Come
spiegheresti
l’omosessualità
ad
una
persona
“comune”?
Se
per
“comune”
intendiamo
una
persona
che
ha
problemi
ad
affrontare
il
tema
omosessualità,
inizierei
ricordando
che
gli
omosessuali
rappresentano
una
percentuale
compresa
fra
il
5
e
il
10
per
cento
della
popolazione
e
che
quindi
omosessuale
potrebbe
essere
suo
figlio
o
sua
figlia,
suo
marito
o,
perché
no,
persino
il
suo
desiderio
che
lei
trasforma
in
omofobia
nel
momento
in
cui
lo
esprime,
magari
con
aggressività.
Ma
allora
come
definisci
l’omosessualità?
Io
porrei
questa
domanda:
“Perché
una
persona
che
non
fa
del
male
a
nessuno,
non
commette
alcun
reato
e,
senza
disturbare
il
prossimo,
vuole
vivere
una
sessualità
diversa,
deve
rappresentare
un
problema?”.
Nei
miei
20
anni
di
militanza
mi
è
capitato
spesso
di
porre
questa
domanda
in
televisione,
nelle
radio
o
nei
dibattiti
pubblici.
E
devo
dire
che
questo
modo
di
ragionare
era
efficace.
Ma
più
efficace
non
era
tanto
il
ragionamento
che
facevo,
quanto
il
fatto
che
fossi
lì
a
farlo.
Nel
mondo,
e
quindi
anche
in
Italia,
esiste,
attorno
all’omosessualità,
uno
stereotipo
terribile:
i
pregiudizi
fanno
sì
che
le
persone
siano
ostili
agli
omosessuali
senza
conoscerli,
perché
la
paura
dell’omosessualità
è
la
paura
del
diverso,
di
ciò
che
non
si
conosce.
E
allora
è
fondamentale
il
problema
della
visibilità
omosessuale.
Cosa
infastidisce
dell’omosessuale?
Infastidisce
l’idea
che
gli
omosessuali
possano
avere
una
vita
normale.
Quando
una
persona
pensa
all’omosessualità
più
o
meno
inconsciamente
è
portata
a
pensare
a
se
stessa
e
ai
propri
familiari.
A
questo
proposito,
mi
viene
in
mente
la
reazione
di
Miriam
Mafai
al
Costanzo
Show
quando
ha
detto:
“Se
il
mio
nipote
prediletto
mi
dicesse
di
essere
gay,
questo
sarebbe
un
problema”.
Questa
affermazione
è
rivelatrice
del
pregiudizio,
degli
stereotipi
e
quindi
dell’omofobia
anche
in
persone
progressiste
che
di
norma
ci
difendono;
ciò
avviene
perché
l’omosessualità
e
gli
omosessuali
richiedono
di
essere
riconosciuti
ed
accettati
esattamente
come
chiunque
altro.
L’omosessualità
evidentemente
non
gode
di
una
buona
immagine
nella
nostra
società,
non
è
desiderabile,
né
per
sé
né
per
i
propri
figli,
a
causa
della
propaganda
omofobica
dei
nostri
avversari.
Noi
dobbiamo
lavorare
su
quello
che
dice
l’Organizzazione
Mondiale
della
Sanità:
l’omosessualità
è
una
caratteristica
della
personalità
come
tante
altre
e
in
questo
modo
rispondo
alla
tua
domanda
sulla
definizione
di
omosessualità.
Qualcuno
potrebbe
accusarmi
di
essere
“normalista”
o
conformista,
ma
queste
sono
stupidaggini
perché
non
stiamo
parlando
di
ideologie,
stiamo
parlando
di
esseri
umani.
Non
possiamo
chiedere
a
degli
esseri
umani
di
essere
trasgressivi
per
mestiere.
Trasgressivo
lo
è
chi
lo
vuole
essere;
chi
invece
vuole
avere
una
speranza
di
serenità
e
di
felicità
deve
potersi
integrare
nella
società,
in
una
società
sicuramente
diversa
da
quella
che
è
in
questo
momento.
Però
nell’immaginario
collettivo
l’omosessuale
di
successo
-
vedi
lo
stilista
o
il
cantante
di
grido
-
è
visto
in
maniera
diversa,
in
un
modo
più
naturale...
Vorrei
contestare
questa
affermazione:
la
maggior
parte
delle
persone
non
sa
che
lo
stilista
o
il
cantante
di
successo
è
gay.
Io
sarei
disposto
a
scommettere
che
se
noi
facessimo
un’inchiesta
su
Elton
John,
che
ha
più
volte
dichiarato
pubblicamente
la
propria
omosessualità,
non
più
del
20-30%
delle
persone
sarebbero
in
grado
di
dire
che
è
gay.
Allora
qual
è
il
problema?
E’
sicuramente
quello
dell’informazione.
Io
ricordo
le
polemiche
che
ebbi
negli
anni
80
con
Babilonia
quando
affermavo
che
l’Italia
è
un
paese
che
ha,
rispetto
all’omosessualità,
molti
problemi
strutturali.
L’80%
degli
italiani
vive
in
paesi
piccoli
dove
il
controllo
sociale
è
feroce.
E’
un
paese
di
1600
km,
in
cui
non
esistono
grandi
città
come
Parigi,
Londra
e
Berlino,
dove
è
possibile
costruire
una
forte
comunità
omosessuale.
In
questo
paese
in
cui
58
milioni
di
italiani
si
rompono
le
scatole
tra
di
loro
riguardo
alla
loro
vita
privata,
è
importante
riuscire
a
massimizzare
la
presenza
omosessuale
sulla
carta
stampata
e
soprattutto
in
televisione
soprattutto
perché
è
l’unico
modo
per
raggiungere
ogni
omosessuale
anche
nei
posti
più
sperduti.
In
questi
anni
molte
cose
sono
cambiate
in
merito
alla
questione
omosessuale
in
Italia;
ormai
non
c’è
più
una
grande
differenza
tra
un
omosessuale
italiano
e
un
omosessuale
di
Parigi
o
di
Berlino,
e
nemmeno
una
grossissima
differenza
tra
l’opinione
pubblica
italiana
rispetto
all’omosessualità
e
quella
francese
o
tedesca
o
inglese.
Il
nostro
vero
obiettivo
resta
in
ogni
caso
quello
di
cambiare
il
modo
di
pensare
di
grandi
masse
di
persone
all’omosessualità
perché
la
questione
omosessuale
prima
ancora
che
una
questione
legislativa
è
una
questione
culturale.
Per
questo
motivo
bisogna
promuovere
al
massimo
la
visibilità
omosessuale.
Ad
esempio,
io
farei
un
tavolino
tutti
i
sabati
pomeriggio,
a
Roma,
Milano
e
in
tutte
le
città,
per
promuovere
la
visibilità
omosessuale,
o
vedrei
bene
iniziative
tipo
“la
giornata
del
coming
out”
Perché
se
è
vero
che
ci
sono
persone
come
me,
Titti
De
Simone
e
Niki
Vendola,
molto
note
in
ambito
gay
e
che
stanno
addirittura
in
Parlamento,
è
anche
vero
che
se
ogni
omosessuale
non
ha
il
coraggio
di
fare
la
rivoluzione
in
casa
propria,
cioè
di
dirlo
ai
propri
genitori,
ai
propri
amici
o
ai
propri
colleghi
di
lavoro,
non
riusciremo
mai
a
cambiare
la
mentalità
di
questo
Paese.
Gli
omosessuali
in
Italia
devono
ammettere
di
essere
corresponsabili,
con
il
loro
silenzio,
sia
pure
involontariamente,
dell’omofobia
ancora
presente
nell’opinione
pubblica.
Credo
che
se
i
3
milioni
di
omosessuali
di
questo
Paese
(ma
forse
sono
anche
di
più)
dichiarassero
di
essere
omosessuali
e
di
essere
orgogliosi
di
esserlo
(come
ha
detto
il
sindaco
gay
di
Berlino
“Va
bene
così!”)
avremmo
risolto
il
90
per
cento
dei
nostri
problemi.
Un
altro
luogo
comune:
la
sensibilità
e
la
fragilità
emotiva
dei
gay...
Questo
è
tipico
delle
minoranze.
E’
un
pregiudizio
una
volta
tanto
positivo
(almeno
per
quello
che
riguarda
la
presunta
“sensibilità”)
che
ha
una
sua
spiegazione
psicologica.
Ti
faccio
l’esempio
degli
ebrei
americani:
questi
forniscono
alla
cultura
americana
il
50%
della
classe
intellettuale.
Sono
intelligenti
esattamente
come
il
resto
della
popolazione,
ma
quando
fai
parte
di
una
minoranza
tartassata
sei
portato
fin
da
piccolo
a
riflettere
di
più
su
te
stesso,
a
comprendere
la
tua
condizione
di
minoranza
e
quindi
a
sviluppare
una
sensibilità
particolare.
Chi
fa
parte
di
una
minoranza
starà
ben
attento
a
non
fare
le
stesse
cose
che
ha
subito
dagli
altri.
Io
ho
una
mia
spiegazione
anche
sull’alta
percentuale
di
omosessuali
tra
stilisti,
artisti,
ballerini,
attori,
cioè
in
tutte
quelle
attività
che
hanno
a
che
fare
con
la
cultura
e
la
creatività:
quando
l’omosessualità
viene
considerata
un
peccato,
un
vizio
immondo,
insomma
qualcosa
di
cui
vergognarsi,
la
propensione
è
quello
di
ragionare
sulla
bellezza
e
di
fare
dell’arte
e
del
gusto
uno
stile
di
vita.
E’
la
condizione
sociale
che
fa
di
alcuni
omosessuali
dei
protagonisti
assoluti
dell’arte
e
dello
stile
come
ha
spiegato
benissimo
Fernandez
nel
libro
“Il
ratto
di
Ganimede”
in
cui
rifletteva
sul
rapporto
tra
omosessualità
e
cultura.
Omosessualità
e
pedofilia:
quanto
è
ancora
radicato
nell’opinione
pubblica
questo
connubio?
Ricordo
di
aver
letto
le
statistiche
ISTAT
dei
processi
per
abusi
sull’infanzia
del
1998.
Il
98%
dei
processi
celebrati
riguardava
familiari,
vicini
di
casa
o
comunque
persone
vicine
alla
famiglia.
Insomma,
è
assodato
che
la
pedofilia
è
un
fenomeno
che
si
sviluppa
all’interno
della
famiglia
eterosessuale.
E’
ovvio
quindi
che
chi
difende
e
sostiene
il
tradizionalismo
familista
ha
tutto
l’interesse
a
trovare
dei
capri
espiatori:
i
“diversi”
assolvono
benissimo
a
questo
compito.
C’è
un
problema?
E’
colpa
del
diverso
di
turno,
straniero,
musulmano
o
omosessuale
che
sia.
E’
necessario
che
gli
omosessuali
facciano
chiarezza
estrema
sulla
questione
della
pedofilia,
cioè
che
noi
siamo
i
primi
a
combatterla
sradicando
questo
pregiudizio.
Come
pensi
di
sradicare
il
concetto
per
cui
genitori
possono
essere
solo
un
uomo
ed
una
donna
e
non
due
gay
o
due
lesbiche…
Questo
riporta
all’idea
che
la
famiglia
come
la
viviamo
adesso
sia
quella
che
è
sempre
esistita,
ma
non
è
così.
Ogni
epoca
ha
la
sua
forma
di
famiglia.
Siamo
passati
dalla
famiglia
romana
allargata
con
il
predominio
dittatoriale
del
maschio
che
aveva
le
sue
concubine
e
gli
amanti
tra
gli
schiavi,
indifferentemente
maschi
o
femmine,
alla
famiglia
patriarcale,
fino
alla
famiglia
nucleare
borghese
che
è
un
fatto
degli
ultimi
150
anni.
In
che
modo
si
sradica?
Prendendo
atto
che
la
famiglia
tradizionale
nel
mondo
occidentale
non
esiste
più,
perché
esistono
le
famiglie
ricostruite,
le
famiglie
gay,
le
famiglie
lesbiche,
le
famiglie
di
amici,
gli
anziani
che
si
mettono
insieme
per
darsi
una
mano,
gruppi
di
studenti
che
prendono
casa
insieme.
Qual
è
la
mia
famiglia
a
Roma?
Io
vivo
con
un
altro
uomo
perché
dividiamo
la
casa,
non
è
una
famiglia
questa?
Non
ci
frequentiamo
molto
perché
abbiamo
orari
diversi,
ma
sempre
famiglia
siamo
in
quanto
aggregato
sociale.
E’
ovvio
quindi
che
su
questo
c’è
una
battaglia
ideologica
gigantesca:
anche
noi
abbiamo
i
nostri
talebani
e
vaticani
oltre
tevere
che
intendono
imporre
il
loro
concetto
di
famiglia.
L’unico
modo
per
sconfiggere
il
tradizionalismo
familista,
uno
dei
nostri
grandi
nemici,
consiste
nell’affermare
che
la
famiglia
è
basata
sugli
affetti,
che
se
ci
sono
due
persone
che
si
vogliono
bene
e
si
assicurano
sostegno
reciproco,
quella
è
famiglia.
E
vista
la
crisi
dello
stato
sociale,
questo
va
a
vantaggio
di
tutta
la
società,
perché
il
benessere
del
singolo
sul
piano
affettivo
è
un
vantaggio
collettivo.
Questo
è
talmente
vero
che
persino
i
gesuiti
di
Civiltà
Cattolica,
persino
il
presidente
della
Cei
ha
detto
che
bisogna
arrivare
ad
una
regolamentazione
delle
coppie,
comprese
quelle
omosessuali
(“una
qualche
regolamentazione”,
è
la
frase
usata).
Ho
fatto
centinaia
di
dibattiti
in
pubblico
e
alla
gente
ho
chiesto:
“Siete
d’accordo
che
se
il
mio
compagno
finisce
in
ospedale
io
abbia
il
diritto
di
assisterlo
per
legge?”
A
questo
punto
la
reazione
è
sempre
stata:
“Certo,
per
forza!"
Bene,
la
legge
non
me
lo
consente.
“Ah,
ma
questo
è
assurdo!”
“Allora,
visto
che
è
assurdo,
sei
d’accordo
che
io
promuova
una
legge
che
lo
consenta?”.
A
quel
punto
tutti
dicono
di
sì.
Allora
anche
noi
dobbiamo
individuare
quelle
che
sono
le
problematiche
della
vita
di
coppia
e
trasformarle
di
fatto
in
battaglie
politiche.
Da
un
sondaggio
è
emerso
che
una
percentuale
di
italiani
-
tra
il
35
e
il
48%
-
si
dice
favorevole
ai
matrimoni
gay:
di
per
sé
è
già
una
percentuale
clamorosa.
Ma
alla
domanda
se
sono
favorevoli
o
meno
al
fatto
che
una
coppia
omosessuale
possa
ereditare,
avere
la
pensione
di
reversibilità,
accedere
ai
bandi
di
edilizia
popolare,
assistersi
reciprocamente,
la
percentuale
dei
favorevoli
sale
all’80%.
Questo
dimostra,
come
sempre,
che
le
questioni
vanno
poste
in
modo
corretto.
Durante
le
manifestazioni
del
gay
pride
troviamo
nei
mass
media
sempre
le
solite
immagini
legate
al
travestitismo…
Il
problema
è
che
i
media
proiettano
su
di
noi
quella
che
è
la
loro
immagine
dell’omosessualità.
Io
ho
un
grandissimo
rispetto
per
travestiti
e
transessuali
e
condivido
le
loro
battaglia
sentendole
come
mie,
tant’è
che
ho
promosso
e
presieduto
la
commissione
per
i
diritti
dei
transessuali
presso
il
Ministero
delle
Pari
Opportunità.
Ognuno
ha
diritto
alla
propria
identità
e
nessuno
ha
diritto
di
importi
una
identità
che
non
è
tua.
Se
a
me
dessero
dell’eterosessuale
mi
seccherebbe
perché
non
sono
eterosessuale.
C’è
un’idea
esteticamente
maschile
dell’omosessualità
nell’opinione
pubblica
e
c’è
l’idea
che
gli
omosessuali
siano
delle
donne
mancate.
Questo
è
un
pregiudizio
storico
nei
confronti
dell’omosessualità.
E’
ovvio
quindi
che
sia
questa
l’immagine
che
emerge
nei
gay
pride
e
che
stampa
e
fotografi
di
turno
ci
cuciono
addosso.
Però,
a
differenza
di
molti
amici
a
cui
questa
cosa
dà
fastidio,
io
francamente
ho
smesso
da
molto
tempo
di
preoccuparmene;
secondo
me
dobbiamo
rivendicare
la
natura
festaiola,
divertente
e
mascherata
del
gay
pride,
un
luogo
di
libertà
dove
finalmente
cadono
le
tradizionali
maschere
dell’identità
maschile
e
femminile
e
uno
si
manifesta
come
meglio
crede.
Comunque,
per
fare
capire
all’opinione
pubblica
che
c’è
anche
altro,
bisogna
promuovere
il
coming
out
di
tutte
quelle
persone
più
“normali”
(che
magari
si
lamentano
dell’immagine
dei
gay
pride
stessi),
aprire
una
vertenza
con
i
media
e
criticare
aspramente
l’immagine
che
danno
sistematicamente
delle
nostre
manifestazioni. |