Iniziative : Il poeta tiburtino Federico Fredi Panigi (1923-1994)

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Prefazione alla commedia di Domenica Mannucci
ALLE SCALI DE SAN BIACIU 1998
        

Contributi alla conoscenza del patrimonio tiburtino

 

Quaderno n.1

                        Terza edizione : 1998

 

 

Un poeta tiburtino: Federico Fredi Panigi (1923-1994)

 

A cura della Scuola Media Statale "Giuseppe Petrocchi"

Tivoli

 

 

                              

Da IL NOTIZIARIO TIBURTINO- Novembre 1994.

Ho dovuto aspettare che morissi, caro Fredi, per conoscere il tuo nome ! Federico Panigi ( Fredi ) !Non evoca nulla forse il tuo nome a qualcuno, perché gli ultimi anni ti hanno visto vecchio e ancora più solo della solitudine che potevano offrirti i tuoi libri muti, ma chi non ha conosciuto Fredi ,dei tiburtini della generazione ormai matura?

Ricordi, caro Fredi che ormai sei nell’al di là, quando negli anni cinquanta trascinavi il carrettino da Via Platone Tiburtino per tutta Via Palatina ?Ti piazzavi dapprima presso Tirimagni ( non ricordate, coetanei miei, le immagini di Tivoli in ricostruzione ,tanto diverse da quelle dell’attuale Tivoli in distruzione ! ), poi a Largo Cesare Battisti, la piazzetta dei cartelloni di Giuseppetti alla fine del corso.

La tua bancarella prometteva facili ed economiche letture con gli albi colorati solo in copertina o a pagine alternate .Si leggeva di tutto, facile e difficile, e, quando serviva qualche soldo si riportavano gli albi ed anche le sudate collezioni a Fredi che, dopo averli valutati ci dava magari metà del prezzo che avevamo fantasticato di realizzare strada facendo, mentre mentalmente calcolavamo i soldi da prendere.

Un’opera meritoria hai compiuto certamente, amico Fredi. Hai diffuso la cultura, perché hai diffuso la lettura. Quelli che venivano da te e che certamente leggevano di tutto, sono poi cresciuti, hanno saputo operare una selezione fra le letture belle e brutte, ma soprattutto fra le cose positive e negative della vita e chi ti ha visto, come me, negli ultimi anni della tua vita arrancare a fatica ormai quasi abbandonato nel tuo bugigattolo presso la Chiesa di S. Biagio (ché le letture ormai sono cambiate e tutto si consuma e brucia in pochi attimi ) non può certamente non tornare indietro con la memoria a quegli anni ormai lontani, quando la scoperta fra gli scaffali del tuo negozio di un giornaletto nuovo o non ancora letto donava momenti di felicità ormai appartenenti ai momenti più belli della sua vita.

Riposa in pace, amico Fredi!

R.B.

(Le parti con carattere più piccolo non furono pubblicate, ma fanno parte dell’articolo originale – N.d.R. )

 

 

da AVVENIRE 13 ottobre 1985

Confesso che la poesia recente non sempre mi sa offrire sensazioni nuove e profonde, non muove sempre il mio animo al brivido ,non sa far soffermare a sufficienza il mio pensiero sulla carta scritta: leggo, ma l’occhio che legge si affretta spesso per arrivare alla fine. Eppure sono amante sia del verso mirabolante e meraviglioso, sia del verso semplice e primitivo.

Che dire allora del nuovo libricino che l’amico Rico Fredi ( Versi nuovi e poesie scelte, pp. 32, Tipografica S. Paolo, 1985 ) offre ai suoi estimatori in maniera pudica e schiva? L’autore, che si diletta da qualche decennio nella difficile e non remunerativa arte della poesia, non è nuovo a donarci sensazioni per la facilità con cui riesce ad imbastire discorsi musicalmente e metricamente esemplari sul mondo che circonda la sua figura di artista isolato e sul mondo che è dentro la sua fantasia. Così, anche quando la frase è scorrevole, anche quando la frase è discorsiva, anche quando i vocaboli, pur usati con grande maestria, non suscitano mai la sensazione di forzatura, tu scorgi la persona che a differenza di tutti gli altri può parlare al nostro animo rivelando le sensazioni che non sappiamo portare alla luce e le illusioni che non vogliamo riconoscere come tali.

Chi è Rico Fredi se non uno di noi , ma uno di noi che riesce ad esprimere le cose che noi sentiamo confusamente, ma non riusciamo a far uscire dal subconscio oppure tentiamo spesso di occultare e, ci riusciamo pure, di soffocare?

Troverei come linea comune nella poesia di Rico Fredi un rimpianto di quello che poteva essere e non è stato, ma non nella maniera ironica di Gozzano in "Signorina Felicita" . Tale rimpianto che coincide con il desiderio di una persona amata, che pur volutamente celata in un candido pudore, tante volte balza prepotente e fuori dalla sua mente, si ritrova anche nella descrizione di situazioni di tutti i giorni, nella descrizione di paesaggi o stagioni e non sempre facilmente percettibile a chi non abbia letto attentamente l’opera di Rico Fredi…..

…..ti accorgi che l’autore si è bruscamente interrotto per non cedere anche qui a quel rimpianto - dolore …..accanto ai fanciulli che giocano puoi vedere lo spettro dell’uomo solitario…..il poeta non sa trattenere il suo grido di disperazione, mai retorico e mai fine a se stesso, ma che si tempra (e come non potrebbe essere altrimenti ?) in una nota di speranza, non sai mai però quanto sentita o frutto anch’essa di illusione…..e allora vedi il Fredi osservatore partecipe del piccolo mondo che gravita intorno Piazza Plebiscito e fine testimone della natura e dei fatti della gente comune.

Un’osservazione che sconfina in un amore profondo, viscerale verso questa umanità che avrebbe forse dovuto donargli più affetto, affetto che il poeta chiede, ma non elemosina, attraverso i suoi versi schivi.

Roberto Borgia

 

 

 

 

    

        

Le dediche      Le poesie

   Federico Fredi Panigi (Tivoli 1923-1994)

 

 

 

 

 

 

 

 

Il successo della manifestazione che la Scuola Media Statale "Giuseppe Petrocchi" ha organizzato per il 3212° Natale di Tivoli e che si è svolta nel Complesso Monumentale dell’Annunziata il 9 maggio 1997,mi ha portato ad elaborare questo testo che contiene le poesie che sono state lette nel corso della manifestazione dedicata allo scomparso Federico Fredi Panigi. Ringrazio tutti coloro che hanno contribuito alla manifestazione, insegnanti, alunni, personale amministrativo ed ausiliario, tutti coloro insomma che hanno recepito il mio stimolo per ricordare semplicemente un tiburtino come tutti noi.

Roberto Borgia

Tivoli, giugno 1997 preside S. M. S. " G. Petrocchi"

 

 

Introduzione

 

La Scuola Media Statale "Giuseppe Petrocchi" si è inserita nel calendario dei festeggiamenti per il 3212° Natale di Tivoli con la commemorazione di un poeta tiburtino non a tutti noto: Federico Fredi Panigi.

Molti, di fronte a questo nome, spontaneamente, istintivamente si saranno domandati: chi è ? o meglio: chi era?

Poi l’attenzione è corsa a quel "Fredi" e più d’uno dei nostri genitori, molti dei nostri nonni, hanno cominciato a ricordare.Certamente : Fredi, Fredi e la sua bancarella di libri usati, Fredi e il suo negozietto accanto alla Chiesa di S. Biagio, dove potevi trovare di tutto, potevi completare la tua collezione di giornaletti , individuare un’edizione particolare ed anche preziosa, acquistare a prezzi economici un buon testo, e poi anche vendere, cedere i tuoi libri per rimpinguare delle finanze giovanili sempre precarie.

Ora il tuo negozietto senza pretese non c’è più. Sono sorti altri centri - vendita simili nella sostanza, diversi nell’impostazione e soprattutto del tutto privi di quella intimità affettuosa, quasi confidenziale che si stabiliva tra venditore ed acquirente.

Fredi apparteneva al suo mondo, aveva un suo stile, una sua misura umana nelle attività quotidiane come nei sentimenti.

E’ appena ieri, eppure i suoi giorni, il suo tempo, scivolano già nel passato.

Ma noi ragazzi questo passato non vogliamo dimenticarlo.

Ci sono tanti "revivals" di vario genere. Perché non rivisitare dunque questi tempi, che non si possono ancora definire della memoria perché fanno parte dell’infanzia dei nostri padri e dei nostri nonni, ma che comunque non sono nostri, non ci appartengono del tutto? Perché non ricordare con affetto quest’uomo semplice, dai tratti un po’ tristi, a volte tormentati, in perenne dialogo con se stesso, sempre intento a pareggiare i conti con la vita?

La lettura delle sue poesie ci ha risvegliato sentimenti d’amore per Tivoli, la nostra città, per certi scorci, certi angoli dimenticati, poco frequentati, o forse talmente tanto noti da essere sfiorati con occhi distratti e dunque non apprezzati più.

E invece nulla va dato per scontato. Men che mai la bellezza, l’importanza di questo patrimonio artistico che ci appartiene e di cui dobbiamo essere giustamente orgogliosi, positivamente e costruttivamente gelosi.

E poi ci sono i sentimenti semplici e sinceri, immediati e spontanei, che hanno fatto presa sui nostri animi.

Questa rassegna di poesie è nata dunque come risposta a due momenti che abbiamo individuato nella produzione di Federico Fredi Panigi: l’amore per la nostra città ed i sentimenti quotidiani che egli sinceramente, talvolta con pena e fatica, ha condiviso con gli altri i uomini.

Maria Falcone

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In dialetto o in lingua……………

In dialetto o in lingua nella produzione di Fredi sono presenti innumerevoli quadretti e scorci di Tivoli: un microcosmo di profonda umanità come in questa poesia che vi presentiamo.

 

A la fraschetta

Quattro ssedie spagghiate, tre banchitti

do tavolini zuzzi, qua’ retrattu

e la stalla de gghieri dittu fattu

sè gghiempita de vecchi e de reazzitti.

Fannu la fila e l’oste come ‘nmattu

scappa de qua e dellà pe fa sta zitti

quilli che fau caciara e stannu ritti

a fa la posta come fa lu ghiattu.

Quarti, fugghiette e litri vannu e vengu

perché lo vinu è quello de li còlli

che se fa sangue e scaccia pene e guai.

E bevenno e cantenno se mantengu

Strittu lu megghio tempu senza accòlli

E fau ‘na vita da non morì mai.

 

 

 

 

 

 

 

…è una poesia leggera

E’ una poesia leggera, di sapore vagamente gozzaniano con i suoi toni eleganti rievoca vecchie atmosfere malinconicamente scomparse.

 

Al ristorante

Nel ristorante in Piazza Garibaldi

la sala è specchio d’acqua oltremarina

dai vetri blu marè della vetrina

il sole entra smorzato in toni caldi.

Sui tavoli cosparsi di smeraldi

da portafiori della vecchia Cina

vaga un discreto odore di cucina

e i camerieri stanno come araldi.

E’ il tocco. Fra non molto i commensali

entrando spezzeranno questo incanto

che ai fantasiosi cuori mise l’ali.

Istanti. La realtà con il suo canto

vien balda ad oscurare gli ideali

e già si è presi da sottil rimpianto.

 

 

 

 

 

Tra i vicoli…

Tra i vicoli, gli scorci, le abitudini di vita, le consuetudini quotidiane analizzate con cura o riassunte e simboleggiate da un dettaglio ci è piaciuto questo "Quadretto" estivo che parla di solitudine e di emarginazione.

 

Quadretto

Mezz’agosto col sole

arroventa le case intorno intorno

a la chiesa che pare imbrillantata.

Sull’asfalto bollente

delineante il corso cittadino

non si azzarda nessuno.

Qualche raro passante

fa il giro della piazza raso muro

si segna e poi scompare gobbo gobbo.

Soltanto un vecchio e un cane

accartocciati su la scala santa

aspettano la manna.

 

 

 

 

 

 

Tivoli è intimamente…

Tivoli è intimamente legata al suo fiume: lo è visceralmente nelle strutture geomorfologiche del territorio, lo è nella vegetazione, negli insediamenti umani, negli accadimenti storici che ne seguirono. Eccolo qui l’Aniene, il leggendario Aniene che si fa fiume per amore.

 

Il fiume

Si leva il sole…quasi uno smeraldo

riluce il fiume sotto i biondi raggi,

placido scorre verso altri miraggi

di campi d’oro e di frondose sponde;

col pensier lo seguo e ciò m’infonde

tante gioie nel cuore, mi rinsaldo.

Tra le rocce canta murmurante e piano

l’eterna giovinezza della vita,

della campagna verde e rifiorita,

della natura colma di colori;

riluce e alla vita quei bagliori

portano sogni ed un desire arcano.

Di qui, sul colle, miro verso il basso

il verde, il bruno, il bianco della spuma

che giocando coi raggi par che assuma

mille tinte frammiste, mille aspetti

che si cambiano sempre con effetti

or tristi, or gai, ma carichi di chiasso.

Con la sua voce or melodiosa, or forte,

va l’acqua volta verso il grande mare

da dove indietro mai potrà tornare.

Come la varia vita delle cose

Cammina verso mète misteriose,

quale mortal che sogna, oltre la morte,

il sublime ristoro per sua giusta,

retta esistenza, priva di peccati.

Al pari di tutti i flutti che mischiati

saran domani con distese immense

vivendo anelo a quelle ricompense

che l’anima godrà con vita augusta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un tiburtino

Un tiburtino non poteva tacere di Villa d’Este. Eccola qui rappresentata nel tripudio della vegetazione, nella freschezza dei giochi d’acqua, nella magia evocatrice delle antiche leggende: fauni, sileni, ninfe si raccolgono in silenzio.

 

Villa d’Este

Villa dai mille rivoli

sonanti mille melodie divine

villa della mia Tivoli

bella nel nuovo e nelle sue rovine

vagare all’ombra dei tuoi viali o stare

ad ascoltare un cinguettio d’uccelli

desta nel cuore e nella mente care

sensazioni che tu fresca ingioielli.

Tripudio d’oro vivido

fa il sol coi spruzzi e con le cascate

un olmo vecchio e timido

narra leggende e fiabe trapassate

gridar vorrei di vivere la gioia

mentre un rintocco o un alitar ninfale

rende sublime tutto e fa che muoia

ogni tristezza tra il fasto floreale.

 

 

 

Praticamente non si distingue…

Poeticamente non si distingue tra gli altri componimenti eppure questa poesia ci è piaciuta e l’abbiamo scelta per l’immediatezza della sua ispirazione, per la sincerità del suo tono. Rico Fredi non ha speso molte parole, non ha selezionato i termini, non ha fatto ricorso a reminiscenze letterarie: ha espresso il suo amore per la sua città; tutto questo rende la poesia particolarmente vera.

A Tivoli

Tivoli mia t’adoro per il verde

nei colli tuoi tanto ridenti e belli !…

nell’ammirarti l’occhio mio si perde

fra le ville, gli ulivi e i bei ruscelli.

Quanto ti voglio bene, quale amore

m’ispirano i tuoi mitici ricordi !…

nel mondo un altro sito di splendore

simile a te non c’è che tutto accordi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La produzione poetica

La produzione poetica di Fredi non è solo legata ai fatti della vita quotidiana, agli angoli più tipici di Tivoli: grande spazio trovano i sentimenti, primo fra tutti l’amore, le riflessioni, il senso struggente del tempo che passa, il presagio e l’ansia della morte, la cordialità umana e dolente che lo fa " uomo di pena " con gli altri simili, il recupero memoriale. Volti e voci del passato riemergono dalla nebbia e riacquistano, per un attimo, la dimensione della concretezza.

 

Amor vano

Donna che mi sorridi dalla foto

dove t’è accanto l’uomo che può amarti

il cuore mio che t’ama e deve obliarti

soffre e più gode nel suo ardore noto.

E la mia vita che vorrei donarti

resta così fremente in questo vuoto

se pur colmo di te studio devoto

dove mi sembra ancora di parlarti.

Il bacio non rubato alla tua bocca

mi brucia sulle labbra arse d’amore

e l’ansia trattenuta ora trabocca.

Invano. Se potesse tal dolore

entrar nei sogni che realtà non tocca

non vi sarebbe più chi amando muore.

 

 

 

 

 

 

Gerola Alta

Rovistando

fra le carte abbandonate

nella mia scrivania

ho visto

tornarmi incontro

le balze rocciose

di luoghi cari al ricordo.

Un paesetto

ripieno di poesia

adagiato alla valle

fitti boschi nei fianchi

e in lontananza

cime imbiancate di neve.

Dal timbro

su una cartolina

leggo un nome

e una data

Gerola Alta

24-12-45

Visi cordiali

dimenticati

emergono pian piano

dalle foto

in evanescenze

che prendono forma

quasi reale.

Persone alle quali

mi legò una simpatia

che il volgere del tempo

e la lontananza

stavano cancellando

si ravvivano nel pensiero.

E con una dolcezza

che commuove

mi accarezza l’udito

un ridere di bimbi

un parlare cortese

e pieno di bontà.

 

 

 

 

 

 

 

Incontro

Ho incontrato nei sogni

duemila uomini uniti

in contrasto fra loro.

Dei duemila uomini visti

uno ero io

e gli altri tant’altri io.

Nel guardarci l’un l’altro

ci siamo intesi nel cuore

una pungente spina.

 

 

Notturno

La luna è scivolata

dal suo vertice

e nel gran salto

s’è fatta a pezzi col monte.

Sopra la conca

è tutto argento liquido

e il mezzo cerchio a scaglie

vi combacia.

 

 

 

Un paesetto

 

Mi torna alla memoria

un paesetto adagiato

in riva al Lario

un campanile mezzo diroccato

sull’unica chiesetta

ancora intatta

una pista sul lido

con l’impronta stagnante degli estinti

e il suono sibilante

delle campane incise

sulle case scalfite

 

 

 

 

 

 

 

Temporale

 

Nel cielo

- fosco –

è un cupo

rimbombare di tuoni.

Di lontano

- crescendo –

l’immane rombo

viene.

S’ode vibrar nei timpani serrati

e vivi lampi accecano la terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giardino d’autunno

 

L’unica cosa viva

nel piccolo giardino abbandonato

è la vaschetta d’oro

dai tre zampilli adunchi

a becco d’aquila.

L’acqua che sgorga

fruscia dolcemente

fra rametti spezzati

muschio lucido

accartocciate foglie.

Quindi

perdendosi nel fondo

melodioso

pacatamente piange

il triste autunno.

E il tardo sole

inutilmente preme

nell’intricato mondo vegetale

piegato ad arco

per rubarne il suono.

 

 

 

 

 

L’età del poeta

Un poeta non ha età

può restare bambino

attraverso la sua completa

maturità

e può sentirsi vecchio

quando è ancora all’inizio

del suo cammino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ci piace concludere…

Ci piace concludere così, ricordando con affetto, un poeta semplice che parlò sottovoce, che amò mantenersi nei termini di una misura umana modesta e riservata, che non adottò mai le parole della retorica, ma quelle sincere della tristezza e dell’amore e cercò di non invecchiare o almeno fece in modo che non invecchiassero i suoi " occhi sognanti di fanciullo ".

( Abbiamo aggiunto in questa breve raccolta la poesia di Fredi che troviamo come premessa in molti suoi libri e che certamente rimane la sua poesia più conosciuta – N.d.R. )

 

Incognita

Se sfogliando distratta

in una mesta sera

queste povere pagine

ti sembrerà di ritrovare in una

un richiamo di te nel mio dolore

fermati.

Cercami intensamente in quelle righe

sussurrando il mio nome

ed io verrò.

Questo mio triste viso

dagli occhioni sognanti di fanciullo

sarà vicini al tuo

e in un dolce bisbiglio

udrai da queste labbra

uscir parole che non ebbi mai

il coraggio di dirti.

 

 

 

 

Ideazione e realizzazione : Roberto Borgia.

Terza Edizione : 1998

Inizio pagina 

 

      “ …E’ inutile, de Tivuli se ne trova unu solu pe tuttu lu munnu !

      Mapperò, li Tivulisi non so più quilli de na vota.”

Evaristo Petrocchi, 1937.

 

 

 

 

 

 

Premessa

Il presente lavoro, opera della nostra insegnante Domenica Mannucci, viene rappresentato per la prima volta il 29 aprile 1998 nel complesso monumentale dell’Annunziata in occasione delle celebrazioni del Natale della nostra città.

Nel sottolineare l’impegno degli alunni della classe 2 F, nella quale l’insegnante Mannucci è docente di italiano, storia, educazione civica e geografia, impegno lodevole perché il dialetto tiburtino stenta ormai a trovare una propria giustificazione ed è certamente avulso dalle giovani generazioni, voglio appena accennare a quello che, secondo me, è il pregio essenziale di questo bozzetto : l’immediatezza narrativa che rende la scena senza che una parola risulti messa di troppo. 

Mi viene spontaneo citare quanto scrisse nel lontano 1956 Giuseppe Petrocchi ( il concittadino – guarda caso ! – al quale è intitolata la nostra Scuola Media ) a proposito di colui che rimane il maggior poeta del dialetto tiburtino, Evaristo Petrocchi :

“ Nessuno antefatto, nessuna premessa descrittiva : egli veniva subito in medias res con il suo arguto dialogare, a botta e risposta, a punte e a contrasti, e sbalzi, a sottintesi e a chiaroscuri. E il riso, anzi la risata, sgorgava inaspettata dalla sua battuta, e dalle sue figurazioni…”

Ecco, la stessa sensazione mi ha offerto il bozzetto in dialetto tiburtino    

 “ Alle scali de San Biaciu ”. Non aggiungo altro !

 

Prof. Roberto Borgia

preside della Scuola media Statale “ Giuseppe Petrocchi ”

 

 

 

 

 

 

 

Necessario post scriptum: il Manzoni sosteneva che ogni lingua è un complesso di vocaboli e di norme grammaticali regolato dall’uso, e dall’uso soltamto. Figurarsi il dialetto!

Perciò premetto per gli esperti del dialetto tiburtino che la trascrizione di alcune parole non rispetta la forma canonica ( se pure tale forma debba esistere in un dialetto ! ) che potrebbero attendersi; esempio per tutti San Biaciu invece di Sammiaciu.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

Alle scali de San Biaciu

 

 

 

 

 

 

 

di Domenica Mannucci 

 

 


 

                                                                                    

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

Personaggi:

                                            Dicitore n. 1

                                            Dicitore n. 2

                                            Filomena

                                            Marcella

                                            Antonio, mendicante

                                            Peppe, mendicante

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dicitore n. 1      : San Biàciu è ‘ngran Santu perché fa le grazzie pure a chi non è cristiànu, pure a chi non entra drento alla cchiesa.Basta asséttasse a sì tre scalini, stènne ‘na mani e…via,qua’ sòrdu s’aremmedia…(pausa)

Esso, vardéte sì dova, ( si rivolge ai due mendicanti seduti sulle scale di San Biagio ) basta mettese co’ la faccia arecciacognata, quattro panni zuzzi, arettoppati pe’ fa pena alla gente!

 

( Entrano in scena due signore molto eleganti che si dirigono verso la Chiesa )

 

Dicitore n. 1      : Sccc…Zitti,zitti…Vedémo quésse se fannu ’mpo’ de carità a sì poracci.

 

( Esce di scena )

 

(Una delle due chiama l’altra )

 

Filomena           : Oh, Marcè, chi s’arevéde!

 

Marcella           : Uh, Filomè, quantu tempu, come sta?

 

( Si abbracciano e si baciano affettuosamente )

 

Filomena           : Bene,bene, e tu?

 

Marcella           : Arengrazziènno Dio sto propriu bè, (poi, guardando l’amica dalla testa ai piedi ) Aò, ma come sì elegante !

 

Filomena           : ( Guardando anche lei dall’alto in basso ) – Uh, parla una : vàrda che pelliccia che porti, uuh, e che brilloccu, famme vedé    

( prende la sua mano ed osserva attentamente )

 

Marcella           : Me l’ha fattu maritimu a San Valentino, te piace ?

 

Filomena           : - Béllu, propriu béllu … Eh, ma pure a me m’ha fattu un girocollu, le sètte bellezze   ( lo indica )   , ché quinateme n’annu che dì.

 

Marcella           : - Vàrda che pure io non me pòzzo lamentà, perché maritimu, me porta così   ( mette la mano a piatto )    ,’nzomma me vò propriu bè, è ‘ngran santu, pure se io qua’ vòta spènno ‘mpo’ troppu.

 

Filomena           : ( curiosa ) – Ma … marititu, che lavuru fa ?

 

Marcella           : ( titubante …ménte )  - Sarannu un paru d’anni c’ha messa n’officina e …, arengràzziènno Dio, ci va propriu bè.

 

Filomena           : ( ancora più curiosa ) – Ma ci lavora o è la séa ? 

 

Marcella           : - Ma che ? E’ la séa, propriu la séa, anzi la nostra …

( pausa )…e…marititu, lavora ancora alla cartèra ?

 

Filomena           : ( quasi scandalizzata ) – Alla cartèra ? Robba vecchia ; c’è statu solu qua’ annittu e basta, lu so’ fattu licenzià …Mo …cià un ufficio pe’ cuntu séu, e loco cià tante, tante pratiche che non sa andò fa réstu !

 

Marcella           : ( curiosa ) – Va bè, ma che lavuru è ?

 

Filomena           : ( titubante ) – Mbè è un ufficio, che te pòzzo dì…è come n’aggenzia de pratiche, si capitu ?

 

Marcella           : ( facendo finta di aver capito ) – Ah, sò capitu, sò capitu !

 

Filomena           : - Marcè…va bè, me ne vàgghio perché s’è fattu tardi, la Messa sarà già ‘ncuminciata ! M’ha fattu tantu piacere arencontratte  : quanno te pare vémme a trovà…

 

Marcella           : - Pure a me m’ha fattu piacere ; ma perché ‘nvé tu a casoma, ciagghio ‘na villa…

 

Filomena           : -Vàrda che pure io ciàgghio la villa e pure l’ortu !

 

Marcella           : - Va bè, allora ci sentemu pe’ telefono, ciao Filumè, vagghio a Messa.   

 

Filomena           : - Ciao, Marcè, …pure io …

 

( Entrano in Chiesa verso parti opposte, ma … prima di entrare una si ferma e si rivolge al pubblico )

 

Filomena           : - La séte vista quella lòco, quante borie ! mb ! Mamma méa ! La pelliccia, lu brilloccu, l’officina, la villa, …ma se n’è scordata quandu ghiea scauzza e nuda pe’ cicoria ? Mo’ pare Fraccavolo da Velletri. Pussavia, ma chi te ghiama, ma chi te cerca ! Eccome va !

 

( esce dalla scena ed entra in chiesa )

 

( entra in scena Marcella )

 

Marcella           : ( scandendo in sillabe ) - … Fi  - lo – me – na,  ah, ah, ah ( ridendo ) Ha fattu li quatrini, eh ? ! Ma se n’è scordàta quandu ghiea girenno da reazzetta co’na scarpa e ‘na ciocia ? Lu padre lu ghiaméanu        “ Magnasuriche  ”, perché durante la guera, pe’ la gran fame, so’ arrivati a magnasse pure quelle !… ( pausa )   E mo, chi se crede da èsse ?…io sì che so’ ‘na signòra !

 

( esce dalla scena ed entra in Chiesa )

 

( Entra in scena il Dicitore n. 2 ridendo a crepapelle )

 

Dicitore n. 2      : - Ah, ah, ah, ah, ah, ah !!! ( si rivolge al pubblico )

Le séte viste tutte e dova ? Mbè tutta scena. so’ do’ morte de fame !  

 ( pausa …diventa serio )  poracce ! c’è aremasta la pelliccia, lu brillòccu, lu girocollu, perché, dittu tra me e vui, ( quasi a voce bassa ) non ciannu più niente. Esse però, pe’ non dà lume a cèca, esciu sempre vestite sosì e sembrano a vedelle, do’ signoròne,n’è vero ? ma prima o poi, so’ securu, me le vedragghio pure ésse assettate èsso   ( indica gli scalini ) .

 

( A questo punto entrano in scena i due personaggi seduti sulle scale di San Biagio che sono rimasti lì per tutto il tempo immobili )

 

( Uno di loro, ‘Ntogno, volge lentamente lo sguardo intorno e …guarda bieco l’altro, cioè Peppe )

 

‘Ntogno            : -Aò, tu che ci fa èsso ? Sì scalini so’ li méi, chi te cià fattu venì ecco ?

 

Peppe              : ( Si gira verso di lui con il cipiglio ) – Veramente me stéa a ghiède pure io la stéssa cosa. Ma chi sì ? Ma chi te cià mannatu ?

 

‘Ntogno            : -Aò, modera le parole, eh ! Che te faccio zompà li dénti! ( mette le mani a pugno )

 

Peppe              : Sénti, sénti, è arrivatu spaccamontagne, Kinge Konge.

 

‘Ntogno            : - Kinge Konge a me ? Arecordate che Zi’ prete ha dittu che ci pozzo stà pure io a ghiede li sordi, vabbè ! ? San Biaciu accetta tutti !

 

Peppe              : ( se lo gurda ben bene, poi, spalancando gli occhi, sorpreso, inebetito, esclama ) – Sénti ‘mpo’, ma tu, …non sì ‘Ntogno ?

 

‘Ntogno            : ( guardandolo bene a fondo ) - …e tu non sì Peppe ? !

 

( Si avvicinano l’uno all’altro e si abbracciano amichevolmente )

 

Peppe              :  - E chi te stéa a réconosce sosì conciatu ?

 

‘Ntogno            : - Eh, pure io Pe’, che ci vo fa, come ci sémo aredutti

eh ?

 

Peppe              : - Amicu méu, la vita è fatta a scali, chi le scégne e chi le sale.

 

‘Ntogno            : - Eh, ma non me l’aspettéa de scegne propriu ghiò, ghiò, finu ecco ( indica le scale )  alle scali de San Biaciu.

 

Peppe              : ( curioso ) – ‘Ntò, ma tu non ciavì ’na vòta n’officina ?

 

‘Ntogno            : ( sorride amaramente ) - …’Na vòta, si dittu bè, ‘na vòta…e tu…non eri missu n’aggenzia loco…vecinu allu bare de…

 

Peppe              : ( sorride ) – Bravu, bravu ! Mo’ però non ci sta più …so’ ghiusu !

 

‘Ntogno            : - So’ capitu tuttu Pe’, perché la stessa cosa m’è toccata a me. So’ dovutu ghiude li battenti e …anduvina pe’ colpa de chi ? …De mogghioma, che la pozzanuamma … ( si ferma e piange ) …m’hà mannatu a t’arabballà. E mo la pelliccia, mo lu brilloccu, mo la casa allu mare, la casa ‘nmontagna, la settimana bianca, la palestra, la crociéra, m’hà fattu aretrovà senza ‘nsòrdo… ( piange ) 

 

Peppe              : - ‘Ntogno meu, come te capiscio bè ! Pure la méa è sosì ! Alla fine s’era messa ‘ncapu de fasse la plastica allu muccu … ma io ci so’ dittu … “Vé qua che te la faccio io la plastica co ‘na scazzottata alle canasse ”  ( piange ) Come me so’ areduttu !

 

‘Ntogno            : - Come ci sémo aredutti … ( sospirando ) …Pe’  fortuna a nui, ci penza San Biaciu …se ‘nci fusse issu…

 

Peppe              : - Zittu ‘Nto’, tìrate là che stannu a escì do signoròne dalla cchiesa  ( i due si separano )

 

‘Ntogno            : - …Fate la carità a ‘nporu ciorcionatu …

 

Peppe              : ( espone solo un cartello grande su cui è scritto : “ HO FAME “ )

 

( Le due signore, non degnandoli neppure di uno sguardo, mettono una mano al portafoglio e gettano rispettivamente all’uno e all’altro alcune monetine )

 

Peppe              : ( meravigliato )  - … A ‘Nto, ma … ma …quella non è mogghiota ?

 

‘Ntogno            : ( facendo segno di sì )  -  A Pe’, e quella non è mogghiota téa !!?

 

Peppe              : - Sccc ! Zittu, ‘Nto’, ‘nte fa sentì, sinnò ci levanu pure sti pochi quatrini che sémo aremmediatu !

 

‘Ntogno            :- Schh …Zittu …

 

Entrambe           : ( rivolgendosi verso il portone della chiesa e facendosi il segno della croce )

 

 

“ San Bia’, sì propriu ‘ngran santu !”

 

FINE

 

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