News e curiosità

(dal "corriere della Sera")

NEW YORK - Bono, Il cantante del gruppo irlandese degli U2 , che torna a invocare la cancellazione del debito dei Paesi poveri. Il sitarista indiano Ravi Shankar e il jazzista americano Branford Marsalis che offrono la loro musica per celebrare un mondo «unito nella diversità culturale». E quaranta leader religiosi di tutte le confessioni che riflettono sul bisogno di cercare il dialogo per superare le incomprensioni. La «Davos sul fiume Hudson», com’è già stata definita questa edizione 2002 del World Economic Forum, trasferita a New York dopo trent’anni di permanenza nella cittadina sciistica fra le montagne svizzere, si è aperta ieri allineando volti e parole che spezzano molti luoghi comuni.

ELITE DI POTENTI - Non è più il gran raduno annuale di una ristretta élite di potenti che si ergono a «governo ombra» della politica e dell’economia planetarie. «Dopo l’11 settembre, niente è più come prima», ripetono tutti. Lo stesso passaggio dall’eden elvetico viene spiegato come «un gesto di solidarietà» verso la metropoli ferita, sebbene fra i motivi del cambio ci sia anche il crescente timore degli stessi abitanti di Davos per violente manifestazioni no global. Ma soprattutto, terrorismo e guerra in Afghanistan hanno fatto cadere ogni illusione di un mondo in armonia. Il boom economico ha lasciato il posto alla recessione, la globalizzazione ha aperto voragini incolmabili fra ricchi e poveri. Così a New York, fra i 2700 delegati chiamati a discutere per cinque giorni su come uscire da quest’epoca di «fragilità e inquietudine», ci sono molte figure che uno avrebbe trovato più consono vedere al summit sociale di Porto Alegre.

GRANDE POLITICA - La grande politica, per esempio. Il presidente George W. Bush ha mandato il suo segretario di Stato Colin Powell e quello al Tesoro Paul O’Neill. Ci sarà anche il cancelliere tedesco Gerhard Schröder e il suo ministro del Tesoro Hans Eichel. Ma ci sarà anche il leader del governo afghano Hamid Karzai, così come una trentina fra capi di Stato e ministri latinoamericani e arabi. E un’accoglienza da eroe l’ha già ricevuta Rudolph Giuliani, l’ex sindaco che qui riveste l’incarico di co-presidente del summit.
Lo stesso per il business: dall’ex re della speculazione finanziaria George Soros al capo della Banca Mondiale James Wolfensohn, dal consulente dell’Fmi Stanley Fisher fino al leggendario Mohammad Yunus, il banchiere del Bangladesh che ha inventato il concetto di «microcredito» per sostenere l’economia degli ultimi della terra. Senza contare le voci dell’intellighenzia e persino dello spettacolo, come quella dell’attore Warren Beatty, icona liberal di Hollywood.

ANTI-GLOBALIZZAZIONE - Quanto al movimento no global, il fondatore e leader del World Economic Forum, il professore d’economia svizzero Klaus Schwab, sottolinea che «il 40% dei partecipanti sono businessmen, ma oltre il 30% sono "idealisti"», un termine con cui lui indica «esponenti religiosi, ambientalisti, sindacalisti, promotori di movimenti sociali». In realtà, molti gruppi anti-globalizzazione non si vedranno nemmeno: chi è andato a Porto Alegre, chi non è stato invitato. Altri invece, da Greenpeace a Terre des Hommes , hanno deciso di esporre comunque le loro idee dentro un Waldorf Astoria, l’hotel dove si svolgono i lavori, circondato da transenne, posti di blocco e oltre 4 mila agenti antiguerriglia. Manifestare all’esterno sarà in ogni caso difficile. Un po’ per la promessa di «tolleranza zero» ribadita dal Dipartimento di polizia, che ha anche rispolverato una legge ottocentesca (concepita contro il Ku Klux Klan) che vieta l’uso di maschere e passamontagna nei luoghi pubblici.

EROI NAZIONALI - Un po’ perché scontrarsi con un corpo di «eroi nazionali» com’è considerata la polizia dopo l’11 settembre significa tirarsi addosso la riprovazione dei media. Così, sui tre cortei di protesta ufficialmente in programma per sabato regna ogni incertezza. Ma già ieri, alla prima giornata del summit, altre certezza sono andate in fumo. Come quella di una ripresaeconomica certa, almeno negli Usa, entro metà 2002. Stephen Roach, autorevole capo economista della banca d’affari americana Morgan Stanley, ha gelato tutti ipotizzando «recessione per un paio d’anni». Peggio ancora: secondo Roach, lo stesso processo di globalizzazione così come lo abbiamo conosciuto finora, tutto trainato dagli Usa, «non è più sostenibile».

Giancarlo Radice