Reato di Bestemmia
Il Codice penale vigente, datato 1930 (cosiddetto Codice Rocco, dal nome del suo estensore), contempla, nella sezione delle contravvenzioni "concernenti la polizia dei costumi" il reato di bestemmia, riferito esclusivamente alla religione cattolica: per le altre religioni venne ritenuto sufficiente il reato di turpiloquio.
L'introduzione della Costituzione repubblicana nel 1948 fece pensare alla sua decadenza, tuttavia diverse sentenze della Corte Costituzionale ribadirono la legittimità della norma, con riferimento alla necessità di tutelare la fede della stragrande maggioranza degli italiani.
La firma del nuovo Concordato, nel 1984, portò all'abolizione del principio che vedeva nella religione cattolica "la sola religione dello Stato".
Inizialmente venne auspicato un intervento legislativo atto a eliminare la discriminazione e ad adeguare la norma alla nuova situazione creatasi. Tuttavia, vista l'inerzia del legislatore, il 18 ottobre 1995, con sentenza n. 440, la Corte Costituzionale dichiarò illegittimo il riferimento a "i Simboli o le Persone venerate nella religione dello Stato", mantenendo il riferimento alla "Divinità", ora allargato alle altre religioni: venne quindi applicato il principio dell'eguaglianza tra le fedi, pur ribadendo come la norma tuteli "un bene che è comune a tutte le religioni".
In seguito, con la Legge n. 205 del 25 giugno 1999, nell'ambito di un progetto più vasto di depenalizzazione dei reati minori il Parlamento delegava il governo a legiferare entro sei mesi sulla materia, in base alle indicazioni dettate dalle camere.
Il Decreto Legislativo n. 507 del 30 dicembre 1999 ha quindi finalmente depenalizzato il reato, trasformandolo in un "illecito amministrativo".
L'ARTICOLO 724 DEL CODICE PENALE
Comma primo, versione originale (1930):
"Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità o Simboli o le Persone venerate nella religione dello Stato è punito con l'ammenda da lire ventimila a seicentomila".
Comma primo, come modificato dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 440 (1995):
"Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità è punito con l'ammenda da lire ventimila a seicentomila".
Comma primo, come modificato dal Decreto Legislativo n. 507 (1999, versione vigente):
"Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità è punito con la sanzione amministrativa da lire centomila a seicentomila".
- l'autore della
bestemmia può
essere chiunque,
anche un ateo;
- si concretizza
nella sua semplice
attuazione,
indipendentemente
dalle reali
intenzioni
dell'autore;
- il fatto che sia
diventata una
consuetudine, o che
lo sia in certi
ambienti, è
irrilevante;
- devono essere
chiaramente
individuate le
parole profferite;
- deve avvenire in
luogo pubblico o
aperto al pubblico,
non è reato quindi
bestemmiare nella
propria abitazione;
- devono essere
presenti almeno due
persone;
- non rientrano
nella fattispecie le
rappresentazioni
figurate, i gesti,
gli atti offensivi;
- è reato
bestemmiare contro
Dio, non contro la
Madonna ed i santi.
L'ANACRONISMO DELLA TUTELA PENALE DELLA BESTEMMIA
I recenti interventi della Corte Costituzionale, del Parlamento e del Governo non hanno risolto l'assurdità di una tutela penale della bestemmia.
Oltre a essere diventata, in alcuni casi, quasi un intercalare, va riaffermato con forza che la bestemmia, al giorno d'oggi, non rappresenta altro che la tutela giuridica di persone che, noi atei, reputiamo inesistenti.
A tutela del sentimento religioso di parte della popolazione è pur sempre in vigore, nei casi più offensivi, il reato di turpiloquio: ragion per cui l'allargamento della fattispecie di reato a tutte le divinità ha in realtà ulteriormente minato la libertà di pensiero e di critica, come è stato fatto notare da più parti (si veda ad esempio l'articolo "la bestemmia", di Paolo Bonetti, pubblicato sul numero 4/2000 di Micromega).
Un anacronismo reso ancora più stridente dalla volontà, da parte delle confessioni religiose di minoranza sottoscrittrici di intese con lo Stato, di vedesi tutelate in materia penale esclusivamente in base ai diritti di libertà sanciti dalla Costituzione, e non mediante la tutela specifica del sentimento religioso. La permanenza della bestemmia nel Codice penale resta così, ancora oggi, legata ad una precisa volontà egemonica della Chiesa Cattolica.