Il
documento
di
cui
riportiamo
ampi
stralci,
è
stato
scritto
dalle
donne
della
marcia
mondiale,
una
mobilitazione
internazionale
che
venne
proposta
a
Québec
[Canada]
l'8
marzo
del
2000
per
reagire
al
fatto
che
i
rappresentanti
dei
governi
di
tutto
il
mondo,
riuniti
a
Pechino
cinque
anni
prima
per
la
quarta
conferenza
internazionale
sulla
donna,
firmarono
impegni
per
migliorare
la
condizione
delle
donne
nei
loro
paesi.
Questi
impegni
non
sono
stati
rispettati.
Le
donne
hanno
deciso
di
agire
per
proprio
conto
e
lottare:
contro
la
povertà
e
per
la
distribuzione
equa
della
ricchezza;
contro
la
violenza
e
per
il
rispetto
dell'integrità
fisica
e
mentale,
contro
la
violenza
della
guerra
che
colpisce
oggi,
più
che
gli
uomini
armati,
le
popolazioni
civili:
le
donne
e
i
loro
bambini
subiscono
bombardamenti,
fame,
terrore
La
doppia
lingua
del
mondo
maschile
Riporto
solo
l'introduzione
e
l'ultimo
capitolo
del
documento
della
Marcia
delle
donne
verso
Porto
Alegre
2002,
dal
titolo
"Alternative,
prospettive,
orientamenti
che
permettono
di
andare
verso
l'eliminazione
completa
di
tutte
le
violenze
verso
le
donne".
Introduzione
Il
Forum
sociale
mondiale
ha
scelto,
per
questo
secondo
incontro
di
Porto
Alegre,
di
creare
uno
spazio
di
riflessione
e
di
dibattito
sulle
alternative
alla
"cultura
della
violenza".
La
Marcia
mondiale
delle
donne
ha
accettato
di
redigere
un
testo
che
servirà
da
base
per
una
discussione
in
questo
Forum.
Abbiamo
deliberatamente
voluto
parlare
di
violenza
verso
le
donne
per
illustrare
quanto
questo
tipo
di
violenza,
queste
problematiche,
siano
centrali
in
una
"cultura
della
violenza".
Non
stiamo
forse
parlando
di
una
violenza
in
qualche
modo
paradigmatica?
Abbiamo
deliberatamente
voluto
parlare
della
violenza
verso
le
donne
perché
sono
sempre
le
donne
a
portare
la
parola
sulla
violenza.
Ma
non
è
sbagliato
parlare
di
"cultura
della
violenza?"
Non
è
paradossale,
senza
precauzioni,
usare
la
parola
cultura
che
ha
una
connotazione
positiva
assieme
alla
la
parola
violenza
che
ha
una
connotazione
negativa?
L'uso
della
parola
cultura
postula
la
legittimazione
sociale,
il
consenso
e
la
trasmissione.
Trasmissione
della
violenza,
legittimazione
sociale,
più
o
meno
forte.
È
esattamente
ciò
che
accade
quando
le
violenze
incontrano
le
donne.
Senza
negare
l'importanza
delle
altre
forme
di
violenza,
crediamo
che
è
solo
capendo
bene
le
cause
e
le
conseguenze
della
violenza
verso
le
donne
che
possiamo
posare
la
prima
pietra
di
una
ricerca
delle
alternative
per
un
altro
mondo
basato
sull'eguaglianza
e
il
rispetto
dell'altro.
Questo
testo
si
propone
dunque
di
dimostrare
l'universalità
della
violenza,
delle
sue
diverse
forme
ma
soprattutto
di
analizzarne
le
cause
per
poterla
sradicare.
Condanniamo
il
patriarcato,
questo
sistema
millenario
di
ineguaglianza,
di
prevaricazione,
di
privilegio,
di
discriminazione,
di
valori,
di
norme,
di
politiche,
basato
sulla
pretesa
che
esista
una
inferiorità
naturale
delle
donne
e
sulla
gerarchizzazione
dei
ruoli
assegnati
nelle
nostre
società
agli
uomini
e
alle
donne.
È
questo
sistema
che
genera
violenze.
Noi
condanniamo
la
globalizzazione
capitalistica
neoliberista
che
si
fonda
sulla
divisione
sessuale
del
lavoro
per
creare
ulteriori
ineguaglianze
tra
gli
uomini
e
le
donne,
terreno
molto
favorevole
all'accrescimento
delle
violenze.
Vogliamo
mettere
fine
a
queste
violenze
e
elencheremo
gli
elementi
che
devono
immediatamente
essere
modificati.
Le
attrici
e
gli
attori
delal
lotta
contro
la
globalizzazione
neoliberista
sono
tutti
naturalmente
coinvolti.
Speriamo
che
chiunque
legga
questo
testo
dia
il
suo
contributo
di
riflessioni
e
proposizioni
per
arrivare
a
Porto
Alegre
2002
con
un
testo
forte
e
puntato
sull'azione".
Conclusioni
"Come
uscirne?
Come
far
sì
che
queste
violenze,
molto
più
che
doppiamente
millenarie,
si
fermino?
Le
discriminazioni
nei
confronti
delle
donne,
le
ineguaglianze
che
subiscono
sono
ancora
tropo
spesso
inscritte,
istituzionalizzate,
nel
diritto
e
nelle
leggi
di
molti
paesi.
Durante
tutto
il
ventesimo
secolo
e
ancora
oggi
le
femministe
hanno
lottato
e
lottano
per
il
riconoscimento
dei
loro
diritti
fondamentali.
Hanno
rivendicato
e
fatto
in
modo
che
le
loro
vittorie
abbiano
avuto
un
riconoscimento
ufficiale
nelle
leggi.
Il
riconoscimento
dei
loro
diritti
formali
è
ancora
oggi
una
battaglia
centrale
che
si
svolge
sia
a
livello
nazionale
che
internazionale.
Vogliamo
dunque
innanzitutto
inscrivere
l'interdizione
delle
violenze
nelle
leggi
di
ogni
paese,
trasferire
nel
diritto
di
ogni
nazione
i
contenuti
delle
convenzioni
internazionali
o
regionali
laddove
esistono.
In
secondo
luogo,
far
sì
che
queste
leggi
effettivamente
impediscano
la
totalità
delle
violenze.
Ci
sono
ancora
paesi
nei
quali
la
violenza
coniugale
non
è
un
crimine:
per
esempio
l'India,
la
Malesia,
la
Paupasia-Nuova
Guinea,
la
Serbia.
Ci
sono
ancora
paesi
dove
la
violenza
coniugale,
sia
essa
fisica
che
psicologica,
neppure
viene
riconosciuta,
come
Haiti.
Ci
sono
ancora
paesi
nei
quali
il
codice
penale
stabilisce
che
uno
stupratore
che
sposa
la
donna
che
ha
violentato
non
è
perseguibile:
ad
esempio
Costa
Rica,
Etiopia,
Libano,
Perù,
Uruguay.
Ci
sono
infine
paesi
in
cui
non
è
considerata
molestia
sessuale
sul
lavoro
quella
di
un
collega
ma
solo
quella
di
un
superiore,
come
in
Francia.
In
effetti,
in
quasi
tutti
i
paesi
del
mondo
le
leggi
che
reprimono
le
violenze
verso
le
donne
sono
molto
mal
applicate
perché
manca
una
reale
volontà
politica.
Alcuni
paesi
occidentali
praticano
il
doppio
linguaggio:
si
indignano
sinceramente
delle
violenze
nei
confronti
delle
donne,
e
versano
due
o
tre
lacrime
di
compassione
e
allo
stesso
tempo
lasciano
coprire,
in
nome
della
libertà
di
espressione,
i
muri
delle
loro
città
di
manifesti
pubblicitari
che
degradano
e
avviliscono
l'immagine
della
donna
e
che
sono
veri
incitamenti
allo
stupro.
Ma
le
leggi
non
possono
fare
tutto;
È
responsabilità
degli
stati
di
tutti
i
paesi
del
mondo
far
sì
che
le
violenze
nei
confronti
delle
donne
siano
intollerabili
per
tutte
e
per
tutti.
È
responsabilità
degli
stati
di
tutti
i
paesi
del
mondo
educare
le
popolazioni
con
ogni
mezzo
in
questo
senso
e
fin
dalla
più
tenera
età.
È
responsabilità
degli
stati
di
tutti
i
paesi
del
mondo
rendere
consapevoli
delle
violenze
contro
le
donne
tutta
la
società
civile,
nel
campo
della
salute,
dell'insegnamento,
della
giustizia,
della
polizia…
che
sia
in
grado
di
recepire
il
messaggio.
È
responsabilità
degli
stati
di
tutti
i
paesi
del
mondo
riconoscere
e
promuovere
l'uguaglianza
tra
i
sessi
e
i
diritti
fondamentali
delle
donne.
Siamo
ancora
lontani?
Evidentemente,
dal
momento
che
alcuni
stati
istituzionalizzano
le
violenze
verso
le
donne.
Ma
non
ci
siamo
noi
proprio
per
pensare
l'utopia?
Ma
non
ci
sono
solo
gli
stati
a
doversi
prendere
le
loro
responsabilità.
I
movimenti
sociali
nel
loro
insieme,
le
associazioni
anti-globalizzazione
neoliberista,
le
organizzazioni
sindacali
e
politiche
devono
farsi
carico
delle
denunce
delle
violenze
verso
le
donne.
I
sindacati,
ad
esempio,
devono
denunciare
le
molestie
sessuali
sul
lavoro.
È
responsabilità
di
tutti,
uomini
e
donne,
prendere
posizione
contro
le
violenze
ovunque
le
si
incontrino,
ivi
comprese
le
nostre
organizzazioni
militanti
miste,
e
fare
in
modo
che
non
si
verifichino.
È
nostra
responsabilità
dei
nostri
compagni
uomini
dei
movimento
sociali
e
di
solidarizzare
pubblicamente,
in
nome
di
un'altra
società
che
vogliamo
costruire
assieme,
con
la
lotta
delle
femministe
contro
le
violenze.
Perché
non
impegnarsi
per
una
comune
lotta
per
una
dichiarazione
solenne
dei
movimenti
sociali
e
della
Marcia
mondiale
delle
donne?
Perché
non
organizzare
un
tribunale
internazionale
sulle
violenze
verso
le
donne
in
occasione
del
terzo
incontro
del
Forum
sociale
mondiale?
Le
violenze,
di
ogni
tipo,
privano
le
donne
della
loro
autonomia
e
minano
la
loro
integrità
fisica,
morale,
psicologica
e
intellettuale.
Impediscono
loro
di
lavorare,
di
lottare,
di
divertirsi…
cioè
di
vivere.
Ciò
che
crea
e
legittima
le
violenze
sono
le
ineguaglianze,
i
fanatismi,
le
discriminazioni
di
cui
le
donne
sono
vittime,
lo
stato
di
inferiorità
o
di
marginalità
nel
quale
si
vuole
tenerle.
Le
violenze
sono
le
estreme
garanti
dell'oppressione
delle
donne
e
parallelamente
le
nostre
società
ineguali
sono
la
culla
delle
violenze.
Gli
uomini
certamente
perderanno
dei
privilegi
nella
lotta
contro
le
ineguaglianze
donne/uomini.
Ma
non
ci
vogliamo
riunire
proprio
per
abbattere
i
privilegi,
tutti
i
privilegi?
…
Per
costruire
un
altro
mondo,
perché
sia
possibile,
i
movimenti
sociali
devono
rimettere
in
questione
i
rapporti
ineguali
tra
uomini
e
donne;
devono
connettere
il
legame
che
esiste
tra
capitalismo,
sessismo
e
razzismo;
devono
lottare
per
il
rispetto
dei
diritti
delle
donne;
devono
rimettere
in
questione
la
cultura
della
violenza
sia
nelle
pratiche
individuali
che
in
quelle
collettive.
È
solo
a
queste
condizioni
che
si
può
pretendere
di
scuotere
le
fondamenta
del
sistema
patriarcale
e
della
globalizzazione
liberista.