Nel gennaio 1989, la Tavola rotonda europea degli industriali - Ert (1) - potente gruppo di pressione padronale presso la Commissione Europea, pubblica un rapporto dal titolo: Istruzione e competenza in Europa. Vi si afferma a chiare lettere che "l'istruzione e la formazione (...) sono considerate come investimenti strategici vitali per il futuro successo dell'impresa". Quindi vi si deplora che "l'insegnamento e la formazione (siano) sempre considerati dai governi e dagli organi decisionali come un affare interno (...). L'industria ha soltanto una modestissima influenza sui programmi didattici".
Un'influenza tanto più debole in quanto gli insegnanti avrebbero «un'insufficiente comprensione della realtà economica, degli affari e della nozione di profitto». La conclusione si impone: industrie e istituti scolastici e universitari dovrebbero lavorare «congiuntamente per lo sviluppo di programmi di insegnamento», in particolare con il ricorso al «teleapprendimento», al «teleinsegnamento» e alla messa a punto di «Software didattici» (per l'apprendimento attraverso il computer).
L'Ert, che annovera tra i suoi membri i grandi manager delle principali società informatiche europee (2), è dunque alla ricerca di mercati. La prospettiva della liberalizzazione delle telecomunicazioni promette al settore privato favolosi profitti, non soltanto attraverso la vendita di hardware e di software, ma anche grazie allo sfruttamento delle imprese di telefonia del tutto o in parte privatizzate. La promozione - o l'imposizione - del teleinsegnamento gli permetterebbe quindi di beneficiare sia del maggior volume delle comunicazioni telefoniche che della crescente richiesta di materiale informatico, oltre che dei proventi non meno cospicui dei diritti d'autore per la commercializzazione dei software didattici. Nel complesso, questa strategia dovrebbe adeguare sempre meglio l'insegnamento alle esigenze dell'industria, preparare il terreno al «telelavoro», ridurre i costi della formazione nelle imprese e determinare una atomizzazione degli studenti e degli insegnanti, le cui eventuali turbolenze suscitano sempre qualche timore.
Il 7 marzo 1990, la Commissione europea adotta il documento di lavoro su L'istruzione e la formazione a distanza (3). "L'insegnamento a distanza (...), vi si legge, è particolarmente utile (...) per assicurare un insegnamento e una formazione redditizi (...). Un insegnamento di elevata qualità può essere così concepito e prodotto in una sede centrale, per essere quindi diffuso ai livelli locali, con la possibilità di fruire di economie di scala. (...). Il mondo degli affari sta divenendo sempre più attivo in questo campo, sia in quanto utente e beneficiario dell'insegnamento multimediale e a distanza, sia per quanto riguarda la messa a punto e la fornitura di materiali formativi di questo tipo". Alla Commissione sono dunque bastati pochi mesi per far propria la necessità di rendere «più redditizia» la formazione e di instaurare un «mercato» dell'insegnamento, governato da «economie di scala».
Un ulteriore passo è compiuto dalla Commissione un anno dopo, nel maggio 1991 (4): "Un'università aperta è un'impresa industriale, e l'insegnamento superiore a distanza è una nuova industria. Quest'impresa deve vendere i suoi prodotti sul mercato dell'insegnamento peermanente, governato dalle leggi della domanda e dell'offerta". Nel seguito del testo, essa qualifica gli studenti come «clienti» e i corsi come «prodotti». Quindi sottolinea "la necessità (...) di impegnarsi in azioni (...) per estendere la portata, l'impatto e le applicazioni dell'apprendimento aperto e a distanza (...) per rimanere competitivi sul mercato globale". La "realizzazione di questi obiettivi (...) esige strutture didattiche" le quali "dovrebbero essere concepite in funzione dei bisogni dei clienti. (...) Si instaurerà quindi tra i fornitori di teleapprendimento una concorrenza (...) che potrà permettere di ottenere un miglioramento della qualità dei prodotti" (5).
Il 26 maggio 1994, l'esecutivo di Bruxelles pubblica un rapporto di un gruppo di venti alte personalità - tra cui cinque membri dell'Ert - su L'Europa e la costruzione della società dell'informazione planetaria (6). A eccezione di Martin Bangemann, l'ultraliberista commissario europeo all'industria, tutti gli autori sono industriali. I loro obiettivi: "Creare entro la fine del 1995 centri di telelavoro per almeno 20.000 lavoratori in venti città. Si passerebbe quindi al telelavoro entro il 1996, per il 2% dei colletti bianchi, e a 10 milioni di posti di telelavoro entro il 2000 (...). I fornitori del settore privato (...) si lanceranno sul mercato dell'insegnamento a distanza (...)".
E' anche per favorire l'avvento di questo teleinsegnamento che nel 1994 la commissione crea il programma Leonardo da Vinci (7), dotato di un bilancio iniziale di circa 1.200 miliardi di lire. Questo programma è destinato infatti a incoraggiare «la formazione per tutta la durata della vita» e «lo sviluppo di "nuove forme di apprendimento "».
Quasi contemporaneamente, a Bruxelles, in occasione di una riunione straordinaria del G7 dedicata alla società dell'informazione, gli industriali dell'Ert battono sullo stesso chiodo con un nuovo rapporto (8): "La responsabilità della formazione deve, in definitiva, essere assunta dall'industria (...) Sembra che nel mondo della scuola non si percepisca chiaramente quale sia il profilo dei collaboratori di cui l'industria ha bisogno. (...) L'istruzione deve essere considerata come un servizio reso (...) al mondo economico. (...) I governi nazionali dovrebbero vedere l'istruzione come un processo esteso dalla culla fino alla tomba (...). Istruzione significa apprendere, non ricevere un insegnamento (...) Non abbiamo tempo da perdere".
Lo stesso anno, la Commissione pubblica il suo Libro bianco sull'istruzione e la formazione (9) che risponde alle esigenze dell'Ert. Vi si legge in effetti: «Il rapporto della Tavola rotonda degli industriali europei (febbraio 1995) insiste sulla necessità di una formazione polivalente in cui si incita a "imparare ad apprendere" lungo tutto il corso della vita. (...) La Commissione dal canto suo sottolinea la necessità di incoraggiare la produzione europea di software didattici». Ad esempio, il programma Socrates, dotato di un bilancio iniziale di quasi 1.700 miliardi di lire ripartiti su quattro anni, si propone in particolare di «conferire una dimensione europea all'acquisizione di conoscenze a domicilio» (10). All'inizio del 1996, la Commissione europea proporrà di «incentivare la ricerca» nel campo dei «software didattici multimediali» e di aumentare i finanziamenti già esistenti in questo campo (11).
L'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) interviene a sua volta pubblicando il resoconto di una tavola rotonda che si è svolta a Filadelfia (Stati Uniti) nel febbraio 1996 (12). "L'apprendimento a vita, vi si afferma, non può fondarsi sulla presenza permanente di insegnanti" ma deve essere assicurato "da prestatori di servizi educativi. (...) La tecnologia crea un mercato mondiale nel settore della formazione (...) La nuova possibilità di proporre programmi didattici in altri paesi, senza obbligare studenti e insegnanti a spostarsi, potrebbe avere senz'altro importanti ripercussioni sulla struttura del sistema scolastico e formativo su scala mondiale". Se il ruolo dei pubblici poteri non viene disconosciuto, è comunque limitato ad "assicurare l'accesso all'apprendimento a coloro che non costituiranno mai un mercato redditizio, e la cui esclusione dalla società in generale si accentuerà nella misura in cui gli altri continueranno a progredire". Qui l'Ocse esprime a chiare lettere ciò che l'Ert e la Commissione non avevano osato dire: gli insegnanti residuali si occuperanno della popolazione "non redditizia".
Nello stesso rapporto si citano vari esempi dei vantaggi del teleinsegnamento nel settore industriale. La Robert Bosch GmbH impiega 95.000 dipendenti su 50 siti in Germania. Nel 1994, per la formazione del solo personale tedesco l'azienda ha speso 265 milioni di marchi (260 miliardi di lire circa). Bosch ritiene eccessivi questi costi, e pensa che i dipendenti debbano formarsi a domicilio, sul personal computer («così come utilizzano il proprio mezzo di trasporto personale per recarsi al lavoro»). Dal 1996, il 20% del personale provvede alla propria formazione a domicilio durante il "tempo libero", facendo così economizzare a Bosch le spese di formazione nell'impresa. In Gran Bretagna il progetto Tilt (Teaching with Indipendent Learning Tecnologies), dotato di un finanziamento equivalente a 3mila miliardi di lire, ha lo scopo di "addestrare gli studenti a imparare da soli (e) a sviluppare software didattico". Ispirata da questi esempi, l'Ocse pubblica nel 1996 un rapporto che raccomanda "un maggiore impegno da parte degli studenti nel finanziamento di gran parte dei costi della propria istruzione" (13).
L'obiettivo degli industriali si delinea chiaramente: creare, ai margini della rete dell'insegnamento pubblico, ridotto ad erogare un'istruzione di base, un vasto sistema di teleinsegnamento privato e commerciale. Resta però un problema non indifferente: in numerosi paesi esiste una normativa per l'insegnamento a distanza «per corrispondenza», che dipende dal sistema della pubblica istruzione; e anche l'insegnamento commerciale e per corrispondenza è regolato da leggi nazionali. Alcuni stati potrebbero quindi opporre complicazioni allo sviluppo di iniziative private di insegnamento.
La Commissione europea mette allora al lavoro i propri giuristi. Ed ecco il risultato: «Il Trattato Cee prevede (...) un'azione della comunità nel campo dell'istruzione e della cultura. Questa disposizione limita quindi le competenze nazionali. Lo sviluppo dell'istruzione a distanza è esplicitamente citato come uno degli obiettivi dell'azione della comunità. (...) L'insegnamento privato a distanza costituisce un servizio». Ora, «la libera prestazione di servizi è garantita dall'articolo 59 e successivi del Trattato (...). E' quindi possibile farla valere direttamente contro le restrizioni imposte dagli stati membri» (14).
Il sillogismo è ineccepibile: l'insegnamento a distanza è un servizio; i servizi possono essere forniti da qualsiasi prestatario, pubblico o privato, su tutto il mercato interno; perciò la sovranità nazionale in materia è limitata.
Ma l'attribuzione e il riconoscimento dei diplomi rientrano nel campo nazionale o pubblico, e restano rigorosamente regolamentati; e per modificare o abolire le normative di ogni singolo stato ci vorrebbero anni. Perciò, per procedere più in fretta la Commissione ricorre a un nuovo colpo di genio: la messa a punto di una «carta di accreditamento delle competenze».
L'idea è semplice. Immaginiamo che un giovane acceda a vari fornitori commerciali di insegnamento attraverso Internet, ottenendo così, dietro pagamento, «competenze» in materia tecnica, linguistica e di gestione. A seconda del suo autoapprendimento, i fornitori di insegnamento gli «accrediteranno» le conoscenze acquisite. Questo «accreditamento» sarà contabilizzato su un dischetto (definito «carta»), che lo studente avrà inserito nel suo computer, collegato con i suoi fornitori. Quando cercherà un lavoro, introdurrà nel suo computer questo dischetto e si collegherà a un sito di «offerte di lavoro» gestito da un'associazione padronale. Il suo profilo sarà allora analizzato da un software, e se le sue "competenze" corrisponderanno a quelle richieste da un datore di lavoro, sarà assunto. I diplomi dunque non serviranno più: il padronato gestirà il suo proprio sistema senza preoccuparsi del controllo degli stati e del mondo universitario.
Il 29 febbraio 1996, la Commissione lancia un appello con l'invito ad avanzare proposte sull'attuazione della seconda fase del programma Leonardo da Vinci. In un «Info Memo» esplicativo distribuito agli interessati la Commissione precisa che si tratta di «assicurare a ciascuno il riconoscimento delle proprie competenze attraverso un sistema flessibile e permanente di accreditamento di unità di conoscenza (...) che consenta a chiunque di far convalidare le proprie conoscenze e competenze su una carta personale. (...). Queste carte personali diventeranno veri e propri passaporti per l'accesso al lavoro (15)».
Il 6 maggio 1996, i ministri dell'istruzione dei Quindici decidono di «incoraggiare le azioni di ricerca sui prodotti e sui processi di apprendimento, istruzione e formazione a distanza, compresa anche la creazione e la messa a punto di software didattici multimediali» (16). E l'Ocse interviene di nuovo, scrivendo in un rapporto: «Negli Stati uniti, il progetto Annenberg/Cpb collabora con i produttori in Europa, in Giappone e in Australia per la creazione di vari tipi di nuovi corsi, che dovranno essere utilizzati nel teleinsegnamento (...) Gli studenti diverranno clienti, e gli istituti di studi saranno concorrenti in lotta tra loro per ottenere quote di mercato (...). Gli istituti sono incitati a conportarsi come imprese (...). Gli studenti dovranno pagare, interamente o in parte, il prezzo dei loro corsi» (17).
Frattanto, l'Ert vuole verificare l'efficacia dei software didattici. E non solo per quanto riguarda la formazione professionale, che è ormai accettata, ma anche per l'insegnamento fondamentale - primario e secondario - che costituisce il principale «mercato» in termini di «economia di scala». La Petrofina e l'Ibm Belgio/Lussemburgo lanciano il progetto «Scuola di domani». Nel testo della sua presentazione, Francois Cornélis, presidente della direzione di Petrofina, membro dell'Ert (e presto anche presidente del Consiglio d'amministrazione dell'università cattolica di Lovanio) assicura: «Nella linea dei due rapporti dedicati (dall'Ert) al futuro dell'educazione, Petrofina ha voluto partecipare alla verifica sul campo (dell'ipotesi secondo la quale) il computer autorizza una maggior flessibilità dell'apprendimento, e induce nell'alunno un comportamento più autonomo». Il primo progetto, avviato nel settembre 1996, riguarda oltre 1000 bambini e 58 insegnanti di sette scuole fondamentali in Belgio. Altre operazioni di «verifica» sono in corso o in programma.
Contemporaneamente, l'Ert precisa le sue posizioni in un rapporto del 1997: "Non c'è tempo da perdere. La popolazione europea deve impegnarsi in un processo di apprendimento per l'intera durata della vita (...). L'uso appropriato delle Tic (tecnologie dell'informazione e della comunicazione) nel processo di apprendimento imporrà importanti investimenti in termini finanziari e umani, che genereranno benefici commisurati alla posta in gioco (...). Occorrerà che tutti i discenti si dotino degli strumenti pedagogici di base, così come hanno acquistato un televisore» (18).
Resta da precisare la "dimensione" di questo mercato potenziale, e ciò che genitori e stato sono disposti a pagare. In Francia, Educinvest (Générale des eaux) che gestisce 250 scuole private, realizza un fatturato annuo equivalente a circa 75 miliardi di lire (19). E' quindi possibile farsi un'idea di quanto alcuni genitori siano disposti a pagare per dare ai propri figli un'assicurazione, sia pure aleatoria, contro la disoccupazione. In Belgio una ricerca rivela che la media annua delle spese sostenute dai genitori per l'istruzione equivale a circa 9 milioni di lire (20). Dal canto suo, l'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico precisa: «Nella maggior parte dei paesi dell'Ocse, la spesa totale per l'istruzione rappresenta una percentuale del prodotto interno lordo (Pil) che varia dal 5 all'8%; la quota sostenuta dal settore pubblico oscilla tra il 10 e il 15% del totale della spesa pubblica (...). La spesa annua dei paesi dell'Ocse per la scuola ammonta a 1.000 miliardi di dollari» (21).
Nel febbraio 1998, il ministro francese della pubblica istruzione Claude Allègre, dopo aver definito "immotivato" lo sciopero degli insegnanti delle scuole secondarie in Francia, ha dichiarato che il suo obiettivo era "istillare quello spirito d'impresa e di innovazione" che manca alla scuola francese. Annunciando il lancio di un'agenzia per la promozione della formazione all'estero, ha poi aggiunto: «Venderemo all'estero il nostro savoir-faire; ci siamo fissati un obiettivo di due miliardi di franchi di fatturato in tre anni. Sono convinto che questo sia il grande mercato del XXI secolo. Un solo esempio: un paese come l'Australia guadagna 7 miliardi di franchi esportando formazione» (22).
Nello stesso mese, in Belgio, il conduttore di una radio universitaria chiede a Marcel Crochet, rettore dell'università cattolica di Lovanio, se l'Ert eserciti un'influenza sulla politica della scuola. Ed ecco la sua risposta: «Sì, lo spero! Questa Tavola rotonda europea, che ha scritto due rapporti di grande rilievo (...) dà indicazioni sull'uso dei mezzi moderni per migliorare l'apprendimento. Questi due documenti stanno facendo attualmente il giro delle università europee ed estere; vi si indicano possibilità sorprendenti (...) (le quali) coincidono perfettamente con quelle indicate dal Consiglio dei rettori europei e da altre istanze». Questo è senz'altro l'aspetto più inquietante della questione: sembra che la commercializzazione dell'insegnamento sia accettata, e anzi incoraggiata, oltre che dagli esponenti politici, anche da alcuni rettori universitari.
GERARD
DE
SÉLYS
Giornalista,
autore
di
Tableau
noir,
appel
à
la
résistence
contre
la
privatisation
de
l'enseignement,
EPO,
Bruxelles,
maggio
1998.
(1)
L'Ert
fondata
nel
1983,
è
costituita
dai
47
maggiori
manager
industriali
europei.
Citiamo
ad
esempio:
Jéróme
Monod
(Suez-Lyonnaise
des
Eaux),
Louis
Schweitzer
(Renault),
Alain
Joly
(Air
Liquid),
Jean-René
Fourtou
(Rhone-Poulenc)
Jean-Louis
Beffa
(Saint-Gobain),
Etienne
Davignon
(Société
Générale
de
Belgique),
Francois
Cornelis
(Petrofina),
Carlo
De
Benedetti
(Cofide-Cir),
Mark
Wossner
(Bertelsmann).
Per
una
storia
dell'Ert
e
dei
suoi
metodi,
leggere
Gérard
De
Sélys,
Privé
de
public,
à
qui
profitent
les
privatisation,
Editions
EPO,
Bruxelles,
1995.
Leggere
inoltre
Susan
George,
"Trasnazionali,
quinta
colonna
a
Bruxelles"
Le
Monde
diplomatique/Il
Manifesto,
dicembre
1997.
(2)
Olivetti,
Philips,
Siemens,
Ici,
Ericsson,
General
Electric
Company,
Bertelsmann
(software
didattici),
British
Telecom,
Telefonica.
(3)
L'educazione
e
Informazione
a
distanza,
Sec
(90)
476,
7
marzo
1990
(4)
Rapporto
sull'insegnamento
superiore
aperto
e
a
distanza
nella
comunità
europea,
Sec
(91),
388
finale,
24
maggio
1991.
(5)
Memorandum
sull'apprendimento
aperto
e
a
distanzanella
comunità
europea,
Com
(91)
388
finale,
12
novembre
1991.
(6)
L'Europa
e
la
società
dell'informazione
Planetaria,
Cd-84-94-290-1T-C,
26
maggio
1994.
(7)
Leonardo
Da
Vinci,
programma
d'azione
per
l'attuazione
di
una
politica
di
formazione
professionale
della
comunità
europea,
1995-1999,
Ufficio
delle
pubblicazioni
ufficiali
delle
comunità
europee,
Lussemburgo.
Si
veda
altresì
il
Journal
Offciel
des
Communautés
Européennes,
L
340
del
29
dicembre
1994,
p.8.
(8)
Une
education
européenne
-
vers
une
société
qui
apprend,
Rapporto
della
tavola
rotonda
degli
industriali
europei,
Ert
febbraio
1995.
(9)
Libro
bianco
dell'istruzione
e
la
formazione.
Insegnare
a
apprendere:
verso
la
società
cognitiva.
Com
(95)
590
finale.
Il
commissario
europeo
responsabile
per
l'istruzione
era
allora
Edith
Cresson,
già
primo
ministro
francese.
(10)
Journal
officiel
des
Communautés
européennes,
L.
87
del
20
aprile
1995.
(11)
Leggere
Philippe
Rivière,
"Les
sirènes
du
multimédia
à
l'école",
le
Monde
diplomatique,
aprile
1998.
(12)
Adult
Learnig
and
Tecnology
in
Oecd
Countries,
Ocse,
Parigi,
1996.
(13)
Intemationalisation
ofhigher
Education,
Ocse,
Parigi,
1996.
(14)
L'insegnamento
a
distanza
nel
diritto
economico
e
nel
diritto
dei
consumi
sul
mercato
interno,
Ufficio
delle
Pubblicazioni
ufficiali
delle
comunità
europee,
Lussemburgo,
1996.
(15)
The
European
Skill
Accreditation
System,
Esas,
senza
data
né
riferimenti.
(16)
Resoconto
dei
Conscil
Education
dei
6
inaggio
1996
(680:
96
Presw
122-G).
(17)
Les
Tecnologies
de
l'information
te
l'Avenir
de
l'einsegnement
post-secondaire,
Ocse,
Parigi
1996.
(18)
Investir
dans
la
connaissance
-
l'intégration
de
la
technologie
dans
l'éducation
européenne,
Ert,
Bruxelles.
febbraio
1997.
(19)
Les
Echos,
21
febbraio
1995
(20)
Daniel
Van
der
Gucht,
Les
Investissemens
éducatifs
des
familles
en
communauté
francaise,
Université
libre
de
Bruxelles,
Institut
de
sociologie,
Centre
de
Sociologie
générale
et
de
méthodologie,
marzo
1997.
(21)
Regards
sur
l'éducation
-
Les
indicateurs
de
l'Ocde,
Parigi,
1997.
(22)
Les
Echos,
3
febbraio
1998.
1
franco
=
290
lire
circa.