Le ragioni del sindacato

L'articolo 18 ma non solo

 

di Gianni Principe
Coordinatore Dipartimento Politiche attive del lavoro Cgil

 

Il disegno di legge con cui il governo Berlusconi, su proposta del ministro del Welfare Maroni, chiede al Parlamento una delega in materia di occupazione e mercato del lavoro conferma in tutto e per tutto le peggiori intenzioni annunciate nel Libro Bianco, con non poche aggravanti. La più vistosa di tutte, una vera e propria provocazione nei confronti di tutto il movimento sindacale in ossequio alle pretese avanzate in termini ultimativi da Confindustria, è l’abrogazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.


Una vera provocazione
A questo riguardo è bene sgomberare il campo da ipocrisie. La norma non prevede affatto poche limitate eccezioni, a una normativa che peraltro prevede già una corposa eccezione per tutte le imprese al disotto dei 15 dipendenti. Non a caso la Cgil aveva respinto ogni ipotesi avanzata in questa chiave, anche da esponenti sindacali, proprio in quanto si era ben coscienti del fatto che, una volta rotto l’argine, la tenuta della regola vigente sarebbe entrata immediatamente in crisi. La norma, così come è congegnata, dimostra tutta la fondatezza delle nostre preoccupazioni. L’argine non c’è più. Cade la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento immotivato per tutti i neo-assunti (chi mai viene assunto senza avere alle spalle nessun passaggio a termine, non fosse altro che come contratto di formazione-lavoro o apprendistato?) mentre per tutti quelli già in servizio cade l’intangibilità del principio che i giuristi definiscono come “tutela reale”. Formalmente viene meno solo in funzione delle procedure di arbitrato ma di fatto, dato il valore generale che la norma non può non avere, ciò avverrà per qualunque sede giurisdizionale.

Lo smantellamento del sistema di tutele oggi in essere per il lavoratore licenziato senza giusta causa o giustificato motivo, punta di diamante di questo attacco furibondo ai diritti dei lavoratori dipendenti, dovrà trovare da parte nostra una ferma e incisiva risposta attraverso le più ampie forme di mobilitazione: le prime iniziative spontanee di cui si ha già notizia, a caldo, dimostrano come sia acuta la sensibilità e la capacità di risposta su questi temi. È comunque tutto l’impianto del disegno di legge delega che dovrà essere contrastato con estrema fermezza.

Ci siamo già occupati della filosofia sottesa al Libro Bianco e degli obiettivi a cui mira, dichiaratamente o meno, a partire dal proposito di rimettere in discussione il principio della specialità del rapporto contrattuale tra datore di lavoro e lavoratore in quanto riconosciuto come contraente debole, in posizione non paritaria e perciò da tutelare. È dunque allo smantellamento di queste tutele che mirava il Libro bianco: a questo obiettivo mira ora la legge delega.


Le novità più rilevanti
Le novità peggiorative più rilevanti, detto di quanto ricompreso nella normativa sui licenziamenti (articolo 10), riguardano innanzi tutto l’espressa volontà di abrogare (articolo 1 del ddl) le leggi in vigore sul divieto di intermediazione di manodopera e sul divieto di interposizione (il caporalato), per riesumare forme ottocentesche di un mercato del lavoro (che nei paesi a democrazia avanzata ci si è lasciati da tempo alle spalle) in cui sia di nuovo possibile lucrare sulla fornitura di manodopera. Anni e anni di regolamentazione, di legge e di contratti, per scongiurare abusi nei sub-appalti tali da nascondere dietro la fornitura di un servizio la pura e semplice somministrazione di manodopera sono cancellati di un colpo. Una legge molto equilibrata come quella sul lavoro interinale – anche complessa ma non astrusa se è vero, come è vero, che non ha in alcun modo impedito, mentre poneva un argine agli abusi, uno sviluppo ragguardevole del settore, tanto da essere studiata dagli altri paesi avanzati – diventa carta straccia. Gli abusi, molto semplicemente, non saranno più tali, la legge li consentirà di nuovo.

Oltre a questo, si concretizza l’intento più volte dichiarato di mettere mano all’istituto della certificazione (articolo 9) e alla disciplina giuridica dell’arbitrato in controversie di lavoro (articolo 12). Se, in base alla disciplina speciale del nostro diritto del lavoro, in un rapporto impari non possono essere considerate sufficienti le forme di mediazione extragiudiziale, né le forme di liberatoria, o altra certificazione avente valenza analoga, che pure sono frequenti – e del tutto validi – nei normali rapporti commerciali, il disegno di legge delega varca questo confine e punta ad abbattere anche questo argine.

Per il resto, in materia di occupabilità, ancora  nell’articolo 1, trovano conferma le previsioni del Libro Bianco quanto a riduzione a funzioni residuali del servizio pubblico all’impiego (anagrafe e controllo amministrativo in relazione esclusivamente alle politiche di assistenza) con apertura al mercato non solo del collocamento (come già stabilito dalla Bassanini) ma dell’intero campo di attività dei servizi, in palese contrasto con la Raccomandazione n. 1 dell’Unione europea che chiede all’Italia di dar vita a un sistema pubblico di servizi all’impiego che garantisca politiche attive degne di questo nome.

Quanto al riordino degli incentivi (articolo 2), si annuncia di voler mettere mano a quelli esistenti così come era nei propositi già nella scorsa legislatura ma con il vincolo rigido dell’assenza di qualunque onere aggiuntivo. Stesso discorso per gli ammortizzatori sociali e i contratti a contenuto formativo (articoli 3 e 5), con in più la dichiarata volontà di non mettere mano alle contraddizioni esistenti ma di limitarsi a giustapporre qualche ulteriore fattispecie. Se si considera che proprio il vincolo di bilancio ha reso impraticabile la previsione normativa e che questo vincolo oggi è aggravato dal fatto che le disponibilità esistenti fino all’anno scorso sono nel frattempo state destinate in gran parte ad altro scopo, questa parte della delega appare assolutamente non credibile. Da segnalare una specie di “cammeo” rappresentato dall’articolo 4 dedicato al lancio di due agenzie strumentali (Isfol e Italia-Lavoro) che sono affidate, per singolare coincidenza, a due dei cinque estensori del Libro Bianco, tanto per non smentire la cifra del governo Berlusconi in materia di conflitto di interessi.

Il capitolo sull’adattabilità (articoli da 6 a 9 del ddl) affastella una serie di proposte disparate su tutte le tipologie di rapporti esistenti e su altre da aggiungere al campionario, con il solo scopo evidente di rendere possibili riforme in peggio della situazione in essere quanto a diritti e tutele. La volontarietà nel part-time deve diventare solo di facciata, la stessa certezza dell’orario e della remunerazione deve venir meno attraverso l’introduzione in varia forma di contratti di pronta disponibilità; il lavoro temporaneo non deve soggiacere a nessuna delle limitazioni oggi vigenti.

A questo insieme di misure la Cgil si opporrà dunque con decisione. Pur in questo contesto di difficoltà non rinunceremo a far valere le nostre proposte così come le abbiamo costruite negli anni recenti. La riforma degli ammortizzatori sociali e dei contratti a contenuto formativo; il completamento della riforma e il pieno avvio del nuovo sistema di servizi pubblici orientato a misure efficaci di politiche attive del lavoro; l’impegno di risorse e di strumentazione, normativa e operativa, adeguate rispetto all’obiettivo di lanciare nel nostro paese una vera e propria offensiva sul terreno della formazione, dei giovani così come degli adulti, degli occupati così come dei disoccupati.

Queste, che sono le nostre priorità, mirano anche a un obiettivo di carattere generale che per una confederazione come la nostra ha un valore decisivo: rispondere alle esigenze che si pongono per il nostro paese in termini più impellenti e urgenti per costruire un percorso di crescita economica e civile che consenta di stare al pari con le esigenze dei tempi, nel mercato mondiale così come nel consesso delle nazioni democratiche.