- Glieli indicò. Erano stesi sopra il letto. Stava cercando di distrarla. D'altronde ci riusciva sempre con quel suo fare burlone ed ironico che sapeva spiazzarla anche nei momenti più bui.
-Quello imbottito. Fa freddo nei boschi di notte.-
-E noi lo sappiamo bene, vero? Il nostro lavoro ci ha portato spesso a fare scampagnate notturne fuori programma per le foreste tenebrose. E' il nostro destino.-
-Uhm....-
Mulder scoppiò a ridere, mentre chiudeva la zip della borsa.
-Fra quanto passerà Skinner?- Domandò alla collega più per far conversazione che per avere realmente quella informazione.
-Tra circa mezz'ora.- Rispose, fingendo di consultare l'orologio.
Stavano prendendo tempo.
-Ti va un caffè?-
-No, sono troppo nervosa.- Le uscì prima che potesse fermarsi.
Mulder, con quella sua immancabile maglietta grigia che faceva risaltare il suo fisico muscoloso, la abbracciò, lasciandosi inebriare dal profumo di magnolia che emanavano i suoi lucidi capelli tiziano. Socchiuse le palpebre per assaporare il momento. Sentiva dentro di sé quel legame talmente tangibile, come se solo allungando la mano potesse toccarlo. Anima e corpo erano diventati indissolubili, al di là di qualsiasi avversità, di qualsiasi incomprensione.
Dana cercò di trattenere le lacrime. Un groppo alla gola rischiò di soffocarla.
Mulder si scostò da lei quel tanto che bastava per posarle un bacio sulle labbra volitive.
Lei ricambiò fino a che si strinsero, baciandosi con crescente passione, comunicandosi ogni più intimo segreto del loro essere.
Qualche minuto dopo si trovarono di nuovo sul divano, in attesa. Non parlavano più e fissavano il vuoto.
Il cellulare di Mulder squillò. -Si Signore, scendo.- Si alzò e prese il borsone che era appoggiato stancamente a terra.
Dana lo seguì fino all'ingresso.
-Ti chiamo domani mattina!- Promise Mulder.
-Va bene. Io raggiungerò i guerrieri solitari come d'accordo.-
-Perfetto. Ti mancherò?- Le fece l'occhiolino.
Scully gettò lo sguardo al soffitto.
-Egocentrico come sempre.-
-Una volta mi hai rinfacciato che non ero il centro del tuo universo.-
-Lo ricordo benissimo.-
-E tutto per una scrivania!-
-Non era soltanto per quello!- Rimbeccò lei stando allo scherzo.
-Bè, tu mi mancherai!-
-Lo so.- E gli sorrise.
-Mi raccomando i pesci rossi.- Esclamò riferendosi all'acquario.
-Cosa faresti se non ci fossi io!?-
-Non lo so e non voglio scoprirlo.- Furono le ultime parole che le sussurrò all'orecchio prima di uscire dalla sua vita.

*********************************

Sarah Mackenzie si accorse che poco distante c'era Dana Scully china a fissare qualcosa per terra. A quanto pare aveva avuto la sua stessa idea di controllare l'hangar 7.
La raggiunse:
-Buon giorno, agente Scully.-
-Colonnello Mackenzie.-
-Trovato qualcosa di interessante?-
-Sì. Devo prima analizzarlo, ma credo che avrò la conferma alla mia ipotesi.-
-Quale ipotesi?-
Dana si tirò su. Notò che erano alte uguali.
-Ci sono tracce di bruciature là e là...- Indicò due punti. - Qui invece.- E le mostrò la macchia ai suoi piedi. - Ho trovato residui organici.-
-Organici?-
-Si, residui di un composto genetico clonato.-
-Divertente!-
-Non direi.- Rimbeccò Dana composta.
-Ma sta parlando sul serio?- Chiede Mac sorpresa.
-In più di un caso l'agente Mulder ed io abbiamo incontrato esseri clonati che alla loro morte lasciavano questo residuo tossico.-
Mac deglutì lentamente. Dana Scully era lucidissima.
-Non ho parole.-
-Non ne avevo neppure io, all'inizio.-
La tensione tra le due donne si era allentata. Si sorrisero con comprensione.
Poi Dana si riconcentrò sulla sua recente scoperta, prelevando un campione.
Riuscì comunque a percepire la curiosità di Mackenzie nascosta dietro a quella superficiale patina di incredulità.


CAPITOLO OTTO

L'agente speciale John Doggett era appena entrato nell'ufficio del capitano Mills con un preciso scopo.
-Avrei bisogno di maggiori informazioni sui guardiamarina Mayer e Sullivan.- Proclamò sicuro mentre si sedeva al cospetto del capitano.
-Il guardiamarina Mayer è al suo primo incarico, mentre...-
-Mi scusi se la interrompo. Vuole dire che per un compito così delicato era stato scelto un marine alla prima esperienza?-
-Le sottolineo che i nostri marines sono ben preparati a qualsiasi tipo di situazione. Sono addestrati per fronteggiare ogni tipo di pericolo.-
-Non lo metto in dubbio.- Fece Doggett, cercando di smussare le spigolosità di quella conversazione. -Ma a quanto pare il guardiamarina Mayer non era affatto preparato, tanto che per motivi personali si è assentato senza permesso.-
-Non dice nulla di nuovo, agente Doggett. So benissimo che ci vuole disciplina e Mayer subirà le conseguenze del suo gesto sconsiderato, non si preoccupi.-
-Sempre che non risulti un complice del Pugno Rosso.-
-Sono venuto a conoscenza della rivendicazione e non posso credere che tra noi ci sia una spia.-
-Mi vuole dire qualcosa su Sullivan?-
-Il suo stato di servizio è esemplare. Ha superato il suo corso al massimo dei voti. E' un ottimo marine.-
-Eppure... ha coperto Mayer.- John era deciso a non mollare la presa.
-Si, è vero... consideri però che lo spirito di corpo è tutto per noi... ma in effetti ha sbagliato ed anche lui...-
-... lo so... pagherà per i suoi errori. Onestamente sono convinto che Sullivan sappia molto di più di quello che dichiara.-
-Cosa glielo fa pensare?- Mills sembrava sulle spine.
-Intuito.-
-A volte l'intuito non è sufficiente a vedere la verità nascosta tra le pieghe dei fatti.-
-Può aiutare però. Sullivan non ha un alibi, era solo e soprattutto non ha fatto nulla per impedire il furto del velivolo sperimentale. Per non dire che a livello fisico non ha subito nessuna aggressione. Lo trovo per lo meno curioso.- La sua voce si era fatta tagliente. -Sullivan è nei guai, capitano Mills. Ci può giurare.-

************************************

Harmon Rabb era appena uscito all'aria aperta. Respirò a pieni polmoni, mentre provava una fitta di rimpianto. Con quell'azzurro terso lassù come poteva non desiderare di volare su un Tomcat?
Stare tra le nuvole era stato tutto per lui ed ora....
A causa di un difetto della vista, Rabb, pilota tra i più esperti, aveva dovuto rinunciare alla sua carriera, reinventandosi avvocato al Jag. Non che i successi non fossero arrivati. Tutt'altro. Il numero delle cause vinte era ragguardevole, però volare gli mancava da morire.
Ecco perché circa un anno e mezzo prima, in seguito ad un delicato intervento chirurgico con il laser, Harm aveva riacquistato una vista perfetta e senza esitazione aveva dato le dimissioni al jag e chiesto il trasferimento con l'unico intento di tornare alla sua antica passione: i Tomcats.
Un'altra delusione era nascosta dietro l'angolo. Ormai Rabb era troppo vecchio e non aveva un futuro come pilota. Figliol prodigo, aveva fatto ritorno alla procura militare, riprendendo il suo ruolo di avvocato.
-Capitano Rabb.- Si sentì chiamare da una voce sconosciuta.
Harm si voltò per individuarne l'origine.
Fu allora che scorse un giovane marine in divisa che gli fece cenno di raggiungerlo.
-Si, tenente?-
Questi gli rivolse il saluto militare e poi con un tono decisamente più colloquiale proseguì.
-Mayer e Sullivan sono innocenti.- E mentre lo proferiva, lo stava indirizzando dietro ad un capannone, in modo da essere lontani da sguardi indiscreti.
-Perché tutta questa segretezza?- Domandò sorpreso il capitano di corvetta.
-Sullivan non mente. Ha visto veramente un ufo.-
Harm lo squadrò attentamente. Dall'aspetto sembrava un buon soldato. E sembrava sincero. Cominciò a preoccuparsi, tanto più che Harm aveva un dono, un sesto senso che in più di una circostanza lo aveva tolto dagli impicci. Intuiva il carattere delle persone che aveva di fronte. Uno strumento utile soprattutto in aula.
-Perché ne è così convinto?-
-Io non credo agli extraterrestri o cose simili ma... quella notte... l'ho visto anche io!-
-Cosa ha visto, tenente....?-
-Holden, tenente Holden.-
-Allora?-
-Non riuscivo a dormire, così mi sono alzato e sono uscito dalla camerata per fumarmi una sigaretta. Era una notte buia e silenziosa. Questo mi sorprese perché di norma c'è un coro di stramaledetti grilli che ci tiene svegli con quell' odioso gracchiare.-
Harmon sorrise ma non commentò.
-All'improvviso è apparso un punto luminoso nel cielo. Si spostava troppo in fretta per essere un aereo o un elicottero. Inoltre non emetteva nessun tipo di suono. Quello che prima era un puntino si ingrandì sempre più man mano che si avvicinava. E si fermò proprio sopra la base, all'altezza dell'hangar 7. Dalla mia posizione potevo fissarlo con chiarezza. Aveva una forma schiacciata ed ovale. Dal suo ventre partiva un fascio luminoso di una tale intensità da dare fastidio perfino a me. Poi tutto tornò buio. Il disco volante era svanito.- Goccioline di sudore e di nervosismo scivolarono giù per la gola fino a morire sul colletto della uniforme.
Rabb non seppe ribattere.
Per una volta era rimasto ammutolito. Come poteva fidarsi di Holden? Era pazzesco. Eppure, dopo il racconto di Sarah, come poteva negare che qualcosa di anomalo si stesse verificando a Fort Lincoln?
-E' sicuro che....-
-No... non stavo sognando. E non ho avuto allucinazioni. Lo sapevo, non si fida. Senta, io non voglio essere coinvolto e se mi chiederanno di questa conversazione io negherò di averla mai sostenuta.-
-Perchè allora mi ha riferito questa storia se non ha intenzione di testimoniare?-
-Ho una carriera davanti e se parlassi ai miei superiori, mi taglierebbero le gambe. Penserebbero che sono un visionario inaffidabile. Gliel'ho riferita solo per farle comprendere che Sullivan non è un bugiardo.-
-Perché a me e non al colonnello Mackenzie che è il suo difensore?-
-L'ho cercata senza successo. E non ho più tempo. Ho ottenuto una licenza, parto fra poche ore. E dovevo dirlo a qualcuno. Signore...- e con questo Holden si congedò da lui, senza il tempo di una replica.

***********************************

Sarah e Dana sedevano ad un tavolino del circolo ufficiali e chiacchieravano cordialmente come se si conoscessero da ben più di 24 ore. Era nato subito un reciproco rispetto ed una cameratesca complicità che le portò a stringere una qualche forma di amicizia:
-Ho sentito parlare degli x-files. Ho un collega al Jag che ne è appassionato. Ha seguito a distanza molti vostri casi. E' così che ho saputo di te e dell'agente Mulder!-
-Molte delle nostre indagini purtroppo sono state insabbiate perché scomode.-
-Scomode per chi?-
-Lasciamo perdere... Ho intuito dai tuoi discorsi che anche tu lavori spesso con un partner..- Dana preferì cambiare argomento.
-Si, il capitano Rabb. Ci capita spesso di collaborare. Siamo ottimi amici. E' facile lavorare con lui... il brutto è quando ci scontriamo in aula.-
-Immagino.-
-Per te era lo stesso con Mulder?-
-Si... lavorare con lui era speciale.-
-Sono venuta a sapere del suo rapimento. Avete avuto più sue notizie?-
-No... E come potremmo... C'è una seria probabilità che a rapirlo siano stati gli extraterrestri. C'è un testimone affidabile che non mentirebbe mai su una cosa del genere. Come non posso credergli?-
-Ma io pensavo...-
-Le versioni ufficiale ed ufficiosa non coincidono. l'FBI ha voluto così.- Dana era astiosa.
-Ma state ancora indagando?-
-Ufficialmente....-
-Ed ufficiosamente?-
-Stanno insabbiando tutto.-
-Perdona la mia ingenuità, non riesco a seguirti.-
-Mi ci sono voluti sette anni per comprendere quali poteri fantasma tracciano le linee del nostro destino. Sette anni con Mulder per vedere la realtà sotto una luce diversa.- Sembrava consapevole.
-Non vorrei essere indiscreta, ma Mulder per te era qualcosa di più di un amico o di un collega... Sbaglio?-
-Si nota così tanto?- Scully cercò di sorridere.
-Da come parli di lui, si. E com'è con Doggett?-
-E' una brava persona, un ottimo agente. E' che talvolta è rigido ed intransigente. Ha un carattere difficile. Un po' come me qualche anno fa.-
-E non è Mulder!-
-No, non è Mulder.-
Sarah provò un'infinita tristezza per quella donna innanzi a lei. Era evidente che aveva assorbito il colpo ma era altrettanto evidente che non era rassegnata all'aver perso definitivamente quell'uomo.
-Onestamente ritieni che un giorno lo rivedrai?-
-Ne sono più che certa. Come sono certa che è ancora vivo.-
-Credi nelle premonizioni?-
-Una volta avrei riso di una domanda simile, ma adesso....-
Mac ripensò ad un'esperienza di premonizione che aveva avuto qualche mese prima quando la sua figlioccia Cloe, una ragazzina adorabile, sveglia quanto scaltra, era scomparsa nel nulla. Proprio grazie ad una sorta di presagio, senza alcuna spiegazione logica, Sarah l'aveva ritrovata in un bosco.
Le venne spontaneo narrarlo a Dana, come se quel racconto potesse creare tra loro quasi un legame che le aiutasse a comprendersi meglio.
Erano due donne caparbie, attaccate al proprio incarico, razionali ed efficienti e sì, scettiche, eppure nella vita di entrambe era capitato quel qualcosa che aveva loro mostrato l'esistenza sotto una nuova prospettiva.
-Dana, quando avrai terminato le analisi sui campioni, mi avvertiresti? Mi interesserebbero molto i risultati.-
-Lo farò. Ma sarai pronta per quello che sentirai?-

**********************************

"Maledizione, perché non rispondi Dana? Ho chiamato a casa tua almeno dieci volte. Ed il tuo cellulare non ha campo.
Esco dalla cabina telefonica, dopo essermi ripreso le poche monete che sono riuscito ad elemosinare. Sono il mio tesoro.
Se mi incontrassi ora non mi riconosceresti.
Sono pelle ed ossa ed indosso un paio di calzoni ed una maglietta rubate in un giardino mentre erano stesi ad asciugare. Proprio come nei film. Ho un look che potrebbe fare invidia a Langly!
Dove sei Scully?
Sono così stanco. Non demordo.
Ora che sono libero, tornerò a Washington.
Sto camminando ai bordi della statale. Sono nello Utah... Sono finito nello Utah... non è comico?
Sto pensando di fare l'autostop.
Ho preferito non cercare nessun altro. Non so più di chi fidarmi...
Ho bisogno di parlare con te....
Devo sapere cosa è accaduto negli ultimi mesi... sempre che siano passati mesi!
Non lo so più.
Per terra c'è un giornale appallottolato... riporta la data del 3 febbraio 2001....
Siamo nel 2001? Mi sono perso il capodanno... non che avessi programmi particolari, eh?
Hei, tu?
Sto facendo cenno ad un camionista.
Si sta fermando.
Salto a bordo!
Scully, sto tornando."

CAPITOLO NOVE

-Lo trovo ridicolo!- Esclamò Chegwidden adirato. -Un ammiraglio nella mia posizione che si deve nascondere come un ladro...-
-Abbassi la voce!- Gli ordinò perentorio Clayton Webb, con quella sua faccia da schiaffi.
A.J. gli lanciò un'occhiataccia, ma sapeva che doveva in qualche modo rispettare il volere del suo interlocutore, un misterioso quanto affaccendato agente della CIA.
La situazione lo richiedeva e solo lui, con i suoi agganci e le sue conoscenze, avrebbe potuto essergli di aiuto.
Fuori era buio; il crepuscolo sovrano li circondava in mezzo al niente di un vecchio stabilimento abbandonato fuori Washington.
-Questo posto fa venire i brividi.- Esclamò innervosito AJ. Le ombre intorno a loro rendevano quanto mai minaccioso quel luogo singolare, lasciando addosso l'unico desiderio di scappare via ed in fretta.
Webb, avvolto in un impermeabile scuro che a Chegwidden fece venire in mente la parodia di un vecchio film, lo fissò.
-Allora sono qui...- Esclamò Webb come se avesse fatto chissà quale concessione.
-Me ne sono accorto... -
-Cosa c'era di così vitale da dovermi costringere a rinviare un appuntamento molto allettante con la signora Winnipeker?-
-Il capitano Rabb e il colonnello Mackenzie sono in Florida, a Fort Lincoln per difendere due marines dall'accusa di favoreggiamento per il furto di un velivolo sperimentale...-
-Molto interessante... comunque ne ero già a conoscenza...-
-Prego?- Fece l'ammiraglio effettivamente sorpreso.
-Se ne stupisce?-
-Sì...-
Webb sorrise per la prima volta.
-Ho seguito la faccenda a distanza...-
-Cosa sa del Pugno Rosso?-
Questa volta Webb gli rise fragorosamente in faccia. Chegwidden dovette trattenersi dal non assestargli un pugno sul grugno.
-Un bel nome non trova? Terribilmente ad effetto...- Webb sembrava serio ora.
-Potrebbe darmi una risposta non in codice?-
-Non esiste nessun Pugno Rosso... tutto qua!-
-E la rivendicazione che ha ricevuto l'FBI sul furto?-
-Nessuna rivendicazione, ammiraglio.-
-Si spieghi Webb!- Pretendeva un chiarimento.
-Vede, ammiraglio, vi siete imbattuti senza volerlo in un empasse.-
Chekwidden non ne poteva proprio più. Sembrava che Webb si divertisse a fornirgli brandelli di informazione in attesa di vedere la sua reazione. E così non fece nulla. Clayton fu costretto a continuare.
-Il fantomatico Lady Godiva non esiste... non è mai esistito e quindi non può essere stato rubato. Chiaro no?-
-Chiaro? Scherza? Il Lady Godiva è un velivolo sperimentale...-
-Se preferisce crederlo...-
-Come fa a sapere che non esiste?-
-Non penserà che le sveli le mie fonti? No, è troppo intelligente anche solo per ipotizzarlo. Le dico solo di fidarsi di quello che le ho appena, confidenzialmente, rivelato. Comunque io non ero qui stasera.-
-Senta Webb... vuole dire che quei due ragazzi saranno immolati in nome di chissà quale complotto?-
-Ho parlato forse di complotto? Non mi sembra proprio. Vorrei ricordarle però che Fort Lincoln è una base militare super protetta... Secondo lei avrebbero affidato a due pivelli un incarico così delicato se ci fosse stato sul serio il Godiva nell'hangar 7? Sono lo specchietto per le allodole e come al solito Rabb e Mackenzie ci sono cascati come due polli! Me li saluti tanto!- Con questo si strinse il bavero come per proteggersi dal freddo e si allontanò.

******************************************

AJ Chegwidden non poteva sapere che solo due ore prima Harmon e Sarah erano stati convocati dal capitano Mills. Finalmente si era deciso a mostrare loro i progetti del Godiva e soprattutto a parlare di questo nuovo aereo capace delle più incredibili prodezze.
Rimasero nel suo ufficio per quasi mezz'ora e quando ne uscirono erano convinti di avere la situazione sotto controllo. Di possedere una conoscenza più approfondita del caso, in effetti spinoso, ma di possibile soluzione. Ogni tassello poteva incastrarsi al posto giusto. Se solo Sarah non avesse chiacchierato con Dana Scully e Harmon non avesse avuto il suo incontro con il tenente Holden...
Più confusi che mai si diressero nelle rispettive stanze a meditare. Fu Rabb a ricevere la telefonata di Chekwidden.
-Il nostro amico era risoluto....- Ammise AJ
-Signore, allora alla base ci stanno mentendo... abbiamo visto i progetti e perfino una fotografia del Godiva. Webb si sbaglia di certo.-
-No. Era sicuro di quel che diceva.-
-Questo cambia la prospettiva. Ci stanno deliberatamente ingannando!- Rabb cominciava ad essere teso. Nella sua carriera non gli era mai capitato di non sentirsi "protetto" in una base. Stava succedendo qualcosa lì a Fort Lincoln. Ma cosa? Se Webb era conscio delle sue affermazioni, il Godiva non era mai stato nell'hangar 7 e quindi non era stato rubato.
-Ne parlerò al colonnello Mackenzie.-
-Mi raccomando, siate prudenti. Temo che presto i vostri assistiti avranno molto bisogno di voi.-
-Purtroppo lo temo anche io.- Si congedò e si diresse spedito verso la camera di Mac, per informarla delle novità. Bussò.
Il silenzio.
Non rispose nessuno.
Harm gettò una rapida occhiata all'orologio.
Dove era andata a quell'ora?

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Mentre Harmon Rabb era in camera intento a conversare telefonicamente con l'ammiraglio, Sarah ricevette un breve messaggio di Dana Scully.
Si vestì in fretta ed uscì per raggiungerla al laboratorio della base.

****************************

John Doggett non era più così convinto.
Si passò una mano tra i capelli, poi si sdraiò sul letto a fissare il soffitto.
Spesso sembrava un bulldozer, macinava tutto quello che incontrava sul suo cammino, certo della posizione presa. E raramente gli capitava di dover tornare sui suoi passi... Era difficile ammettere l'errore, ma Doggett era una persona di spirito e di intelligenza. Sapeva riconoscere il limite di una sua teoria.
Con lucida attenzione ripassò mentalmente ogni singolo elemento in suo possesso e si rese conto che qualcosa non quadrava. Tutti alla base sembravano troppo tranquilli considerando che una rivendicazione terroristica partita proprio da lì aveva gettato delle ombre oscure sui marines di stanza a Fort Lincoln. Inoltre non c'era né rabbia né apprensione per il furto. Anzi, l'impressione che aveva visto emergere dalle sue indagini era il desiderio di non attirare l'attenzione... di sparire quasi, come se facendolo non si fosse costretti a parlare. Certo questa era solo una sua sensazione. Era però così presente.
Ripensò al capitano Mills...
E come scordare il fatto che non c'era alcuna prova che questo fantomatico Pugno Rosso esistesse veramente? Proprio quel pomeriggio aveva cercato alla sede centrale dell'FBI di Washington Tim Fedelman, un suo aggancio alla sezione archivio. Gli aveva chiesto di svolgere qualche indagine su questo gruppo armato. Dopo neppure un'ora lo aveva richiamato riferendogli che non risultava nulla sotto questo nome o simili.
Al che Doggett aveva cominciato a dubitare anche della veridicità della rivendicazione e quindi delle informazioni fornitegli da Kersh sull'intero caso.
Si sedette sul bordo del letto, senza trovare pace.
Prese il suo cellulare. Digitò un numero e rintracciò di nuovo Fedelman.
-So che puoi procurarti i nastri delle telefonate sotto controllo.-
-Si, allora?-
-Ho bisogno che tu mi rintracci un nastro.- Gli comunicò tutti i dati che sarebbero serviti a trovare il reperto in questione.
Quella sera si congedarono per la seconda volta.
Dopo circa 30 minuti John Doggett ebbe la conferma ai suoi dubbi.
All'FBI non risultava alcuna telefonata di rivendicazione quel giorno. E per sicurezza Fedelman aveva controllato anche i tabulati. Nessuno aveva mai chiamato per il furto del Lady Godiva.

CAPITOLO DIECI

"Queste strade mi sono familiari.
Il traffico è quasi rassicurante nella sua monotona ripetitività.
La gente corre come sempre in tutte le direzioni, presa da una fretta cieca ed ottusa. Se solo si fermasse di più a guardarsi intorno, ad assaporare il momento.
Si capisce l'importanza di ciò che si possiede solo quando lo si è perso... non è sciocco? Un inutile spreco di tempo e di risorse. Un enorme rimpianto che buca il cuore.
Io lo so... perché ho rischiato di perdere tutto ciò che conta... Il rispetto per me stesso, la mia dignità di uomo, il legame che mi unisce indissolubile a te.
Mentre ero su quella sedia ed ero certo di morire, ho ripensato a tutte le volte in cui ti ho stuzzicata, ti ho coinvolta nella mia lotta per la verità... ti ho sfidata a dimostrarmi che avevo torto. Erano momenti speciali per me, momenti preziosi che ho voluto proteggere dall'orrore di quegli istanti.
Ora sono a Washington e sto venendo da te. Non voglio incontrare nessun altro. Solo te!
Il resto del mondo verrà dopo.
Non ho intenzione di bruciare il tempo che il fato mi ha voluto regalare. Abbiamo un conto in sospeso noi due, Dana Scully."

*************************************

Sarah entrò silenziosa nel laboratorio. Dana la vide e le fece cenno di avvicinarsi.
Indossava un camice verde ed aveva degli occhiali trasparenti che le trattenevano i capelli rossi come se fossero un cerchietto. Appariva molto professionale.
-Novità?-
-Più che altro conferme...- Rispose serafica l'agente dell'FBI. Le fece cenno di guardare nel microscopio ad alta precisione.
Sarah obbedì e fissò dalla cannula, cercando di mettere a fuoco il campione analizzato.
-Cos'è?- Chiese incuriosita.
-E' un residuo cellulare clonato contenente un retrovirus attualmente inattivo.-
-Un... retrovirus?- Balbettò Sarah incerta.
-Sì. Te lo avevo detto che dovevi essere preparata a quello che ti avrei raccontato.-
-Non sono certa di esserlo, ma voglio sapere.-
-Mulder ed io in questi anni ci siamo imbattuti, troppo spesso per i nostri gusti, in ibridi alieni umani. Per molto tempo ho voluto rifiutare questa loro definizione, ma ho dovuto ricredermi. Sono esseri clonati, un perfetto incrocio tra cellule aliene e cellule umane. Il frutto di questo incontro è un essere praticamente indistruttibile, capace di sopportare stress fisici impensabili per l'uomo. L' unico loro punto debole è la base del collo. Se vi vengono trafitti con un punteruolo, muoiono immediatamente rilasciando una sostanza verde come quella che puoi osservare nel vetrino. Nel giro di pochi secondi si sciolgono totalmente.-
Sarah ascoltava muta il resoconto di Scully. Era a dir poco allibita. Voleva crederle, ma sembrava tutto talmente fantascientifico.
-Io...-
-Sarah, so quello che provi. Vorresti fidarti di me, ma quello che senti è troppo assurdo per poterti sembrare vero. Giusto?-
-Si... tu stai parlando di materiale genetico alieno... per me è impossibile accettare una tale affermazione.-
-Io stessa ho conosciuto esseri clonati perfettamente uguali gli uni agli altri. Un progetto occulto, le cui origini mi sono per lo più ignote, ha permesso che migliaia di questi cloni ibridati fossero sparpagliati per tutto il mondo con l'unico scopo di diffondersi e di preparare... - Si zittì. Non poteva proseguire nel suo racconto. Mac non avrebbe mai potuto accettare il concetto di invasione aliena. Tuttora lei non era certa del suo verificarsi, ma aveva visto troppe cose per negare in toto la remota eventualità.
-Preparare...?-
-No... volevo farti capire che è in atto un esperimento genetico su larga scala.- Preferì omettere tutti i dettagli, non erano necessari.
Mac ci pensò su e poi formulò l'unica domanda logica che le balzò in mente:
-Ma cosa ci faceva questa sostanza nell'hangar 7?-
-Me lo sono chiesta anche io. Ho trovato solo una risposta.-
-Quale?-
-Nell'hangar 7 non era nascosto il Godiva, bensì cloni.- Dicendolo ad alta voce le sembrò quasi coerente.
Mac si girò su se stessa per nascondere alla sua interlocutrice l'espressione di assoluto stupore dipinta sulla sua faccia. Poi tornò a guardarla negli occhi.
-Ma sai cosa significa una tale affermazione? Che qui a Fort Lincoln stanno coprendo chissà quale esperimento e stanno permettendo che due ignari e sprovveduti marines finiscano sul patibolo per proteggersi. Se quello che mi hai riferito è veramente accaduto, significa che il Godiva non è mai esistito e che siamo stati tutti ingannati!- la sua voce si era fatta incisiva, quasi dura:-Non posso condividere questo tuo racconto. Io credo nella mia divisa, nell'integrità delle istituzioni. Ho imparato ad amare e rispettare la marina degli Stati Uniti ed ora...-
-Mac, ho troppo considerazione per te per costringerti a cambiare la tua opinione sui fatti che si sono verificati qui a Fort Lincoln. Posso solo dirti che io ero come te. Per me l'FBI era tutta la mia vita, la realizzazione di un sogno, la possibilità di affermarmi come donna in un mondo fatto di maschi. Prima di conoscere Mulder ed il suo lavoro, ero convinta che le istituzioni fossero fatte per proteggerci, difenderci, indirizzarci. Purtroppo la mia esperienza sul campo mi ha portato a rivedere questa mia idea utopistica ed edulcorata. La realtà là fuori è diversa. Io ora sono diversa. Forse Mulder era un paranoico sognatore; è stato deriso dai colleghi senza un briciolo di ritegno, però ho imparato da lui a non fermarmi solo alle apparenze, ma a cercare l'intima essenza delle cose, a coglierne anche l'aspetto più nascosto. Mi ha insegnato a credere ciecamente in lui. Gli ho affidato la mia vita non so più neanche io quante volte. E l'ho fatto pur non condividendo appieno le sue bislacche teorie. Non mi ponevo domande.... Lo seguivo ovunque perché dentro di me ero certa che lui avesse ragione.- I suoi occhi brillavano per l'emozione. Non era mai facile parlare dei suoi sentimenti per Mulder.
-Come posso ...? Voglio dire, ho bisogno di prove, ho bisogno...-
Scully le appoggiò una mano sulla spalla.
-Forse ho sbagliato, non avrei dovuto parlarti di questa storia.- Si tolse il camice. Lo depose con cura su una sedia. Prese il vetrino e lo infilò in una busta trasparente. Le sorrise gentile ed uscì dal laboratorio.

********************************

Sarah tornò nella sua camera. Era esausta.
Aprì la porta e sussultò.
-Che ci fai qui?- Domandò a bruciapelo.
Harmon Rabb in divisa sedeva sul suo letto.
-Dov'eri finita?-
-Piuttosto come hai fatto ad entrare?-
-Ho i miei sistemi...-
-...illegali.-
-Un pochetto illegali, ma siamo amici no?-
-Uhm.... che vuoi Rabb?-
-Ho parlato con l'ammiraglio. Ci sono grosse novità.-
-Lo so... anche io ho delle novità per te e non ti piaceranno.-
-Sentiamo.-
-Prima tu.- Gli fece Mac sedendosi accanto a lui. Erano a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altra. Era così difficile concentrarsi. Ci provò.
-Chegwidden è riuscito a contattare Clayton Webb. Il risultato della loro chiacchierata è che non è mai stato progettato né tantomeno costruito nessun velivolo sperimentale chiamato Lady Godiva.-
Mac sgranò gli occhi.
-Allora è vero!- Esclamò preoccupata.
-Lo sapevi già?-
-Ho parlato con l'agente Scully. Lei era sicura che dentro l'hangar 7 non fosse custodito alcun aereo.-
-Ma come faceva a...?-
Sarah non voleva raccontargli la sua conversazione con Dana. Rabb non avrebbe mai potuto accettare le implicazioni che ne derivavano:
-Ha le sue fonti. -
-Forse Webb sta mentendo.-
-E quale motivo potrebbe mai avere? No, è qui che stanno mentendo. Scully ha ragione.-
-Sai cosa significa questo?-
-Sì...-
-Sullivan e Mayer sono nei guai!- Concluse Harmon.

CAPITOLO UNDICI

-Buon giorno!- Le disse con un sorriso.
Dana sollevò il suo sguardo dalla tazza di caffè fumante su cui era appoggiato e incrociò i suoi occhi limpidi.
-Posso?- Domandò John Doggett.
-Prego.-
Presto i due furono seduti al medesimo tavolino del circolo ufficiali.
Intorno a loro c'era un leggero brusio di sottofondo.
-Senti Dana. Devo chiederti scusa.-
-Scusa per cosa?-
-Prima di tutto sono stato arrogante l'altro giorno ed è stato imperdonabile da parte mia.-
-Non preoccuparti.-
-Inoltre volevo dirti che dopo aver condotto le mie personali indagini, ho compreso che avevi ragione. I fatti non si sono svolti come ci volevano far credere. Stanno coprendo la verità!-
-Cioè?-
-Non c'è stata nessuna rivendicazione, come non c'è stato alcun Pugno Rosso. Kersh ci ha deliberatamente fornito false informazioni. Non ne ho le prove, ma è così. Volevano farci commettere un passo falso.-
-Se è per questo io ho scoperto che nell'hangar 7 non era custodito alcun Lady Godiva, ma non ho come te le prove per dimostrarlo.-
-Voglio vederci chiaro. Non sono disposto a farmi raggirare come un pivello per chissà quali giochi di potere.- Era arrabbiato.
-Che possiamo fare, John?-
-Per quel che mi riguarda ho intenzione di fare quattro chiacchiere con il compassato capitano Mills. Quell'uomo non si è scomodato troppo per questa storia che in fondo gettava fango sulla sua base. Ho intenzione di fargli ammettere le sue responsabilità. Che dici, ti andrebbe di aiutarmi?-
-Ne sarei lieta.-
-Di nuovo colleghi?-
-Di nuovo colleghi.- Si strinsero la mano fissandosi in volto. Malgrado tutto un legame si stava formando, e li stava avvicinando più di quanto avrebbero voluto ammettere.

*********************************

Si salutarono freddamente, squadrandosi con sospetto.
Rabb aveva conosciuto Delmot Simpsons ad una udienza di circa 2 anni prima e da allora era stato felice di non aver più avuto a che fare con lui. Era un avvocato senza scrupoli il cui unico obiettivo era vincere il maggior numero di cause per poter fare una rapida ascesa nell'olimpo del foro. Tina Dowson appariva invece come una donna esile e forse insicura, un perfetto terreno fertile per l'egocentrismo e le manie di grandezza di Simpsons.
Dowson e Simpsons erano appena tornati dal loro rispettivo incontro con Sullivan e Mayer. Presto avrebbero formalizzato i capi di accusa o avrebbero potuto salvare i due giovani patteggiando una punizione esemplare, senza dover ricorrere alla corte marziale.
Delmot si sedette alla scrivania che temporaneamente gli era stata affidata dal capitano Mills. Con blanda cura, iniziò a sistemare alcuni fogli dei suoi incartamenti.
Li stava tenendo sulle spine. Tipico.
-Allora, Delmot? Cosa avete deciso?- Harm non aveva più voglia di aspettare. Si rivolse solo a Simpsons. Tina rimaneva in disparte.
-La situazione è grave. Vi renderete conto che la loro negligenza è stata causa di un grave danno arrecato alla nazione. Ora qualche pazzo terrorista avrà in mano un potente mezzo di distruzione o un'allettante merce di scambio. Non possiamo lasciar correre.-
-Lo sapevo!- Esclamò Sarah, più agitata di quanto volesse dare a vedere.
-Dovevate aspettarvelo infatti.-
-Quei due non hanno fatto nulla di male se non essere stati stupidi nel non avvertire i superiori.- Fece Rabb al limite della sua pazienza.
-Qui c'è stato un furto. Dobbiamo essere severi.-
-Ma quale severità!- Continuò Rabb. - Non c'era nessun Godiva nell'hangar. Hanno mentito ed ora stanno insabbiando tutto e per questo vogliono incastrare due innocenti.-
-Di che stai parlando?-
Sarah riprese il discorso accorato del collega.
-Sappiamo che non esiste nessun velivolo sperimentale, non c'è mai stato qui alla base. E stanno mentendo... se qualche cosa è stata trafugata, non era certo quello che il capitano Mills ha affermato che fosse.-
-State dando del bugiardo al capitano?- Delmot fece con cinico snobismo.
-Qui è successo qualcosa che non abbiamo potuto confutare. Ci stanno nascondendo preziose informazioni.-
-Avete delle prove, Harmon?- Tina si era inserita con precisa sensibilità di dialogo.
-No, non ne abbiamo, ma....-
-E noi dovremmo fidarci delle vostre sensazioni?- Rimbeccò sicuro Simpsons.
-Non potete crocifiggere quei due per un fatto che non è avvenuto.-
-Loro non hanno rispettato gli ordini, no? Questo fatto è avvenuto.- Disse Tina con risolutezza.
-Insomma, avete deciso, niente patteggiamento, niente punizione... Si va alla corte marziale...- Fece Sarah.
-Esattamente. E vi suggerisco di affilare le vostre armi perché Sullivan e Mayer non ne usciranno vincitori. Potete giurarci.- Detto questo i due pubblici accusatori si allontanarono.
Harm e Mac non poterono che cercare reciprocamente il conforto di un viso amico.

********************************

Doggett bussò con vigore alla porta a vetri su cui c'era scritto a grandi caratteri il nome di Hanry Mills. Non aspettò per entrare. Lo fece e basta. Dana lo seguiva a pochi centimetri.
-Lieto di rivedervi.- Esclamò Mills rimanendo seduto dietro alla sua poderosa scrivania.
-Spero sarà dello stesso avviso quando avremo finito la nostra chiacchierata.- Fece John con irruenza. Proprio non sopportava di essere preso in giro. Aveva troppo rispetto per sé.
-Agente Doggett, qualcosa non va?-
-Capitano Mills, lei ha ripetutamente affermato che nell'hangar 7 era custodito il Lady Godiva.-
-Infatti, allora?-
-Bè, noi sappiamo che qui non c'era nessun Godiva... Cosa tenevate realmente dentro quell'hangar?- Era inutile girare intorno all'argomento. Nella sua testa non faceva che pensare al resoconto di Dana di pochi minuti prima riguardanti l'analisi svolta sul campione rilevato proprio nell'hangar e alle notizie ricevute dal colonnello Mackenzie.
-Ma è impazzito? Cosa le fa pensare che non ci fosse? Non si fida della Marina degli Stati Uniti d'America?- Mills si era fatto improvvisamente nervoso.
-O si che mi fido della Marina degli Stati Uniti d'America... Sono le persone che mi deludono molto spesso.-
-Questa conversazione comincia a non piacermi.-
Dana intervenne per smorzare i toni del collega che aveva sicuramente preso di petto la sua missione di far confessare Mills. Non era più così sicura che ci sarebbero riusciti.
-Capitano, noi non vogliamo accusare nessuno. Vogliamo solo fare chiarezza su alcuni punti della nostra indagine.-
-Non c'è niente da chiarire. Ho appena saputo dal Jag che sono stati messi in stato d'accusa i guardiamarina Sullivan e Mayer. Vedrete che riusciremo a scoprire chi ha preso il Godiva.-
-Non ci posso credere.- L'apostrofò Doggett. -Solo ieri mi diceva che non poteva immaginare che tra i suoi uomini ci fosse una talpa ed ora è pronto a vedere entrambi i suoi marines accusati di un reato che non è stato commesso?-
-Vi pregerei di andare. Non vorrei essere costretto a chiamare i vostri superiori per fare delle spiacevoli rimostranze.-
Doggett strinse il pugno. Stavano combattendo una battaglia contro i mulini a vento. Si sentiva il Don Quiscotte della situazione. Non c'era speranza di spuntarla. La menzogna era troppo più grande di loro.
Dana ero dello stesso avviso.
Abbattuti lasciarono l'ufficio. Avevano il capo chino, come se fossero stati appena bastonati e non avessero il coraggio di alzarlo per vedere in faccia il volto del loro carnefice.
Non potevano sapere che appena usciti, il capitano Hanry Mills aveva alzato la cornetta per fare una telefonata urgente.

CAPITOLO DODICI

"Riconoscerei questa palazzina fra mille....
Sto salendo quei pochi gradini e per un istante mi è tornato in mente quel giorno ormai così lontano, quando scavalcai i cordoni gialli della polizia e mi precipitai nel tuo appartamento... Le sirene suonavano lamentose, le loro luci lanciavano ovunque ombre colorate... Ed io non sapevo cosa ti era successo... Il tuo appello di aiuto era giunto alle mie orecchie troppo tardi... il destino si era compiuto! Duane Barry ti aveva portato via.
Fu qui che incontrai per la prima volta tua madre, Maggie Scully, una donna molto forte e buona, esattamente come te.
E fu qui che tu mi curasti da quella febbre indotta da un potente veleno che aveva alterato la mia psiche... Fu qui che lenisti le sofferenze per la morte di mio padre ad opera di Alex Krycek.
Fu qui che venni quella notte di circa tre anni fa... volevo farti desistere dal tuo proposito di dare le dimissioni dall'FBI con la scusa di coinvolgerti nel mistero di Dallas... e ci riuscii. Tornasti a lavorare con me... Eravamo di nuovo tu ed io contro il mondo intero.
Sono nel corridoio.
Busso. Non ci sei....
Ho appena trovato la tua chiave di riserva... La tieni ancora nello stesso posto!
Sono dentro.... E' buio.
Perché non sei qui... non sai quanto ho immaginato di rivederti in questi ultimi tempi...
Passo davanti ad uno specchio nella tua stanza... Mi faccio spavento, sono orribile.
Credo che approfitterò della tua assenza per farmi un bagno! Ne ho un bisogno disperato e non voglio che tu mi veda ridotto così!
Vedi...questo posto mi porta alla memoria così tanti ricordi...
Era sera... non avevi acceso la luce ed io ero seduto in penombra. Non mi avevi visto e ti stavi spogliando vicino alla finestra... Ti trovavo così sexy con quei tuoi movimenti lenti e morbidi. Avrei voluto ammirare il tuo bel corpo sagomato dalle luci della strada... avrei potuto alzarmi e venirti vicino. Accarezzare la tua schiena liscia e profumata fino ad arrivare al tuo collo affusolato, toccare la tua nuca palpitante e portare il tuo viso vicino al mio per poterlo baciare in ogni suo centimetro. Avrei potuto farlo... ma non lo feci. Parlai per farti rilevare la mia presenza. Mi sembrava ingiusto approfittare così di te... anche se già ti amavo e ti desideravo talmente tanto...
Non sapevo però cosa provavi tu e non volevo rovinare il nostro rapporto. Era troppo importante che tu ci fossi nella mia scialba esistenza.
Non te l'ho mai detto... ma voglio prometterti che non avrò più segreti per te... Ti ho nascosto delle cose nell'ultimo anno... Non ti ho reso partecipe di fatti che mi sono accaduti... Temevo di ferirti, di farti soffrire.... Ma ora ti racconterò tutto... Voglio che il mio ritorno sia completo e che tu sia la mia complice, il mio giudice, la mia amante, la mia amica....
Ti sto aspettando....
Io sono qui!"

*****************************

-L'ho appena saputo capitano Rabb.- Esclamò dall'altro capo del filo l'ammiraglio Chegwidden.
-Signore, la corte marziale si svolgerà in direttissima... Noi abbiamo chiesto il trasferimento del procedimento a Washington ma non l'abbiamo ottenuto. Domani ci sarà la prima udienza.-
-Vi sentite pronti?-
-Vuole la verità? In apparenza la difesa potrebbe sembrare quasi facile, ma sono sicuro che ci ostacoleranno... Vogliono due colpevoli... ho paura che li otterranno, ma noi faremo del nostro meglio.-
-Come sempre... lo so! Qualsiasi cosa accada, avrete fatto quello che potevate!-
Quelle parole rimasero sospese nell'aria. Harm continuava a sentirle anche dopo che l'ammiraglio ebbe riattaccato. Eppure, dentro di sé, rimpiangeva di non aver potuto fare di più... Quella causa aveva incrinato qualcosa dentro di lui ed aveva paura di doversi chiedere cosa... Avrebbe dovuto darsi una risposta.

********************************

John Doggett depose la valigia di Scully nel portabagagli, poi lo richiuse.
Il cielo uggioso sembrava voler loro dare l'addio nella speranza di non vederli più lì...
John si sedette al posto del guidatore e si girò verso Scully. Questa aveva il volto tirato, arrabbiato.
Non aveva ancora digerito la telefonata del vicedirettore Kersh che li richiamava subito a Washington.... Il caso del Godiva era chiuso per l'FBI... Finiva sempre così... sempre così... e francamente non ne poteva più!
Doggett mise in moto. Le gomme rotolarono sull'asfalto con energia.
Mentre si allontanavano, Dana poté scorgere dall'altra parte della strada il capitano Mills che le sorrideva.
Qualunque cosa fosse accaduta lì a Fort Lincoln era stata protetta... occultata.
E loro, i buoni, avevano perso un'altra volta.
Dana socchiuse le palpebre.
"Mulder dove sei? Ho bisogno di te...."

CAPITOLO TREDICI

Fox William Mulder era sdraiato sul divano del salotto. Rilassato, riposava per la prima volta dopo una eternità. Ogni elemento del suo essere era rilasciato, si sentiva sereno.
Fu la chiave che girava nella toppa che gli fece accelerare il battito del cuore... In un istante gli balzò in gola. Si alzò di scatto....
La porta d'ingresso si schiuse ed un fascio luminoso entrato con l'uscio spalancato lo inquadrò.
La donna, che teneva in mano una valigia, sollevò la testa stranamente china e lo vide.
Nessuno dei due parlò. Nessuno dei due si mosse.
Si fissarono per interminabili istanti troppo emozionati per poter fare qualsiasi cosa.
La valigia cadde sul pavimento con un tonfo sordo.
-Mulder?!- Gli stava chiedendo se era veramente lui?
-Sì.... - Come a rallentatore si andarono incontro e si abbracciarono.
Lacrime di gioia sgorgavano come la delicata rugiada del primo mattino dai loro begli occhi.
Era l'istante ideale.
Lo avevano immaginato così per tanto tempo...
Le loro labbra si cercarono con avidità ed affetto. Si conoscevano con profondità e devozione.
Con le mani si toccarono gentili e appassionati.
Non si dissero nulla che con la mente non stessero già pensando ed assaporando.
Fox era terribilmente felice. Forse non lo era mai stato tanto.
I suoi occhi si posarono distratti sulla parete che gli stava di fronte, accanto alla porta. Che strano... sembrava grigia...  metallica... che assurdità! Il buio e la stanchezza gli stavano giocando strani scherzi visivi. Sorrise...
Poi una fitta improvvisa lo spinse a portarsi la mano destra alla tempia.
Si scostò da Scully che gli rimase accanto spaventata:
-Mulder, cos'hai? Mulder... -
La sua voce si era fatta confusa. Distante.
Il dolore era sempre più intenso.
E poi accadde, senza preavviso, ma con crudele puntualità.
L'ambiente intorno a lui si trasfigurò improvvisamente.
Cercò di metterlo a fuoco e di ritrovare il viso preoccupato di Scully sopra di sé. Ma non vi riuscì.
C'era solo un terrificante stridio metallico ad imperversargli nel cervello ed una luce che violava la pace finalmente ritrovata.
Poi, la vista tornò perfetta.
Sbarrò gli occhi shockato...
Si trovava su quella maledetta sedia...
Era legato mani e polsi e non poteva muoversi.
Non c'era Scully accanto a lui ma solo il volto contorto e beffardo dell'alien bounty hunter.
No, non poteva essere... lui era fuggito... aveva viaggiato per giorni... aveva ritrovato la sua Dana... non poteva essere stato tutto un sogno... uno spietato esperimento...
Era atroce scoprire che la realtà che credeva di aver vissuto era solo una ennesima menzogna.
Come avrebbe potuto ancora sperare che un giorno sarebbe stato veramente libero? Anche se fosse successo, ne sarebbe stato cosciente?
I suoi occhi si mossero nelle orbite in cerca di una speranza....
Ora stava veramente affogando e non c'era modo di salvarlo dall'oblio...
"Scullyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyyy!!!!"

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Dana si svegliò all'improvviso.
-Dormito bene?- Le chiese premuroso John Doggett che sedeva ancora al volante della macchina che li avrebbe condotti all'aeroporto di Miami.
No, non aveva dormito affatto bene.
Aveva sognato di rincontrare Mulder finalmente. Aveva sognato di averlo stretto a sé. Poi era svanito nel nulla, lasciandola di nuovo sola!
E lo aveva sognato invocare il suo nome, un'ultima volta!


CAPITOLO QUATTORDICI

La settimana dopo
JAG Headquarters
zulu 12,15

L'agente speciale Dana Katherine Scully fece il suo ingresso.
C'era un certo movimento, un via vai di persone in divisa con in mano fascicoli, che sembravano prese dalla frenesia di andare da qualche parte...
Si guardò intorno per cercare chi era venuta a trovare.
-La posso aiutare?- Le domandò una voce simpatica.
Apparteneva al segretario personale dell'ammiraglio Chegwidden, Tyner, ma Dana non poteva saperlo.
La fissava con cordiale curiosità.
-Magari... sto cercando il colonnello Sarah Mackenzie.-
-Quello è il suo ufficio. L'accompagno!- Fece premuroso.
-Non ce n'è bisogno. Grazie.- Gli rivolse un sorriso di cortesia.
Tyner la osservò allontanarsi.
-Chi è la signora?- Chiese Galindez, interessato.
Tyner si voltò e lo squadrò torvo.
Dana bussò discreta alla porta a vetri socchiusa.
-Avanti.-
-E' permesso?-
-Dana!- Sarah le andò incontro, accogliendola calorosamente. -Hai mantenuto la promessa.-
-Ti avevo detto che sarei venuta a salutarti nel tuo sancta santorum.-
-Accomodati.- Le fece segno di sedersi. Anche lei si accomodò dietro la sua professionale scrivania.
-Bello il tuo ufficio... molto luminoso, non come lo scantinato dove sono io.- Dana rise rilassata.
-Sai, il grado aiuta.-
Le due donne erano sicuramente più a loro agio. Chiacchierarono del più e del meno per alcuni minuti poi immancabilmente il discorso cadde sui guardiamarina Sullivan e Mayer.
-Sì... la corte marziale li ha condannati entrambi. Harm ed io non siamo riusciti a proteggerli. Tutto il procedimento è stato una pagliacciata. Volevano colpirli per forza. In tutta la mia carriera non mi è mai capitato nulla del genere.-
-Lo immagino.-
-Le vostre indagini?-
-Sospese...-
-Lo temevi, vero?-
-Ci sono abituata ormai.- Fece Dana frustrata.
-Abbiamo molto in comune noi due...-
-Sì, un'irrefrenabile voglia di rivalsa e di affermazione!- Entrambe risero di gusto. In quel mentre fece capolino da dietro l'uscio Harmon Rabb.
-Salve!-
-Capitano.- Esclamò Dana.
-L'agente Scully è venuta a fare una visita.-
-Ha fatto bene... Ha saputo del processo?-
-Si, Sarah mi ha appena ragguagliata. Mi spiace molto.-
Harm si appoggiò ai bordi della scrivania ed incrociò le lunghe braccia.
-E' stata un'ingiustizia bella e buona. Cosa darei per sapere cosa nascondevano a Fort Lincoln. Purtroppo l'ammiraglio ha ricevuto ordini chiari. Il dubbio rimarrà sempre. Ed io odio i dubbi.-
-Cosa è capitato a Sullivan e Mayer?- Domandò Scully.
Harm rispose irato.
-Sono stati espulsi dalla marina con disonore. Non lo trova ridicolo, per non dire esagerato, agente Scully?-
-Era l'unico sistema per mantenere in piedi il castello di carte che avevano costruito.-
-Cosa era nascosto nell'hangar 7? Cosa?- Continuò Rabb. -Pagherei per scoprirlo!-
Gli sguardi di Dana e Sarah si incrociarono eloquenti.
-Scusatemi.- Fece Tyner, entrando nella stanza:
-Capitano Rabb, è arrivata la signorina Renè.-
-Grazie! Con permesso, tolgo il disturbo. Piacere di averla incontrata di nuovo, agente Scully.- E con questo si accomiatò.
Gli occhi di Mac lo seguirono fino al corridoio, cercando di mettere a fuoco l'abbraccio voluttuoso che la bella regista gli regalò con slancio. Poi sparirono alla sua vista.
-Sei innamorata di lui, vero?-
Sarah sussultò.
-Io... no... io... è un caro amico, tutto qui.-
-Se lo pensi sul serio...-
Mackenzie ricordò la sera al West Rose Bar di solo una settimana prima. Quella sera poteva succedere, poteva...  Il momento sembrava quello giusto! Lui sembrava pronto finalmente. Glieli aveva letto in volto i suoi sentimenti, si era scoperto e lo aveva fatto istintivamente, senza calcolo... eppure si era fermato. Aveva vinto Renè!
Scosse la testa come per scacciare quei pensieri delusi.
-Senti, perché non andiamo a pranzo insieme... posso prendere una pausa.-
-Volentieri!- Le due donne si alzarono con entusiasmo. Stavano diventando amiche e se ne rendevano conto e Dio solo sapeva quanto ne avevano bisogno.

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Altrove

Un vetro rifletteva una tenue luce soffusa.
L'ambiente era spoglio. Non c'era mobilio, non c'erano finestre, solo lunghe pareti fredde, color grigio freddo. Il silenzio era pungente, perfino un respiro sarebbe stato moltiplicato dal niente di quel luogo insonorizzato.
Un uomo di spalle fissava concentrato al di là di quella superficie trasparente, protetto alla vista di chi stava osservando.
Uno spettacolo molto triste.
Incredibilmente appagante.
Un senso di potere lo abbracciò, facendolo vibrare dall'esaltazione.
Aveva piegato il suo spirito.
Era riuscito finalmente a vendicarsi di lui.
Lo odiava con tutto il suo essere e vederlo ridotto così lo faceva sentire un dio.
Poteva decidere del suo fato. Poteva usarlo come una marionetta senza fili.
Un ghigno simile ad un sorriso gli alterò l'espressione dei bei lineamenti quasi femminei.
Rimase qualche altro istante a rimirare il suo successo, la sua vittima, il suo ex- collega, l'agente Fox Mulder.
Alex Krycek sospirò prima di uscire.
-E' giunto il momento.-
Dall'altra parte del vetro quell' uomo, vestito solo di un pigiama bianco sporco e di sogni infranti, sedeva a terra a gambe incrociate, fissando, catatonico, il pavimento, dondolando al suono di una musica che non c'era.
Non pensava a nulla. Non provava nulla. Era come se non esistesse più.

FINE