Impressioni canadesi
Dopo essere stata in Italia per la presentazione del suo libro, Naomi ha postato (6/06/01) nel suo sito No Logo il testo che segue sulle impressioni della breve esperienza italiana. (traduzione di DL) |
Una donna con lunghi capelli castani e una voce arrochita dalle sigarette pone una domanda : "Come ti sembra questo posto ?" chiede con l'aiuto dell'interprete "Un brutto ghetto, o forse qualcosa di bello ?"
Era una domanda trabocchetto. Siamo seduti in uno stabile sgangherato in una delle periferie meno pittoresche di Roma. Le mura del tozzo edificio occupato sono coperte di graffiti, il pavimento è sporco e tutt'intorno ci sono palazzoni imponenti. Se uno dei 20 milioni di turisti che hanno riempito Roma l'anno scorso, sbagliando strada fosse capitato qui, si sarebbe immediatamente dato alla fuga.
Ma mentre le rovine di uno dei più potenti imperi della storia sono impeccabilmente preservati in città, è qui, nelle periferie degradate, che ho potuto accorgermi di una nuova, vivacissima politica. Ed è quanto di più lontano possiate immaginare dalle "armate" di Cesare.
Lo stabile occupato in questione è chiamato Corto Circuito, uno dei molti "Centri sociali" (in italiano nel testo. N.d.t.) italiani. I Centri sociali sono edifici abbandonati - magazzini, fabbriche, caserme, scuole - che sono stati occupati dagli squatters e trasformati in luoghi culturali e politici dichiaratamente liberi sia dal "mercato" che dal controllo statale. Secondo stime attendibili ci sono 150 Centri Sociali in Italia.
Il più grande e antico - il Leoncavallo di Milano - è stato chiuso dalla polizia e riaperto molte volte. Adesso quel luogo è praticamente una piccola città nella città, con molti ristoranti, giardini, una libreria, un cinema, una pista indoor di skateboard, e uno spazio interno così ampio da ospitare i Public Enemy in concerto. Ci sono pochi spazi alternativi in un mondo che si sta rapidamente "imborghesendo", un fatto che ha spinto il quotidiano francese Le Monde a descrivere l'intricata rete squats come "il gioiello culturale italiano".
Ma i Centri sociali sono più che uno dei posti migliori dove passare il sabato sera, essi sono anche il livello di base della crescente militanza politica in Italia che è pronta ad esplodere sullo scenario politico internazionale quando ci sarà il vertice del G8 a Genova il mese prossimo. In questi centri, politica cultura si mischiano facilmente : un dibattito sulle azioni dirette si trasforma rapidamente in un immenso rave party e, nella porta accanto, il rave si trasforma in un dibattito sulla sindacalizzazione dei lavoratori dei fast-food.
In Italia, questo tipo di cultura si sviluppa per necessità. Con politici sia di destra che di sinistra implicati in scandali sulla corruzione, una gran parte della gioventù italiana ha concluso, comprensibilmente, che il potere in sè è corrotto. La rete dei Centri sociali è un'area politica parallela che, piuttosto di tentare di raggiungere il potere dello stato, crea servizi statali alternativi - come fornire ospitalità e avvocature per i rifugiati - e, contemporaneamente, si confronta con lo stato con un'azione politica diretta.
Per esempio, in una delle serate passate al Corto Circuito, la cena comune a base di lasagne e caprese è stata accolta con particolare entusiasmo perchè preparata da un cuoco appena rilasciato dalla prigione dopo il suo arresto ad una manifestazione anti-fascista. Due giorni prima, al Leoncavallo di Milano, mi sono imbattuta in alcuni membri delle Tute Bianche (in italiano nel testo. N.d.t.) che stavano lavorando sulla mappa digitale di Genova, in preparazione del G8.
L'azione decisa dal gruppo, così chiamato per le uniformi che i suoi membri indossano durante le manifestazioni, ha appena proclamato "una dichiarazione di guerra" per il meeting di Genova. Si è preso l'impegno di oltrepassare il cordone della polizia e, la scorsa settimana, si è tenuta una dimostrazione sugli armamenti difensivi che si intende usare (compresi abiti imbottiti in gommapiuma).
Ma le dichiarazioni di guerra non sono le vicende più eclatanti che accadono in questi giorni nei centri sociali. Molto più sorprendente è il fatto che, negli ultimi anni, questi militanti anti-autoritari, identificabili per il loro rifiuto dei partiti politici, hanno cominciato a presentarsi alle elezioni amministrative, e a vincere. A Venezia, Roma e Milano, importanti attivisti dei centri sociali (inclusi dei leaders delle Tute Bianche), sono oggi consiglieri comunali.
Alcuni dicono che questa tendenza è semplicemente una misura difensiva : con la destra di Berlusconi al potere, bisogna proteggersi da coloro che vogliono chiudere i centri. Ma altre, tra cui Beppe Caccia, membro delle Tute Bianche e consigliere comunale di Venezia, sostengono che la partecipazione alla politica municipale è una naturale evoluzione delle teorie dei centri sociali.
L'organizzazione statuale è in crisi, ragiona, indebolito rispetto ai poteri globali e corrotto rispetto alle corporazioni. Inoltre, in Italia, forti sentimenti regionalistici per un più forte decentramento sono rivendicati dalla destra, spesso con modalità fasciste. In questo clima, Caccia propone una doppia strategia di confronto con gli irresponsabili (e non rappresentativi) poteri a livello globale (es, al G8) e simultaneamente ricostruire una nuova, più responsabile e partecipata politica locale (dove i centri sociali incontrino i consigli comunali).
Questo mi riporta alla domanda iniziale postami nei suburbi del mummificato impero romano. Sebbene sia duro non dirlo di primo acchito, i centri sociali non sono ghetti, sono finestre, aperte non solo su un'altro modello di vita rispetto a quello ordinario, ma anche su nuove politiche d'impegno.
E sì, forse questo è qualcosa di bello.