Berluscabolario
Dizionario ragionato dei termini più amati
Amico/a.
Ogni
lettera
agli
italiani
inizia
con
«Caro
amico/a»,
confidenziale,
affettuoso,
da
pacca
sulla
spalla.
Viene
comunicato
a
ognuno
di
noi,
uno
per
uno,
che
siamo
entrati
nel
team.
L'amicizia,
per
Berlusconi,
è
fondamentale:
può
essere
«sincera»
se
riguarda
un
amore
finito,
«simpatica»
se
riguarda
un
amore
che
inizia.
Imprescindibili,
poi,
i
«vecchi
amici»:
«Eravamo
forti
perché
eravamo
amici,
tra
noi
c'era
un'intesa
profonda
e
una
totale
identità
di
valori,
c'era
un
affidamento
reciproco,
il
senso
di
un
impegno
e
di
un
traguardo
comune,
la
gratificazione
di
lavorare
insieme
e
di
condividere
la
gioia
dei
nostri
successi».
Assenti
dal
suo
eloquio,
«gli
amici
degli
amici».
Baruffe. Sono quelle dell'opposizione. Vocabolo spesso associato a «teatrino» (della politica) e, in ultimo, a «febbriciattola mediatica». Fa parte delle parole antiche da commedia italiana (Le baruffe chiozzotte di Carlo Goldoni) usate dal premier per impreziosire il linguaggio e dimostrare il conseguimento della sua maturità classica.
Babbo. Riferimento al padre dal sapore toscaneggiante. Spesso nell'espressione «il caro/dolce babbo».
Credere. Associato a «sperare» (probabile sia stato depennato all'ultimo un terzo imperativo), compare nella citazione che apre, tra virgolette, Una storia italiana. E' anche nel motto che esorta gli amici nei momenti di difficoltà: «Chi crede, vince».
Computers. Sempre al plurale, per far vedere che lui le lingue, le sa. E' sempre presente nei discorsi sulla scuola e sulla necessità di renderla moderna, al passo con i «competitors».
Convention. Può essere un congresso nazionale di Forza Italia o un semplice incontro con gli amici. Nel secondo caso è implicito che si «lavorerà sodo».
Comunista. L'eterno Peppone contro il nuovo Don Camillo. Ma qui ogni affetto è scomparso e la parola resta solo nell'accezione insultante di «bolscevico». Termini associati: «liberticida», «statalista», «cultura del dire» contrapposta a quella del fare, «rosso».
Dormire quattro ore per notte. Come Napoleone. Come il doge di Venezia (e Mussolini) che lasciava acceso il lumino per mostrare al popolo che lavorava anche by night. «Voi scrivetemi, io leggo tutto, memorizzo. Sapete, sono un gran lettore di carte e non vado a letto se non ho finito di leggere quel che devo».
Elogio della follia. Un bel libro di Erasmo da Rotterdam, non troppo lungo, né difficile, sul comodino del premier che scrisse perfino una prefazione. Nell'uso di Erasmo, la follia veniva contrapposta al dogmatismo come motore del nuovo. Nell'uso di Silvio, è sinonimo di «pensare in grande» e «sognare».
Fare, Cultura del. Contrapposta alla «cultura del dire» di cui è portatrice la sinistra. Spesso compare come «fare bene » come sinonimo di «vincere» e di «lavorare sodo», come imperativo di «imprenditore». Altre volte nel riflessivo «farsi da sé».
Giuoco.
Arcaismo
di
matrice
salesiana.
La
«u»
serve
a
dimostrare
che
chi
la
pronuncia
è
un
tipo
per
bene,
attento
alle
buone
maniere,
nonostante
alcuni
trascurabili
vezzi
linguistici.
Hobbies. Altra concessione alle lingue straniere. Sono tanti quelli del premier (perciò sempre al plurale, un po' come computers), dal giardinaggio all'antiquariato. Ma lui confessa: «Gli unici veri hobbies sono lo studio e il lavoro».
Io. Pronome personale a cui si accordano tutti i verbi.
Inglese, internet, impresa. Le famose tre «i». Per quanto riguarda l'ultima, sovente si trasforma in: «intrapresa», per rendere manifesta la stessa radice della parola «intraprendenza».
Imprenditore. L'uomo giusto al momento giusto. Evoluzione dell'homo sapiens sapiens. Non pervenuto «intraprenditore».
Lavorare. Spesso insieme a «sodo», o nelle espressioni «continueremo a lavorare», «lasciateci lavorare», «bisogna lavorare», «dobbiamo lavorare». E' una parola-biglietto da visita, che contribuisce all'immagine popolare: gran lavoratore, brava persona. Come nella frase: «Nulla mi è stato facile per arrivare, da figlio di un impiegato di banca, ho dovuto lavorare, lavorare e ancora lavorare».
Lobby. E' quella dei magistrati contro Forza Italia e il suo leader. Alcune volte si può confondere con «l'hobby», per assonanza.
Mi
consenta.
E'
praticamente
una
sua
creazione
neologica.
Serve
a
dimostrare
buone
maniere
(si
chiede
il
permesso
di
parlare)
mentre
si
interrompe
il
discorso
altrui
per
prendere
parola.
Il
vago
sapore
anni
50
alla
«Lei
non
sa
chi
sono
io»
rende
l'espressione
tranquillizzante
e
simpaticamente
retrò.
Noi. Pronome personale usato in alcune occasioni per mascherare il pronome «io». Spesso in sostituzione di «italiani tutti».
Night
clubs.
Termine
un
po'
retrò
per
definire
le
discoteche.
Luogo
da
non
frequentare
dove
non
andare
a
suonare
a
differenza
delle
navi
da
crociera
dove
si
guadagna
qualcosa
e,
capacissimo,
si
fanno
buone
conoscenze.
«Mai
nei
night
clubs,
perché
eravamo
ragazzi
di
buona
famiglia».
Opportunità. Degli italiani, alle elezioni. Suoi sinonimi sono: «rinnovamento», «innovazione», «svolta», «cambiamento», tutti del campo semantico del «futuro migliore».
Operaio Essersi qualificato come «presidente operaio» (oltre che giardiniere, studente, cantante etc etc etc e soprattutto presidente-presidente) è stata una mossa geniale. La classe storicamente associata al socialismo, viene risucchiata alla causa del capitalismo brianzolo.
Partita. Dell'Italia. Che deve essere vinta (vedi alla lettera "V"). Termine calcistico prestato alla politica per indicare la lotta della nazione per diventare protagonista. Lo sport è metafora semplice ed efficace.
Protagonista. Unico ruolo sostenibile dall'Italia nel mondo. Se riferito ai singoli individui, ruolo generalmente ricoperto dall'imprenditore, mai dai suoi subordinati.
Qui manebimus optime. Tratta dagli Annales di Tito Lilvio e citata in Parlamento, sempre a dimostrare la conseguita maturità classica, al posto dell'esatto hic manebimus optime (non ci muoveremo da qui).
Risultato. Della partita, della sfida. E' importante più dei mezzi per raggiungerlo. Altro termine che appartiene al campo semantico tratto di peso dallo sport il cui scopo è la vittoria.
Secchione. Il termine, gergale, è usato con autoindulgentissima autoironia e colpisce un doppio bersaglio: da un lato dimostra che il premier è un ragazzo che sa divertirsi, dall'altro che ha la testa sulle spalle. Le vecchie zie sono colpite al cuore.
Squadra. E' quella degli amici di sempre (Confalonieri, Previti, Letta), ma è anche il Milan. Continua la metafora calcistica sulla politica. Sinonimo, ma più raro, l'inglese "team".
Sfida. Sinonimo guerresco di «partita», è dell'Italia o degli italiani.
Scendere in campo. Espressione coniata nel 1994 per indicare l'entrata in politica. Fa parte delle metafore calcistiche.
Traguardo. Deve sempre essere «raggiungibile».
Unto del Signore. Fa parte delle espressioni che gli scappano per la troppa foga di farsi amare. Fa parte delle espressioni di cui la sinistra ride, confidando che riusciranno a scandalizzare l'elettorato. E che invece dimostrano quanto, nonostante i risultati raggiunti, l'uomo sia rimasto umano, un po' megalomane forse, ma in fondo simpatico.
Vincere. Verbo preferito. In ogni competizione, cioè sempre nella vita, è l'unico risultato o traguardo possibile nella partita o nella sfida. Il suo coronamento naturale.Zidane. Zoff. Anche in questo caso, lo sfogo di Berlusconi sembrava un imperdonabile autogol. «Amo il mio paese e vorrei stare tranquillo e silenzioso, ma sono indignato, perché avremmo potuto vincere davvero. Non si può lasciare un giocatore come Zidane andare in giro per il campo a suo piacimento. Anche un dilettante si sarebbe accorto che Zidane non era marcato negli ultimi minuti. Perché Zoff non gli ha assegnato una marcatura a uomo alla fine? Tutto il gioco della Francia girava intorno a lui». Invece non ebbe effetti. Anzi, dimostrò al Paese il suo amore per la nazionale che in Italia, anche se si dicono cazzate, «nun è peccato.