Congresso PrC
tesi maggioranza
Per
la
rifondazione
comunista
Tesi
Congressuali
approvate
dalla
maggioranza
del
Comitato
Politico
Nazionale
TESI
1
-
UNA
CRISI
DI
CIVILTA'
La
crisi
della
globalizzazione
capitalistica
assume
oggi
il
volto
di
una
più
generale
crisi
di
civiltà.
La
condizione
dei
popoli,
dei
soggetti
sociali
e
delle
persone
è
segnata
da
insicurezza,
incertezza,
precarietà.
Avanza
una
"modernizzazione
senza
modernità",
che
ripropone
la
terribile
spirale
guerra-terrorismo
e
abbatte
progressivamente
gli
spazi
di
democrazia.
Il
XXI
secolo
si
è
aperto
all'insegna
del
terrorismo
e
della
guerra.
Il
mondo
è
stato
sommerso
da
un'ondata
di
violenza
di
eccezionale
intensità
distruttiva,
che
ha
mandato
in
pezzi
le
illusioni
ideologiche
della
globalizzazione,
le
sue
promesse
di
"magnifiche
sorti
e
progressive"
per
l'umanità.
Di
nuovo,
appare
minata
alla
base
l'idea
stessa
di
futuro.
Di
nuovo,
un
profondo
senso
di
insicurezza
pervade
le
pur
ricche
società
dell'occidente
e
accelera
i
già
avanzati
processi
di
disgregazione
sociale.
Una
sorta
di
stato
di
emergenza
endemico
si
va
sostituendo
alla
normale
fisiologia
delle
relazioni
istituzionali.
L'
incertezza
diventa
la
condizione
più
comune
e
diffusa.
E'
precarietà
della
condizione
lavorativa,
disoccupazione
strutturale,
pericolo
costante
di
licenziamenti.
E'
blocco
delle
capacità
di
produzione
e
di
consumo,
è
recessione
e
depressione
economica.
E'
distruzione
dell'ambiente
e
delle
condizioni
della
riproduzione
sociale.
Più
in
generale,
è
crisi
di
identità,
fine
di
valori
condivisi,
difficoltà
di
concepire
progetti
individuali
e
collettivi.
E'
paura
del
"nemico
invisibile",
dell'Altro
e
del
Diverso,
in
una
singolare
commistione
di
irrazionalismo
e
scientismo,
di
furori
neofondamentalisti
e
di
pensiero
debole.
E'
la
stessa
nozione
di
modernità,
intesa
come
processo
storico
di
nascita
del
soggetto
e
delle
pratiche
di
liberazione
che,
deformata
dalla
globalizzazione
capitalistica,
subisce
una
crisi
verticale.
Non
a
caso
quello
che
ci
viene
presentato
come
uno
scontro
di
civiltà
vede
contrapposti,
da
un
lato,
l'individuo
nella
versione
egoista
e
insensata
dell'homo
oeconomicus
e
dall'altra,
la
comunità
nella
versione
inaccettabile
di
comunità
organica
patriarcale
e
tribale.
E'
la
prospettiva
stessa
di
coniugare
libertà
individuale
e
relazioni
sociali
civili
che
viene
schiacciata
da
questa
guerra
in
cui
i
nemici
dichiarati
non
rappresentano
altro
che
due
facce
della
stessa
medaglia.
Quest'insieme
di
tendenze
involutive
configurano
una
vera
e
propria
crisi
di
civiltà,
dove
tendono
a
deperire
tutte
le
conquiste
del
XX
secolo,
i
diritti
come
gli
spazi
effettivi
di
democrazia,
e
dove
le
varie
destre
trovano
terreno
fertile
di
espansione.
Alla
radice,
vi
è
un
processo
involutivo
dello
stesso
capitalismo.
Il
modo
di
produzione
fondato
sulla
logica
del
capitale,
che
ha
finora
apportato
all'umanità,
insieme
a
straordinari
progressi,
devastanti
processi
di
sfruttamento
e
crescenti
contraddizioni,
ha
imboccato
la
strada
di
una
regressione
forse
irreversibile.
"Il
vero
limite
della
produzione
capitalistica
è
il
capitale
stesso"
(Marx)
TESI
2
-
LA
GUERRA
GLOBALE
La
guerra
in
corso
ha
i
caratteri
di
un
conflitto
globale:
non
solo
perché
ha
per
teatro
effettivo
il
pianeta,
ma
perché
il
suo
vero
obiettivo
è
la
costituzione
di
un
"nuovo
ordine
mondiale"
unipolare.
Di
un
governo
autoritario
della
crisi.
Il
feroce
abbattimento
delle
Twin
Towers,
con
migliaia
di
vittime
incolpevoli,
e
la
desertificazione
di
Kabul,
con
altre
migliaia
di
vittime
innocenti,
ci
restituiscono
oggi
una
disperante
immagine
del
mondo,
stretto
nella
spirale
guerra\terrorismo.
Questa
situazione
è
definibile,
appunto,
come
conflitto
civile
planetario,
non
solo
nel
senso
che
ha
per
teatro
l'intero
pianeta
e
le
sue
principali
nazioni,
come
è
accaduto
nel
'900,
ma
nel
senso
che
ha
come
vera
posta
in
palio
il
governo
della
globalizzazione
economica.
Anche
per
fronteggiare
la
crescita
del
"movimento
dei
movimenti",
questo
governo
tende
a
costituirsi
nella
forma
di
un
inedito
dominio
autoritario
su
scala
mondiale:
dove
l'intreccio
di
espansionismo
militare,
manovra
diplomatica,
ricatto
geopolitico,
controllo
delle
risorse,
appare
inestricabile.
In
questo
processo,
è
palese
la
centralità
politica,
strategica
e
militare
degli
Stati
uniti
d'America,
unica
superpotenza
del
globo.
Ma
la
logica
che
presiede
al
conflitto,
e
che
lo
agisce,
non
è
certo
riducibile
a
uno
scontro
di
tipo
classico
tra
Stati
nazionali
e
i
loro
contrapposti
interessi.
In
effetti,
dal
punto
di
vista
politico,
si
va
realizzando
un
sistema
di
alleanze,
pur
conflittuale,
pur
a
geometria
variabile,
del
tutto
nuovo,
che
vede
oggi
schierati
dalla
stessa
parte
gli
Usa,
l'Europa,
la
Russia,
i
regimi
arabi
"moderati"
e
la
Cina.
Soprattutto,
quel
che
va
emergendo
è
un
possente
meccanismo
di
inclusione,
politica
ed
economica,
in
un
più
largo
sistema
di
relazioni
a
dominanza
nordamericana.
Esso,
a
sua
volta
esclude
i
molti
Sud,
le
diverse
periferie,
le
resistenze
variamente
antiliberiste
e
anticapitaliste
del
mondo.
L'alternativa
che
viene
prospettata
è
drastica:
o
con
il
modello
americano
o
nell'inferno
dell'inciviltà.
Anche
questo
è
un
effetto
che
si
tenta
di
rendere
stabile
della
nuova
guerra
del
XXI
secolo.
TESI
3
-
SOCIALISMO
O
BARBARIE
Una
tendenza
regressiva
di
fondo
domina
il
capitalismo
dell'era
neoliberista.
Esso
svalorizza
il
lavoro,
accresce
a
dismisura
le
disuguaglianze,
privatizza
e
mercifica
i
bisogni,
devasta
la
natura
e
l'ambiente,
riproduce
modelli
di
relazione
regressivi
come
il
patriarcato.
Esso
non
è
dunque
né
riformabile
né
"temperabile".
Si
riaprono
qui
la
possibilità
e
l'urgenza
della
trasformazione
rivoluzionaria:
l'alternativa
torna
ad
essere
socialismo
o
barbarie.
La
tendenza
capitalistica
ad
una
espansione
onnivora,
senza
freni
e
limiti,
entra
in
conflitto
crescente
con
istanze
e
bisogni
di
massa
indotti
dallo
sviluppo
stesso,
ma
con
esso
incompatibili:
così
i
diritti
sociali
essenziali
di
salute,
istruzione,
cibo,
mobilità,
si
scontrano
con
i
processi
accentuati
di
loro
privatizzazione
e
mercificazione;
così
un
progresso
scientifico
e
tecnologico
di
entità
straordinaria
arriva
a
invadere,
addirittura,
la
sfera
del
vivente
e
la
vita
quotidiana,
ma
sembra
assurdamente
tutto
consegnato
alla
pura
logica
del
profitto
a
breve.
Così
la
tutela
delle
risorse
ambientali
e
l'esigenza
di
un
rapporto
di
equilibrio
e
riproduzione
tra
essere
umani
e
natura,
si
scontra
con
la
centralità
del
mercato.
E'
questo
sistema
che
assoggetta
la
scienza
per
riprodurre
le
condizioni
del
profitto
e
non
quelle
ambientali
ed
umane.
Il
contesto
appare
inoltre
fortemente
dominato
dalla
persistenza
di
negativi
assetti
patriarcali
-
ovviamente
diversi
a
seconda
delle
aree
storico-culturali
del
mondo
-
che
si
alternano
con
modalità
sociali
e
simboliche
di
tipo
arcaico.
Ne
consegue
la
condanna
delle
donne
alla
segregazione
e
alla
subalternità
giuridica,
con
tendenze
regressive,
familistiche
misogine
che
si
manifestano
anche
nei
paesi
dove
più
forte
si
è
sviluppata
la
rivoluzione
femminile
del
'900.
La
globalizzazione
neoliberista,
in
sostanza,
non
si
lascia
né
umanizzare
né
riformare
né,
più
di
tanto,
temperare:
il
fallimento
della
Terza
Via,
venuto
ad
evidenza
politica
nelle
esperienze
di
centrosinistra
europee
e
americane,
ha
alle
sue
radici
questa
verità
strutturale.
Ed
infatti
i
suoi
stessi
protagonisti
l'hanno
depennata
dal
vocabolario
politico.
A
questo
livello
delle
contraddizioni
del
nostro
tempo
si
colloca
la
nascita
del
movimento
antiglobalizzazione,
primo
frutto
maturo
della
crisi
dell'economia
e
della
civiltà
globalizzata.
Sia
pure
in
forme
ancora
embrionali
questo
movimento
pone
il
problema
dell'alternativa,
di
una
possibile
uscita
in
avanti
dalla
barbarie
del
neo
liberismo
e
della
sua
crisi.
In
questo
contrasto
di
fondo
si
riapre
la
questione
della
trasformazione,
del
superamento
del
capitalismo:
la
rivoluzione
torna
ad
essere
una
possibilità,
un
approdo
possibile
della
storia
umana.
In
palio,
molto
più
di
quanto
non
avvenisse
nelle
fasi
originarie
del
capitalismo,
c'è
la
salvezza
dell'umanità:
come
già
diceva
"il
Manifesto",
incombe
il
pericolo
della
"comune
rovina
delle
classi
in
lotta".
Per
queste
ragioni,
possiamo
dire
ancora
"Socialismo
o
Barbarie",
un'espressione
che
definisce,
allo
stesso
tempo,
il
nostro
orizzonte
e
la
nostra
sfida
strategica.
TESI
4
-
LA
RIVOLUZIONE
CAPITALISTICA
RESTAURATRICE
A
partire
dalla
metà
degli
anni
'70,
si
avvia
una
nuova
fase
nello
sviluppo
capitalistico:
con
mutamenti
di
tale
portata,
che
è
legittimo
parlare
di
un
"nuovo
capitalismo",
anzi
di
una
"rivoluzione
restauratrice",
caratterizzata
da
una
volontà
di
dominio
tendenzialmente
totalizzante.
L'epoca
nella
quale
viviamo
è
caratterizzata
da
una
profonda
rivoluzione
capitalistica
trainata
da
un
processo
di
globalizzazione
con
connotati
ben
diversi
da
altri
che
hanno
contrassegnato
la
storia
del
capitalismo
nelle
sue
differenti
fasi.
I
cambiamenti
sono
così
rilevanti
che
possiamo
a
ragione
parlare
oggi
di
un
nuovo
capitalismo.
Questa
rivoluzione
prende
le
sue
mosse
circa
a
metà
degli
anni
'70
e
i
suoi
inizi
sono
segnati
dallo
spezzarsi
dal
nesso
tra
sviluppo
economico
e
aumento
di
un'occupazione
tendenzialmente
stabile,
dalla
fine
della
convertibilità
del
dollaro
in
oro,
dalla
prima
grande
crisi
petrolifera,
ma
anche
della
necessità
del
sistema
capitalista
di
dare
una
risposta
sia
alla
grande
crisi
economica
degli
anni
'74
-
'75
sia
a
quel
grande
movimento
rivoluzionario
della
fine
degli
anni
'60
che,
seppur
con
caratteristiche,
intensità
e
durata
diversa
da
paese
a
paese,
si
sviluppò
a
livello
mondiale.
Questa
rivoluzione
che
ha
aperto
una
nuova
fase
nella
storia
del
capitalismo,
ha
inciso
profondamente
nei
sistemi
e
nell'organizzazione
produttiva,
nella
composizione
del
capitale
e
nella
strutturazione
del
lavoro,
nel
ruolo
degli
stati
nazionali
e
nel
funzionamento
della
democrazia,
nella
concezione
della
politica
e
della
cultura,
nelle
relazioni
internazionali
e
nell'uso
della
guerra,
nella
vita
materiale
e
nell'immaginario
collettivo
di
milioni
di
persone.
L'esito
cui
finora
è
approdata
questa
rivoluzione
è
quello
di
avere
spostato
i
rapporti
di
forza
a
favore
del
capitale
e
a
discapito
del
lavoro,
di
avere
aumentato
enormemente
le
diseguaglianze
e
le
ingiustizie,
le
differenze
sociali
e
le
distanze
tra
paesi
ricchi
e
paesi
poveri,
la
concentrazione
del
potere
in
poche
mani
e
la
lontananza
delle
grandi
masse
da
quest'ultimo,
di
avere
provocato
la
distruzione
dell'ambiente.
Per
queste
ragioni
appare
appropriato,
usando
un
ossimoro,
parlare
di
rivoluzione
capitalistica
restauratrice,
cogliendo
appieno
la
sua
estrema
novità
e
insieme
la
sua
funzione
di
ribadire
in
forme
ancora
più
acute
e
totalizzanti
il
dominio
del
capitale
nel
mondo
intero.
La
nuova
fase
del
capitalismo
e
l'attuale
processo
di
globalizzazione
pongono
problemi
rilevanti
di
analisi
e
di
interpretazione
che
infatti
sono
oggetto
di
un
ampio
dibattito
internazionale
al
quale
partecipiamo
attivamente,
a
partire
dalla
rilevazione
di
alcune
caratteristiche
essenziali.
TESI
5
-
IL
CAPITALE
Il
processo
di
autovalorizzazione
del
capitale
si
modifica:
crescita
spettacolare
della
finanziarizzazione,
intensificazione
dello
sfruttamento
del
lavoro,
materiale
e
"immateriale"
sussunzione
diretta
della
scienza
nel
ciclo
produttivo.
Muta
l'organizzazione
del
lavoro,
con
il
superamento
del
modello
taylorista.
E
l'espansione
produttiva
si
articola
in
termini
radicalmente
inediti
su
scala
internazionale.
E'
intervenuta
una
modificazione
nel
processo
di
valorizzazione
del
capitale,
sia
nel
senso
di
un
ulteriore,
enormemente
accresciuto,
processo
di
finanziarizzazione
(tra
il
1970
e
il
2000
il
volume
degli
scambi
finanziari
è
passato
da
20
a
oltre
2000
miliardi
di
dollari,
di
cui
4/5
sono
rappresentati
da
operazioni
di
durata
inferiore
ai
7
giorni),
sia
perché
è
diventato
relativamente
assai
più
incidente
lo
sfruttamento
diretto
e
indiretto
del
lavoro
immateriale
(dal
campo
dell'informazione
a
quello
delle
relazioni
umane)
senza
che
sia
venuto
meno
quello
sul
lavoro
materiale;
sia
perché
assistiamo
ad
una
diretta
sussunzione
dello
sfruttamento
dell'ambiente
e
della
natura,
nonché
della
stessa
vita
vegetale,
animale
e
umana
-
attraverso
un
asservimento
della
ricerca
scientifica
e
delle
sue
applicazioni
nel
campo
delle
biotecnologie.
E'
intervenuta
una
modificazione
dell'organizzazione
produttiva,
dopo
la
crisi
di
quella
basata
sul
principio
della
produzione
di
massa
per
il
consumo
di
massa
che
aveva
contrassegnato
il
ciclo
fordista
-
taylorista
-
keynesiano,
con
la
tendenziale
adozione
di
sistemi
produttivi
basati
sul
principio
del
cosiddetto
"just
in
time",
ossia
mutuati
dall'esperienza
condotta
nelle
aziende
Toyota
in
Giappone.
E'
in
corso
un'articolazione
produttiva
che
non
ha
precedenti
in
fasi
pregresse
di
espansione
internazionale
del
capitale
e
che
permette,
a
volte
anche
all'interno
della
stessa
azienda
e
del
suo
indotto,
di
far
convivere,
seppure
in
diverse
zone
geografiche,
sistemi
produttivi
post-fordisti,
con
la
permanenza
di
quelli
fordisti
o
addirittura
pre-fordisti
e
arcaici.
TESI
6
-
IL
LAVORO
Contrariamente
alla
vulgata
sulla
"fine
del
lavoro",
il
lavoro
dipendente
è
cresciuto
nel
mondo
a
ritmi
grandissimi.
Ma
gigantesca,
in
parallelo,
è
la
sua
frantumazione,
mentre
il
mercato
del
lavoro
tende
a
suddividersi
in
un
nucleo
di
occupati
"garantiti",
sempre
più
ristretto,
un'area
di
lavoratori
precari
,
"atipici",
progressivamente
crescente,
una
massa
di
disoccupati,
più
o
meno,
cronici.
Siamo di fronte a un gigantesco processo di frantumazione del mondo del lavoro: contrariamente alla vulgata sulla "fine del lavoro" nel mondo, sia ora che nelle previsioni future di tutti gli enti internazionali che si occupano dell'evoluzione degli scenari economici e sociali, il lavoro dipendente è cresciuto ed è destinato a crescere enormemente su scala mondiale, qualunque sia la forma giuridica o la definizione sociologica che assume da paese a paese. Questo non deriva soltanto dal diffondersi della produzione industriale e della sua articolazione sul pianeta, ma dalla sussunzione nell'ambito del lavoro dipendente di figure un tempo appartenenti al lavoro autonomo. Contemporaneamente - e questo è ovviamente più evidente nei paesi a capitalismo maturo - è in corso una tripartizione del mercato e del mondo del lavoro, tra un nucleo sempre più ristretto di lavoratori a tempo pieno e indeterminato, una crescente area di lavoratori precari e atipici, una cronica disoccupazione di massa. In alcuni paesi - come negli Stati Uniti d'America - queste ultime appaiono meno estese semplicemente perché l'estrema liberalizzazione del mercato del lavoro rende ancora più larga l'area del lavoro precario ma i criteri con cui viene censito lo fanno rientrare statisticamente nel campo dell'occupazione.
TESI
7
-
LA
RIVOLUZIONE
INFORMATICA
La
così
detta
rivoluzione
informatica
modifica
profondamente
la
composizione
organica
del
capitale
e
contribuisce
a
rendere
"incontrollabili"
i
movimenti
finanziari.
Nei
sette
paesi
più
industrializzati,
gli
scambi
di
moneta
elettronica
superano
circa
sette
volte
le
riserve
delle
Banche
centrali.
Un
volano
potente
dell'attuale
rivoluzione
capitalistica
e
del
processo
di
globalizzazione
è
certamente
rappresentato
dalla
rivoluzione
informatica
e
dal
peso
crescente
dell'informazione
e
del
prodotto
intellettuale
nei
processi
di
valorizzazione
del
capitale.
La
velocità
delle
trasmissioni
ha
fornito
inoltre
un
impulso
determinante
ai
processi
di
finanziarizzazione
del
capitale,
alla
estrema
rapidità
e
brevità
delle
transazioni
e
quindi
al
loro
carattere
prettamente
speculativo,
così
come
alla
globalizzazione
della
produzione.
Non
si
tratta
solo
di
un
aumento
quantitativo,
ma
di
una
modificazione
qualitativa
nella
composizione
organica
del
capitale,
poiché
grazie
all'informatizzazione,
viene
ridotto
il
peso
relativo
del
capitale
fisso,
cioè
dei
macchinari,
nella
formazione
dei
prezzi
di
produzione.
Allo
stesso
tempo
l'avvento
delle
nuove
tecnologie
dell'informazione
e
della
telecomunicazione
hanno
allo
stato
dei
fatti
accentuato
e
velocizzato
in
modo
considerevole
i
movimenti
di
capitale
che
risultano
spesso
incontrollabili
da
parte
degli
stati
nazionali,
rendendo
più
profonde
e
gravi
le
crisi
alla
periferia
dello
sviluppo
capitalistico
e
facendo
presagire
in
futuro
una
accentuazione
dell'instabilità
dei
cambi
anche
tra
le
valute
delle
aree
forti.
TESI
8
-
IL
CROLLO
DEL
SOCIALISMO
REALE
La
globalizzazione
è
stata
favorita
dal
fallimento
dei
sistemi
detti
di
"socialismo
reale"
e
-
in
Italia
-
dalla
sconfitta
operaia
degli
anni
'80:
la
successiva
temperie
ideologica
neoliberista
ha
coinvolto
la
sinistra
moderata.
A
Maastricht
l'Europa
è
nata
sotto
questo
segno.
Questa
rivoluzione
capitalistica
si
è
accompagnata
-
e
da
un
certo
momento
in
poi
è
stata
favorita
-
al
fallimento
dei
sistemi
del
"socialismo
reale"
e
a
una
sconfitta
operaia
che,
almeno
in
Europa,
ha
assunto
rilevanti
dimensioni.
A
partire
dagli
anni
'80,
in
particolare
in
Italia
dopo
la
sconfitta
alla
Fiat,
i
processi
di
ristrutturazione
capitalistica
si
sono
potuti
giovare
degli
arretramenti
del
movimento
dei
lavoratori,
gli
stessi
che
spiegano
la
continua
regressione
dei
partiti
della
socialdemocrazia
e
dei
partiti
comunisti
europei.
Gli
attacchi
allo
stato
sociale
europeo,
il
processo
stesso
di
costruzione
dell'Unione
europea,
i
contenuti
del
trattato
di
Maastricht
e
del
Patto
di
stabilità,
sono
stati
determinati
in
modo
prevalente
da
coordinate
neoliberiste
accettate
dai
partiti
dell'Internazionale
socialista.
In
questo
senso
la
globalizzazione
capitalistica
non
si
spiega
grazie
ad
una
sorta
di
determinismo
economico,
ma
anche
come
il
risultato
di
una
offensiva
politica
e
sociale
da
parte
delle
classi
dominanti
sia
a
livello
nazionale
che
sovrannazionale.
Questa
spregiudicatezza
nell'utilizzo
di
strumenti
diversi
dimostra
la
capacità
delle
grandi
forze
capitalistiche
di
liberarsi
da
qualsiasi
controllo
sulle
proprie
azioni,
grazie
all'accresciuta
forza
della
concentrazione
internazionale
del
capitale,
non
rinunciando
allo
stesso
tempo
ad
esercitare
pressioni
sui
singoli
stati
o
gruppi
di
stati,
come
sull'Ue,
per
ottenere
non
solo
ulteriori
liberalizzazioni,
ma
anche
il
diretto
sostegno
ai
propri
interessi
nelle
relazioni
internazionali,
politiche,
economiche,
finanziarie
e
militari.
Il
trionfo
del
liberismo
e
il
salto
di
qualità
nel
processo
di
globalizzazione
capitalistica
sono
dipesi
anche
dal
fallimento
dei
paesi
del
"socialismo
reale",
in
particolare
dal
crollo
dell'Urss
e
dall'inserimento
consapevole
e
progressivo
della
Cina
nei
meccanismi
dell'economia
di
mercato.
Questi
avvenimenti
hanno
facilitato
l'offensiva
ideologica
e
materiale
delle
borghesie
occidentali
che
hanno
potuto
estendere
la
legge
del
mercato
in
settori
e
territori
che
fino
a
non
molto
tempo
fa
ne
erano
esclusi.
TESI
9
-
LE
CRISI
AMBIENTALI
Produttivismo
e
consumismo
stanno
provocando
il
collasso
dell'ecosfera.
Le
emergenze
del
clima,
dell'acqua,
dell'energia,
del
cibo
non
si
superano,
se
non
attraverso
un
modello
di
sviluppo
radicalmente
alternativo
Lo
sviluppo
scientifico
e
tecnologico
degli
ultimi
secoli
ha
permesso
ad
una
parte
del
mondo
straordinari
progressi
accompagnati
però
da
contraddizioni
crescenti,
fra
quest'ultime
gli
squilibri
sempre
più
evidenti
nell'ecosistema.
Il
produttivismo
da
una
parte
e
il
consumismo
dall'altra
hanno
favorito
una
crescita
incontrollata
dell'uso
di
risorse
naturali,
la
distruzione
di
interi
ambienti,
cambiandone
fisicamente
la
struttura,
eliminando
quantità
incalcolabili
di
specie
viventi,
immettendo
sostanze
in
qualità
e
quantità
tali
da
non
essere
"metabolizzate"
nei
normali
cicli
naturali.
Da
alcuni
decenni,
si
sono
sviluppati
movimenti
tesi
a
far
prendere
coscienza
che
è
impossibile
espandere
all'infinito
l'uso
di
energia
e
di
materie
prime,
la
trasformazione
profonda
del
territorio
e
la
produzione
di
rifiuti:
è
l'ecosfera
a
garantire
la
sopravvivenza
dell'uomo
e
la
continuità
di
tutto
il
suo
agire
e
a
causa
delle
alterazioni
introdotte
l'ecosfera
sta
avviandosi
al
collasso
totale.
E'
evidente,
inoltre,
il
fallimento
della
promessa
di
estendere
a
tutti
il
livello
di
consumi
dei
paesi
più
ricchi.
Lo
sviluppo
tecnologico
dei
paesi
industrializzati
ha
favorito
la
divaricazione
fra
i
paesi
più
ricchi
e
quelli
più
poveri,
distribuendo
invece
a
tutti
le
conseguenze
ambientali.
Per
evitare
il
collasso
dell'ecosistema
e
permettere
ai
paesi
arretrati
di
raggiungere
livelli
di
vita
dignitosi,
occorre
ridurre
drasticamente
il
consumo
di
risorse
naturali
nei
paesi
più
industrializzati.
La
globalizzazione
capitalistica
sta
inoltre
determinando
non
soltanto
il
degrado
dell'ambiente
ma
una
vera
e
propria
rottura
tra
il
modello
economico
e
sociale
e
l'esigenza
di
garantire
la
riproduzione
ambientale.
Questa
globalizzazione
provoca,
dal
punto
di
vista
ambientale,
un'accelerazione
dell'entropia.
I
cicli
economici
si
globalizzano
interferendo
con
i
cicli
ambientali.
Il
moltiplicarsi
degli
spostamenti
per
le
esigenze
della
produzione
globale
accresce
a
dismisura
gli
impatti.
Il
trasferimento
delle
produzioni
avviene
ricercando
condizioni
di
maggiore
sfruttamento
anche
dell'ambiente.
La
rottura
tra
la
produzione
alimentare
e
la
sua
dimensione
territoriale
distrugge
i
territori
stessi
e
mette
a
rischio
l'alimentazione.
Nell'insieme
si
è
affermato
un
rapporto
perverso
tra
la
crescita
del
prodotto
interno
lordo
(Pil)
e
la
produzione
di
effetto
serra,
mentre
al
contrario
il
Pil
si
è
separato
dalla
produzione
di
occupazione
stabile
e
di
benessere
sociale.
Sono
quindi
messi
in
discussione
il
significato
stesso
di
sviluppo
e
i
parametri
tradizionalmente
utilizzati
per
misurarlo.
L'insicurezza
ambientale
coinvolge
la
generalità
delle
persone.
Si
verificano
grandi
crisi
ambientali
che
si
intrecciano
tra
loro,
sommando
così
gli
effetti
negativi:
quella
climatica,
quella
energetica,
quella
dell'acqua,
quella
alimentare,
sia
dal
punto
di
vista
del
fenomeno
della
fame
che
della
degradazione
dell'alimentazione.
Nei
prossimi
venti
anni,
la
mancanza
di
acqua
sarà
causa
di
guerre
in
molte
parti
del
mondo.
Queste
crisi,
per
essere
effettivamente
affrontate,
pongono
il
problema
di
una
radicale
messa
in
discussione
delle
logiche
di
fondo
dell'economia
capitalistica
e
della
sua
globalizzazione.
Il
boicottaggio
degli
accordi
di
Kyoto
dimostra
che
le
classi
dominanti
cercano
in
ogni
modo
di
garantire
la
sopravvivenza
dell'attuale
modello,
scontando
una
crescita
degli
squilibri
e
del
degrado.
Perciò
l'attuale
assetto
globale
vuole
garantirsi,
pur
tra
contrasti,
ma
entro
un
orizzonte
comune,
anche
il
controllo
della
riproduzione
manipolata
attraverso
il
dominio
genetico.
Vi
è
l'esigenza,
non
rimandabile,
di
mettere
in
campo
un
diverso
progetto
di
economia
e
società
che
metta
in
discussione
il
modo
attuale
di
produzione,
nella
consapevolezza
che
lo
sviluppo
non
può
più
non
rispettare
i
tempi
biologici
della
natura
e
che
è
necessario
arrivare
ad
una
società
basata
sull'equilibrio.
In
questo
contesto
si
collocano
i
grandi
temi
della
salvaguardia
della
biodiversità
e
dei
diritti
e
tutele
delle
diverse
specie
viventi.
I
diritti
degli
animali
costituiscono
quindi
parte
integrante
della
costruzione
di
un
diverso
mondo
possibile.
TESI
10
-
LA
CRISI
DELLO
STATO-NAZIONE
Gli
stati
nazionali
crescono
di
numero,
ma
vanno
progressivamente
smarrendo
potere.
La
politica
economica
viene
esercitata
dalle
multinazionali,
da
grandi
organismi
internazionali
(dal
Fmi
al
Wto),
mentre
le
priorità
di
bilancio
(ma
anche
le
politiche
di
sicurezza)
sono
decise
a
livello
sovranazionale
(la
Ue).
Si
svuota
la
tradizionale
funzione
di
mediazione
dello
Stato
che
diventa
"garante"
degli
investimenti
del
capitale
internazionale
e
dell'espansione
del
mercato.
Se
queste
sono
le
principali
modificazioni
intervenute
sul
piano
strutturale
ed
economico,
quelle
che
riguardano
il
terreno
istituzionale
e
delle
relazioni
internazionali
possono
essere
riassunte
nelle
seguenti.
Assistiamo
da
tempo
ad
un
processo
di
crisi
dello
stato-nazione.
Questo
non
significa
la
sparizione
degli
stati
-
anzi
il
loro
numero
è
in
continuo
aumento
-
ma
una
rilevante
perdita
di
potere
e
di
autorevolezza
in
molti
campi
ed
una
marcata
modificazione
di
ruolo.
Lo
stato-nazione
è
messo
in
discussione
da
due
lati
e
da
due
processi,
dall'alto
e
dal
basso.
E'
messo
in
discussione
perché
perde
la
sovranità
su
molte
materie
che
un
tempo
erano
di
sua
tradizionale
pertinenza.
Nel
campo
della
politica
economica
assistiamo
ad
una
drastica
limitazione
delle
stesse
possibilità
di
programmazione
economica,
poiché
le
leve
di
comando
dell'economia
risiedono
nei
grandi
organismi
costruiti
su
basi
a-democratiche
a
livello
internazionale,
come
il
Fondo
monetario
internazionale
(FMI),
l'Organizzazione
mondiale
del
commercio
(OMC),
la
Banca
mondiale
(BM),
l'organizzazione
per
lo
sviluppo
e
la
cooperazione
economica
(OCSE).
Le
decisioni
di
politica
economica
e
di
bilancio
sono
condizionate
in
modo
assolutamente
prevalente
da
accordi
sovranazionali,
come,
nel
caso
europeo,
dal
trattato
di
Maastricht
e
dal
conseguente
Patto
di
Stabilità.
La
tradizionale
funzione
mediatoria
che
lo
stato
ha
avuto,
pur
nella
sostanziale
difesa
della
società
capitalistica,
anche
sul
terreno
di
una
certa
ridistribuzione
del
reddito
e
della
organizzazione
dei
servizi
sociali,
tende
ad
essere
sostituita
da
quella
di
porsi
come
migliore
garante
dell'allocazione
degli
investimenti
del
capitale
internazionale
e
della
creazione
di
nuovi
terreni
per
il
mercato,
con
la
riduzione
dello
spazio
pubblico.
Nello
stesso
tempo
le
forme
sovranazionali
di
comando
spingono
verso
una
costante
diminuzione
della
democrazia,
verso
sistemi
a-democratici
e
di
democrazia
autoritaria
all'interno
degli
stati
nazionali.
Questi
processi
sono
ulteriormente
amplificati
dallo
stato
di
guerra
permanente
instauratosi
in
questi
ultimi
anni,
dai
conseguenti
fenomeni
di
militarizzazione
in
atto
e
dall'enfatizzazioni
di
logiche
sicuritarie.
Persino
le
funzioni
di
ordine
pubblico
che
venivano
gestite
dai
governi
nazionali
entro
il
proprio
territorio,
dipendono
sempre
più
da
decisioni
e
ordini
che
provengono
da
centri
di
comando
internazionali,
come
si
è
verificato
in
occasione
dei
recenti
vertici,
come
quello
di
Genova.
TESI
11
-LA
DISARTICOLAZIONE
DELLO
STATO
I
poteri
decisionali
dello
Stato-nazione
vengono
erosi,
in
basso,
dalla
spinta
alla
frammentazione
localistica,
che
in
Italia
ha
assunto
la
forma
del
federalismo.
Una
scelta
funzionale
allo
smantellamento
progressivo
del
Welfare
Contemporaneamente il ruolo degli stati-nazione è attaccato dal basso, ossia da un processo di frammentazione su scala locale del residuo potere decisionale, che nel nostro paese ha assunto la forma di una modificazione in un senso cosiddetto federalista della stessa Costituzione. E' un processo che si accompagna ed è funzionale ai processi di privatizzazione - che nel nostro paese sono stati negli ultimi anni particolarmente massicci - e di distruzione del welfare state sul piano interno, nonché alle tendenze - del resto apertamente teorizzate - delle aree forti, cioè delle aree omogenee per "affari", a collegarsi direttamente tra loro saltando ogni mediazione statuale e sfruttando incentivi e legislazioni favorevoli a livello sovranazionale. Anche in questo caso non assistiamo ad un avvicinamento delle sedi decisionali al cittadino, ma al contrario ad un'ulteriore occupazione dello spazio pubblico da parte dell'interesse privato e del mercato, ad una sottrazione di democrazia, ad un ulteriore indebolimento della coesione della comunità nazionale.
TESI
12
-
LA
GUERRA,
NUOVA
DIMENSIONE
DELLA
POLITICA
INTERNAZIONALE
Mentre
deperiscono
le
sedi
storiche
di
governo
delle
relazioni
tra
gli
stati,
come
l'Onu,
si
rafforzano
strutture
come
il
G8
e
la
Nato.
La
guerra
diventa
la
modalità
stessa
della
politica
internazionale:
essa
è
costituente
nel
senso
che
tende
a
costituire
sia
un
nuovo
assetto
unipolare
("amicizia"
di
lungo
periodo
tra
Usa,
Russia
e
Cina)
sia
i
propri
organi
di
dominio,
sia
alleanze
a
geometria
variabile.
Gli
organismi
internazionali
che
erano
preposti
al
governo
delle
relazioni
internazionali
conoscono
una
profonda
crisi
ed
una
cancellazione
del
loro
ruolo
sia
possibile
che
reale.
E'
il
caso
dell'ONU
sostituito
sul
piano
politico
e
militare
dal
G8
e
dalla
Nato
e
su
quello
delle
politiche
economico
-
sociali
dall'OMC
e
da
altri
organismi
e
momenti
di
incontro
specifici
tra
i
paesi
più
ricchi
e
dominanti.
La
stessa
politica
internazionale
subisce
una
profonda
torsione.
La
guerra
non
è
più
soltanto
la
prosecuzione
della
politica
con
altri
mezzi,
secondo
la
celeberrima
definizione,
ma
è
sempre
più
-
con
un'accelerazione
intensissima
nei
recenti
anni
'90
-
la
dimensione
stessa
della
politica
internazionale
nell'epoca
della
globalizzazione:
il
passaggio
dalla
guerra
minacciata
alla
guerra
guerreggiata
avviene
senza
soluzione
di
continuità,
senza
atti
di
dichiarazioni
internazionali
che
l'annuncino,
al
di
fuori
di
sedi
istituzionalmente
predisposte
ad
assumere
decisioni
di
questa
natura
limitando
il
ruolo
degli
stati
nazionali
a
quello
di
offrirsi
come
semplici
pedine
all'interno
di
strategie
militari
decise
in
altro
luogo.
Con
la
guerra
del
Golfo
e
in
particolare
con
quella
dei
Balcani,
la
guerra
ha
assunto
il
ruolo
di
costituente
di
un
nuovo
ordine
mondiale,
che
ora,
nella
prima
guerra
della
globalizzazione,
cominciata
con
l'attacco
anglo-americano
dell'Afganistan,
sembra
dotarsi
di
ulteriori
nuovi
strumenti
di
governo
a
geometria
variabile
(al
di
là
degli
stessi
G8
e
Nato,
essendone
evidenti,
soprattutto
per
quest'ultima,
i
limiti
di
fronte
alla
nuova
situazione
mondiale),
attorno
a
un
asse
costituito
dagli
Stati
Uniti
d'America,
dalla
Russia
e
dalla
Cina.
In
sostanza
il
processo
di
globalizzazione
pur
non
essendo
né
lineare
né
privo
di
contraddizioni,
è
tutt'altro
che
anarchico
e
incontrollato.
Al
contrario
produce
e
rinnova
continuamente
i
suoi
organi
di
governo,
entro
i
quali
cerca
di
compensare
le
contraddizioni
e
le
tensioni
che
si
producono
al
suo
interno
e
tra
i
suoi
stessi
protagonisti.
Questi
organi
di
governo
sono
costruiti
su
base
assolutamente
a-democratica,
estranei
e
contrapposti
agli
organi
legittimamente
fondati
e
riconosciuti
da
governi,
nazioni
e
popoli,
impermeabili
alla
volontà
popolare
e
violentemente
ostili
e
ferocemente
repressivi
verso
qualunque
movimento
o
istanza
contestativi.
TESI
13
-
IL
RUOLO
DEGLI
USA
Una
consistente
eccezione
alla
crisi
degli
stati
nazionali
concerne
gli
Stati
uniti
d'America:
paese-guida
della
rivoluzione
capitalista
e
della
globalizzazione,
esso
occupa
oggi
una
posizione
egemonica
nella
costruzione
del
nuovo
ordine
mondiale
unipolare,
anche
in
virtù
della
sua
potenza
militare.
Naturalmente
la
crisi
dello
stato
nazione
non
investe
tutti
gli
stati
nella
stessa
misura
e
allo
stesso
modo.
In
aree
del
mondo
forme
di
resistenza
nei
confronti
del
processo
di
globalizzazione,
che
possono
accentuarsi
nell'attuale
fase
di
crisi
di
quest'ultimo,
si
muovono
anche
facendosi
forza
della
dimensione
statuale.
Certamente
questa
crisi
non
riguarda
il
ruolo
degli
Stati
Uniti
d'America.
Questo
stato
si
pone
come
il
motore
del
processo
di
globalizzazione.
Le
ragioni
sono
storiche,
economiche,
militari
e
di
modello
sociale.
Gli
Stati
Uniti
sono
il
paese
che
con
il
sistema
fordista-taylorista-keynesiano
e
il
new
deal
ha
sperimentato
e
diffuso
le
più
importanti
esperienze
di
strutturazione
e
organizzazione
del
sistema
capitalista
nella
prima
metà
del
novecento;
sono
usciti
dal
secondo
conflitto
mondiale
con
una
funzione
di
guida
nel
cosiddetto
primo
mondo
nel
quale
si
concentrava
il
sistema
capitalista;
hanno
avuto
un
ruolo
preminente
in
campo
finanziario
e
monetario,
anche
attraverso
gli
accordi
di
Bretton
Woods;
hanno
rafforzato
la
loro
autorevolezza
nella
lunga
contesa
contro
il
campo
dominato
dall'Unione
sovietica;
sono
la
sede
originaria
di
molte
delle
principali
imprese
finanziarie
e
delle
multinazionali;
hanno
sviluppato
una
potenza
militare
soverchiante
rispetto
ad
ogni
altra;
hanno
modellato
un
sistema
sociale
ed
economico
che
vuole
apparire
come
l'inveramento
più
autentico
delle
dottrine
neoliberiste
anche
se
l'economia
di
quel
paese
è
dipesa
in
modo
consistente
da
politiche
di
gestione
dall'alto
delle
dinamiche
apparentemente
spontanee
di
mercato,
politiche
sovente
mercantilistiche
e
protezionistiche
condotte
sotto
la
bandiera
ideologica
del
liberoscambismo.
Sulla
base
di
tutto
questo
gli
Stati
Uniti
d'America
si
sono
trovati
in
posizione
di
guida
nell'attuale
rivoluzione
capitalistica
e
nel
processo
di
globalizzazione,
pur
essendo
stato
rilevante
il
concorso
anche
di
altri
paesi,
per
certi
periodi
in
aperta
competizione
con
gli
stesi
USA,
come
il
Giappone
specialmente
per
quanto
riguarda
l'innovazione
dei
modelli
e
dell'organizzazione
produttiva.
Nel
corso
dell'esercizio
pluriennale
di
una
funzione
preminente
nel
sistema
capitalistico
gli
Stati
Uniti
hanno
tuttavia
conosciuto
rilevanti
modificazioni
particolarmente
per
quanto
riguarda
la
gestione
dei
flussi
finanziari
e
i
loro
rapporti
con
gli
altri
paesi:
infatti
gli
USA
che
erano
la
più
importante
fonte
mondiale
di
liquidità
e
di
investimenti
all'estero
negli
anni
'50
e
'60,
sono
diventati,
oggi,
il
maggior
paese
debitore
e
il
più
grande
ricettore
di
investimenti
stranieri.
L'insieme
di
questi
processi
colloca
oggi
gli
USA
in
una
posizione
egemonica
nella
costruzione
degli
strumenti
di
governo
unipolare
e
oligarchico
del
mondo,
ruolo
che
è
ancora
più
sottolineato
e
favorito
dall'esercizio
della
guerra,
come
è
stato
ulteriormente
confermato
nell'attuale
conflitto
contro
l'Afganistan.
La
potenza
militare
degli
Usa
-
e
lo
sviluppo
della
tecnologia
ad
essa
finalizzata
-
è
assolutamente
soverchiante
ed
essi
la
sfruttano
appieno
per
ribadire
la
loro
primazia
nel
processo
di
globalizzazione,
come
dimostra
anche
l'attuale
discussione
attorno
alla
costruzione
dello
"scudo
spaziale".
TESI
14
-
IL
SUPERAMENTO
DELLA
NOZIONE
CLASSICA
DI
IMPERIALISMO
(approvata
dal
Comitato
Politico
Nazionale)
La
nozione
classica
di
imperialismo,
nei
termini
definiti
da
Lenin,
Luxemburg
e
Hilferding,
appare
oggi
inadeguata.
Essa
"sintetizzava"
fenomeni
quali
la
centralizzazione
capitalistica
al
crescente
livello
dello
Stato,
la
fusione
tra
capitale
industriale
e
finanziario,
gli
scontri
anche
militari
tra
potenze
imperiali
per
il
controllo
di
risorse,
territori,
mercati.
Oggi,
all'opposto,
il
capitalismo
si
muove
su
straordinarie
concentrazioni
trans
e
sovranazionali,
che
condizionano
le
scelte
e
la
politica
degli
Stati,
anche
i
più
forti,
ed
è
cresciuta
l'autonomia
dei
mercati
finanziari.
Ma
soprattutto,
nella
generale
accettazione
della
globalizzazione
capitalistica
che
coinvolge
tutte
le
potenze
a
livello
mondiale,
i
contrasti
tra
gli
Stati
non
producono
di
per
se
né
la
costruzione
di
un
campo
antimperialista
né
dirompenti
contraddizioni
di
tipo
interimperialistico.
Come
del
resto,
paesi
aggrediti
delle
grandi
potenze,
non
si
trasformano
per
questo
in
soggetti
antimperialisti.
In
questo
quadro
così
mutato
la
nozione
classica
di
imperialismo
appare
inadeguata
per
caratterizzare
l'attuale
fase
dello
sviluppo
capitalistico.
Conseguentemente
catalogare
i
contrasti
e
i
conflitti
internazionali
fra
stati
come
effetti
delle
contraddizioni
interimperialistiche
sarebbe
totalmente
fuorviante.
Il
processo
di
accumulazione
capitalistica
ha
avuto
sin
quasi
dagli
inizi
una
dimensione
sovrannazionale.
L'imperialismo,
nei
termini
definiti
da
Lenin
e
da
Rosa
Luxemburg,
come
pure,
con
le
distinzioni
necessarie,
da
Hilferding,
si
è
sviluppato
a
partire
dagli
ultimi
decenni
del
XIX
secolo
ed
ha
raggiunto
il
suo
culmine
con
la
Prima
guerra
mondiale.
Dopo
la
Seconda
guerra
mondiale,
ha
assunto
nuove
forme
per
cui
è
stata
pertinentemente
usata
la
categoria
di
neocolonialismo
o
neoimperialismo.
L'analisi
del
fenomeno
imperialista,
come
si
presentava
nella
prima
parte
del
secolo
scorso,
si
basava
essenzialmente
sull'osservazione
della
fusione
tra
il
capitale
finanziario
e
il
capitale
industriale,
sulla
tendenza
alla
creazione
di
monopoli,
su
processi
di
centralizzazione
capitalistica
che
avvenivano
a
livello
statale
ed
attraverso
gli
stati
esercitavano
la
loro
potenza
a
livello
internazionale,
sull'esportazione
di
merci
e
capitali
verso
nuove
terre,
sull'utilizzo
di
scontri
armati
e
delle
guerre
fra
stati
imperialisti
e
capitalisti
per
il
controllo
di
territori,
di
risorse,
di
mercati.
Oggi
le
condizioni
sono
radicalmente
mutate.
I
processi
di
centralizzazione
e
concentrazione
capitalistica
hanno
assunto
un
carattere
sovranazionale
senza
precedenti
con
mutazioni
nella
strutturazione
della
proprietà
dei
mezzi
di
produzione
e
di
scambio,
con
una
diversa
distribuzione
territoriale
e
con
un
ruolo
enormemente
accresciuto
dei
mercati
finanziari
che
tendono
ad
operare
con
una
relativa
autonomia.
Le
varie
funzioni
del
denaro,
quale
mezzo
di
scambio,
di
risparmio
e
di
investimento
vengono
strettamente
compenetrate
per
un
più
totale
dominio
dei
mercati
globali.
La
presenza
dei
centri
decisionali
del
capitale
in
determinati
stati
piuttosto
che
in
altri
-
e
fra
i
primi
in
modo
preminente
negli
Stati
Uniti
d'America
-
non
significa
che
essi
si
muovono
sulla
forza
degli
stati
ma,
al
contrario,
che
essi
ne
condizionano
e
ne
determinano
non
solo
la
politica,
ma
anche
modi
di
funzionamento.
Queste
tendenze
contemporanee
e
il
nuovo
contesto
segnato
dal
crollo
dei
paesi
del
"socialismo
reale"
e
dalla
fine
della
"guerra
fredda",
autorizzano
la
conclusione
che
non
è
affidabile
ai
contrasti
tra
paesi
capitalisti
e
alle
contraddizioni
interimperialistiche
la
crisi
e
la
sconfitta
della
globalizzazione
capitalistica
e
che
è
improponibile
l'ipotesi
di
guerre
interimperialistiche.
Di
conseguenza
i
conflitti
di
questa
fase
e
quelli
in
prospettiva
non
possono
essere
interpretati
in
funzione
di
contrapposizione
tra
le
maggiori
potenze.
Vanno
e
andranno
collocati
entro
l'esigenza
di
gestione
della
globalizzazione
capitalistica
e
di
salvaguardia
del
sistema
nel
suo
insieme,
al
quale
si
oppone
il
movimento
no-global.
TESI
15
-
I
NUOVI
ASSETTI
DEL
MONDO
Nella
fine
dell'ordine
bipolare,
si
è
consumata
non
solo
l'idea
tradizionale
di
divisione
tra
un
Primo,
un
Secondo
e
un
Terzo
mondo,
ma
quella,
più
recente,
tra
Nord
e
Sud.
Più
efficace
ci
pare
il
paradigma
delle
contraddizioni
tra
i
diversi
Centri
e
le
diverse
Periferie
della
globalizzazione.
Muta
la
stessa
nozione
di
territorio:
oggi
è
più
corretto
parlare
di
"luoghi-mondo",
sistemi
urbani
collegati
dalla
rete
e
da
flussi
stabili
di
comunicazione
La
contraddizioni
tra
grandi
paesi
capitalisti
non
hanno
comportato
da
tempo
e
non
comportano
guerre
tra
loro,
non
solo
a
causa
del
superamento
dei
confini
nazionali
operato
dalle
grandi
centralizzazioni
capitalistiche,
ma
anche
perché
i
vari
organi
di
governo
del
processo
di
globalizzazione,
seppure
dominati
politicamente
dagli
USA,
servono
da
camera
di
compensazione
dei
contrasti
e
delle
contraddizioni
che
pure
permangono,
ed
impediscono
che
questi
giungano
alla
forma
acuta
di
un
conflitto
armato.
Il
mondo
non
è
più
diviso
in
blocchi
contrapposti,
né
tripartito
tra
Primo,
Secondo
e
Terzo
mondo,
come
veniva
analizzato
da
una
parte
importante
del
movimento
comunista
internazionale
nel
secondo
dopoguerra.
Tra
i
paesi
che
erano
inclusi
allora
nel
Terzo
mondo,
rilevanti
sono
state
le
modificazioni
sia
dal
punto
di
vista
economico
che
politico
-
si
pensi
all'est
dell'Asia
-
che
renderebbero
impossibile
proporre
unità
di
condizioni
e
di
schieramenti
del
tipo
di
quelli
sperimentati
nel
passato,
cioè
dei
cosiddetti
paesi
non
allineati.
Lo
stesso
contrasto
fra
Nord
e
Sud
del
mondo
va
riletto
alla
luce
delle
nuove
trasformazioni.
Pur
avendo
la
globalizzazione
determinato
-
come
abbiamo
già
visto
-
l'aumento
enorme
delle
diseguaglianze
tra
i
paesi
più
ricchi
e
quelli
più
poveri,
appare
più
giusto
e
fertile
leggere
le
contraddizioni
mondiali
secondo
un
asse
di
contraddizione
tra
Centro
e
Periferia
del
processo
di
globalizzazione.
Anzi
tra
più
centri
e
più
periferie,
poiché
gli
uni
e
le
altre
possono
trovarsi
su
scala
locale
entro
gli
stessi
paesi
capitalistici
più
sviluppati.
In
questo
senso
muta
anche
la
concezione
tradizionale
di
geopolitica.
E'
infatti
necessaria
una
ridefinizione
dello
stesso
concetto
di
territorio
riguardo
al
processo
di
globalizzazione,
poiché
quaest'ultimo
ha
bisogno
sì
di
localizzazioni,
ma
queste
anziché
riconoscersi
nei
territori
degli
stati,
si
concentrano
in
sistemi
territoriali
prevalentemente
urbani
collegati
attraverso
reti
materiali
e
immateriali
di
comunicazione
(in
luoghi-mondo,
secondo
una
felice
terminologia
socio-economica).
Indubbiamente
la
scomparsa
di
un
campo
contrapposto
a
quello
capitalista
da
un
lato
e
le
necessità
economiche
del
processo
di
globalizzazione
dall'altro,
hanno
esposto
ulteriormente
le
periferie
del
sistema
capitalista
mondiale
ad
una
ulteriore
depredazione
e
ad
uno
stato
continuo
di
guerre.
Queste
ultime
sono
fomentate
o
condotte
direttamente
dallo
stato
guida
della
globalizzazione,
gli
USA,
e
dagli
organi
da
esso
dominati,
sia
per
ribadire
l'impossibilità
di
sottrarsi
a
quel
processo
e
al
governo
unipolare
del
mondo
e
in
questo
caso,
assumono
le
caratteristiche
di
atti
punitivi,
di
ritorsioni
e
di
rappresaglie
sia
per
mantenere
o
conquistare
il
controllo
e
il
possesso
di
fondamentali
materie
prime,
tra
cui
fonti
energetiche
quali
il
petrolio
che
continuano
ad
avere
un
importanza
strategica
fondamentale.
Conseguentemente
appare
improponibile
l'idea
della
costituzione
di
fronti
antimperialistici
tra
stati.
Non
solo
per
le
mutate
caratteristiche
dell'attuale
capitalismo,
ma
per
le
indisponibilità
degli
stessi
soggetti.
Questo
è
dimostrato
dal
processo
di
convergenza
con
gli
USA
sulla
guerra
in
Afghanistan
di
Russia
e
Cina,
dalla
disponibilità
della
prima
nei
confronti
della
Nato
e
dal
comportamento
tenuto
anche
nell'ultimo
vertice
dei
G8
di
Genova.
Così
come
l'ingresso
nel
WTO
della
Cina
conferma
la
sua
propensione
ad
integrarsi
nel
processo
di
globalizzazione.
In
questo
quadro
può
proseguire
l'attuazione
di
un
progetto
annessionista
statunitense
e
dell'annullamento
delle
sovranità
statuali
nel
suo
"cortile
di
casa".
Dopo
la
creazione
del
NAFTA
(Area
di
libero
commercio
del
nord
America),
dopo
la
proposta
dell'Accordo
multilaterale
sugli
investimenti
(AMI)
e
i
negoziati
dell'Organizzazione
mondiale
del
commercio
(OMC),
la
creazione
dell'Area
di
libero
commercio
delle
Americhe
(ALCA)
dal
Canada
alla
Patagonia,
rappresenta
oggi
il
più
avanzato
progetto
commerciale,
politico
e
militare
che
ridefinisce
la
presenza
egemonica
degli
Stati
uniti
su
tutto
il
continenente
e
non
solo.
Si
tratta
di
un
mercato
potenziale
di
più
di
800
milioni
di
consumatori,
di
una
riserva
strategica
di
risorse
energetiche
come
il
petrolio,
ma
anche
di
acqua
e
della
biodiversità
amazzonica.
L'ALCA
ha
nel
"Plan
Colombia"
il
suo
braccio
armato
e
nell'Iniziativa
andina
la
sua
estensione
regionale.
Questo
non
significa
che
nel
mondo
sia
in
corso
un
processo
di
omologazione
assoluta
al
sistema
capitalista,
né
che
tra
gli
stessi
stati
maggiori
e
più
forti,
in
Europa
come
in
Asia,
non
vi
siano
contrasti
con
gli
USA:
ma
questi
oggi
avvengono
entro
questo
processo
di
globalizzazione
non
contro
di
esso,
e
l'evoluzione
futura
di
questi
contrasti,
in
senso
ulteriormente
integrativo
o
nuovamente
conflittuale,
è
legata
all'esito
della
crisi
nel
processo
di
globalizzazione,
di
cui
ora
stiamo
avvertendo
consistenti
manifestazioni.
TESI
16
-
LO
STATO
DELL'UNIONE
EUROPEA
Drammatica
è
la
crisi
della
costruzione
europea,
mera
unità
monetaria
sempre
più
prigioniera
dei
suoi
vincoli
di
compatibilità,
sempre
meno
soggetto
politico
dotato
di
autonomia.
Sempre
più
evidente
la
sua
natura
a-democratica,
a
cui
non
ha
certo
ovviato
la
Carta
di
Nizza.
L'attuale
situazione
mondiale
mostra
per
intero
la
debolezza
politica
della
costruzione
europea.
Di
fronte
alla
attuale
guerra,
come
già
successe
nel
caso
dei
Balcani,
i
vari
governi
della
Unione
Europea
(UE)
si
sono
messi
in
gara
nell'offrire
i
migliori
servizi
agli
Usa.
Questi
ultimi
hanno
così
potuto
risottolineare
la
loro
totale
preminenza
politica
sui
singoli
paesi
europei
e
sull'Unione
in
modo
addirittura
mortificante
per
quest'ultima.
Il
comportamento
dell'Italia
è
stato
un
esempio
lampante.
In
sostanza
l'Unione
Europea
è
sempre
più
un'unità
monetaria
e
una
potenza
commerciale
e
sempre
meno
un
soggetto
politico
dotato
di
autonomia
sulla
scena
internazionale.
Non
solo,
ma
anche
sul
terreno
squisitamente
economico
l'UE
si
rivela
priva
di
qualunque
capacità
di
iniziativa
autonoma.
Mentre
negli
USA
vengono
riproposte
politiche
economiche
di
deficit
spending,
seppure
di
destra,
i
paesi
europei
sono
paralizzati
dall'osservanza
dei
vincoli
imposti
dal
Patto
di
Stabilità.
La
Banca
Centrale
Europea
si
è
finora
rifiutata
infatti
di
avviare
politiche
anticicliche
con
la
scusa
di
prevenire
il
rilancio
dell'inflazione.
Contemporaneamente
in
molti
paesi
europei
vengono
portati
avanti
processi
di
privatizzazione,
di
distruzione
dello
stato
sociale,
di
liberalizzazione
del
mercato
del
lavoro
che
tendono
ad
omologare
il
modello
sociale
europeo
a
quello
americano
o
comunque
ad
assumere
ed
applicare
nella
loro
interezza
le
dottrine
neoliberiste.
Intanto
è
sempre
più
evidente
il
carattere
a-democratico
dell'attuale
processo
di
costruzione
europea.
Il
Parlamento
Europeo
che
pure
è
un
organo
elettivo,
per
di
più
secondo
una
legge
elettorale
di
tipo
proporzionale,
è
privato
di
poteri
decisionali
a
vantaggio
di
organismi
(come
la
commissione
europea)
a
carattere
non
elettivo.
Questo
carattere
a-democratico
non
è
stato
affatto
modificato
dalla
Carta
dei
diritti
approvata
a
Nizza
nel
2000
che
infatti
abbiamo
già
criticato
per
le
sue
caratteristiche
del
tutto
astratte
dalla
condizione
sociale
che
si
vive
in
Europa.
Nello
stesso
tempo
assistiamo
ad
un'impasse
della
discussione
sull'allargamento
dell'UE
a
nuovi
Stati.
In
sostanza
la
costruzione
europea
versa
in
una
grave
crisi,
che
rischia,
data
l'attuale
stretta
mondiale,
di
farsi
irreversibile.
L'unica
possibilità
per
rilanciare
l'idea
di
un'Europa
unita,
soggetto
democratico
e
attivo
politicamente
sulla
scena
mondiale,
è
rappresentata
dal
protagonismo
di
movimenti
di
massa,
di
nuovi
attori
sociali
e
politici
che
sappiano,
assieme
alla
battaglia
per
la
democratizzazione
della
costruzione
europea
-
e
quindi
per
una
Costituzione
europea
capace
di
affermare
i
diritti
universali
e
la
partecipazione
dei
cittadini
-
portare
al
più
alto
livello
le
conquiste
della
civiltà
e
del
modello
sociale
del
nostro
continente
frutto
di
lotte
ormai
secolari
del
movimento
democratico
e
delle
classi
subalterne.
Anche
la
realizzazione
di
questa
possibilità,
oltre
che
riguardare
la
crescita
dei
movimenti
su
scala
europea
e
mondiale,
nonché
di
un
nuovo
soggetto
politico
europeo
capace
di
unire
le
forze
politiche
dell'alternativa,
dipende
dall'evoluzione
della
nuova
fase
di
crisi
del
processo
di
globalizzazione
che
è
sotto
i
nostri
occhi.
TESI
17
-
LA
CONDIZIONE
DEI
MIGRANTI
La
guerra
globale
si
nutre
di
razzismo
e
xenofobia,
anzi
della
"razzizzazione"
del
nemico,
e
del
nemico
interno.
Si
aggrava
drammaticamente
la
condizione
dei
migranti
e
dei
profughi,
che
vengono
privati
di
diritti
fondamentali
e
ridotti
a
forzalavoro
usa-e-getta.
La
prima
guerra
globale
esalta
e
al
tempo
stesso
si
nutre
dell'eterofobia
e
del
razzismo.
Non
è
certo
un
fenomeno
inedito:
la
"razzizzazione"
del
nemico,
il
sospetto
o
la
caccia
contro
il
"nemico
interno",
in
definitiva
il
nesso
fra
guerra
e
razzismo
hanno
caratterizzato
anche
i
conflitti
bellici
del
Novecento.
Ma
nel
caso
dell'attuale
conflitto
civile
planetario
v'è
qualcosa
di
più:
non
trattandosi
di
una
guerra
fra
Stati
sovrani,
l'evanescenza
del
Nemico
si
traduce
in
una
diffusa
e
pervasiva
"nemicizzazione"
dell'Altro,
di
chiunque
sia
reputato
estraneo
alla
"Civiltà
occidentale".
La
xenofobia
e
il
razzismo
divengono
così
parte
integrante
ed
essenziale
della
struttura
che
regge
la
guerra
planetaria.
Inoltre:
il
ciclo
terrorismo
-
guerra
-
minaccia
del
terrorismo,
tendenzialmente
instaura
uno
stato
di
eccezione
generalizzato
e
permanente,
che
ha
come
corollari
un
nuovo
"maccartismo",
la
riduzione
o
cancellazione
di
libertà
democratiche,
l'enfatizzazione
dei
miti
e
dei
dispositivi
di
sicurezza.
E
quando
si
rafforzano
l'ideologia
e
le
pratiche
sicuritarie,
le
prime
vittime
sono
i
migranti,
i
profughi,
gli
"estranei",
additati
come
complici
del
nemico
e
al
tempo
stesso
come
causa
di
insicurezza.
Nei
paesi
dell'Unione
europea,
questo
clima
contribuisce
ad
aggravare
le
condizioni
materiali
dei
migranti
e
dei
profughi,
e
ad
esaltare
la
tendenza
a
privarli
di
diritti
fondamentali,
a
cominciare
dal
diritto
all'asilo
e
da
quello
ad
avere
uno
status
e
un
soggiorno
legali.
Il
clima
da
caccia
al
nemico
interno,
inoltre,
rallenta
il
pur
lento
processo
di
cittadinizzazione
dei
"residenti
non
cittadini"
presenti
in
Europa
-almeno
tredici
milioni
di
persone-
e
favorisce
il
tentativo,
costantemente
perseguito
dal
padronato,
di
ridurli
a
forza-lavoro
"bruta",
a
manodopera
usa-e-getta,
come
è
evidente
in
Italia
nel
disegno
di
legge
Bossi
-
Fini.
Appare
chiaro
allora
che
la
difesa
dei
migranti
e
dei
profughi,
della
loro
sicurezza,
dei
loro
diritti,
del
loro
lavoro,
è
parte
ineludibile
della
strategia
contro
la
guerra
civile
planetaria
e
permanente.
Ma
c'è
di
più.
Oggi
è
indispensabile
praticare
una
modalità
di
conflitto
che
sia
sempre
transculturale,
ed
occorre
essere
consapevoli
che
la
creazione
di
uno
schieramento
sociale
d'alternativa
non
può
fare
a
meno
dei
migranti,
e
che
da
essi
non
può
prescindere
la
stessa
composizione,
singolare
e
collettiva,
della
soggettività
comunista
nel
nuovo
secolo.
Del
resto,
sostenere
il
movimento
di
lotta
delle
immigrate
e
degli
immigrati
per
la
completa
parità
dei
diritti
(in
Italia
come
in
Europa),
non
è
pura
questione
di
umanitarismo
ne
di
semplice
solidarietà.
E'
al
contrario
una
questione
essenziale
di
autodifesa
che
le
lavoratrici
e
i
lavoratori
italiani
devono
condurre
contro
l'imbarbarimento
della
vita,
della
società
e
della
politica.
Le
politiche
neoliberiste
hanno
infatti
operato
una
generale
precarizzazione
delle
condizioni
di
vita
e
di
lavoro
e
puntano
strategicamente
sulla
guerra
tra
i
poveri,
sostituendo
al
conflitto
di
classe
il
conflitto
interetnico.
D'altra
parte
è
evidente
che
l'immigrata/o
senza
diritti,
o
con
diritti
estremamente
limitati,
è
oggettivamente
più
concorrenziale
in
certi
settori
del
mercato
del
lavoro.
E'
soprattutto
l'immigrata/o
che
subisce
maggior
sfruttamento,
incidenti,
condizioni
di
lavoro
ai
margini
della
legalità
e
la
sua
condizione
di
minorità
giuridica
e
sociale
è
tale
da
erodere,
in
tempi
più
o
meno
rapidi,
le
stesse
condizioni
di
lavoro
delle/i
lavoratrici/ori
italiani.
Per
questo
la
ricomposizione
di
classe
tra
tutti
i
lavoratori,
nativi
e
migranti,
costituisce
un
punto
fondamentale
del
nostro
progetto
politico.
TESI
18
-
LA
RECESSIONE
ECONOMICA
MONDIALE
L'economia
americana
non
tira,
dopo
quasi
dieci
anni
di
crescita
ininterrotta:
ritornano
politiche
di
"deficit
spending"
di
destra
e
di
guerra
.
L'Europa
è
ferma.
Il
Giappone
ha
rallentato.
Manca
la
possibile
locomotiva
dello
sviluppo:
perciò,
la
"grande
depressione"
non
è
impossibile.
Il
grande
elemento
di
novità
che
si
è
ora
introdotto
è
una
crisi
nel
processo
di
globalizzazione.
Non
siamo
di
fronte
né
ad
un
arresto,
né
ad
un
possibile
ritorno
indietro,
ma
certamente
ad
una
crisi
evidente
sotto
molti
aspetti,
che
apre
una
nuova
fase
nella
stessa
globalizzazione.
Il
processo
di
globalizzazione
ha
conosciuto
più
di
un
episodio
di
crisi
economica
e
finanziaria,
si
può
ricordare
il
crack
borsistico
del
1987
o
la
grande
crisi
finanziaria
che
prese
le
mosse
dalle
cosiddette
Tigri
asiatiche
nel
1997.
Ma
ora
siamo
di
fronte
a
qualcosa
di
più
profondo
e
di
più
grave,
antecedente
alla
distruzione
delle
Twin
Towers,
ma
da
quell'episodio
ulteriormente
amplificato.
In
sostanza
in
mondo
ha
preso
coscienza
di
essere
entrato
in
una
fase
di
recessione
economica
-
se
non
peggio
-
solo
dopo
l'11
settembre,
benché
lo
fosse
realmente
già
da
prima.
Se
guardiamo
la
situazione
economica
mondiale
a
partire
dagli
Stati
Uniti
d'America,
vediamo
che
la
crisi
era
ben
antecedente
all'attacco
terroristico
e
ha
finito
con
il
colpire
tanto
la
"nuova"
quanto
la
"vecchia"
economia,
di
fatto
inestricabili.
Sotto
questo
profilo
siamo
di
fronte
-
seppure
in
un
modo
nuovo
-
ad
una
tipica
crisi
di
sovrapproduzione
(negli
Usa,
ad
esempio,
gli
investimenti
enormi
fatti
nelle
infrastrutture
ottiche
sono
stati
utilizzati
solo
per
un'infima
quantità).
La
grande
bolla
finanziaria
sulla
quale
il
mondo
capitalistico
siede
aveva
peraltro
iniziato
a
sgonfiarsi
all'inizio
del
'2000
e
gli
effetti
non
hanno
tardato
a
manifestarsi
nelle
Borse
di
tutto
il
mondo.
E'
certo
comunque
che
l'attuale
"ritorno
dello
stato"
avviene
aggravando
e
non
attenuando
la
feroce
redistribuzione
a
danno
dei
ceti
meno
abbienti,
e
senza
rimessa
in
questione
della
qualità
dello
sviluppo.
La
crescita
economica
mondiale,
pur
calcolata
con
i
criteri
dominanti
che
contestiamo,
indica
un
pesante
rallentamento
rispetto
al
decennio
passato.
L'economia
americana
dopo
9
anni
di
crescita
non
tira,
quella
europea
neppure,
il
Giappone
è
fermo
da
tempo.
Gli
effetti
sono
evidenti:
i
consumi
si
riducono,
i
licenziamenti
si
moltiplicano,
la
disoccupazione
cresce,
la
povertà
aumenta
ancora
di
più
tra
le
classi
lavoratrici.
L'Agenzia
delle
Nazioni
unite
che
osserva
l'evoluzione
del
lavoro
(ILO)
prevde
che
nel
2002
vi
saranno
24
milioni
di
posti
di
lavoro
in
meno
nel
mondo,
per
lo
più
concentrati
in
Asia
e
nei
paesi
poveri.
Gli
USA
cercano
di
reagire
con
una
manovra
anticiclica
costituita
da
un
rilancio
dell'intervento
pubblico
a
sostegno
delle
aziende,
in
particolare
quelle
connesse
alla
produzione
di
tipo
bellico,
e
di
un
aumento
dei
consumi
interni,
favoriti
anche
da
una
restituzione
del
precedente
prelievo
fiscale.
In
sostanza
essi
praticano
politiche
di
deficit
spending.
Questo
ritorno
a
una
manovra
attiva
della
spesa
pubblica,
dopo
anni
di
propaganda
ideologica
a
favore
delle
dottrine
liberiste,
avviene
in
una
chiave
marcatamente
di
destra.
Ora
la
produzione
e
il
consumo
di
ordigni
bellici
di
ogni
tipo
hanno
un
ruolo
centrale.
Nello
stesso
tempo
la
crisi
della
new
economy
spinge
l'economia
americana
verso
soluzioni
inaccettabili
per
gli
equilibri
ambientali,
come
anche
destabilizzazioni
avventuristiche
sul
piano
geopolitico:
da
qui
il
rifiuto
americano
dell'osservanza
degli
accordi
di
Kyoto
nell'ambiente
e
l'accentuazione
di
un
interesse
primario
-
peraltro
mai
sopito
-
per
il
petrolio
e
le
fonti
energetiche
non
rinnovabili
e
conseguentemente
per
il
controllo
di
quelle
zone
del
mondo
decisive
a
questo
riguardo.
Invece
negli
altri
paesi
capitalisti
continua
la
predicazione
del
liberismo
allo
stato
puro
e
la
sottomissione
ai
vincoli
di
bilancio.
Così
è
per
l'Europa,
prigioniera
-
malgrado
qualche
impazienza
-
del
Patto
di
Stabilità.
Le
previsioni
per
un'uscita
dalla
crisi
sono
incerte;
anche
perché
manca
l'individuazione
di
un
paese
e
di
una
zona
del
mondo
che
funzioni
da
locomotiva.
L'attuale
recessione
-
e
ciò
è
già
presente
nelle
considerazioni
di
numerosi
analisti
-
può
perciò
trasformarsi
in
una
grande
depressione,
con
incalcolabili
conseguenze
sul
piano
sociale.
TESI
19
-
IL
PENSIERO
UNICO
SI
SPEZZA
Si
è
irimediabilmente
incrinato
uno
dei
miti
portanti
della
globalizzazione:
quello
di
una
crescita
continua,
di
una
vita
più
facile.
In
questa
disillusione
collettiva,
la
crisi
assume
forme
contradditorie:
esplode
il
terrorismo,
ma
cresce
anche
l'opposizione
sociale
e
politica.
In
ogni
caso
si
è
definitivamente
incrinato
uno
dei
miti
del
processo
di
globalizzazione,
quello
di
una
crescita
forse
non
sempre
travolgente,
ma
continua
e
sicura;
quello
che
cercava
di
espungere
la
parola
crisi
dal
vocabolario
economico
e
dall'immaginario
collettivo,
quello
che
avrebbe
dovuto
assicurare,
almeno
alla
porzione
degli
abitanti
della
zona
più
fortunata
del
pianeta,
una
esistenza
senza
incertezza.
La
globalizzazione
-
per
bocca
dei
suoi
apologeti
e
dei
suoi
propagandisti
-
prometteva
l'allargamento
della
sfera
dei
consumi
e
una
vita
più
facile,
pur
in
un
clima
di
competizione.
Questa
promessa
era
sostenuta
da
un
apparato
ideologico
potente
e
articolato,
tale
da
costituire
una
sorta
di
"pensiero
unico",
come
è
stato
felicemente
definito,
capace
di
intervenire
in
ogni
campo
e
di
proporsi
come
risolutivo
per
ogni
problema.
Insomma
il
processo
di
globalizzazione
è
stato
sospinto
e
a
sua
volta
ha
alimentato
una
vera
e
propria
egemonia
delle
classi
dominanti
su
scala
mondiale
fondata
sul
primato
del
calcolo
economico,
sulla
logica
dell'interesse
e
dell'impresa,
sull'imperativo
del
mercato
e
della
competitività.
Tutto
questo
conosce
oggi
una
profonda
crisi.
La
promessa
di
sicurezza
nel
futuro
è
irrimediabilmente
incrinata
per
milioni
di
persone
cui
era
stato
fatto
credere;
l'esclusione
da
una
condizione
di
benessere
-
anche
se
relativa
-
è
invece
drammaticamente
confermata
per
la
maggioranza
dell'umanità.
La
logica
dell'impresa
continua
ad
essere
l'unico
modo
con
cui
viene
organizzata
la
produzione,
ma
la
sua
egemonia
sulla
società
e
sul
sistema
conosce
delle
profonde
incrinature.
Le
grandi
crisi
ambientali
mordono
nel
profondo
le
condizioni
di
vita
e
la
riproduzione
sociale.
Il
terrorismo
è
un
progetto
politico
nemico
mortale
di
un'esigenza
di
trasformazione,
ma
allo
stesso
tempo
è
esso
stesso
prodotto
e
manifestazione
della
crisi
della
globalizzazione.
Nei
paesi
più
poveri
cresce
una
opposizione
in
diverse
forme
alla
sottomissione
dei
rispettivi
governi
alle
politiche
neoliberiste.
Nel
mondo
prende
corpo
un
vasto,
duraturo,
articolato
movimento
contro
la
globalizzazione,
che
unisce
varie
figure
sociali,
diverse
culture
e
opzioni
ideali
e
politiche.
Insomma
la
normalizzazione
del
mondo
sotto
l'egida
del
dominio
del
capitale
non
è
riuscita.
TESI
20
-
LA
SECONDA
FASE
DELLA
GLOBALIZZAZIONE
Dopo
lo
sviluppo
imperioso
il
capitale
deve
di
gestire
direttamente
la
sua
crisi.
Alla
ricerca
di
nuovi
strumenti
di
comando
e
di
controllo
sceglie
la
strada
dello
"stato
di
guerra"
e
della
repressione.
Il
processo
di
globalizzazione
non
è
sbaragliato,
ma
inizia
una
nuova
fase:
dopo
quella
del
suo
sviluppo
imperioso
e
diffuso,
entra
in
una
seconda
fase,
quella
della
gestione
della
sua
crisi.
A
quanto
si
vede
questa
gestione
viene
affidata
al
prolungamento
di
uno
stato
di
guerra,
dal
quale
ottenere
un
dominio
che
non
è
più
conquistabile
solo
per
via
egemonica.
Per
questo
sono
necessari
nuovi
strumenti
di
comando
del
processo
di
globalizzazione,
il
soffocamento
-
anche
attraverso
la
stretta
tra
terrorismo
e
guerra
-
dei
movimenti
contestativi
e
alternativi,
l'assunzione
nel
processo
di
globalizzazione,
a
diversi
e
variamente
subordinati
livelli,
di
tutti
i
seppur
timidi
tentativi
di
differenziazione
e
di
autonomia
di
singoli
paesi
o
gruppi
di
essi.
E'
decisivo
per
il
futuro
dell'umanità
se
questa
crisi
evolverà
in
un
superamento
del
capitalismo
o
in
un
imbarbarimento
della
società
umana
mondiale.
Lo
scioglimento
di
questa
alternativa
dipende
in
gran
parte
dallo
sviluppo
del
movimento
mondiale
contro
la
globalizzazione.
TESI
21
-
IL
PROGETTO
DEL
TERRORISMO
INTERNAZIONALE
Anche
l'attuale
insorgenza
terroristica
internazionale,
è
un
fenomeno
che
nasce
nella
sfera
separata
della
Politica.
Esso
intende
sfruttare
la
situazione
di
disagio
e
oppressione
dei
popoli
musulmani,
ma
non
ne
costituisce
né
l'espressione
politica
né
la
rappresentanza.
Il
terrorismo
non
è
certo
un
fenomeno
nuovo
e
si
è
presentato
più
volte
e
in
modi
diversi
sulla
scena
della
storia.
In
ogni
caso
esso
ha
rappresentato
un
progetto
politico,
costruito
entro
un'accentuata
concezione
dell'autonomia
della
politica,
che
lo
ha
portato
a
contrapporre
l'azione
di
pochi
a
quella
delle
masse.
In
questo
senso
esso
non
deriva
meccanicamente
e
necessariamente
né
dal
disagio
sociale
né
dalle
varie
forme
di
fondamentalismo
o
di
integralismo
religioso.
Ma
certamente
il
terrorismo
cerca
di
mettersi
in
connessione
e
di
utilizzare
le
condizioni
di
sofferenza
e
ingiustizia
sociale,
l'intolleranza
etica
e
l'integralismo
religioso
per
diffondersi
e
cercare
consensi
e
appoggi.
L'attuale
fenomeno
terroristico
internazionale
-
che
sfrutta
particolarmente
il
diffondersi
dell'islamismo
radicale,
lo
stato
di
oppressione,
di
disagio,
e
la
volontà
di
riscossa
di
quelle
popolazioni
e
di
quella
parte
del
mondo
a
prevalente
religione
musulmana
-
si
avvale
anche
di
una
forza
economica
che
è
data
in
massima
parte
dallo
sfruttamento
e
dal
controllo
dei
giacimenti
e
delle
vie
del
petrolio,
che
costituiscono
allo
stesso
tempo
un
terreno
di
sfida
nei
confronti
del
governo
oligarchico
della
globalizzazione
e
delle
maggiori
potenze.
Per
questi
motivi
la
scelta
della
guerra
oltre
che
eticamente,
politicamente
e
umanamente
inaccettabile,
risulta
del
tutto
inefficace
nella
lotta
al
terrorismo.
Questa
richiede
invece
un
impegno
ben
diverso
da
parte
della
comunità
internazionale,
che
deve
intervenire
contemporaneamente
su
molteplici
terreni.
In
particolare
è
decisivo
lavorare
per
rimuovere
le
enormi
diversità
e
ingiustizie
sociali
ampliate
dal
processo
di
globalizzazione
al
fine
di
eliminare
ogni
spazio
di
conquista
di
disperati
consensi
da
parte
del
terrorismo.
Vanno
risolti
i
punti
di
crisi
presenti
nella
situazione
internazionale,
a
partire
dalla
composizione
del
conflitto
palestinese-israeliano,
per
avviare
la
quale
sono
indispensabili
l'immediato
ritiro
da
tutti
i
territori
occupati
delle
truppe
israeliane,
il
rapido
smantellamento
degli
insediamenti
coloniali
israeliani
e
l'invio
di
una
forza
di
interposizione
internazionale,
come
chiede
da
più
di
un
anno
l'Autorità
Nazionale
Palestinese,
al
fine
di
realizzare
il
diritto
di
entrambi
i
popoli
ad
avere
uno
stato
proprio.
Bisogna
ricostruire
le
ragioni
della
solidarietà
tra
le
nazioni
basate
su
legittimi
organi
internazionali.
L'ONU
dovrà
essere
profondamente
riformata
con
l'eliminazione
della
funzione
di
membri
stabili
del
Consiglio
di
Sicurezza,
con
una
priorità
decisionale
all'Assemblea
generale
e
con
l'abolizione
del
diritto
di
veto.
A
quest'ultimo,
quindi,
e
alla
collaborazione
fra
tutti
gli
stati,
va
affidata
l'opera
specifica
di
prevenzione
e
di
repressione
del
fenomeno
terroristico,
con
l'impegno
delle
capacità
investigative
e
di
azioni
di
polizia
internazionale,
nel
pieno
rispetto
dei
diritti
e
della
democrazia,
che
sono
l'unica
condizione
per
ottenere
un
attivo
sostegno
in
quella
lotta
da
parte
delle
popolazioni.
E'
necessario
risolvere
il
problema
dell'esercizio
della
giustizia
a
livello
internazionale
e
quindi
è
indispensabile
la
costituzione
di
quel
Tribunale
Penale
Internazionale
alla
cui
nascita
si
oppongono
proprio
gli
Stati
Uniti
d'America.
TESI
22
-
IL
MOVIMENTO
DEI
MOVIMENTI
La
nascita
dei
popoli
di
Seattle
costituisce
l'evento
positivo
del
nostro
tempo:
il
primo
movimento,
dopo
la
lunga
sconfitta,
che
pone
le
basi
per
una
risposta
da
sinistra
alla
crisi
della
globalizzazione,
avanza
una
critica
radicale
al
sistema
dominante,
afferma
la
possibilità,
qui
ed
ora,
di
"un
altro
mondo".
Da
qui
può
rinascere
un
nuovo
movimento
operaio.
La
nascita
dei
"popoli
di
Seattle",
del
"movimento
dei
movimenti",
costituisce
l'evento
positivo
del
nostro
tempo,
il
primo
movimento
dopo
la
lunga
fase
della
sconfitta
che
indica
la
possibile
nascita
di
un
nuovo
movimento
operaio.
Questo
movimento
-
di
cui
i
prodromi
si
erano
potuti
vedere
già
nell'esperienza
zapatista
come
nella
conferenze
delle
donne
tenutasi
a
Pechino
nel
1995
-
avanzando
una
critica
radicale
all'attuale
sistema
di
relazioni
economiche,
sociali
e
politiche
dominanti
e
affermando
che
"un
altro
mondo
è
possibile",
pone
le
basi
per
una
risposta
"da
sinistra"
alla
globalizzazione
capitalistica
e
alla
sua
crisi.
Dopo
anni
in
cui
l'egemonia
del
pensiero
unico
aveva
operato
una
gigantesca
campagna
ideologica
di
occultamento
dei
meccanismi
di
sfruttamento
presentando
i
rapporti
sociali
capitalistici
come
naturali,
oggettivi,
immodificabili,
il
movimento
è
stato
in
grado
di
rendere
evidente
-
a
livello
di
massa
-
che
le
sofferenze,
lo
sfruttamento,
la
perdita
di
diritti,
non
sono
un
processo
naturale
ma
il
frutto
di
precise
scelte
politiche
operate
a
partire
dalle
decisioni
assunte
dagli
organismi
internazionali
a-democratici
che
guidano
il
processo
di
globalizzazione
capitalistico.
L'aver
individuato
nel
Fondo
Monetario
Internazionale,
nella
Banca
Mondiale,
nell'Organizzazione
Mondiale
del
Commercio
i
corresponsabili
principali
dei
grandi
potentati
economici
nella
distruzione
dei
diritti
del
lavoro,
delle
persone
e
dell'ambiente,
ha
dato
un
volto
all'avversario
"di
tutti"
e
nel
contempo
ha
posto
i
presupposti
per
l'apertura
di
un
dialogo
tra
i
diversi
soggetti
sfruttati
e
la
costruzione
di
comuni
percorsi
di
lotta.
L'aver
delegittimato
e
demistificato
la
funzione
di
governo
mondiale
da
parte
di
organismi
antidemocratici
quali
il
G8,
l'aver
contestato
la
natura
iniqua
della
globalizzazione
neoliberista,
l'aver
reso
visibili
le
scelte
politiche
che
generano
l'insicurezza
a
livello
globale,
l'aver
dato
un
volto
ed
un
nome
all'avversario
e
per
questa
via
l'aver
reso
possibile
percorsi
di
unificazione
dei
conflitti
prodotti
dalle
diverse
contraddizioni
generate
dal
processo
di
globalizzazione,
costituiscono
il
vero
dato
storico
di
questo
movimento,
che
ha
segnato
la
possibilità
di
riproporre
il
tema
dell'alternativa
a
livello
mondiale.
Si
tratta
di
un
processo
certo
non
compiuto,
con
diversa
forza
e
diversi
gradi
di
consapevolezza
da
paese
a
paese,
ma
il
tema
è
stato
posto.
TESI
23
-LE
CARATTERISTICHE
DEL
MOVIMENTO
Il
movimento
ha
natura
mondiale
e
potenzialmente
maggioritaria.
Contesta
l'ordine
capitalistico,
ma
progetta
anche
nuove
relazioni
sociali
e
politiche
(Porto
Alegre).
Ripropone
in
termini
inediti
la
questione
della
democrazia,
della
partecipazione
e
dell'unità,
come
si
è
visto
nell'esperienza
del
Social
Forum.
Non
aggrega
soltanto
le
nuove
generazioni,
ma
componenti
significative
del
movimento
operaio.
Da
questo
dato
centrale
discendono
le
caratteristiche
di
fondo
di
questo
movimento:
1)
Ha
caratteristiche
mondiali;
nasce
da
contestazioni
specifiche
ma
immediatamente
si
è
espresso
a
livello
globale,
cioè
al
livello
di
sviluppo
del
capitale.
2)
E'
potenzialmente
maggioritario,
in
quanto
tende
a
formare
una
grande
alleanza
per
l'umanità
che
partendo
dagli
esclusi
del
pianeta
(e
ponendo
il
problema
della
terra,
della
sovranità
alimentare
e
del
cibo
come
diritto
universale),
si
propone
come
motore
aggregativo
di
tutte
le
soggettività
sociali
e
correnti
di
pensiero
che
non
si
rassegnano
ad
un
sistema
di
violenza
e
di
mercificazione
delle
relazioni
umane,
sociali
e
statuali.
Da
questo
punto
di
vista
fondamentale
è
potenzialmente
presente,
anche
se
non
ancora
pienamente
operante,
la
consapevolezza
del
carattere
fondativo
delle
contraddizioni
di
genere
nei
processi
di
emancipazione
e
liberazione
umana.
3)
Esprime,
a
partire
dalla
contestazione
di
fondo
degli
aspetti
caratterizzanti
l'attuale
modello
di
accumulazione
capitalistico,
una
carica
anticapitalistica
e
mette
in
discussione
il
pensiero
unico.
Le
categorie
culturali
in
cui
il
movimento
esprime
la
propria
opposizione
al
neoliberismo
sono
certo
assai
variegate
ed
assistiamo
ad
una
grande
diversificazione
e
ricchezza
di
linguaggi
e
di
riferimenti
ideologici
e
culturali.
Del
resto
dopo
anni
di
deserto
culturale,
dominati
dal
pensiero
unico
e
dal
fallimento
dell'esperienza
dei
socialismi
reali,
è
del
tutto
normale
che
la
critica
al
capitalismo
si
esprima
attraverso
una
notevole
dose
di
empiria
e
non
sia
sistematizzata
compiutamente.
La
crisi
del
comunismo
ha
reso
possibile
anche
la
marginalizzazione
culturale
di
larga
parte
degli
strumenti
analitici
del
marxismo
ed
è
compito
nostro
-
nella
prospettiva
della
rifondazione
comunista
-
quello
di
ricostruire
strumenti
analitici,
utilizzabili
a
livello
di
massa,
che
pongano
la
critica
all'economica
politica
alla
base
della
contestazione
al
neoliberismo
e
al
mercato.
4)
Il
movimento
non
si
è
limitato
ad
una
azione
contestativa
ma
in
questi
anni
si
è
cimentato
nella
costruzione
di
proposte
di
modifica
qualitativa
degli
attuali
assetti
sociali.
Il
Forum
di
Porto
Alegre
ha
rappresentato
uno
snodo
significativo
di
questo
percorso
e
ha
costruito
una
piattaforma
che
da
un
lato
oltre
a
porre
problemi
di
redistribuzione
del
reddito
mette
in
discussione
nodi
di
fondo
dell'assetto
capitalistico
(pensiamo
alle
questioni
relative
alla
socializzazione
della
proprietà
intellettuale
e
delle
risorse
fondamentali
come
l'acqua)
e
dall'altra
costituisce
la
potenziale
base
di
unificazione
progettuale
dei
diversi
soggetti
sociali
coinvolti
nel
movimento
(dalle
questioni
del
lavoro
a
quelle
dalla
terra,
dell'ambiente,
del
genere,
del
consumo)
ponendo
il
problema
del
ridisegno
delle
condizioni
della
produzione
e
della
riproduzione
sociale.
5)
Ha
riproposto
in
termini
inediti
la
questione
della
democrazia
e
della
partecipazione,
mettendo
in
discussione
le
forme
classiche
della
rappresentanza
sempre
di
più
svuotate
dalla
concentrazione
verso
il
vertice
della
piramide
del
potere
globale,
mettendo
al
centro
i
nodi
della
democrazia
diretta,
del
controllo
popolare
dal
basso,
la
costruzione
di
spazi
pubblici
che
siano
al
contempo
forme
di
partecipazione
e
luoghi
di
pratiche
economico-sociali
alternative.
Questa
volontà
di
riappropriazione
dei
processi
decisionali
che
passa
per
una
critica
della
politica
come
attività
separata
e
ripropone
una
politica
come
impegno
personale,
pratica
dell'obiettivo,
controllo
sociale,
autogestione,
ha
al
centro
sia
una
forte
connessione
tra
il
dire
e
il
fare
che
il
superamento
della
tradizionale
dicotomia
tra
tattica
e
strategia,
della
politica
dei
due
tempi.
Da
questo
punto
di
vista
il
movimento
pone
-
ovviamente
senza
averlo
compiutamente
risolto,
nemmeno
per
sè
-
un
problema
radicale
di
riforma
della
politica.
Il
movimento
eredita
cioè
quel
lento
accumulo
di
elaborazioni
ed
esperienze
avvenuto
nel
corso
degli
ultimi
venti
anni
nei
mondi
dell'impegno
civile,
dei
saperi
sociali
democraticamente
strutturati,
dell'associazionismo,
del
volontariato.
6)
Ha
espresso
-
in
particolare
nell'
esperienza
del
Genoa
Social
Forum
-
una
significativa
capacità
di
costruire
forme
nuove
di
coalizione
tra
diversi,
dando
vita
ad
un
"patto"
paritario
tra
oltre
1000
associazioni,
partiti,
sindacati,
che
ha
permesso
la
costruzione
del
percorso
di
manifestazioni
che
abbiamo
conosciuto
e
di
governare
positivamente
le
differenze
sia
di
impostazione
che
di
pratiche
politiche
che
all'interno
di
queste
si
sono
espresse.
7)
Sempre
l'esperienza
genovese
ha
riportato
al
centro
una
caratteristica
fondante
il
movimento:
la
coalizione
che
si
era
espressa
a
Seattle.
La
partecipazione
al
movimento
di
significative
componenti
del
movimento
operaio
organizzato,
a
partire
dalla
FIOM
e
dall'insieme
del
sindacalismo
autorganizzato
ed
extraconfederale,
è
stata
infatti
una
caratteristica
centrale
dell'appuntamento
genovese.
Questo
fatto
positivo
e
su
cui
dobbiamo
investire
fortemente
in
termini
politici
e
organizzativi
non
ci
deve
far
pensare
però
che
tutti
i
problemi
siano
risolti.
La
crisi
strategica
del
sindacalismo
confederale,
imbrigliato
nella
concertazione
e
incapace
di
aprirsi
realmente
all'organizzazione
dei
lavoratori
non
garantiti,
la
forza
che
mantiene
tutt'ora
l'ideologia
dell'impresa
come
unico
modo
di
organizzare
la
produzione
e
lo
stesso
ricatto
occupazionale
che
scaturisce
dalla
crisi
del
processo
di
globalizzazione
ci
segnalano
che
accanto
ad
evidenti
e
positivi
segnali
di
"disgelo",
permane
un
problema
di
ripresa
allargata
del
conflitto
sociale
nel
mondo
del
lavoro
e
di
coinvolgimento
più
forte
dello
stesso
dentro
il
movimento
"antiglobal".
TESI
24
-
LA
GUERRA
AL
MOVIMENTO
Dopo
l'11
settembre,
la
sfida
del
movimento
si
è
fatta
assai
più
difficile.
La
guerra
è
anche
una
risposta
di
"normalizzazione
autoritaria".
E
il
rifiuto
della
guerra,
anche
come
scelta
etica,
è
un
antidoto
alla
crisi
della
politica.
L'attentato
terroristico
e
lo
stato
di
guerra
determinano
una
situazione
di
maggiore
difficoltà
per
lo
sviluppo
del
movimento
medesimo.
Lo
straordinario
successo
della
Perugina-Assisi
e
della
manifestazione
del
10
novembre,
dimostrano
che
il
movimento
è
vivo.
Dobbiamo
però
essere
consapevoli
che
la
guerra
tende
a
coartarne
le
aree
d'influenza,
a
renderlo
minoritario
militarizzando
l'informazione
e
sterilizzando
le
coscienze
critiche.
La
guerra
nell'epoca
globale,
lungi
dall'essere
un
incidente
di
percorso,
è
in
primo
luogo
occultamento
dei
reali
problemi
alla
base
dell'insicurezza
e
della
precarietà
della
comunità
umana.
L'individuazione
nel
terrorismo
di
un
nemico
diverso
da
quello
del
sistema
neoliberista
assolve
alla
sua
funzione
di
depistaggio
e
concentra
su
un
fine
funzionale
l'apprensione,
lo
sdegno
o
più
semplicemente
la
rassegnazione
della
pubblica
opinione.
Il
rischio
del
terrorismo
percepito
e
politicamente
strumentalizzato
scatena
i
bisogni
di
sicurezza
per
la
cui
soddisfazione
si
è
disponibili
a
rinunciare
alla
democrazia
o
alla
libertà
di
movimento
e
d'informazione.
Per
questo,
dopo
l'11
Settembre,
la
sfida
per
il
movimento
si
è
fatta
in
salita
e
più
difficile.
La
martellante
campagna
contro
il
pacifismo,
presentato
come
imbelle
o,
nel
migliore
dei
casi,
come
un'accezione
etica
che
non
può
essere
assunta
nella
sfera
della
politica,
l'insistenza
anche
rozza
con
il
quale
il
movimento
di
opposizione
alla
guerra
viene
immediatamente
bollato
come
antiamericano,
denotano
che
da
parte
del
potere
si
è
percepita
questa
difficoltà.
Già
a
Genova,
con
la
spaventosa
scelta
della
repressione
poliziesca,
si
era
capito
che
la
risposta
dei
poteri
forti
della
globalizzazione
neoliberista
stava
mutando,
assumendo
le
forme
della
criminalizzazione
del
dissenso.
L'occasione
della
guerra
amplifica
questa
tendenza,
proprio
perché
ogni
slittamento
e
defezione
dal
fronte
bellico
globale
avrebbe
l'effetto
di
svelare
tutta
la
debolezza
di
una
avventura
-
la
guerra
contro
l'Afghanistan
-
che
oltre
ad
essere
sbagliata
in
sè
è
anche
del
tutto
inefficace
rispetto
all'obiettivo
dichiarato
di
combattere
il
terrorismo.
Il
movimento
si
trova
quindi
di
fronte
il
problema
di
una
sua
crescita
in
un
contesto
in
cui
gli
organismi
che
gestiscono
il
potere
politico,
economico
e
militare
a
livello
globale
hanno
scelto
lo
stato
di
guerra
come
condizione
"normale"
di
gestione
della
crisi
del
processo
di
globalizzazione.
In
questo
contesto
una
risposta
positiva
alle
istanze
poste
dal
movimento
non
è
nemmeno
presa
in
considerazione
dai
nostri
avversari
e
il
tentativo
di
espellere
il
movimento
dalla
politica,
di
ridurlo
all'impotenza
trasformandolo
in
un
problema
di
ordine
pubblico
o
in
un
afflato
etico-morale,
sono
più
che
mai
in
corso.
Tanto
più
risulta
quindi
corretta
la
scelta
del
movimento
di
proporre
una
politica
che
sia
guidata
anche
da
scelte
etiche,
che
lungi
dall'essere
viziata
dal
fondamentalismo,
ne
è
il
suo
antidoto
in
quanto
pone
al
centro
il
rispetto
della
persona.
TESI
25
-
IL
CASO
ITALIANO
Dopo
la
sconfitta
degli
anni
Ottanta,
non
c'è
più
l'"anomalia
italiana".
Anche
nel
nostro
paese,
la
crisi
ha
galoppato
sul
triplice
versante,
sociale,
politico,
culturale.
Se,
per
quasi
tutti
gli
anni
'60
e
'70,
è
stato
legittimo
parlare
di
"caso
italiano",
intendendo
per
esso
una
accentuata
autonomia
(anomalia)
politica
e
sociale
rispetto
alla
"normalità"
europea,
nei
due
decenni
successivi
si
è
andata
piuttosto
intensificando
una
crisi
allo
stesso
tempo
profonda
e
complessa.
Alla
sconfitta
del
movimento
operaio
e
della
sinistra
degli
anni
'80
(il
cui
corposo
simbolo
resta
la
vicenda
dei
35
giorni
della
Fiat),
è
seguito
il
crollo
del
sistema
politico
-
e
istituzionale
-
della
Prima
Repubblica:
al
quale
non
è
sopravvissuto
alcuno
dei
partiti
di
massa
che
avevano
segnato
in
profondità
tutta
la
storia
repubblicana.
In
questa
fase
è
avanzata
una
ristrutturazione
dell'apparato
produttivo
guidata
più
dalla
volontà
di
riprendere
il
completo
controllo
sulla
forza
lavoro
che
non
dalla
capacità
di
progettare
un
rafforzamento
del
paese
all'interno
della
divisione
internazionale
del
lavoro.
Lo
schieramento
di
classe
si
frantuma
e
perde
protagonismo
politico
e
sociale:
sia
per
ragioni
soggettive
che
per
processi
strutturali,
come
la
crescita
di
una
disoccupazione
di
massa
ormai
endemica,
la
persistenza
in
forme
nuove
dell'antica
"questione
meridionale",
l'ondata
di
nuova
immigrazione.
Mentre
la
condizione
giovanile
assume
i
caratteri
prevalenti
della
precarietà
e
mentre
il
sistema
scolastico,
ai
suoi
livelli
superiori,
tende
ad
una
progressiva
dequalificazione,
restano
insoluti
anche
i
principali
nodi
della
"modernizzazione".
L'Italia,
che
pure
è
tra
le
principali
potenze
sviluppate
del
pianeta,
si
configura
come
un
Paese
in
crisi.
Una
crisi
che
si
manifesta,
in
termini
profondi,
almeno
su
tre
versanti:
quello
sociale,
quello
politico
e
quello
culturale.
TESI
26
-
LA
QUESTIONE
SOCIALE
Negli
ultimi
dieci
anni,
i
salari
e
gli
stipendi
hanno
perso
il
5
per
cento
del
loro
valore,
mentre
è
emersa,
al
Sud,
una
disoccupazione
di
massa
endemica
e
la
nuova
occupazione
ha
il
timbro
della
precarietà.
Un
paese
più
povero,
instabile,
incerto.
Con
una
risposta
istituzionale
di
tipo
regressivo
e
"sicuritario"
Nell'Italia
del
XXI
secolo
la
"questione
sociale"
si
presenta
con
questi
caratteri:
impoverimento
accentuato
del
lavoro
dipendente
(in
dieci
anni,
i
salari
e
gli
stipendi
hanno
perso,
mediamente,
il
cinque
per
cento
del
loro
potere
d'acquisto);
basso
tasso
di
occupazione
(tra
i
più
bassi
dell'Unione
Europea);
disoccupazione
elevata
e
concentrata
sia
nel
Mezzogiorno
che
tra
le
nuove
generazioni,
crescita
accelerata
della
condizione
di
precarietà
lavorativa
(la
maggioranza
assoluta
dei
nuovi
assunti
configura
contratti
a
vario
titolo
"atipici",
comunque
non
a
tempo
indeterminato)
Sono
dati
che
configurano
nel
loro
insieme,
una
società
più
povera
e
più
diseguale,
frammentata,
in
preda
a
evidenti
processi
disgregativi.
Una
società,
per
dirla
con
una
formula,
nella
quale
una
parte
molto
ampia
delle
nuove
generazioni
sono
ben
consapevoli
del
fatto
che
staranno
peggio
dei
loro
padri.
In
breve:
l'insicurezza
sociale
e
di
vita,
determinata
soprattutto
dalla
perdita
progressiva
di
diritti,
garanzie,
certezze
che
ha
caratterizzato
tutti
gli
anni
'90,
è
oggi
la
"cifra"
reale
del
paese.
Una
condizione
generale
che
accomuna
l'Italia
agli
altri
paesi
del
capitalismo
sviluppato,
attraversati
dal
nuovo
capitalismo
e
dalle
politiche
neoliberiste.
Tuttavia,
tanto
il
sistema
produttivo
quanto
il
sistema
di
protezione
sociale
italiano
soffrono
da
sempre
di
limiti
strutturali,
rispetto
al
resto
dell'Europa:
un
dato
che
ha
contribuito
fortemente
ad
accentuare
il
disagio,
la
spaccatura
sociale,
l'instabilità.
A
partire
dai
primi
anni
'90
-
accordi
di
luglio,
varo
della
concertazione,
abolizione
della
scala
mobile,
tregua
sociale
e
moderatismo
salariale
-
inizio
dei
governi
così
detti
"tecnici"
-
il
blocco
sostanziale
di
ogni
politica
redistributiva,
nonché
di
ogni
politica
attiva
dello
sviluppo
e
del
lavoro
-
ha
determinato,
cioè,
una
situazione
quasi
"senza
rete",
sempre
più
priva
di
meccanismi
di
compensazione.
In
realtà,
l'unico
sostanzioso
meccanismo
compensativo
è
tornata
ad
essere
la
famiglia:
è
l'istituto
familiare,
soprattutto
nell'Italia
centro
meridionale,
che
sostituisce
il
Welfare,
"assorbe"
la
disoccupazione
giovanile,
offre
una
combinazione
attiva
di
servizi,
sicurezze
economiche
ed
affettive,
stabilità.
Una
parte
cospicua
della
regressione
del
paese
nasce
proprio
in
questo
peculiare
processo:
che
tende
a
risospingere
le
donne
nel
loro
ruolo
"naturale",
domestico,
di
cura
e
che
è
una
delle
basi
materiali
dell'attacco
ideologico
alla
libertà
femminile.
Della
crisi
sociale
fa
parte
anche
la
crescente
destrutturazione
del
sistema
formativo
e
culturale,
la
crescente
subordinazione
di
tali
settori
alle
logiche
privatistiche
e
del
mercato,
la
dequalificazione
dei
contenuti
effettivi
di
conoscenza
e
di
sapere
critico
che
vengono
offerti
alle
giovani
generazioni
e
in
generale
la
risposta
riduttiva
alla
domanda
sociale
d'istruzione
e
di
cultura.
Anche
la
crisi
ambientale
è
spia
della
modernità
distorta
costruita
dal
nostro
paese,
a
scapito
di
un
intreccio
tra
natura
e
cultura
che
ne
costituirebbe
uno
sbocco
positivo.
Le
scelte
neoliberiste
dei
governi
di
questi
ultimi
decenni
hanno
aggravato
la
situazione
riaggiornando
il
patto
tra
sfruttamento
del
lavoro,
cementificazione,
grandi
opere
pubbliche
e
interessi
privati.
Mentre
viene
smantellato
lo
stato
sociale,
cresce,
anche
in
Italia,
sul
modello
statunitense,
la
tendenza
ad
una
organica
risposta
di
stampo
regressivo
e
repressivo
ai
fenomeni
di
esclusione,
povertà,
disagio
sociale.
Viene,
passo
dopo
passo,
a
configurarsi
una
concezione
sicuritaria
che,
sul
piano
della
forma
istituzionale
allude,
come
tendenza,
allo
"stato
penale"
statunitense.
Non
si
tratta
solo
dell'espansione
delle
politiche
penali
e
carcerarie
ma
di
una
ridefinizione
del
ruolo
dello
stato
nei
confronti
della
società.
La
giustizia
è
sempre
più
classista,
la
pena
sempre
più
vendetta
e
non
reinserimento
sociale,
il
carcere
sempre
più
metafora
di
una
società
che
affronta
con
la
segregazione,
l'autoritarismo,
il
proibizionismo
i
crescenti
fenomeni
di
povertà
ed
esclusione.
Contro
i
migranti
così
contro
i
tossicodipendenti
e
gli
emarginati
in
genere,
lo
stato
mostra
sempre
più
il
volto
truce
della
"tolleranza
zero",
delle
campagne
di
"legge
ed
ordine",
non
previene
il
crimine
ma
lo
utilizza
strumentalmente
per
organizzare
campagne
populiste
e
demagogiche.
La
sicurezza
non
è
più
vista
come
bene
sociale
della
comunità
che
traccia
un
percorso
collettivo
e
democratico
ma
diventa
concezione
di
difesa
dalla
povertà,
condannata
come
una
colpa
in
sè
e
come
motivo
intrinseco
di
insicurezza.
Tali
politiche
costituiscono
il
retroterra
materiale
e
culturale
dei
fenomeni
di
progressiva
involuzione
e
autonomizzazione
dei
corpi
separati
dello
stato.
TESI
27
-
LA
CRISI
POLITICA
Principale
controriforma
di
questi
anni,
l'introduzione
del
sistema
elettorale
maggioritario
ha
aggravato
la
crisi
della
politica
e
imposto
un
bipolarismo
dell'alternanza,
unito
a
crescenti
tentazioni
bipartisan.
Sono
le
istituzioni
repubblicane
ad
aver
subito
in
questi
anni
le
maggiori
trasformazioni.
In
particolare
dopo
Tangentopoli
abbiamo
assistito
ad
una
ossessiva
riproposizione
della
centralità
delle
"riforme"
del
sistema
politico,
del
meccanismo
elettorale,
dell'assetto
dello
Stato.
Nel
volger
di
meno
di
dieci
anni,
questo
processo
si
è
largamente
affievolito,
perdendo
in
spinta
propulsiva
e,
soprattutto,
in
consenso
attivo
di
massa,
come
hanno
dimostrato
tutte
le
ultime
consultazioni
referendarie.
Ciononostante,
ha
prevalso
tra
le
principali
forze
politiche
un
vero
e
proprio
patto
consociativo
per
consolidare
il
maggioritario,
introdurre
controriforme
(di
fatto)
come
la
elezione
diretta
del
presidente
del
consiglio,
lavorare
allo
spezzettamento
federalista
del
Paese,
che
sta
già
fungendo
da
leva
privilegiata
per
lo
smantellamento
del
Welfare.
Il
bipolarismo
ha
determinato
una
grave
involuzione
della
politica,
in
quanto
tale,
con
i
fenomeni
ormai
plurianalizzati
della
fine
dei
partiti
di
massa,
della
drastica
riduzione
della
partecipazione,
della
leaderizzazione
e
personalizzazione
crescente
(che
si
è
estesa
a
tutti
i
livelli
istituzionali,
dal
parlamento
nazionale
alle
municipalità
).
Un
processo
degenerativo
che
non
è
nato
e
cresciuto
nelle
stanze
dei
Palazzi,
ma
nel
cuore
dei
processi
reali,
della
rivoluzione
capitalistica
di
questi
anni,
che
ha
bruciato
i
residui
margini
di
autonomia
della
politica,
la
sua
funzione
storica
di
mediazione
tra
interessi
sociali
e
costruzione
del
consenso:
il
caso
dell'imprenditore
Berlusconi
che
"scende
in
politica",
assume
direttamente
la
gestione
degli
interessi
propri
e
della
propria
parte,
assume
la
leaedership
del
governo
è,
da
questo
punto
di
vista,
emblematico.
Così
come
è
significativa
la
tendenza
di
Confindustria
a
proporsi
come
soggetto
governante
del
Paese,
nonché
come
sede
produttiva
di
ideologia
e
"disegno
sociale".
In
questo
quadro,
la
debolezza
dell'assetto
politico
bipolare
viene
supportata
da
una
crescente
tendenza
consociativa
e
bipartisan,
che
si
produce
sulle
scelte
di
fondo:
guerra,
politica
internazionale,
politica
economica.
Un
altro
fattore
che
aggrava
la
crisi
di
credibilità
di
cui
soffrono
la
politica
e
la
sua
qualità
democratica.
E
tuttavia
l'assetto
attuale
non
costituisce,
a
tutt'oggi,
un
esito
stabile
per
il
Paese.
Non
solo
non
ha
realizzato
uno
dei
suoi
obiettivi
essenziali,
l'espulsione
dalle
assemblee
elettive
delle
forze
antagoniste,
ma
non
è
riuscito
a
dare
vita
a
coalizioni
solide
e
omogenee.
Soprattutto,
non
ha
costruito
un'egemonia
diffusa.
Dal
disgelo
sociale
dell'ultimo
anno
e
dall'insorgere
dei
movimenti,
è
emersa
una
domanda
di
democrazia
che
confligge
con
ogni
"normalizzazione"
bipolaristica.
TESI
28
-
LA
CRISI
CULTURALE
Il
pensiero
unico
ha
prodotto
i
suoi
intellettuali
organici,
che
hanno
occupato
l'industria
culturale,
i
media,
la
Tv.
Ma
sta
producendo
anche
veri
e
propri
anticorpi:
il
disagio
di
una
intellettualità
critica
di
massa,
che
riscopre
la
politicità
eversiva
intrinseca
alla
propria
collocazione.
Si
pone
in
questo
contesto
l'antica
"questione
degli
intellettuali"
,
del
ruolo
della
cultura
e
delle
sue
istituzioni,
della
definizione
attuale
del
sistema
dei
saperi,
della
nuova
centralità
dell'informazione.
I
mutamenti
strutturali,
prima
che
delle
soggettività,
appaiono
rilevantissimi:
in
questi
ultimi
anni
la
rivoluzione
capitalistica
ha
invaso
e
tendenzialmente
occupato
tutte
le
sfere
della
produzione
culturale.
Parliamo
dell'industria
culturale,
dove
il
processo
di
mercificazione
di
tutto
ciò
che
è
spettacolo,
arte,
intrattenimento,
subisce
accelerazioni
perfino
simboliche
come
i
romanzi
che
veicolano
nelle
loro
pagine
messaggi
pubblicitari.
Né
ci
riferiamo
soltanto
all'esplosione
della
comunicazione
globale
-
dalla
TV
alla
rete
-
che
incidono
sulla
formazione
del
senso
comune,
sul
linguaggio,
sulle
relazioni,
sui
modelli
di
vita
e
sui
consumi
culturali
in
senso
lato.
Vogliamo
parlare
della
modificazione
del
ruolo
dell'intellettuale
dentro
la
società
della
comunicazione:
del
processo
di
massificazione,
per
un
verso,
che
ha
distrutto
la
funzione
classica
di
mediazione
del
consenso
dei
"produttori
di
idee"
e\o
detentori
del
sapere;
della
sussunzione
diretta,
nel
capitale,
per
l'altro
verso,
delle
risorse
del
sapere
e
della
scienza,
che
tende
a
ridurre
ogni
"lavoratore
della
mente"
in
operatore
diretto
al
proprio
servizio.
Una
tendenza
già
a
suo
tempo
definita
come
"pensiero
unico",
che
ha
alle
spalle
questo
tipo
di
fondamento
materialistico,
prima
che
l'ennesimo
"tradimento
dei
chierici".
Si
colloca
in
questo
quadro
la
martellante
campagna
revisionistica
basata
sulla
rilegittimazione
dell'esperienza
fascista
e
sulla
conseguente
cancellazione
dell'antifascismo
e
della
stessa
Costituzione
nata
dalla
resistenza
come
fondamento
della
convivenza
civile
nel
nostro
paese.
Muore
così
l'intellettuale
classico,
ivi
compreso
quello
di
sinistra.,
sempre
sospeso
tra
apocalissi
e
integrazione.
Nascono,
al
suo
posto,
i
nuovi
intellettuali
organici.
A
destra,
si
tratta
di
veri
e
propri
funzionari
dell'establishment,
variamente
collocati
negli
snodi
cruciali
del
sistema:
media
e
Tv,
scienza,
tecnologia,
spettacolo,
sport.
Sono
i
portatori
diretti
e
senza
veli
dell'ideologia
dominante,
che
è
coerentemente
"naturalistica"
e
si
presenta,
appunto,
nelle
vesti
falsamente
neutrali
dell'oggettività:
il
messaggio
centrale,
costantemente
veicolato
nelle
sue
più
diverse
articolazioni,
è
che
c'è
un
unico
mondo
possibile,
quello
attuale.
Un
messaggio
di
singolare
potenza,
se
e
in
quanto
affidato
all'anchorman
piuttosto
che
allo
scrittore
paludato.
A
sinistra,
un
processo
simmetrico
e
opposto
coinvolge
un
numero
crescente
di
lavoratori
e
professionisti
intellettuali.
Le
crepe
dell'egemonia
neoliberista
sono
visibili
nella
crescita
di
una
nuova
criticità
di
massa
che,
diversamente
dal
passato,
è
interna
(e
non
esterna,
o
sovrapposta)
al
proprio
ruolo,
al
proprio
mestiere,
al
senso
del
proprio
stesso
agire
culturale.
Si
colloca
qui
un
soggetto
come
quello
degli
insegnanti,
spinto
alla
lotta
non
soltanto
e
forse
neppure
prevalentemente
dalla
miseria
salariale,
ma
dal
bisogno
di
rilanciare
la
funzione
specifica
della
scuola
pubblica.
laica,
pluralistica.
E
ancora:
figure
professionali
come
medici,
avvocati,
biologi,
architetti,
ricercatori,
insomma
forzalavoro
qualificata
e
dotata
di
conoscenze
specialistiche,
riscoprono
oggi
la
policitità
intrinseca
del
loro
mestiere
-
talora,
perfino
la
sua
alternatività.
Nel
popolo
di
Seattle
-
dai
"Medici
senza
frontiere"
agli
avvocati
del
Gsf,
agli
scienziati
che
rifiutano
la
manipolazione
genetica
-
questa
componente
è
apparsa,
non
casualmente
come
costitutiva.
TESI
29
-
IL
SINDACATO
Dopo
un
decennio,
la
politica
della
concertazione
viene
attaccata
frontalmente
da
destra
e
dal
nuovo
estremismo
di
Confindustria.
Si
apre
nel
sindacato,
e
nella
Cgil
in
specie,
una
fase
di
profonda
riflessione
strategica:
sui
temi
della
rifondazione
di
un
sindacalismo
di
classe,
e
di
una
rappresentanza
democratica
del
lavoro.
Ma
i
gruppi
dirigenti
oscillano
tra
l'incapacità
di
revisione
critica
e
la
scorciatoia
politicista.
La
politica
della
concertazione
-
culminata
negli
accordi
del
'92-'93,
ma
variamente
praticata
negli
anni
precedenti
-
ha
costituito,
a
sua
volta,
una
delle
"riforme"
più
significative
del
sistema
politico.
Grazie
ad
essa,
i
diversi
governi
che
si
sono
succeduti
nella
fase
più
tumultuosa
della
"transizione
italiana",
hanno
potuto
usufruire
di
una
lunga
fase
di
tregua
sociale.
In
parallelo,
la
crisi
del
sindacalismo
confederale
trovava
in
essa
lo
sbocco
di
una
legittimazione
dall'alto:
il
prezzo,
pagato
soprattutto
dalla
Cgil,
era
un
processo
di
istituzionalizzazione
del
sindacato,
che
via
via
lo
svuotava
di
contenuti
rivendicativi,
sociali
e
di
classe,
ne
impoveriva
drammaticamente
la
vita
democratica,
ne
riduceva
drasticamente
la
capacità
di
rappresentanza.
Oggi
la
concertazione
è
messa
in
causa,
pressoché
irreversibilmente,
da
destra,
dalla
sferzata
iperliberista
di
Confindustria
che,
sostanzialmente,
"vuole
tutto":
comando
totale
della
forza
lavoro,
fine
dei
contratti
nazionali,
libertà
di
licenziamento.
In
quest'ottica,
al
sindacato
confederale
è
consentito
soltanto
un
ruolo
marginale,
o
di
complemento,
come
sembrano
avviate
a
fare
Cisl
e
Uil..
Nella
Cgil,
dunque,
è
aperta
necessariamente
una
riflessione
strategica.
Essa,
per
essere
davvero
efficace,
non
può
non
comprendere
un
bilancio
veritiero
del
decennio
concertativo,
nel
corso
del
quale
tutto
il
lavoro
dipendente
ha
perduto
in
forza
contrattuale,
diritti,
salari,
stipendi,
garanzie,
dignità.
Per
questo
riteniamo
necessaria
una
svolta,
nella
direzione
di
un
nuovo
sindacalismo
democratico
e
di
classe:
al
centro
del
quale
ci
siano
i
contenuti,
le
piattaforme,
l'iniziativa
sociale
e
rivendicativa
oggi
necessaria,
la
ricomposizione
di
classe
del
lavoro
-
e
del
non
lavoro
-
oggi
disperso
e
frammentato.
La
sinistra
della
Cgil
ha
iniziato
un
percorso
di
mobilitazione
e
di
confronto
per
rivendicare
questa
svolta.
Questa
è
una
battaglia
di
grande
rilevanza
per
il
futuro
della
Cgil
e
che
comincia
a
maturare
i
suoi
risultati.
Questo
è
anche
l'impegno
verso
il
quale
è
avviata
la
Fiom
e
che
il
più
grande
sindacato
confedederale
non
può
eludere
né
con
la
riproposizione
delle
scelte
passate
né
con
fughe
di
tipo
politicistico,
che
rischiano,
oltre
tutto,
di
minare
gravemente
l'autonomia
sindacale
e
il
suo
valore
strategico.
Il
problema
rimane
quello
della
rifondazione
di
un
sindacato
di
classe.
Come
tale,
concerne
anche
le
diverse
realtà
del
sindacalismo
extraconfederale
di
base:
il
quale
ha
sicuramente
raggiunto
in
alcuni
settori
(scuola,
trasporti)
punti
di
eccellenza
e
capacità
rappresentativa,
ma
soffre
di
un
limite
organico
di
frammentazione.
Ciò
significa
che
nei
prossimi
anni
permarrà
l'obiettivo
strategico
della
ricostruzione
di
un
sindacato
confederale
unitario,
democratico
e
di
classe
adeguato
ai
nuovi
compiti
derivanti
dalla
frammentazione
del
lavoro
e
non
lavoro,
e
dall'obiettivo
di
una
ricomposizione
della
classe
scomposta,
sia
nel
lavoro
più
tradizionale
come
nei
servizi
e
nel
pubblico
impiego,
dalle
politiche
liberiste
e
di
liberalizzazione/privatizzazione.
La
nostra
parola
d'ordine
deve
tornare
ad
essere:
"lavoratori
di
tutto
il
mondo
unitevi".
Per
questo
è
importante
che
la
sinistra
sindacale,
ovunque
collocata,
sperimenti
azioni
e
percorsi
unitari,
anche
attraverso
la
ricomposizione
del
sindacalismo
di
base,
e
approfondisca
la
ricerca
di
una
nuova
linea
politica-rivendicativa
e
di
un
nuovo
modello
sindacale,
nazionale
e
sovranazionale,
adeguato
alla
globalizzazione
e
all'obiettivo
dello
sviluppo
più
complessivo
del
movimento
e
della
sinistra
d'alternativa.
Azioni
e
percorsi
unitari
che
rompano
con
logiche
d'apparato,
il
prevalere
di
tattiche
interne
alle
varie
burocrazie,
rendite
di
posizione
d'apparati
piccoli
o
grandi,
confederali,
spostando
il
baricentro
nel
conflitto,
nella
ricomposizione
di
classe,
nella
costruzione
del
movimento,
nella
sperimentazione
di
nuove
forme
di
unità
sindacale
democratiche
di
base
e
di
reti
europee
e
internazionali
dei
lavoratori.
In
primo
luogo
costruendo
le
condizioni
di
una
mobilitazione
generale
per
riconquistare
l'effettivo
esercizio
del
diritto
di
sciopero
gravemente
compromesso
nei
servizi
e
per
i
lavoratori
precari.
In
secondo
luogo
con
la
formazione
di
RSU
liberamente
elette
e
la
costruzione
di
modalità
di
controllo
delle
lavoratrici
e
dei
lavoratori
sulle
piattaforme
rivendicative.
In
questo
senso
l'appartenenza
di
iscritti
al
partito
a
sindacati
quali
l'Ugl
e
sindacati
di
destra
appare
inconciliabile
con
gli
obiettivi
generali
delineati.
Al
fine
di
rifondare
un
sindacato
di
classe
decisivo
è
il
ruolo
delle
Rsu,
la
loro
legittimazione
ed
il
loro
riconoscimento
che
deve
essere
perseguito
anche
attraverso
l'approvazione
di
una
legge
sulla
rappresentanza
che
rispecchi
le
reali
volontà
dei
lavoratori
e
lavoratrici,
eliminando
le
attuali
rendite
di
posizione.
Tuttavia,
come
già
affermato
nella
conferenza
delle
lavoratrici
e
dei
lavoratori
di
Treviso,
il
livello
sindacale
appare
insufficiente
a
rideterminare
la
ricomposizione
delle
frammentate
forze
del
lavoro.
Si
tratta
infatti
di
ricostruire,
al
fine
della
ricomposizione
di
classe,
una
nuova
regolamentazione,
nuovi
diritti
in
opposizione
al
Libro
Bianco
del
Ministro
Maroni
ed
alle
leggi
federaliste
in
materia
di
lavoro.
Ciò
deve
avvenire
anche
per
via
legislativa
in
quanto
la
deregolamentazione
è
avvenuta
in
gran
parte
attraverso
leggi
e
normative
italiane
ed
europee.
La
via
legislativa
è
altresì
necessaria
a
supportare
e
integrare
la
socializzazione
e
politicizzazione
dello
scontro
nel
momento
in
cui
l'impresa
chiama
in
causa
la
necessità
di
un'iniziativa
nel
mondo
del
lavoro
che
non
sia
solo
sindacale
ma
direttamente
politica
che
affronti
i
temi
della
guerra
e
dell'ambiente
e
della
necessità
della
trasformazione.
La
questione
di
genere
deve
connotare
e
attraversare
l'intero
mondo
del
lavoro.
Si
tratta
dunque,
di
dispiegare
nuovamente
lo
scontro
sociale
e
politico
fra
lavoratori
e
padroni,
tra
condizioni
del
lavoro
e
modello
di
società
complessivo.
Per
questo
il
partito
deve
essere
luogo
di
discussione,
elaborazione
e
di
orientamento
unitario
di
tutti
i
comunisti
che
operano
nel
mondo
del
lavoro.
TESI
30
-
IL
FALLIMENTO
STRATEGICO
DEL
CENTROSINISTRA
E
DEI
DS
(approvata
dal
Comitato
Politico
Nazionale)
La
sconfitta
elettorale
del
maggio
2000,
subita
in
proprio
dall'Ulivo,
ha
reso
evidente
l'inconsistenza
dell'ipotesi
(mondiale)
di
"riformismo
neoliberista
temperato".
In
questo
quadro,
spicca
la
crisi
dei
Ds
che,
al
recente
congresso
di
Pesaro,
hanno
riproposto
una
ricetta
nominalmente
socialdemocratica,
ma
nella
sostanza
centrista
e
neoliberale.
Che
ha
registrato
un'opposizione
interna
significativa.
La
sconfitta
elettorale
del
centrosinistra,
nella
primavera
del
2001,
è
stata
prima
di
tutto
una
sconfitta
in
proprio.
Non
è
stata
cioè
determinata
dalla
crescita
di
consensi
del
centrodestra,
ma
dal
mancato
recupero
di
una
parte
consistente
del
proprio
elettorato,
deluso
dal
quinquennio
di
governo
dell'Ulivo.
Un
esito
critico
non
solo
nazionale:
il
centrosinistra
"mondiale",
da
Clinton
a
Blair,
ha
fallito
nella
sua
scommessa
principale,
quella
di
realizzare
un
neoriformismo
di
tipo
liberista,
sia
pure
graduale
e
temperato.
In
Italia,
questo
fallimento
ha
assunto
la
fisionomia
di
scelte
economiche,
sociali
e
istituzionali
distinguibili
da
quelle
del
centrodestra
soltanto
dal
punto
di
vista
quantitativo:
in
particolare,
ha
prevalso
la
logica
delle
privatizzazioni,
delle
liberalizzazioni,
del
progressivo
deperimento
del
ruolo
redistributivo
dello
Stato,
della
subalternità
ai
grandi
potentati
economici.
L'Ulivo
è
apparso
alternativo
al
centrodestra
solo
sul
terreno
di
alcuni
valori
di
civiltà,
senza
che
ne
siano
per
altro
seguite
pratiche
politiche
davvero
caratterizzanti.
In
questo
contesto,
spicca
la
crisi
dei
Democratici
di
sinistra,
che
il
recente
congresso
di
Pesaro
non
ha
risolto,
ma
se
mai
aggravato:
giacchè,
analogamente
a
quello
che
accade
nel
sindacato,
non
si
tratta
di
difficoltà
occasionali,
ma
di
uno
spiazzamento
e
di
un
disorientamento
di
fondo.
Nel
dibattito
interno
che
ha
preceduto
il
congresso,
il
"correntone"
che
si
è
contrapposto
alla
maggioranza
di
D'Alema
e
Fassino,
non
ha
espresso,
come
tale,
né
un'ipotesi
strategica
né
una
linea
politica
alternative,
come
tali
riconoscibili.
E
sulla
guerra
globale
di
Bush,
mentre
la
deriva
neoatlantica
della
nuova
leadership
si
manifestava
con
accentuata
nettezza
ideologica,
è
emersa
una
differenza,
non
una
vera
lotta
politica
e
ideale.
Tuttavia
le
varie
espressioni
della
sinistra
Ds,
oltre
che
dello
schieramento
verde,
vanno
considerate
con
attenzione
quando
si
sottraggano
ad
una
deriva
neoliberale
ed
incontrino
le
istanze
di
lotta
contro
il
liberismo
e
contro
la
guerra.
Più
in
generale,
i
gruppi
dirigenti
della
sinistra
moderata
appaiono
non
solo
incapaci
di
uscire
dalla
gabbia
dell'alleanza
di
centrosinistra
e
di
avviare
una
revisione
critica
del
proprio
orizzonte
liberale
e
liberista,
ma
sostanzialmente
prigionieri
di
una
continua
rincorsa
verso
il
centro,
e
verso
la
ricollocazione
neocentrista
dell'Ulivo.
La
crisi
d'identità
e
di
fisionomia
dei
Ds,
che
tormenta
il
partito
ormai
da
più
di
dieci
anni
-
dalla
svolta
della
Bolognina
e
dallo
scioglimento
del
Pci
-
si
va
sciogliendo
quasi
interamente
in
direzione
liberale
e
centrista.
BERTINOTTI, CRIPPA, FERRERO, FRALEONE, GRASSI, PEGOLO,ZUCCHERINI, BELLUCCI, CACCIARI, CAMMARDELLA, CAPPELLONI, CAPRILI, CASATI BRUNO, CERBONE, CURZI, DE CRISTOFARO, DE SIMONE TITTI, DEIANA, EMPRIN , FAVARO, FORGIONE, GAGLIARDI, GHIGLIONE, GIANNI, GIORDANO, GUAGLIARDI, LOCATELLI, MAITAN, MALABARBA, MANGIANTI, MANTOVANI RAMON, MASCIA, MASELLI, MIGLIORE, MUSACCHIO, NARDINI, NESCI, NOCERA, PAPANDREA, RICCI MARIO, RUSSO FRANCO, RUSSO SPENA, SENTINELLI, SIMONETTI, SORINI, TURIGLIATTO, VACCARGIU,VALENTINI,VENDOLA,VINCI,VINTI, ABBA', ACERBO, ACETO, AITA, ALASIA, ALBONETTI, ALFONZI, ALLOCCA, ALTAVILLA, AMATO, ANTONAZ, ANTONIELLA, ARMENI, ATTILIANI, AURORA, AZZALIN, BALDI, BARACCO, BARASSI, BARBAGELATA, BARONTI, BARZAGHI, BELISARIO, BELLOFIORE, BENVEGNU', BERLINGUER, BERTOLO, BERTORELLO, BOGHETTA, BONADONNA, BONATO, BONFORTE, BONOMETTI, BRACCI TORSI, BRISTOT, BURGIO, BUTTIGNON, CAMPANILE, CANCIANI, CANONICO, CANTONI, CAPELLI, CAPACCI, CARDONE, CARRAZZA, CARTA, CARTOCCI, CATALANO, CATANIA, CHECCHI, CIMASCHI, CIMMINO, CO', COGODI, COLOMBINI, COMMODARI, CONSOLO, CONTI, CORRENTE, COSIMI, CRISTIANO, D'ACUNTO, D'AIMMO, D'ALESSANDRO, D'ANGELI, DANINI, D'AVOSSA, DE CESARIS, DE PALMA, DE PAOLI, DE SANTIS, DE SIMONE PAOLO, DI GIOIA, DI SABATO, DONDA, DUCCINI, FABIANI, FANTOZZI, FASOLI, FAZZESE, FERRARA, FERRARI GIANLUCA, FERRETTI, FIRENZE, FONDELLI, FRATOIANNI, FRENDA, GABRIELE, GALLO, GAMBUTI, GELMINI, GIANNINI, GIAVAZZI, GIORGI, GITTO, GRANOCCHIA, GROSSO, GUGLIELMI, JERVOLINO, JORFIDA, KIWAN, LEONI, LIBERA, LICHERI, LINGUITI, LOMBARDI ALDO, LOMBARDI ANGELA, LOMBARDI MIRKO, LOMBARDI ROBERTO, LONGO, LOSAPPIO, LUCINI, LUNIAN, MACRI', MAJORANA, MALENTACCHI, MALINCONICO, MAMMARELLA, MANGIA, MARAIA, MARCHETTINI, MARCHIONI, MARCONE, MARCONI, MAROTTA ANGELO, MAROTTA ANTONIO, MARTINO, MASELLA, MELIS, MENCARELLI, MERLINI, MILANI, MINISCI, MITA, MONTANILE, MONTECCHIANI, MORANDI, MORDENTI, MORETTI, MORINI, MORO, MOSCATO, MOZZETTA, MUGNAI, MULAS, MULLIRI, MURA, NICOTRA, NIERI, NINCHERI, NUCERA, NOVARI, OKROGLIC, OREFICE, ORTU, PACE, PALOZZA, PAOLINO, PASI, PATELLI, PATRITO, PECORINI, PEDUZZI, PERUGIA, PESACANE, PESCE, PETRUCCI, PETTENO', PIERINI, PIETRANGELI, PINTUS, PIOMBO, PLATANIA, POETA, POSELLI, POZZOBON, PRIMAVERA, PUCCI ALDO, PUCCI ROBERTO, RAZZANI, RICCI ANDREA, RICCIONI, RIGACCI, RIVELLI, RIVERA, ROSSI, SACCHI, SANSOE', SANTORUM, SARDONE, SAVELLI, SCONCIAFORNI, SCREPANTI, SEMERARO, SGHERRI, SIMEONE, SIMINI, SIRONI, SOBRINO, SPECCHIO, SPERANDIO, SPERANZA, STERI, STUFARA, TANARA, TANGOLO, TAVELLA, TEDDE, TETTAMANTI, TORRESAN, TORRICELLI, TOSI, TRIA, TRIBI, TRIVELLIZZI, TRONI, TROTTA, TROVATO, TRUFFA, VALENTI, VALLEISE, VALPIANA, VERZEGNASSI, VIANI, VLACCI, VOCCOLI, VOZA.
TESI
31
-
LE
DESTRE
AL
POTERE
Il
centrodestra
al
potere
ha
aperto
una
fase
nuova
e
pericolosa,
che
va
fronteggiata
con
un'opposizione
sociale
e
politica
risoluta.
Per
evitare
che
si
trasformi
in
un
vero
e
proprio
regime.
Il
passaggio
di
governo
dall'Ulivo
al
centrodestra
ha
aperto
in
Italia
una
nuova
e
pericolosa
fase
politica.
Tuttavia
la
vittoria
delle
destre
del
13
maggio
non
costituisce
di
per
sè
l'avvio
di
un
ciclo
lungo
o
di
un
vero
e
proprio
regime.
Questo
per
almeno
due
ragioni:
in
primo
luogo,
perché
si
è
trattato
prima
di
una
sconfitta
dell'Ulivo
che
di
una
vittoria
del
Polo;
in
secondo
luogo,
perché
comunque
al
successo
politico
ed
elettorale
del
centrodestra
non
corrisponde
un
blocco
sociale
ad
oggi
maggioritario.
La
stessa
unificazione
elettorale
realizzata
dalla
Casa
delle
libertà
non
ha
dato
vita
ad
un
soggetto
politico
unitario
della
destra:
al
di
là
della
leadership
di
Silvio
Berlusconi,
le
destre
erano
e
restano
almeno
due.
Due
tendenze,
non
due
partiti;
anzi,
due
anime
che
variamente
convivono
all'interno
della
stessa
forza
politica,
talora
in
un
impasto
efficace,
talora
in
un
cocktail
contradditorio
Nel
comune
orizzonte
neoliberista,
l'una
è
internazionalista,
americana,
borghese,
l'altra
è
localista,
nazionale,
populista.
Nasce
qui
l'incertezza
che
ha
caratterizzato
tutti
i
primi
mesi
del
nuovo
governo:
realizzare
uno
sfondamento
violento
del
blocco
storico
delle
sinistre,
con
un'aggressione
generalizzata
all'intero
sistema
di
diritti
e
garanzie
sociali,
oppure
procedere
con
una
tattica
più
graduale,
di
erosione
continua
e
progressivo
smantellamento
delle
conquiste
(e
degli
istituti)
del
mondo
del
lavoro.
Dopo
una
prima
fase
in
cui
l'atteggiamento
prevalente
è
stato
quello
della
prudenza,
prende
sempre
più
consistenza
una
linea
che
punta
alla
destrutturazione
dello
stato
sociale,
delle
tutele
del
lavoro
e
degli
istituti
contrattuali,
come
si
evince
dalla
volontà
di
modificare
l'art.18
dello
statuto
dei
lavoratori
e
le
normative
sul
mercato
del
lavoro,
così
come
dal
decreto
sul
contenimento
della
spesa
sanitaria.
Allo
stesso
tempo,
si
inviano
segnali
forti
ai
soggetti
sociali
più
atomizzati,
come
i
pensionati
poveri
e
il
"popolo
delle
partite
Iva"
e
si
sperimentano
scelte
estremiste
sul
terreno
"dell'attacco
alla
civiltà",
sul
quale
il
consenso
è
già
(o
si
ritiene)
acquisito:
come
è
avvenuto
sulla
legge
dell'immigrazione,
come,
prima
o
poi,
rischia
di
avvenire
sulla
legge
180,
o
sulla
legge
194.
Occorre
inoltre
segnalare
come
l'abbandono
della
concertazione
nelle
relazioni
sindacali
si
accompagni
ad
un
forte
dialogo
concertativo
con
le
amministrazioni
regionali
all'interno
della
conferenza
stato
-
regioni.
Nell'insieme,
pur
in
un
contesto
in
cui
le
contraddizioni
interne
alla
borghesia
si
mischiano
ad
una
forte
dose
di
empirismo
reazionario
e
di
attenzione
da
parte
di
Berlusconi
alla
tutela
dei
propri
interessi
personali,
il
governo
sta
comunque
agendo
per
operare
una
saldatura
di
un
blocco
sociale
reazionario
maggioritario,
cementato
da
interessi
materiali
e
dal
tema
della
sicurezza.
L'attacco
sistematico
alla
magistratura,
la
richiesta
di
impunità
per
le
classi
dirigenti
e
la
proprietà,
la
ripresa
di
un
forte
controllo
sul
territorio
da
parte
della
malavita
organizzata,
sono
tutti
aspetti
-
non
coincidenti
ma
non
privi
di
superfici
di
contatto
-
che
caratterizzano
questo
processo.
Occorre
ora
impedire,
attraverso
una
dura
lotta
di
opposizione
sociale
e
politica,
che
si
dia
avvio
ad
un
ciclo
lungo
di
dominio
delle
destre
o
ad
un
vero
e
proprio
regime.
Solo
la
ripresa
del
conflitto
e
del
protagonismo
sociale
possono
infatti
impedire
a
questo
disegno
reazionario
di
fare
significativi
passi
in
avanti.
TESI
32
-
LA
QUESTIONE
CATTOLICA
Il
pontificato
di
Wojtyla
si
caratterizza
per
un
lato,
con
la
crociata
antimoderna
contro
la
libertà
femminile
e
per
la
restaurazione
di
valori
oscurantisti,
e
con
i
ripetuti
accenti,
dall'altro
lato,
di
"anticapitalismo
moralista
e
interclassista"
e
di
pacifismo.
Il
mondo
cattolico
non
cessa,
nel
suo
insieme,
di
esser
terreno
di
contraddizioni
ed
esperienze
rilevanti.
In
un
contesto
di
forte
messa
in
discussione
della
Chiesa
conciliare,
il
pontificato
di
Giovanni
Paolo
II
segna
una
fase
di
aperta
ed
esplicita
lotta
alla
modernità:
ne
sono
simboli
corposi
la
crociata
contro
l'aborto,
contro
la
libertà
femminile
e
la
libertà
di
orientamento
sessuale,
così
come
l'ossessiva
e
aggressiva
campagna
per
il
finanziamento
pubblico
delle
scuole
private.
Dal
punto
di
vista
culturale,
è
evidente
la
piena
coerenza
di
queste
scelte
con
una
linea
di
restaurazione
teologica
già
fortemente
affermatasi.
Dal
punto
di
vista
politico
e
degli
equilibri
di
potere,
ancora,
è
esplicita
la
collocazione
a
fianco
del
centrodestra
della
maggioranza
delle
alte
gerarchie
ecclesiastiche.
Tuttavia,
il
ruolo
della
Chiesa
cattolica
e
di
papa
Wojtyla
non
è
riducibile
a
questa
pur
esplicita
collocazione
di
destra.
Non
solo
nel
senso
che
il
mondo
cattolico
è,
a
tutt'oggi,
assai
più
ricco
di
articolazioni
e
contraddizioni
interne
-
come
si
è
visto,
per
altro,
nella
nascita
e
nello
sviluppo
del
movimento
antiglobalizzazione
-
ma
anche
nel
senso
che
la
stessa
cultura
antimoderna
del
Papa
esprime
una
forte
critica
alla
mercificazione
integrale
delle
relazioni
umane:
una
sorta
di
anticapitalismo
moralista
e
interclassista
capace
di
significative
prese
di
posizione
sulla
guerra
e
lo
sfruttamento.
L'impianto
culturale
vaticano
non
è
però
l'unico
metro
di
misura
della
complessa
realtà
della
Chiesa
cattolica.
E'
infatti
evidente
che
il
mondo
cattolico,
nonostante
i
ripetuti
tentativi
di
normalizzazione
e
anche
forme
esplicite
di
repressione
da
parte
dell'istituzione,
non
ha
affatto
cessato
di
essere
terreno
di
contraddizioni
e
di
esperienze
che
hanno
alimentato
e
che
presumibilmente
continueranno
a
farlo
per
lungo
tempo,
i
movimenti
di
critica
sociale,
di
solidarietà,
di
liberazione,
dando
contributi
importanti
che
giungono
fino
ad
una
consapevole
scelta
anticapitalistica
e
all'impegno
in
prima
fila
nella
costruzione
dell'alternativa.
Da
parte
nostra,
riteniamo
necessario
confrontarci
con
l'insieme
di
questi
contributi
ed
esperienze
per
trarne
occasione
di
crescita
del
progetto
dell'alternativa,
che
fonda
il
suo
carattere
profondamente
laico
non
su
una
qualche
forma
di
ateismo
ma
nel
suo
porre
-
qui
ed
ora
-
l'esigenza
della
liberazione
degli
individui
e
della
trasformazione
sociale.
TESI
33
-
ASSOCIAZIONISMO
E
COOPERAZIONE
Da
almeno
vent'anni,
il
mondo
del
volontariato
e
dell'associazionismo
è
in
pieno
sviluppo.
Il
"Terzo
Settore"
non
definisce
un
soggetto
omogeneo,
ma
un
terreno
di
iniziativa
dove
si
scontrano
diverse
ipotesi
politiche.
Anche
il
movimento
cooperativo
deve
essere
rifondato.
Agli
inizi
degli
anni
Ottanta
si
apre
per
l'associazionismo,
le
cooperative
ed
il
volontariato
una
nuova
fase
della
loro
secolare
storia.
Da
allora
infatti,
quell'insieme
di
realtà
e
di
pratiche
che
comunemente
viene
definito
oggi
terzo
settore,
entrerà
in
una
stagione
di
sviluppo
sia
sul
piano
quantitativo
sia
qualitativo,
che
durerà
fino
alla
seconda
metà
dei
Novanta.
In
anni,
segnati
dalla
sconfitta
operaia
e
dal
conseguente
disincanto
verso
la
politica,
per
molti
uomini
e
donne,
soprattutto
giovani,
l'adesione
alle
organizzazioni
di
volontariato
e
all'associazioni
costituì
un'alternativa
al
disimpegno.
Attraverso
il
terzo
settore,
centinaia
di
migliaia
di
persone,
iniziarono
a
sperimentare
e
praticare
nuove
modalità
di
partecipazione
alla
vita
collettiva,
basate
sul
fare,
sull'agire
insieme
qui
ed
ora,
diverse
da
quelle
che
avrebbero
potuto
offrire
i
canali
classici
di
una
militanza
politica
in
crisi.
Nascono
da
questo
processo
di
autorganizzazione
sociale
legata
al
territorio
esperienze
importanti
come
le
unità
di
strada,
le
case
famiglia,
le
cooperative
sociali
di
disabili,
i
consultori
per
combattere
nuove
e
vecchie
esclusioni,
per
affermare
diritti,
le
iniziative
di
sport
popolare
finalizzate
all'aggregazione
sociale
sul
territorio.
Il
processo
di
ristrutturazione
del
Welfare
consolidatosi
negli
anni
'90
e
tendente
alle
privatizzazioni,
sviluppando
la
sussidiarietà
e
costruendo
un
mercato
dei
servizi,
ha
inciso
profondamente
su
questo
mondo.
Le
pratiche
concertative
del
Forum
del
terzo
settore
hanno
così
cominciato
a
coesistere
con
quelle
conflittuali
dell'autorganizzazione
sociale.
Le
logiche
di
impresa
e
di
sfruttamento
del
lavoro
hanno
preso
stabilmente
posto
accanto
agli
esperimenti
di
liberazione
del
lavoro
e
alla
pratica
del
vero
volontariato.
Per
non
fare
che
un
esempio,
le
pratiche
reazionarie
della
Compagnia
delle
Opere
coesistono
con
quelle
di
liberazione
messe
in
opera
dal
gruppo
Abele.
In
questo
contesto
abbiamo
assistito
anche
alla
crisi
del
movimento
cooperativo,
che
ha
in
parte
perso
le
sue
caratteristiche
originarie,
perseguendo
un
modello
acritico
di
impresa
subalterno
a
quello
capitalistico.
La
cooperazione
si
presenta
quindi
debole
di
fronte
ad
un
attacco
della
destra
che
punta
a
realizzare
anche
in
questo
settore
una
vasta
politica
di
privatizzazioni
di
quel
grande
patrimonio
pubblico
costituito
dalle
riserve
cooperative.
L'uscita
da
questa
crisi
può
darsi
unicamente
riaffermando
e
riattualizzando
i
valori
fondativi
dell'esperienza
cooperativa,
a
partire
dalla
costruzione
di
forme
di
lavoro
liberato,
dalla
centralità
della
mutualità,
dalla
difesa
dei
consumatori
e
dei
produttori
a
partire
da
quelli
del
Sud
del
mondo,
dalla
tutela
dell'ambiente
e
dell'alimentazione.
Il
mondo
del
cosiddetto
terzo
settore
non
è
quindi
oggi
un
mondo
omogeneo:
Il
terzo
settore
non
definisce
un
soggetto
ma
un
terreno
in
cui
si
scontrano
diversi
ipotesi
sociali,
culturali,
politiche.
Compito
nostro
è
quello
di
favorire
-
anche
in
relazione
alla
crescita
del
movimento
-
lo
sviluppo
delle
pratiche
e
delle
esperienze
che
si
collocano
al
di
fuori
della
logica
del
mercato,
in
una
posizione
di
integrazione,
di
allargamento
e
non
di
sostituzione
del
welfare,
contrastando
sul
piano
sociale
e
su
quello
istituzionale
(a
partire
dagli
Enti
Locali),
quei
trasferimenti
di
servizi
e
lavori
pubblici
ad
associazioni
e
cooperative,
attuati
con
il
solo
scopo
di
abbassare
il
costo
del
lavoro;
che
distinguono
chiaramente
lavoro
e
volontariato
tutelando
pienamente
i
diritti
dei
lavoratori;
che
operano
per
uno
sviluppo
del
protagonismo,
della
partecipazione
e
del
controllo
sociale
diffuso,
contro
le
pratiche
e
le
logiche
concertative
e
neocorporative.
TESI
34
-
L'INNOVAZIONE
NECESSARIA
In
un'epoca
tanto
mutata,
l'innovazione
è
una
necessità
vitale.
Soprattutto
per
una
forza,
come
il
Prc,
che
punta
su
una
radicale
rifondazione
della
politica,
fondata
sulla
priorità
dei
contenuti,
il
rapporto
con
i
movimenti,
la
crescita
dei
soggetti
sociali,
rispetto
alla
tradizionale
centralità
delle
alleanze
e
dei
ruoli
istituzionali.
In
questo
senso,
la
rottura
con
il
governo
Prodi
è
stata
una
tappa
del
percorso
della
rifondazione.
Se
le
analisi
fin
qui
svolte
hanno
un
fondamento,
siamo
dunque
all'interno
di
un
ciclo
tanto
nuovo
e
complesso,
che
non
è
possibile
affrontarlo
soltanto
con
strumenti
tradizionali
e
con
il
patrimonio
teorico
fin
qui
accumulato.
L'innovazione
è
una
necessità
primaria,
nel
metodo
e
nei
contenuti.
Per
noi,
essa,
all'opposto
delle
mode
"nuoviste"
di
questi
anni,
resta
legata
ad
un'ispirazione
rigorosamente
anticapitalistica
e
di
classe.
Ma,
allo
stesso
tempo,
essa
deve
affrontare,
senza
confini
precostituiti,
la
verifica
delle
ipotesi
politiche
e
dei
paradigmi
generali.
In
sostanza:
innovare
significa
uscire
risolutamente
da
ogni
atteggiamento
di
difesa
e
di
resistenza,
valori
tutt'ora
essenziali
ma
insufficienti,
da
soli,
allo
sviluppo
di
una
forza
di
alternativa.
Rifondazione
comunista,
del
resto,
ha
superato
il
guado
dei
dieci
anni
di
vita
politica
anche
e
soprattutto
perché
non
è
stata
la
guardiana
di
un
passato
quand'anche
glorioso,
ma
una
forza
in
costante
tensione
innovativa,
sia
pure
con
limiti
grandi
e
risultati
parziali.
Questa
tensione
si
è
espressa
su
due
terreni,
tra
di
loro
strettamente
correlati:
da
un
lato,
il
primato
dei
contenuti
sugli
schieramenti;
dall'altro
lato,
una
pratica
politica
che
ha
costantemente
privilegiato
la
centralità
della
"questione
sociale".
In
un
senso
preciso,
la
battaglia
di
Rifondazione
comunista,
in
questi
dieci
anni,
è
stata
un
contributo
attivo
alla
vitalità
della
politica,
contro
la
separatezza
crescente
tra
il
"cittadino
astratto"
e
gli
uomini
e
le
donne
reali.
Ne
sono
esempi
significativi
l'assunzione
di
obiettivi,
normalmente
classificati
come
"sindacali",
prospettati
invece
-
nel
loro
intreccio
con
la
contraddizione
di
genere,
con
l'ambientalismo
e
il
pacifismo
-
nella
loro
funzione
sociale
e
politica
generale
e
perfino
di
civiltà:
esemplari,
da
questo
punto
di
vista,
le
rivendicazioni
per
la
riduzione
d'orario,
il
salario,
le
pensioni,
il
"salario
sociale".
Sul
terreno
politico
e
istituzionale,
nacque
in
questa
logica
di
non
separazione
tra
"questione
sociale"
e
"questione
democratica"
il
primo
conflitto
con
la
sinistra
moderata,
quando,
nel
'95,
Rifondazione
comunista
si
rifiutò
di
appoggiare
il
governo
Dini.
Qui,
ancora,
si
colloca
la
scelta
più
rilevante
di
questi
anni:
la
rottura
del
'98
con
il
governo
Prodi,
e
l'opposizione
ai
successivi
centrosinistra
di
D'Alema
e
Amato.
Non
è
stato
il
risultato
di
un'antica
(o
mai
sopita)
propensione
di
fuga
dalle
"responsabilità"
politico-istituzionali,
e
neppure
il
frutto,
semplicemente,
di
una
coerenza
politica
e
politico-morale:
ma
una
tappa
del
percorso
della
rifondazione
comunista.
Uno
strappo,
cioè,
rispetto
allo
schema
consolidato,
a
sinistra,
secondo
il
quale
un
compromesso,
pur
insoddisfacente,
è
comunque
sempre
preferibile
alla
rottura,
se
e
quando
la
rottura
non
prefiguri
un
equilibrio
politico
"più
avanzato".
E
una
risposta,
sia
pure
in
nuce,
alla
necessità
di
ricostruire
una
politica
non
separata
dalle
soggettività
e
dai
bisogni
sociali,
come
impongono
i
processi
attuali
di
globalizzazione,
di
espansione
onnivora
dell'economico,
di
drastica
riduzione
dei
poteri
effettivi
dei
governi
nazionali.
In
questa
chiave,
l'innovazione
può
e
deve
esercitarsi
sulla
concezione
(e
sulla
pratica)
che
ha
influenzato
in
profondità
la
sinistra
italiana,
tanto
da
risultare
egemone
nei
gruppi
dirigenti
del
Pci,
del
Psi
e
di
parte
della
"nuova
sinistra"
degli
anni
'70:
la
politica
istituzionale
come
sfera
privilegiata
e
sovraordinatrice
della
politica
stessa,
come
momento
costitutivo
dell'identità
dei
soggetti
sociali
e
delle
classi
subalterne,
come
"inveramento"
della
funzione
stessa
del
Partito.
Non
sono
in
discussione,
sia
chiaro,
né
la
necessità
né
l'utilità
della
battaglia
democratica
nelle
istituzioni,
nelle
assemblee
elettive,
in
generale
nella
sfera
della
rappresentanza.
Né
si
tratta
di
coltivare
astratte
e
sbagliate
propensioni
extraparlamentari.
Si
tratta
di
operare
uno
spostamento
del
fuoco
della
centralità
politica
dal
livello
dello
Stato,
delle
istituzioni
e
delle
forze
organizzate
alla
dinamica
delle
forze
sociali,
di
movimento
e
delle
lotte
di
massa,
in
coerenza
con
i
mutamenti
della
società,
dei
nuovi
bisogni
di
massa,
e
fuori
dai
vincoli
di
eredità
pur
importanti,
come
quella
togliattiana.
In
molte
fasi
della
storia
italiana,
antiche
e
perfino
recenti,
l'iniziativa
istituzionale
ha
mantenuto
una
connessione
positiva
con
i
processi
sociali,
strappando
risultati
significativi,
spostando
in
avanti
i
rapporti
di
forza,
agendo
come
momento
effettivo
di
ricomposizione
sociale
e
culturale.
Ma
oggi
questa
connessione
organica
è
spezzata,
così
come
si
è
spezzato
il
rapporto
automatico
tra
collocazione
sociale
subalterna
e
scelta
a
sinistra.
Così
come
non
agisce
più,
nella
realtà,
un'onda
lineare
di
progresso,
emancipazione,
formazione
della
coscienza.
Oggi,
la
politica
prevalente
è
ridotta
o
ad
ancella
dei
poteri
e
degli
interessi
forti,
o
a
mediazione
autoreferenziale:
anch'essa,
in
realtà,
proprio
perché
va
amplificando
i
propri
caratteri
oligarchici
e
separati,
non
è
"riformabile"
dall'interno.
L'omologazione,
prima
che
un
rischio
della
soggettività,
è
una
tendenza
forte
della
realtà.
Questo
richiama
la
necessità
di
una
battaglia
strategica,
di
lungo
periodo.
Un
processo
di
rifondazione
della
politica,
che
sia
capace
anche
di
interloquire
con
le
domande
di
una
nuova
generazione,
non
può
dunque
che
assumere
dentro
di
sé
il
nodo
della
trasformazione
sociale,
tradizionalmente
riservata
agli
orizzonti
lontani,
alla
cultura
o,
per
altri
versi,
a
parziali
pratiche
sociali
.
Da
un
lato,
insomma,
la
trasformazione
rivoluzionaria
si
pone
come
la
sola
risposta
davvero
credibile
che
la
politica
possa
dare:
capace
cioè
di
andare
alla
radice
delle
contraddizioni
del
capitale
nella
sua
fase
neoliberista,
ma
capace
anche
di
collocare
in
un'ottica
di
libertà
e
liberazione
le
istanze
concrete
dell'antagonismo
sociale
e
di
classe
.
Dall'altro
lato,
una
politica
comunista
che
non
si
riduca
ad
essere
la
variante
estrema
dei
contesti
istituzionali
non
può
che
essere
eterodeterminata
dagli
interessi
o
dalle
cause
sociali
che
intende
rappresentare.
La
rappresentanza
del
conflitto
nelle
istituzioni
non
si
può
quindi
esaurire
nell'attività
tradizionale
e
nella
pratica
della
"mediazione":
è
necessario
attuare
una
svolta
in
cui
il
tratto
istituzionale
del
nostro
agire
sia
parte
esso
stesso
delle
vertenze
sociali
e
del
movimento.
In
un
contesto
innovativo,
la
nostra
radicata
presenza
istituzionale
può
diventare
protagonista
della
spinta
alla
trasformazione,
nel
quadro
della
lotta
alla
globalizzazione
capitalista:
intersecando
il
movimento
anche
sul
terreno
delle
questioni
locali,
sia
nella
proposta
del
"bilancio
partecipato"
sia
nella
capacità
di
rilanciare,
anche
mediante
la
pratica
della
"disobbedienza
civile",
la
lotta
alle
privatizzazioni
dei
servizi
e
dei
diritti,
o
quella
per
l'
ambiente
sano
e
pulito.
Una
pratica
istituzionale
quindi
che
ritmando
accordi
e
rotture,
patti
e
conflitti,
compromessi
e
scontri,
assuma
una
prospettiva
-
non
lineare
-
funzionale
ai
movimenti,
ai
soggetti
del
lavoro,
alla
crescita
delle
lotte.
TESI
35
-
UN
NUOVO
SOGGETTO
POLITICO
EUROPEO
L'obiettivo
è
ambizioso,
ma
necessario:
costruire
un
nuovo
soggetto
politico,
capace
di
unire,
sulle
discriminanti
della
lotta
alla
globalizzazione
e
alla
guerra,
le
forze
della
sinistra
alternativa
e
antagonista.
La
nostra
proposta
politica
si
colloca
in
un
contesto
e
in
una
dimensione
europea,
intendendo
per
questa
uno
spazio
territoriale
e
sociale
aperto
e
comunicante
con
il
mondo.
Questa
è
la
nuova
dimensione
dell'agire
politico
nel
mondo
moderno
e
nell'epoca
della
globalizzazione.
Lo
spazio
europeo
è
quello
più
consono,
come
già
le
prime
esperienze
dimostrano,
per
portare
ad
unità
le
diverse
figure
sociali,
tradizionali
e
nuove,
che
costituiscono
l'insieme
delle
persone
sottoposte
a
sfruttamento
e
alienazione,
quindi
è
il
terreno
migliore
per
la
costruzione
di
un
nuovo
movimento
operaio.
Non
è
solo
necessario
pensarsi
come
una
forza
politica
europea,
progettare
la
propria
iniziativa
politica
in
un
quadro
sovranazionale,
stabilire
contatti
e
collaborazioni
con
altre
forze,
come
pure
abbiamo
positivamente
fatto
in
questi
anni,
e
continueremo
a
fare,
evitando
giustamente
di
basare
le
nostre
relazioni
internazionali
su
discriminanti
ideologiche.
Bisogna
proporsi
un
obiettivo
certamente
ambizioso
quanto
necessario:
quello
della
costruzione
di
un
nuovo
soggetto
politico
europeo.
Non
pensiamo
ovviamente
né
ad
una
nuova
Internazionale,
né
ad
una
fusione
organizzativa
delle
forze
esistenti,
né
ad
un
compattamento
su
base
ideologica.
Pensiamo
invece
di
portare
avanti
-
dopo
le
iniziative
positive
di
questi
ultimi
mesi
costruite
grazie
al
nostro
gruppo
europeo
GUE
sinistra
verde
nordica
-
un
processo
complesso,
ma
determinato,
per
unire,
lungo
le
discriminanti
della
lotta
alla
globalizzazione
neoliberista
e
alla
guerra,
le
forze
della
sinistra
comunista,
antagonista
e
alternativa
su
scala
europea
in
un
processo
da
subito
comune
di
ricerca,
di
elaborazione,
di
promozione
di
iniziative
politiche,
istituzionali
(si
pensi
alla
scadenza
della
legislatura)
e
sociali,
in
sintonia
con
la
crescita
di
un
movimento
antiglobalizzazione,
pacifista,
ambientalista,
di
lavoratrici,
di
lavoratori,
di
precari,
di
disoccupati,
di
giovani,
di
donne
e
intellettuali
su
scala
continentale.
Del
resto,
questa
direzione
di
lavoro
è
resa
necessaria
dalle
comuni
difficoltà
che
le
nostre
formazioni
politiche
vivono
nei
rispettivi
paesi.
TESI
36
-
LA
NOSTRA
PROPOSTA
POLITICA
In
Italia,
avanziamo
la
proposta
della
costituzione
di
una
sinistra
di
alternativa,
capace
di
invertire
la
tendenza
degli
ultimi
vent'anni
e
di
diventare
protagonista
della
vita
pubblica
del
paese.
Decisiva,
per
questo
obiettivo,
è
la
crescita
del
movimento,
anche
per
rompere
le
barriere
che
separano
il
dibattito
politico
dalla
concreta
condizione
dei
soggetti
sociali.
Un
processo
che
dovrà
dotarsi
di
modalità
nuove,
dal
basso
e
dall'alto.
In
Italia
avanziamo
la
proposta
politica
della
costruzione
di
una
sinistra
di
alternativa
capace
di
invertire
il
corso
degli
ultimi
20
anni,
per
diventare
protagonista
della
vita
pubblica
del
paese.
Al
fine
di
conseguire
questo
obiettivo
è
decisiva
la
crescita
e
l'allargamento
del
movimento
e
quel
necessario
e
possibile
processo
di
ricomposizione
sociale
delle
diverse
figure,
divise
e
contrapposte
dalla
ristrutturazione
capitalistica,
del
lavoro
e
del
non
lavoro,
di
giovani,
di
donne
e
di
tutti
coloro
che
sono
oppressi
ed
emarginati
dal
sistema
liberista
ed
a-democratico.
Questo
processo
deve
diventare
il
motore
di
una
nuova
connessione
con
figure
sociali
e
settori
di
società
che
avvertono
la
mancanza
di
prospettiva
di
questa
modernizzazione
e
che
si
collocano
perciò
in
posizione
di
interrogazione
e
di
ricerca.
Inoltre,
da
un
lato
la
crisi
della
politica
e,
al
suo
interno,
la
crisi
della
sinistra
di
governo
e,
dall'altro,
l'irrompere
nella
società
di
nuove
domande,
di
nuovi
bisogni
di
cultura,
di
politica
e
di
vita
non
integrabili
nella
governabilità
dell'ordine
esistente
propongono
il
tema
di
una
nuova
soggettività
politica
capace
sia
di
intercettare
l'esodo
dalle
prime,
che
di
organizzare
le
seconde
in
progetto
politico
e
partecipazione.
La
costituzione
della
sinistra
di
alternativa
è
perciò
il
nostro
obiettivo
strategico
di
fase.
Questo
obiettivo,
che
contraddistingue
la
nostra
proposta
politica
non
certo
da
oggi,
assume
una
più
chiara
centralità
proprio
a
partire
dall'esperienza
del
movimento,
che
ci
permette
di
fare
un
decisivo
passo
in
avanti.
La
concreta
possibilità
di
intrecciare
il
lavoro
di
costruzione
della
sinistra
di
alternativa
con
quello
dello
sviluppo
del
movimento
è
la
novità
politica
che
ricaviamo
dalla
nostra
analisi
di
fase.
Si
tratta
di
un'occasione
decisiva
per
rompere
le
barriere
che
separano
il
dibattito
politico,
compreso
quello
più
radicale,
dalla
concreta
condizione
sociale.
La
costruzione
della
sinistra
alternativa
è
quindi
un
processo
per
la
creazione
di
un
campo
di
forze
politiche,
associazioni,
gruppi,
strutture
reticolari,
forze
che
agiscono
direttamente
nel
sociale.
Per
il
modo
stesso
in
cui
si
costruisce,
la
sinistra
di
alternativa
deve
saper
rispondere
alla
crisi
della
politica.
Così
come,
per
il
modo
originale
con
cui
va
organizzata
la
sua
soggettività
politica
deve
saper
rispondere
all'esigenza
di
far
coesistere
la
molteplicità
delle
esperienze
e
delle
diverse
culture
politiche
che
la
possono
comporre
con
l'unitarietà
del
suo
progetto
politico.
Il
PRC
si
propone
di
essere
uno
dei
protagonisti
di
questo
processo
di
costruzione
della
sinistra
di
alternativa
in
Italia
che
dunque
lo
comprenda
sapendo
andare
ben
al
di
là
dei
nostri
confini,
per
aggregare
tutte
e
tutti
coloro
che
sono
contro
la
guerra
e
contro
le
politiche
neoliberiste
per
"un
altro
mondo
possibile".
Diventa
perciò
decisivo
costruire
esperienze
e
appuntamenti,
anche
sul
piano
locale
che
vadano
in
questa
direzione;
la
sinistra
di
alternativa
deve
essere
costruita
dall'alto
e
dal
basso.
TESI
37
-
L'ARTICOLAZIONE
DELLA
NOSTRA
PROPOSTA
POLITICA
(approvata
dal
Comitato
Politico
Nazionale)
L'ipotesi
della
costruzione
di
una
sinistra
plurale
-
un
campo
più
largo
di
forze,
che
includa
settori
della
sinistra
moderata
-
si
fa
oggi
più
ardua.
E'
tuttavia
da
respingere
l'alternativa
perdente
tra
settarismo
e
politicismo:
in
mezzo,
c'è
la
pratica
a
tutto
campo
della
nostra
proposta,
contenuti,
capacità
di
dialogare
con
chiunque
sia
portatore
di
istanze
alternative.
In
questo
quadro
la
prospettiva
della
sinistra
plurale,
cioè
la
concreta
attivazione
di
un
campo
più
ampio
di
quello
fin
qui
descritto
e
il
coinvolgimento
in
esso
di
settori
consistenti
della
sinistra
moderata
e
riformista,
pur
rimanendo
irrinunciabile
ai
fini
della
costruzione
di
una
alternativa
di
governo,
appare
un
cammino
reso
più
difficile
e
tormentato
dalle
scelte
compiute
dalla
maggioranza
dei
DS
e
dell'Ulivo
di
schierarsi
con
la
guerra
e
con
l'ingresso
diretto
nel
conflitto
da
parte
del
nostro
paese,
cui
si
aggiunge
una
crescente
insensibilità
verso
le
questioni
sociali
e
la
subordinazione
culturale
e
politica
ai
paradigmi
del
liberismo.
Tuttavia
le
conseguenze
dell'aggravarsi
della
crisi
economica,
del
prolungarsi
della
guerra
e
dell'appesantirsi
del
coinvolgimento
del
nostro
paese
in
essa,
possono
ulteriormente
allargare
divergenze
che
già
appaiono
all'interno
della
sinistra
moderata
e
soprattutto
aprire
una
crisi
di
consenso.
Allo
stesso
tempo
gli
esiti
di
questi
processi
dipendono
dalla
nostra
capacità
di
iniziativa
politica
di
consolidare
una
piattaforma
di
opposizione
al
governo
delle
destre,
dalla
crescita
del
movimento,
dalla
evoluzione
del
rapporto
della
sinistra
moderata
stessa,
da
un
lato,
con
la
società
nel
suo
complesso
e
con
il
movimento
sindacale
in
particolare,
e
dall'altro
con
il
blocco
di
potere
che
attualmente
sorregge
le
destre
e
che
non
nasconde
la
sua
ambizione
di
cooptare
questa
forza,
in
posizione
subordinata,
all'interno
del
governo
allargato
della
società.
Per
tutti
questi
motivi
dobbiamo
sapere
articolare
la
nostra
proposta
politica,
trovare
le
forme
per
portarla
sul
terreno,
per
noi
strategico
e
decisivo,
della
società
e
dei
movimenti,
ove
dobbiamo
spostare
con
decisione
il
baricentro
della
nostra
iniziativa
per
una
uscita
plurale
e
dal
basso
dalla
crisi
della
sinistra.
Nello
stesso
tempo
dobbiamo
praticare
la
nostra
proposta
nelle
istituzioni
e
nel
sistema
delle
relazioni
politiche
a
ogni
livello.
Dobbiamo
perciò
sapere
condurre
direttamente
vertenze
territoriali,
sulla
base
di
un'articolazione
di
obiettivi
che
nessuna
piattaforma
per
quanto
perfetta
può
da
sola
risolvere,
ma
da
cui
anzi
quest'ultima
deve
essere
continuamente
arricchita.
Dobbiamo
intendere
e
praticare
la
nostra
presenza
negli
Enti
Locali
sia
come
costruzione
di
elementi
di
controtendenza
rispetto
al
quadro
politico
nazionale
-
nelle
modalità
di
governo
e
nelle
relazioni
e
alleanze
politiche
-;
sia
come
capacità
di
fare
avanzare
in
modo
concreto
gli
obiettivi
e
le
rivendicazioni
che
partono
dalla
individuazione
dei
bisogni
popolari;
sia
per
mantenere
aperta
e
viva
l'interlocuzione
tra
i
movimenti
e
gli
organi
di
governo
locale,
sia
per
avanzare
nuove
esperienze
che
permettano
di
tradurre
in
pratica
un
incrocio
tra
democrazia
diretta
e
delegata,
e
quindi
per
iniziare
dal
basso
un
processo
di
ridemocratizzazione
su
basi
nuove
della
nostra
società.
L'istituto
del
"bilancio
partecipato"
che
ci
giunge
dall'esperienza
della
municipalità
di
Porto
Alegre,
rappresenta
in
questo
quadro
un'esperienza
preziosa
e
paradigmatica
da
generalizzare
e
applicare
alle
nostre
condizioni.
BERTINOTTI, CRIPPA, FERRERO, FRALEONE, GRASSI, PEGOLO, ZUCCHERINI, BELLUCCI, CACCIARI, CAMMARDELLA, CAPPELLONI, CAPRILI, CASATI BRUNO, CERBONE, CURZI, DE CRISTOFARO, DE SIMONE TITTI, DEIANA, EMPRIN , FAVARO, FORGIONE, GAGLIARDI, GHIGLIONE, GIANNI, GIORDANO, GUAGLIARDI, LOCATELLI, MAITAN, MALABARBA, MANGIANTI, MANTOVANI RAMON, MASCIA, MASELLI, MIGLIORE, MUSACCHIO, NARDINI, NESCI, NOCERA, PAPANDREA, RICCI MARIO, RUSSO FRANCO, RUSSO SPENA, SENTINELLI, SIMONETTI, SORINI, TURIGLIATTO, VACCARGIU,VALENTINI,VENDOLA,VINCI,VINTI, ABBA', ACERBO, ACETO, AITA, ALASIA, ALBONETTI, ALFONZI, ALLOCCA, ALTAVILLA, AMATO, ANTONAZ, ANTONIELLA, ARMENI, ATTILIANI, AURORA, AZZALIN, BALDI, BARACCO, BARASSI, BARBAGELATA, BARONTI, BARZAGHI, BELISARIO, BELLOFIORE, BENVEGNU', BERLINGUER, BERTOLO, BERTORELLO, BOGHETTA, BONADONNA, BONATO, BONFORTE, BONOMETTI, BRACCI TORSI, BRISTOT, BURGIO, BUTTIGNON, CAMPANILE, CANCIANI, CANONICO, CANTONI, CAPACCI, CAPELLI, CARDONE, CARRAZZA, CARTA, CARTOCCI, CATALANO, CATANIA, CHECCHI, CIMASCHI, CIMMINO, CO', COGODI, COLOMBINI, COMMODARI, CONSOLO, CONTI, CORRENTE, COSIMI, CRISTIANO, D'ACUNTO, D'AIMMO, D'ALESSANDRO, D'ANGELI, DANINI, D'AVOSSA, DE CESARIS, DE PALMA, DE PAOLI, DE SANTIS, DE SIMONE PAOLO, DI GIOIA, DI SABATO, DONDA, DUCCINI, FABIANI, FANTOZZI, FASOLI, FAZZESE, FERRARA, FERRARI GIANLUCA, FERRETTI, FIRENZE, FONDELLI, FRATOIANNI, FRENDA, GABRIELE, GALLO, GAMBUTI, GELMINI, GIANNINI, GIAVAZZI, GIORGI, GITTO, GRANOCCHIA, GROSSO, GUGLIELMI, JERVOLINO, JORFIDA, KIWAN, LEONI, LIBERA, LICHERI, LINGUITI, LOMBARDI ALDO, LOMBARDI ANGELA, LOMBARDI MIRKO, LOMBARDI ROBERTO, LONGO, LOSAPPIO, LUCINI, LUNIAN, MACRI', MAJORANA, MALENTACCHI, MALINCONICO, MAMMARELLA, MANGIA, MARAIA, MARCHETTINI, MARCHIONI, MARCONE, MARCONI, MAROTTA ANGELO, MAROTTA ANTONIO, MARTINO, MASELLA, MELIS, MENCARELLI, MERLINI, MILANI, MINISCI, MITA, MONTANILE, MONTECCHIANI, MORANDI, MORDENTI, MORETTI, MORINI, MORO, MOSCATO, MOZZETTA, MUGNAI, MULAS, MULLIRI, MURA, NICOTRA, NIERI, NINCHERI, NUCERA, NOVARI, OKROGLIC, OREFICE, ORTU, PACE, PALOZZA, PAOLINO, PASI, PATELLI, PATRITO, PECORINI, PEDUZZI, PERUGIA, PESACANE, PESCE, PETRUCCI, PETTENO', PIERINI, PIETRANGELI, PINTUS, PIOMBO, PLATANIA, POETA, POSELLI, POZ-ZOBON, PRANDINI PRIMAVERA, PUCCI ALDO, PUCCI ROBERTO, RAZZANI, RICCI ANDREA, RICCIONI, RIGACCI, RIVELLI, RIVERA, ROSSI, SACCHI, SANSOE',SANTORUM,SARDONE, SAVELLI, SCONCIAFORNI, SCREPANTI, SEMERARO, SGHERRI, SIMEONE, SIMINI, SIRONI, SOBRINO, SPECCHIO, SPERANDIO, SPERANZA, STERI, STUFARA, TANARA, TANGOLO, TAVELLA, TEDDE, TETTAMANTI, TORRESAN, TORRICELLI, TOSI, TRIA, TRIBI, TRIVELLIZZI, TRONI, TROTTA, TROVATO, TRUFFA, VALENTI, VALLEISE, VALPIANA, VERZEGNASSI, VIANI, VLACCI, VOCCOLI, VOZA.
TESI
38
-
UN
NUOVO
MOVIMENTO
OPERAIO
(approvata
dal
Comitato
Politico
Nazionale)
La
contraddizione
capitale-lavoro
è
sempre
più
acuta
e
generalizzata,
ma
i
soggetti
del
lavoro
si
moltiplicano
in
segmenti
sempre
più
separati.
Il
problema
principale
è
oggi
quello
della
ricomposizione
sociale
e
politica
delle
figure
sociali
oppresse
e
spezzate
dal
capitalismo
globale.
Un
compito
inedito.
Dal
punto
di
vista
sociale
il
nostro
agire
si
rivolge
in
primo
luogo
a
tutti
i
soggetti
sociali
vittime
di
uno
stato
di
sfruttamento
e
di
alienazione.
Come
abbiamo
visto
la
rivoluzione
capitalistica
restauratrice
intervenuta
in
questi
anni
ha
provocato
uno
sconvolgimento
nella
morfologia
delle
classi
subalterne
e
in
particolare
un
processo
di
ampliamento
e
di
frantumazione
del
lavoro
a
diverso
titolo
subordinato.
Da
un
lato
infatti
le
figure
sociali
hanno
perso
contorni
netti
-si
pensi
alla
moltiplicazione
e
allo
sminuzzamento
delle
posizioni
contrattuali-,
dall'altro
lato
assistiamo
ad
una
sussunzione
diretta
nel
processo
di
valorizzazione
del
capitale
di
figure,
o
di
attività
in
capo
alle
stesse
persone,
che
un
tempo
si
collocavano
nel
campo
della
riproduzione
della
forza
lavoro,
cioè
fuori
dal
lavoro
produttivo
inteso
in
senso
stretto.
Non
si
tratta
di
fenomeni
assolutamente
nuovi,
come
non
è
un'invenzione
di
adesso,
il
dibattito
sui
confini
che
separano
il
lavoro
produttivo
da
quello
improduttivo,
quello
materiale
da
quello
intellettuale,
ma
è
indubbio
che
questi
fenomeni
sono
oggi
assai
ampliati
rispetto
al
passato.
Il
lavoro,
che
è
sempre
astratto
dal
punto
di
vista
del
capitale,
oggi
assume
una
forma
che
concretamente
si
avvicina
a
questo
suo
carattere.
Accanto
all'enorme
crescita
della
precarizzazione,
aumenta
la
disoccupazione
di
massa
che
è
più
che
raddoppiata
rispetto
agli
anni
'70.
Si
manifesta
un
processo
di
crisi
nell'estensione
del
rapporto
di
lavoro
salariato,
nel
senso
che
molte
attività
sono
a
tutti
gli
effetti
lavori
al
servizio
diretto
del
capitale
-
e
dunque
il
lavoro
non
solo
non
finisce,
ma
si
estende
-,
anche
se
non
vengono
economicamente
e
socialmente
riconosciute
come
tali.
Questo
fenomeno
conferma
in
sé
una
carica
potenzialmente
rivoluzionaria,
poiché
indica
l'irriducibilità
di
fondo
del
lavoro
vivo
ad
essere
integralmente
sottomesso
al
capitale.
La
contraddizione
capitale-lavoro
è
dunque
sempre
più
acuta
e
generalizzata
nella
società,
ma
i
soggetti
che
investe
sul
versante
del
lavoro,
e
sui
quali
si
articola
sono
molteplici
e
divisi.
Conseguentemente
l'individuazione
dei
referenti
sociali
nella
costruzione
dell'alternativa
non
può
essere
affidata
ai
paradigmi
del
passato,
né
si
può
concepire
lo
schieramento
sociale
dell'alternativa
come
una
semplice
riedizione
dei
classici
concetti
di
blocco
sociale,
per
cui
attorno
alla
classe
rivoluzionaria
per
eccellenza,
che
costituiva
il
motore
umano
del
processo
produttivo,
andavano
uniti
ceti
superiori
o
le
classi
che
avevano
perso
di
centralità
a
causa
del
pieno
avvento
del
capitalismo
industriale.
Il
problema
principale
è
oggi
ricomporre
l'insieme
dei
soggetti
vittime
dello
sfruttamento
e
dell'alienazione
che
sono
divisi
e
contrapposti
dalla
ristrutturazione
capitalistica,
in
un
nuovo
movimento
operaio.
Le
recenti
esperienze
di
lotta
che
vedono
assieme
i
metalmeccanici
con
il
nuovo
movimento
no-global,
anche
grazie
ad
un
comune
tratto
generazionale,
indicano
che
questo
obiettivo
è
non
solo
necessario
ma
possibile.
In
esso
possono
avere
più
peso
le
figure
sociali
che
occupano
i
luoghi
decisivi
della
produzione
di
plusvalore
all'interno
del
processo
di
accumulazione
capitalistica,
ma
la
loro
individuazione
resta
un
compito,
non
solo
un
dato
di
partenza.
Per
queste
ragioni
l'individuazione
dei
referenti
sociali
della
nostra
azione
politica
comincia
con
il
lavoro
di
inchiesta:
perché
solo
attraverso
questo
è
possibile
conoscere
le
condizioni
e
i
bisogni
di
queste
figure
sociali
e
stabilire
con
esse
una
relazione
dinamica
che
già
di
per
sé
costituisce
una
pratica
politica
e
non
solo
conoscitiva.
BERTINOTTI, CRIPPA, FERRERO, FRALEONE, GRASSI, PEGOLO, ZUCCHERINI, BELLUCCI, CACCIARI, CAMMARDELLA, CAPPELLONI, CAPRILI, CASATI BRUNO, CERBONE, CURZI, DE CRISTOFARO, DE SIMONE TITTI, DEIANA, EMPRIN , FAVARO, FORGIONE, GAGLIARDI, GHIGLIONE, GIANNI, GIORDANO, GUAGLIARDI, LOCATELLI, MAITAN, MALABARBA, MANGIANTI, MANTOVANI RAMON, MASCIA, MASELLI, MIGLIORE, MUSACCHIO, NARDINI, NESCI, NOCERA, PAPANDREA, RICCI MARIO, RUSSO FRANCO, RUSSO SPENA, SENTINELLI, SIMONETTI, SORINI, TURIGLIATTO, VACCARGIU,VALENTINI,VENDOLA,VINCI,VINTI, ABBA', ACERBO, ACETO, AITA, ALASIA, ALBONETTI, ALFONZI, ALLOCCA, ALTAVILLA, AMATO, ANTONAZ, ANTONIELLA, ARMENI, ATTILIANI, AURORA, AZZALIN, BALDI, BARACCO, BARASSI, BARBAGELATA, BARONTI, BARZAGHI, BELISARIO, BELLOFIORE, BENVEGNU', BERLINGUER, BERTOLO, BERTORELLO, BOGHETTA, BONADONNA, BONATO, BONFORTE, BONOMETTI, BRACCI TORSI, BRISTOT, BURGIO, BUTTIGNON, CAMPANILE, CANCIANI, CANONICO, CANTONI, CAPACCI, CAPELLI, CARDONE, CARRAZZA, CARTA, CARTOCCI, CATALANO, CATANIA, CHECCHI, CIMASCHI, CIMMINO, CO', COGODI, COLOMBINI, COMMODARI, CONSOLO, CONTI, CORRENTE, COSIMI, CRISTIANO, D'ACUNTO, D'AIMMO, D'ALESSANDRO, D'ANGELI, DANINI, D'AVOSSA, DE CESARIS, DE PALMA, DE PAOLI, DE SANTIS, DE SIMONE PAOLO, DI GIOIA, DI SABATO, DONDA, DUCCINI, FABIANI, FANTOZZI, FASOLI, FAZZESE, FERRARA, FERRARI GIANLUCA, FERRETTI, FIRENZE, FONDELLI, FRATOIANNI, FRENDA, GABRIELE, GALLO, GAMBUTI, GELMINI, GIANNINI, GIAVAZZI, GIORGI, GITTO, GRANOCCHIA, GROSSO, GUGLIELMI, JERVOLINO, JORFIDA, KIWAN, LEONI, LIBERA, LICHERI, LINGUITI, LOMBARDI ALDO, LOMBARDI ANGELA, LOMBARDI MIRKO, LOMBARDI ROBERTO, LONGO, LOSAPPIO, LUCINI, LUNIAN, MACRI', MAJORANA, MALENTACCHI, MALINCONICO, MAMMARELLA, MANGIA, MARAIA, MARCHETTINI, MARCHIONI, MARCONE, MARCONI, MAROTTA ANGELO, MAROTTA ANTONIO, MARTINO, MASELLA, MELIS, MENCARELLI, MERLINI, MILANI, MINISCI, MITA, MONTANILE, MONTECCHIANI, MORANDI, MORDENTI, MORETTI, MORINI, MORO, MOSCATO, MOZZETTA, MUGNAI, MULAS, MULLIRI, MURA, NICOTRA, NIERI, NINCHERI, NUCERA, NOVARI, OKROGLIC, OREFICE, ORTU, PACE, PALOZZA, PAOLINO, PASI, PATELLI, PATRITO, PECORINI, PEDUZZI, PERUGIA, PESACANE, PESCE, PETRUCCI, PETTENO', PIERINI, PIETRANGELI, PINTUS, PIOMBO, PLATANIA, POETA, POSELLI, POZ-ZOBON, PRANDINI PRIMAVERA, PUCCI ALDO, PUCCI ROBERTO, RAZZANI, RICCI ANDREA, RICCIONI, RIGACCI, RIVELLI, RIVERA, ROSSI, SACCHI, SANSOE',SANTORUM,SARDONE, SAVELLI, SCONCIAFORNI, SCREPANTI, SEMERARO, SGHERRI, SIMEONE, SIMINI, SIRONI, SOBRINO, SPECCHIO, SPERANDIO, SPERANZA, STERI, STUFARA, TANARA, TANGOLO, TAVELLA, TEDDE, TETTAMANTI, TORRESAN, TORRICELLI, TOSI, TRIA, TRIBI, TRIVELLIZZI, TRONI, TROTTA, TROVATO, TRUFFA, VALENTI, VALLEISE, VALPIANA, VERZEGNASSI, VIANI, VLACCI, VOCCOLI, VOZA.
TESI
39
-
LA
CRESCITA
DEL
MOVIMENTO
(approvata
dal
Comitato
Politico
Nazionale)
Per
il
Prc,
l'impegno
della
crescita
del
"movimento
dei
movimenti"
si
pone
su
diversi
terreni:
il
suo
allargamento,
la
sua
unità,
il
suo
radicamento
nei
Social
Forum
cittadini.
L'estensione
del
conflitto
sociale
e
la
costruzione
di
un
forte
intreccio
tra
il
movimento
operaio
"tradizionale"
e
il
movimento
no
global
rappresenta
la
vera
sfida
strategica.
L'irrompere
sulla
scena
mondiale
del
"popolo
di
Seattle"
non
ha
trovato
impreparata
Rifondazione
comunista:
per
merito
sia
dell'impianto
analitico
di
cui
il
partito
si
era
da
tempo
dotato
(sulla
rivoluzione
capitalista,
sui
nuovi
processi
di
globalizzazione,
sui
segnali
di
crisi
di
questi
processi)
sia
della
sua
capacità
di
essere,
con
la
propria
soggettività,
parte
integrante
del
movimento,
contro
ogni
antica
tentazione
di
coscienza
esterna.
Grazie
anche
alla
pratica
politica
dei
Giovani
comunisti,
il
ruolo
del
Prc
all'interno
del
Genoa
Social
Forum
è
risultato
evidente
ed
importante,
proprio
perché
non
determinato
da
pretese
egemoniche.
In
questa
fase,
in
cui
il
movimento
ha
dato
in
più
occasioni
ottima
prova
di
sè
e
della
sua
capacità
di
tenuta
e
nel
contempo
sta
affrontando
una
impegnativa
discussione
sulle
proprie
prospettive
e
sulle
proprie
modalità
organizzative,
riteniamo
utile
precisare
il
nostro
indirizzo.
Riconfermando
la
scelta
strategica
della
nostra
internità
al
movimento,
il
nostro
impegno
organizzativo,
politico
e
culturale
finalizzato
alla
sua
crescita,
noi
riteniamo
che
i
nodi
prioritari
di
questa
fase
siano:
1. LA CRESCITA DEL MOVIMENTO, intesa come la sua capacità di persistenza, sviluppo, efficacia, al di là delle scadenze imposte dall'avversario costituisce l'obiettivo centrale. Per questo non vi è un problema di sbocco politico del movimento separabile dalla sua crescita e dal suo sviluppo, nella consapevolezza che i movimenti di massa non hanno necessariamente un andamento lineare, né sono a fortiori tenuti al "confronto" con appuntamenti istituzionali: insomma, nella scelta autonoma dei tempi e dei ritmi della lotta, si esercita fino in fondo la loro sovranità.
2.
L'UNITA'
DEL
MOVIMENTO,
così
ricco
di
articolazioni
interne,
così
variegato
nelle
sue
anime
e
nelle
sue
opzioni
generali,
è
un
bene
prezioso,
comunque
da
salvaguardare
in
termini
reali,
politici
e
non
"politicistici".
Una
sfida
non
semplice,
che
non
potrà
svilupparsi
su
basi
puramente
soggettivistica
o
volontaristica:
le
tendenze
alla
divisione,
se
non
alla
scomposizione
e\o
all'autonomizzazione
delle
singole
componenti,
sono
forti
e
fondate
sul
pluralismo
delle
soggettività
che
compongono
il
"popolo
no
global".
La
costruzione
-
non
frettolosa
e
consensuale
-
di
un
profilo
programmatico
alto,
unito
ad
un
profondo
rispetto
delle
differenze
presenti
nel
movimento,
alla
capacità
di
far
vivere
obiettivi
riconoscibili,
all'allargamento
continuo
del
movimento
oltre
i
suoi
confini,
è
un
impegno
che
proponiamo,
al
tempo
stesso,
a
noi
e
ai
soggetti
attivi
della
protesta.
3.
LA
COSTRUZIONE
DEI
SOCIAL
FORUM
cittadini,
di
paese,
di
quartiere
è,
anche
rispetto
ai
fini
di
questa
crescita,
uno
strumento
indispensabile.
Essi
sono
da
sviluppare
e
potenziare
con
l'attenzione
a
non
trasformarli
nei
fatti
in
intergruppi,
ma
in
sedi
reali
di
aggregazione
e
proposta,
capaci
ogni
volta
di
coinvolgere
soggetti
e
soggettività
finora
esclusi
-
o
autoesclusi
-
dalla
politica.
Qui
si
colloca
quel
lavoro
di
unificazione
tra
figure
sociali
diverse
-
tra
i
lavoratori
e
i
giovani,
prima
di
tutto,
tra
i
garantiti
e
i
non
garantiti,
tra
gli
operai
e
gli
studenti,
tra
i
"nativi"
e
i
migranti
-
di
cui
il
movimento
non
può
fare
a
meno.
Si
tratta,
appunto,
di
un
livello
di
unità,
di
interlocuzione
diretta,
di
confronto
ravvicinato
che
non
può
che
avvenire
dall'interno
delle
soggettività
e
dei
bisogni,
ma
anche
in
rapporto
a
eventi
concreti,
come
vertenze
di
zona,
di
territorio,
di
ambiente,
che
costruiscano
via
via
una
conflittualità
generale
e
articolata.
4. L'ALLARGAMENTO DELLA PRATICA DELLA DISUBBIDIENZA CIVILE E SOCIALE. Non si tratta solo di una metodologia, ma di un contenuto: la capacità di trasferire e rielaborare la violazione delle zone interdette dai grandi summit del potere alla messa in discussione delle infinite "zone rosse" che compongono la vita quotidiana, e la sfera della vita civile. La capacità di mettere in campo pratiche di disubbidienza civile, dagli scioperi alla rovescia dei disoccupati alla valorizzazione sociale degli spazi urbani dismessi all'obiezione fiscale alle spese militari, è una delle leve di radicamento sociale e territoriale del movimento e di avanzamento del medesimo. La "pratica dell'obiettivo" deve essere tolta dalla dimensione estetica del "gesto esemplare" per essere riconsegnata alla pratica collettiva di un percorso di lotta che intreccia rivendicazione e autogestione.
5.LA NONVIOLENZA, pratica di lotta non distrutttiva e, insieme, disubbidienza a leggi ingiuste, è la metodologia da un lato più in sintonia con l'anima profonda del movimento e dall'altra più efficace per combattere un potere che si presenta fortemente caratterizzato dal suo volto repressivo e che punta a trasformare la questione sociale in questione di ordine pubblico. Essa non va intesa come negazione del conflitto, e neppure della forza, ma all'opposto gestione altra, e più alta, del conflitto stesso: per essere efficace, infatti, questa scelta chiede un'organizzazione più e non meno forte, più e non meno capillare. Essa è parte integrante di quella riforma della politica - che riguarda i partiti come i movimenti - che implica il rifiuto di ogni militarizzazione del proprio agire e che assume la coerenza tra fini e mezzi come dato d'identità. In questo senso, nell'epoca della globalizzazione neoliberista, la pratica disubbidiente della nonviolenza è, in verità, ubbidienza ai valori più radicali della democrazia, della fratellanza, insomma, dell'umanità.
6.
UNIFICARE
I
MOVIMENTI.
La
ripresa
del
conflitto
operaio
(e
più
in
generale
dell'iniziativa
di
lotta
dei
lavoratori)
costituisce
l'altra
grande
novità,
insieme
alla
nascita
del
movimento
pacifista
e
no
global,
della
fase
che
si
è
aperta.
Di
ciò
sono
testimonianza
lo
sciopero
e
le
grandi
manifestazioni
dei
metalmeccanici
del
6
luglio
e
del
16
novembre,
quelli
della
scuola
e
del
pubblico
impiego,
la
compatta
sospensione
del
lavoro
con
i
cortei
interni
alla
Fiat
e
più
in
generale
le
mobilitazioni
che
si
stanno
producendo
in
difesa
dell'art.
18
dello
Statuto
dei
lavoratori,
contro
la
destrutturazione
delle
regole
del
mercato
del
lavoro
e
dello
stato
sociale,
caratterizzata
da
una
asfissiante
pratica
concertativa.
Il
conflitto
non
torna
soltanto
ad
investire
realtà
in
cui
le
capacità
di
lotta
si
erano
affievolite,
ma
coinvolge
una
giovane
generazione
di
lavoratori
che
per
la
prima
volta
si
affaccia
sulla
scena
politica,
e
vede
partecipi
fasce
rilevanti
di
precariato
che
dimostrano
la
propria
disponibilità
a
lottare
pur
in
presenza
dei
ricatti
derivanti
da
un
rapporto
di
lavoro
frammentato
in
misura
sempre
maggiore.
Infine,
risulta
evidente,
che
tale
conflitto
trascende
l'immediatezza
della
condizione
di
lavoro
assumendo
un
carattere
più
generale.
Non
solo.
La
ripresa
di
un
conflitto
di
classe
nel
nostro
Paese
crea
le
premesse
per
la
costruzione
di
uno
schieramento
sociale
ampio.
Da
questo
punto
di
vista,
un
obiettivo
fondamentale
è
rappresentato
dalla
saldatura
fra
mondo
del
lavoro
e
movimento
no
global.
Tale
saldatura
fino
ad
oggi
si
è
verificata,
ancora
troppo
saltuariamente,
a
partire
da
Genova,
con
il
concorso
determinante
della
Fiom
oltre
che
del
sindacato
extraconfederale.
Non
vi
è
dubbio,
tuttavia,
che
nella
prospettiva
della
costruzione
di
uno
schieramento
sociale
in
grado
di
sostenere
una
piattaforma
di
opposizione,
molto
resta
da
fare.
E
non
solo
perché
va
coinvolto
in
modo
più
esteso
lo
stesso
mondo
del
lavoro,
ma
perché
occorre
che
emergano
proposte
programmatiche
unificanti
e
occorre
che
tale
unificazione
si
esprima
compiutamente
sul
terreno
della
lotta
e
della
mobilitazione
comune.
E'
necessario
appoggiare,
dentro
e
fuori
le
istituzioni,
le
vertenze
a
difesa
dei
posti
di
lavoro
oggi
sotto
attacco;
rilanciare
le
nostre
proposte
per
il
riallineamento
periodico
e
automatico
delle
retribuzioni
e
delle
pensioni
all'inflazione
reale;
favorire
l'incontro
di
lavoratori
"tipici"
e
"atipici",
reclamando
nuove
"rigidità"
nei
rapporti
di
lavoro
e
l'estensione
dei
diritti
garantiti
dallo
Statuto
dei
lavoratori
ai
precari
e
alle
aziende
sotto
i
15
dipendenti;
porre
ancora
all'ordine
del
giorno
l'acquisizione
di
livelli
normativi
e
contrattuali
certi
e
valorizzare
il
ruolo
delle
Rappresentanze
Sindacali
Unitarie
in
ogni
luogo
di
lavoro,
investendovi
risorse
umane.
In
questa
prospettiva,
poi,
la
riproposizione
forte
della
questione
salariale
e
della
riduzione
d'orario
a
parità
di
salario
rappresentano
terreni
oggettivamente
unificanti.
L'impegno
per
la
crescita
del
movimento
dei
lavoratori,
per
la
realizzazione
di
uno
schieramento
sociale
più
ampio,
per
la
convergenza
all'interno
di
una
comune
piattaforma
sociale
costituiscono
obiettivi
fondamentali
dell'iniziativa
del
partito.
Senza
questo
orizzonte
il
suo
stesso
ruolo
come
soggetto
politico
sarebbe
inadeguato
rispetto
alla
complessità
della
fase.
Peraltro,
solo
in
questa
prospettiva
è
possibile
seriamente
porsi
il
problema
dell'opposizione
al
governo
delle
destre.
La
natura
dell'attacco
che
infatti
viene
condotto
dal
governo,
investendo
elementi
essenziali
della
vita
sociale,
dall'aggressione
allo
stato
sociale
all'attacco
ai
diritti
del
mondo
del
lavoro
impone
infatti
una
risposta
di
massa
che
si
generalizzi
e
duri
nel
tempo
passando
per
la
convocazione
di
una
mobilitazione
generale.
BERTINOTTI, CRIPPA, FERRERO, FRALEONE, GRASSI, PEGOLO, ZUCCHERINI, BELLUCCI, CACCIARI, CAMMARDELLA, CAPPELLONI, CAPRILI, CASATI BRUNO, CERBONE, CURZI, DE CRISTOFARO, DE SIMONE TITTI, DEIANA, EMPRIN , FAVARO, FORGIONE, GAGLIARDI, GHIGLIONE, GIANNI, GIORDANO, GUAGLIARDI, LOCATELLI, MAITAN, MALABARBA, MANGIANTI, MANTOVANI RAMON, MASCIA, MASELLI, MIGLIORE, MUSACCHIO, NARDINI, NESCI, NOCERA, PAPANDREA, RICCI MARIO, RUSSO FRANCO, RUSSO SPENA, SENTINELLI, SIMONETTI, SORINI, TURIGLIATTO, VACCARGIU, VALENTINI, VENDOLA, VINCI, VINTI, ABBA', ACCARDO, ACERBO, ACETO, AITA, ALASIA, ALBONETTI, ALFONZI, ALLOCCA, ALTAVILLA, AMATO, ANTONAZ, ANTONIELLA, ARMENI, ATTILIANI, AURORA, AZZALIN, BALDI, BARACCO, BARASSI, BARBAGELATA, BARONTI, BARZAGHI, BELISARIO, BELLOFIORE, BENVEGNU', BERLINGUER, BERTOLO, BERTORELLO, BOGHETTA, BONADONNA,BONATO, BONFORTE, BONOMETTI, BRACCI TORSI, BRISTOT, BURGIO, BUTTIGNON, CAMPANILE, CANCIANI, CANTONI, CAPELLI, CARDONE, CARRAZZA, CARTA, CARTOCCI, CATALANO, CATANIA, CHECCHI, CIMASCHI, CIMMINO, CO', COGODI, COLOMBINI, COMMODARI, CONSOLO, CONTI, CORRENTE, COSIMI, CRISTIANO, D'ACUNTO, D'AIMMO, D'ALESSANDRO, D'ANGELI, DANINI, D'AVOSSA, DE CESARIS, DE PALMA, DE PAOLI, DE SANTIS, DE SIMONE PAOLO, DI GIOIA, DI SABATO, DONDA, DUCCINI, FABIANI, FANTOZZI, FASOLI, FAZZESE, FERRARA, FERRARI GIANLUCA, FERRETTI, FIRENZE, FONDELLIFRATOIANNI, FRENDA, GABRIELE, GALLO, GAMBUTI, GELMINI, GIANNINI, GIAVAZZI, GIORGI, GITTO, GRANOCCHIA, GROSSO, GUGLIELMI, JERVOLINO, JORFIDA, KIWAN, LEONI, LIBERA, LICHERI, LINGUITI, LOMBARDI ALDO, LOMBARDI ANGELA, LOMBARDI MIRKO, LOMBARDI ROBERTO, LONGO, LOSAPPIO, LUCINI, LUNIAN, MACRI', MAJORANA, MALENTACCHI, MALINCONICO, MAMMARELLA, MANGIA, MARAIA, MARCHETTINI, MARCHIONI, MARCONE, MAROTTA ANGELO, MAROTTA ANTONIO, MARTINO, MASELLA, MELIS, MENCARELLI, MERLINI, MILANI, MINISCI, MITA, MONTANILE, MONTECCHIANI, MORANDI, MORDENTI, MORETTI, MORINI, MORO, MOSCATO, MOZZETTA, MUGNAI, MULAS, MULLIRI, MURA, NICOTRA, NIERI, NINCHERI, NUCERA, OKROGLIC, OREFICE, ORTU, PACE, PALOZZA, PAOLINO, PASI, PATELLI, PATRITO, PECORINI, PEDUZZI, PERUGIA, PESACANE, PESCE, PETRUCCI, PETTENO', PIERINI, PIETRANGELI, PINTUS, PIOMBO, PLATANIA, POETA, POSELLI, POZZOBON, PRIMAVERA, PUCCI ALDO, PUCCI ROBERTO, RAZZANI, RICCI ANDREA, RIGACCI, RIVELLI, RIVERA, ROSSI, SACCHI, SANSOE', SANTORUM, SARDONE, SAVELLI, SCONCIAFORNI, SCREPANTI, SEMERARO, SGHERRI, SIMEONE, SIMINI, SIRONI, SOBRINO, SPECCHIO, SPERANDIO, SPERANZA, STERI, STUFARA, TANARA, TANGOLO, TAVELLA, TEDDE, TETTAMANTI, TORRESAN, TORRICELLI, TOSI, TRIA, TRIBI, TRIVELLIZZI, TRONI, TROTTA, TROVATO, TRUFFA, VALENTI, VALLEISE, VALPIANA, VERZEGNASSI, VIANI, VLACCI, VOCCOLI, VOZA.
TESI
40
-
IL
PROGRAMMA
FONDAMENTALE
PER
LA
SINISTRA
ALTERNATIVA
E'
necessario
un
progetto
di
trasformazione
sociale,
fondato
su
idee-forti
e
su
obiettivi
programmatici
capaci
di
divenire
"bandiere
piantate
nella
testa
della
gente".
Nessuna
forza
può
elaborarlo
da
sola.
Nel
processo
di
rifondazione
comunista,
nel
lavoro
della
costruzione
della
sinistra
d'alternativa,
come
nel
contributo
che
dobbiamo
e
possiamo
dare
alla
crescita
dei
movimenti,
assume
un'importanza
centrale
la
definizione
di
un
programma
fondamentale
per
la
sinistra
antagonista.
Questa
esigenza
nasce
almeno
da
tre
diversi
fattori:
le
grandissime
novità
introdotte
sul
terreno
economico
e
sociale
dalla
rivoluzione
capitalistica
e
l'apertura
di
una
seconda
fase
nel
processo
di
globalizzazione;
il
crollo
e
il
fallimento
delle
esperienze
dei
paesi
del
socialismo
reale
e
la
conseguente
crisi
dei
progetti
di
trasformazione
delle
società
fin
qui
conosciuti;
lo
sviluppo
di
un
movimento
mondiale
antagonista.
L'insieme
di
questi
fattori
richiede
la
ridefinizione
di
un
progetto
comunista
e
che
la
sinistra
alternativa
compia
uno
sforzo
di
elaborazione
per
un
nuovo
programma
fondamentale
di
trasformazione
che
abbia
la
forza
di
innovazione
e
di
trascinamento
che
ebbero
i
programmi
nella
tradizione
del
movimento
comunista
del
passato,
per
dirla
con
Engels,
bandiere
piantate
nella
testa
della
gente.
Questo
è
un
lavoro
di
lunga
durata,
che
non
può
essere
prodotto
da
una
forza
sola
ne'
tanto
meno
nel
chiuso
di
un
ufficio
studi.
Richiede
un
continua
interlocuzione
con
i
movimenti,
con
le
insorgenze
politiche
e
sociali,
con
le
molteplicità
delle
forze
anticapitaliste
disponibili
a
porsi
su
questo
terreno
di
ricerca,
in
una
dimensione
internazionale
a
partire
dal
quadro
europeo.
Si
tratta
quindi
di
un
percorso
che
è
tanta
parte
del
progetto
della
Rifondazione
Comunista
e
che
intendiamo
compiere
non
in
solitudine,
ragionando
attorno
ad
alcuni
temi
essenziali.
TESI
41
-
I
CARATTERI
ESSENZIALI
DELLA
RICERCA
PROGRAMMATICA
Le
forme
della
proprietà,
ma
anche
e
soprattutto
la
nuova
alienazione
del
lavoro.
Una
critica
radicale
al
produttivismo
e
allo
"sviluppismo"
che
hanno
caratterizzato
il
movimento
operaio.
L'assunzione
della
contraddizione
di
genere.
Il
superamento
definitivo
dell'economicismo.
Ci
riferiamo
in
modo
particolare
a
un
modo
di
concepire
la
rivoluzione
nei
rapporti
di
produzione
che
non
solo
ponga
in
modo
rinnovato
la
questione
della
proprietà,
la
cui
composizione
ha
subito
rilevanti
modificazioni
a
seguito
della
ristrutturazione
capitalistica,
ma
soprattutto
i
temi
della
critica
e
della
modificazione
dei
processi
del
lavoro
reali
in
ogni
ambito
della
società;
della
contestazione
della
gerarchizzazione
sociale
che
si
riproduce
nei
diversi
processi
produttivi;
delle
nuove
forme
con
cui
si
presenta
l'alienazione.
Significa
portare
fino
in
fondo
la
critica
alla
concezione
produttivista
e
sviluppista
che
pure
hanno
animato
grande
parte
della
storia
e
delle
esperienze
del
movimento
operaio,
elevando
a
valore
irrinunciabile
e
costitutivo
della
cultura
della
trasformazione
la
difesa
e
la
valorizzazione
dell'ambiente
e
quindi
un
senso
del
limite
sia
dal
punto
di
vista
ecologico
che
sociale
e
relazionale.
Significa
ripensare
radicalmente
il
nesso
tra
produzione
e
riproduzione.
Significa
quindi
porre,
anche
per
l'azione
immediata,
il
problema
del
superamento
del
pensiero
economicista,
di
un
punto
di
vista
prevalentemente
redistributivo
delle
risorse,
ponendo
concretamente
il
problema
del
cosa
e
del
per
chi
produrre
contemporaneamente
a
quello
del
come;
ponendo
così
le
basi
per
un'unità,
tra
le
tradizionali
figure
sociali
e
quelle
create
dal
processo
di
ristrutturazione
capitalistica.
Ci
riferiamo
all'imperativo
di
porre
l'individuo
concreto,
cioè
sociale
e
sessuato,
e
i
suoi
diritti
lungo
l'intero
arco
della
sua
vita,
al
centro
di
un
processo
di
trasformazione.
Significa
portare
a
fondo
la
critica
a
organizzazioni
sociali
fondate
sul
patriarcato
e
sul
familismo,
qualsiasi
siano
le
loro
diversità
e
origini
specifiche,
per
introdurre
e
praticare
la
democrazia
di
genere
in
ogni
aspetto
regolativo
della
vita
sociale.
Significa
riconsiderare
la
dialettica
fra
comunità
e
individuo,
fra
stato
e
cittadino
senza
alienare
i
diritti
di
alcuno.
Significa
andare
ben
oltre
le
forme
di
stato
sociale
o
socialista
fin
qui
conosciute,
attraverso
un'individuazione
e
una
risposta
ai
problemi
dell'individuo
sociale
e
sessuato,
che
presuppone
la
sua
partecipazione
e
il
suo
protagonismo.
Ci
riferiamo
quindi
alle
necessità
di
riconsiderare
l'idea
stessa
di
potere
e
conseguentemente
di
democrazia,
concependo
il
primo
né
come
punto
di
partenza
né
come
punto
d'arrivo
per
il
rivoluzionamento
dei
rapporti
sociali
e
di
produzione,
ma
come
importante
punto
di
snodo
di
un
processo
di
democratizzazione
della
vita
quotidiana
che
comporta
un'articolazione
delle
forme
di
potere
stesso
e
una
generalizzazione
delle
forme
di
autogestione,
di
controllo,
di
partecipazione.
Significa
riproporre
-
alla
luce
delle
sconfitte
patite
nell'esperienza
di
organizzazione
statuale
del
movimento
operaio,
ma
anche
sulla
base
di
recenti
esperienze
positive
anche
se
limitate
-
il
tema
della
democrazia
diretta,
di
una
sua
coniugazione
sempre
più
intensa
e
avanzata
con
le
forme
della
democrazia
delegata,
superando
così
la
contraddizione
tra
una
teoria
che
affermava
l'estinzione
dello
stato
e
una
pratica
che
lo
rafforzava
nelle
forme
peggiori.
Significa
maturare
un'idea
più
complessa
della
democrazia
che
assuma
il
genere
come
elemento
costituente
e
la
pluralità
culturale
come
valore.
Significa
creare
comunità,
cioè
riempire
le
forme
di
democrazia
di
concreta
costruzione
di
legami
sociali
fra
diversi.
Significa
perciò
concepire
l'azione
politica
come
la
ricerca
costante
di
congiunzione
tra
i
mezzi
e
i
fini,
non
solo
nel
senso
di
negare
che
i
secondi
possano
giustificare
i
primi,
ma
che
questi,
per
essere
credibili
e
per
suscitare
consenso
e
partecipazione,
devono
contenere
in
nuce
i
fini
che
dichiarano.
Ci
riferiamo,
per
concludere
questa
esemplificazione
ad
una
concezione
della
pace
fondata
su
un
idea
di
comunità
universale
che
trascenda
i
confini,
le
culture,
i
generi,
le
condizioni
materiali.
TESI
42
-
LA
PIATTAFORMA
DI
OPPOSIZIONE
ALLE
DESTRE
Nel
nostro
programma
elettorale,
sono
definite
le
"proposte
di
legislatura"
per
una
battaglia
efficace
contro
le
destre.
Naturalmente,
con
gli
aggiornamenti
e
gli
arricchimenti
necessari.
Tra
il
lavoro
per
la
definizione
di
un
programma
fondamentale
e
l'iniziativa
politica
e
sociale
di
oggi
per
un'efficace
opposizione
al
governo
delle
destre
e
per
procedere
nella
costruzione
della
sinistra
di
alternativa
e
di
una
sinistra
plurale,
per
contribuire
alla
crescita
dei
movimenti,
vi
deve
essere
un
nesso
preciso,
sia
nella
individuazione
degli
obiettivi
che
nelle
modalità
di
portarli
avanti
e
nelle
concrete
esperienze
di
lotta
In
questo
senso
ribadiamo
la
validità
e
l'attualità
dell'impianto
di
programma
che
abbiamo
presentato
in
occasione
delle
elezioni
del
13
maggio
2001
-
la
cui
dimensione
temporale
vuole
coprire
l'attuale
legislatura
da
poco
iniziata
-
che
abbiamo
discusso
e
deciso
con
il
contributo
di
personalità
e
forze
anche
esterne
al
nostro
partito.
Naturalmente
i
rilevanti
fatti
avvenuti
dalle
elezioni
ad
oggi,
gli
atti
concreti
compiuti
dal
governo
e
le
riflessioni
che
hanno
suscitato
nel
movimento
e
nel
campo
della
sinistra
di
alternativa
ci
impongono
arricchimenti,
aggiornamenti
e
sottolineature
a
quell'impianto.
Le
destre
non
hanno
vinto
le
elezioni
fondandosi
su
uno
schieramento
sociale
pienamente
formato
e
coeso,
ma
certamente
si
propongono
ora
di
costruirlo,
sfruttando
appieno
l'arma
del
governo.
Il
nostro
obiettivo
è
di
giungere
alla
costruzione
di
una
piattaforma
di
opposizione
al
governo
delle
destre,
che
diventi
un
punto
di
elaborazione
e
di
incontro
di
movimenti,
organizzazioni
sociali
e
politiche
e
che
si
proponga
di
sottrarre
consenso
al
governo
delle
destre
che
è
forte
ma
tutt'altro
che
invincibile.
Questo
richiede
il
rovesciamento
della
logica
del
centro-sinistra
e
della
sinistra
moderata
della
subordinazione
al
primato
della
competitività.
TESI
43
-
L'OPPOSIZIONE
ALLA
GUERRA
Prioritaria,
in
questa
fase,
è
la
lotta
contro
la
guerra
e
contro
la
partecipazione
italiana
ad
essa.
Che
è
legata
a
parole
d'ordine
chiare:
scioglimento
della
Nato,
radicale
riforma
e
rilancio
dell'Onu,
smantellamento
degli
arsenali
nucleari,
composizione
della
crisi
mediorientale
("due
popoli,
due
stati")
Oggi assume un ruolo determinante l'opposizione alla guerra, sia per l'immediata cessazione di quella in corso in Afghanistan e della partecipazione ad essa del nostro paese, sia per impedire che il ricorso all'intervento armato si stabilizzi come normale strumento di gestione della crisi del processo di globalizzazione. Il che comporta lavorare per la ricostruzione del patto tra le nazioni che costituì l'ONU a partire dalla radicale riforma di quest'ultima; lo scioglimento della Nato; lo smantellamento degli armamenti nucleari e di tutti gli strumenti per lo sterminio di massa; la composizione pacifica dei punti di crisi a livello mondiale, a partire dal conflitto israeliano - palestinese; l'assunzione di un ruolo politico ed economico del tutto autonomo dell'Europa, il che comporta la non partecipazione a imprese belliche, uno spostamento del peso decisionale sulle istituzioni europee elettive, come il Parlamento, nel quadro di una nuova Costituzione europea, la revisione dei trattati introducendo e praticando criteri di politica occupazionale e sociale, quindi non solo finanziaria e monetaria, la rivisitazione del tema dei diritti negativamente risolta a Nizza, una politica di solidarietà e di cooperazione su scala mondiale, di cui la cancellazione del debito dei paesi poveri e l'introduzione di una tassazione sulle transazioni di capitale (Tobin Tax) possono essere i primi significativi passi.
TESI
44
-
UNA
POLITICA
ECONOMICA
ALTERNATIVA
PER
IL
PAESE
E
PER
IL
MEZZOGIORNO
Contro
la
recessione
e
i
suoi
effetti
devastanti,
è
essenziale
rilanciare
l'intervento
pubblico
in
economia:
su
beni
essenziali
e
ambientali,
come
l'energia,
l'acqua,
la
vivibilità
urbana,
il
risanamento
del
territorio,
il
diritto
all'alimentazione.
In
questo
quadro
una
profonda
"svolta
meridionalista"
e
la
costruzione
di
una
"antimafia
sociale".
Il
profilarsi
di
una
profonda
recessione
economica
-
anche
in
Italia
tutte
le
previsioni
di
crescita
sono
state
riviste
al
ribasso
-
rende
ancora
più
acuto
lo
scontro
sulla
politica
economica
e
sulla
questione
sociale.
All'affacciarsi
nella
politica
economica
degli
USA
di
un
Keynesismo
di
guerra
non
corrisponde
analoga
scelta
da
parte
dei
paesi
europei
e
anche
della
stessa
Italia,
dove
pure
il
peculiare
schieramento
delle
destre
prova
a
intrecciare
alla
linea
più
nettamente
liberista
tentativi
di
politiche
economiche
e
sociali
più
populiste
e
nazionali.
Alle
une
e
alle
altre
dobbiamo
rispondere
con
la
nostra
proposta
di
rilancio
di
un
nuovo
intervento
pubblico
nell'economia
indirizzato
verso
settori
e
produzioni
alternative
a
quelle
praticate
dal
mercato
e
dalla
produzione
di
guerra.
A
cominciare
dalle
scelte
energetiche
alternative
tanto
più
urgenti
in
considerazione
dell'aggravarsi
delle
crisi
climatiche
nel
mondo,
verso
la
definizione
di
un'economia
entro
la
quale
ambiente
e
persone
non
siano
vincoli
di
cui
sbarazzarsi
ma
un
valore.
A
tale
fine
riteniamo
necessaria
ed
urgente
la
messa
in
discussione
del
patto
di
stabilità
a
livello
europeo.
La
globalizzazione
non
solo
tende
ad
aumentare
il
divario
tra
il
Sud
e
le
altre
zone
dell'Italia
e
dell'Europa
ma,
intervenendo
in
una
situazione
già
di
degrado,
porta
il
disagio
sociale
e
le
concrete
condizioni
di
vita
nel
Mezzogiorno
del
paese
a
livelli
insopportabili,
contribuendo
nel
contempo
a
rafforzare
poteri
mafiosi
e
pratiche
clientelari.
L'impulso
alle
privatizzazioni
e
alla
deregolamentazione
del
mercato
del
lavoro,
l'estendersi
di
forme
molteplici
di
lavoro
flessibile
e
precarizzato
in
un
contesto
che
permane
di
alta
disoccupazione
strutturale,
unitamente
alla
forte
crisi
produttiva
che
ha
spazzato
via
i
pochi
poli
dell'industria
senza
aver
determinato
alternative
occupazionali
nel
terziario,
delineano
un
quadro
sociale
e
democratico
-
come
confermano
i
risultati
delle
ultime
elezioni
politiche
nelle
regioni
meridionali
e
lo
stesso
recente
voto
siciliano
-
davvero
allarmante.
Nel
vuoto
di
un
tessuto
produttivo
autentico
e
vitale
e
di
una
rappresentanza
politica
e
sociale
organizzata
cresce
l'individualismo
e
si
ripropongono
forme
-
per
quanto
rinnovate
-
(nella
modalità
e
nella
quantità
delle
risorse
disponibili)
di
scambio
politico
clientelare
e
un
nuovo
legame
tra
politica
e
accumulazione
criminale.
Anche
nei
confronti
del
Mezzogiorno
convivono
nelle
classi
dirigenti
due
diversi,
anche
se
complementari,
orientamenti.
Da
un
lato
la
tendenza
di
fondo
ad
assegnare
al
Sud
nuovamente
una
funzione
dipendente
nel
quadro
di
uno
sviluppo
duale
(coessenziale
ad
un
modello
sociale
sempre
più
centrato
sulla
precarietà
e
sulla
flessibilità
selvaggia
del
mercato
del
lavoro),
finalizzato
alla
ristrutturazione
economica
del
Nord
per
la
quale
si
drenano
risorse
finanziarie
e
umane.
Dall'altro
una
linea
più
nazionale
e
populista
che
guarda
al
Mezzogiorno
come
area
più
tradizionale
di
consenso
per
politiche
di
deficit
spending
di
destra
tra
flussi
finanziari
europei
per
le
grandi
opere
e
perfino
investimenti
produttivi
nel
settore
militare.
Una
variante
meno
aridamente
liberista
ma
egualmente
modernamente
centrata
sull'idea
di
un
territorio
povero
per
qualità
sociale
e
civiltà.
Un'area
in
cui
intorno
ai
nuovi
flussi
distorti
di
spesa
si
salda
un
nuovo
sistema
di
potere
intrecciato
al
sistema
politico
e
al
potere
criminale.
Per
questo
la
mafia
non
si
configura
come
un
elemento
di
arretratezza
ma
come
fattore
organico
e
dinamico
del
processo
di
modernizzazione
capitalistica
del
mezzogiorno.
Le
mafie
sono
forti
perché
continuano
a
controllare
il
territorio
e
l'economia
e
operano
in
collusione
con
un
sistema
di
imprese
che
occulta
le
proprie
responsabilità.
Anzi,
i
processi
di
precarizzazione
del
lavoro,
la
politica
delle
grandi
opere
e
di
cementificazione
selvaggia,
favoriscono
una
nuova
espansione
mafiosa.
Va
quindi
contrastato
ogni
legame
tra
la
politica
e
quella
borghesia
mafiosa
fatta
di
imprenditori,
professionisti,
uomini
della
cultura
e
della
finanza,
che
costituiscono
un
ponte
tra
il
sistema
di
potere
e
gli
interessi
delle
cosche.
Contro
questa
nuova
conformazione
del
fenomeno
mafioso
vanno
superati
i
limiti
di
un'antimafia
che
si
muova
solo
sul
terreno
etico
o
sulla
delega
alla
magistratura,
per
dare
vita
alla
stagione
dell'antimafia
sociale.
In
questo
quadro
è
necessario
imporre,
con
la
rivendicazione
di
un
nuovo
modello
di
sviluppo
(rivendicazione
che
incorpori
necessariamente
un
legame
rinnovato
tra
lotte
sociali
e
lotte
ai
poteri
criminali)
una
svolta
meridionalista
che
indirizzi
l'intervento
pubblico
in
direzione
di
un
allargamento
e
di
una
qualificazione
della
base
produttiva
al
fine
di
creare
al
Sud
le
condizioni
di
uno
sviluppo
duraturo
fondato
sulla
formazione,
la
ricerca,
l'innovazione,
attrezzando
una
economia
capace
di
competere
in
direzione
dell'Europa
sulla
qualità
anziché
sul
basso
costo
del
lavoro
e
aperta
alla
cooperazione
con
tutti
i
paesi
che
si
affacciano
nel
Mediterraneo.
Uno
sviluppo
in
cui
la
valorizzazione
dell'ambiente
e
delle
risorse
umane
e
culturali
orientino
-
in
alternativa
alle
opere
cementificatrici
e
speculative
-
politiche
di
risanamento
dei
grandi
cicli
ambientali,
di
riassetto
dei
centri
storici
delle
città
e
dei
territori,
di
opere
di
risanamento
del
clima
e
di
lotta
agli
inquinamenti,
di
recupero
dal
dissesto
idrogeologico
ripristinando
gli
equilibri
naturali.
Occorre
garantire
il
carattere
pubblico,
qualificato
e
facilmente
accessibile
di
tutti
i
beni
comuni:
acqua,
energia,
cibo,
ambiente.
Occorre
garantire
il
diritto
all'alimentazione
e
alla
sovranità
alimentare
invertendo
la
crescente
separazione
tra
produzioni
alimentari
e
territorio
di
riferimento,
che
insieme
all'industrializzazione
del
processo
produttivo
ha
portato
degrado
dei
territori
e
insicurezza
alimentare.
Il
produttivismo
chimico
e
ora
genetico,
degrada
l'ambiente
e
non
porta
a
soluzione
i
problemi
della
fame.
E'
necessario
indirizzare
le
politiche
e
i
sostegni
verso
la
qualità
dei
prodotti,
la
possibilità
per
tutti
di
accedervi
e
verso
l'impiego
del
lavoro,
anche
guardando
a
una
agricoltura
con
funzione
di
presidio
e
valorizzazione
del
territorio.
Servono
perciò
piani
di
accesso
e
di
uso
appropriato
dell'acqua,
di
diritto
all'alimentazione,
di
risanamento
idrico
e
delle
reti,
di
risparmio
energetico,
di
uso
delle
fonti
alternative
pulite,
di
ottimizzazione
ambientale
nella
transizione
con
l'uso
del
metano
invece
di
combustibili
maggiormente
inquinanti
e
a
maggiore
impatto
serra,
il
mantenimento
pubblico
dell'ENEL,
bloccando
nuovi
siti
privati.
TESI
45
-
LA
LOTTA
PER
IL
LAVORO,
I
NUOVI
BISOGNI,
I
DIRITTI
Le
nostre
proposte
di
fase:
innalzamento
dei
minimi
di
pensione,
protezione
integrale
dei
salari
dall'inflazione,
introduzione
delle
35
ore
settimanali
di
lavoro,
salario
sociale
ai
disoccupati
di
lunga
durata.
Contro
un
mercato
che
discrimina
donne,
giovani,
migranti.
La
scelta
di
costruire
una
proposta
alternativa
di
politica
economica
a
partire
dai
bisogni
reali
di
chi
sta
peggio,
viene
ulteriormente
confermata
sia
per
l'aggravarsi
di
quelle
condizioni,
sia
per
la
crescita
dei
nuovi
fermenti
e
movimenti
nel
quadro
sociale,
a
partire
dall'entrata
sulla
scena
di
una
nuova
generazione
di
lavoratrici
e
lavoratori.
Per
questo
la
questione
del
lavoro
diventa
ancora
più
cruciale
in
tutti
i
suoi
aspetti.
L'elevamento
dei
redditi
da
lavoro
dipendente
e
da
pensione,
oltre
che
naturalmente
l'innalzamento
dei
minimi
di
queste
ultime
a
un
milione
di
lire
al
mese,
e
la
protezione
integrale
dall'inflazione
contro
la
diminuzione
del
loro
valore
reale
-
problemi
che
nel
nostro
paese,
anche
rispetto
al
contesto
europeo,
assumono
aspetti
di
particolare
gravità
-
;
la
redistribuzione
del
lavoro
attraverso
la
riduzione
d'orario,
come
prima
indispensabile
misura
per
l'occupazione
e
per
il
miglioramento
della
qualità
della
vita,
a
cominciare
dalle
35
ore
settimanali
a
parità
di
retribuzione,
con
la
modifica
del
rapporto
tra
tempi
di
vita
e
tempi
di
lavoro,
nonché
la
riforma
dei
tempi
delle
città,
secondo
le
proposte
che
ci
vengono
dalla
cultura
delle
donne;
la
costruzione
di
una
griglia
universale
di
diritti
per
riunificare
il
frammentato
mondo
del
lavoro,
contro
il
moltiplicarsi
delle
figure
atipiche
e
l'attacco
allo
statuto
dei
diritti
dei
lavoratori;
l'erogazione
di
un
salario
sociale
ai
disoccupati
di
lunga
durata,
per
metterli
in
condizione
di
sopravvivere
senza
ricatti
e
di
evitare
il
"lavoro
qualunque";
un
incremento
dell'occupazione
femminile,
che
ridisegni
complessivamente
diritti
e
garanzie
a
partire
dalla
differenza
e
dalle
specificità
di
genere,
contro
la
ripresa
di
tematiche
familiste
e
di
esclusione,
sono
alcuni
degli
obiettivi
immediati
e
terreni
di
iniziative
politiche
e
sociali.
La
loro
affermazione
passa
attraverso
una
intransigente
opposizione
all'organico
disegno
di
definitiva
liberalizzazione
e
privatizzazione
del
mercato
del
lavoro
contenuto
nel
"Libro
bianco"
del
governo
e
nei
disegni
di
legge
che
ne
derivano.
In
questa
nuova
situazione
internazionale
e
di
fronte
alle
iniziative
xenofobe
e
razziste
condotte
direttamente
dal
Governo
e
dalle
destre
anche
con
iniziative
legislative,
assume
un
particolare
valore
la
tutela
dei
diritti
dei
cittadini
immigrati,
come
quelli
al
lavoro,
alla
cittadinanza,
alla
partecipazione
ad
ogni
forma
della
vita
democratica
tra
cui
quello
di
eleggere
e
essere
eletti.
TESI
46
-
UN
NUOVO
SPAZIO
PUBBLICO
L'attacco
al
Welfare
chiede
risposte
non
solo
difensive.
E'
necessario
costruire
un
controllo
sociale
sui
servizi
e
coniugare
l'univeralità
dei
diritti
con
la
risposta
alle
esigenze
dell'individuo
concreto.
Varare
la
Tobin
Tax
e
una
riforma
progressiva
del
fisco.
Rilanciare
la
scuola
pubblica,
gratuita
e
repubblicana.
Il
presente
attacco
al
welfare
state
va
fronteggiato
non
solo
sul
fronte,
peraltro
assolutamente
indispensabile,
della
resistenza
e
della
difesa
dello
spazio
pubblico,
ma
affrontando
la
sfida
dell'innovazione
e
cioè
coniugando
i
principi
di
gratuità
e
di
universalità
con
la
qualità
e
la
capacità
di
rispondere
all'esigenza
dell'individuo
concreto.
E
questo
per
potersi
realizzare
richiede
un
protagonismo
dei
cittadini
ed
una
democratizzazione
delle
strutture
predisposte
all'erogazione
e
alla
gestione
dei
servizi.
Nello
stesso
tempo
sottolinea
-
anche
di
fronte
ad
un'ulteriore
aumento
delle
ingiustizie
provocate
dal
governo
di
centro-destra
preoccupato
di
garantire
sotto
ogni
aspetto
l'immunità
della
proprietà
-
l'urgenza
di
una
riforma
fiscale
che
riequilibri
i
rapporti
tra
redditi
da
lavoro
e
da
capitale
e
colpisca
questi
ultimi
in
ogni
loro
forma,
anche
attraverso
l'introduzione
in
ambito
nazionale
di
tassazioni
sulle
transizioni
di
capitali
sul
modello
della
Tobin
Tax.
L'accellerazione
dello
smantellamento
della
scuola
pubblica
e
la
logica
privatistica,
classista,
clericale
e
aziendalistica
che
caratterizza
le
proposte
del
governo
Berlusconi
ci
chiamano
ad
un
salto
di
qualità.
Contro
questo
progetto
riproponiamo
la
necessità
di
una
scuola
pubblica,
gratuita
e
repubblicana,
come
perno
di
un
sistema
formativo
che
accompagni
i
cittadini
per
l'intero
arco
della
vita.
Contemporaneamente,
e
in
stretta
connessione
con
quest'ultimo
obiettivo,
va
perseguito
quello
di
una
informazione,
di
un'industria
culturale
e
dello
spettacolo,
multiculturali
e
libere
dal
monopolio
privato
quanto
dalla
lottizzazione
e
dai
conformismi
partitici
e
burocratici
del
settore
pubblico.
Per
questo
ci
impegniamo
a
contrastare
in
tutte
le
sedi
i
meccanismi
legislativi,
istituzionali
e
strutturali
che
muovono
nella
direzione
contraria
e
a
sostenere
invece
tutte
le
forme
di
mobilitazione
delle
forze
che
lavorano
per
mantenere
spazi
plurali
e
molteplici
entro
le
realtà
e
le
strutture
esistenti.
TESI
47
-
LA
DIFESA
E
L'INNOVAZIONE
DELLA
DEMOCRAZIA
La
democrazia
va
difesa
dagli
attacchi
e
dalle
aggressioni
crescenti:
ci
opponiamo,
per
esempio,
ad
ogni
ulteriore
manipolazione
della
carta
costituzionale.
Ma
occorrono
anche
pratiche
innovative:
come
per
esempio
quella
del
"bilancio
partecipato"
proposto
da
Porto
Alegre.
La crisi della democrazia è ulteriormente acuita - per i motivi già detti - della guerra e dal varo della cosiddetta riforma federalista, appunto dall'alto e dal basso. La Costituzione repubblicana ha già subito una pesante manomissione con la modifica del Titolo quinto, e si impone a tutte le forze democratiche l'integrale difesa dei suoi principi di fondo e delle altre sue parti. La crisi della democrazia, accentuata anche dall'attuale legge elettorale che mette in crisi persino il ruolo del Parlamento nazionale quale sede della rappresentanza politica, non può essere affrontata solo - per quanto ciò sia necessario - con la difesa delle istituzioni rappresentative o con la riproposizione dei principi proporzionalisti. L'importante tema della sicurezza dei cittadini che viene strumentalizzato in termini di ordine pubblico, diventa, in questa fase, l'alibi per riproporre logiche emergenziali e restringere gli spazi di libertà. La difesa dei diritti fondamentali e delle garanzie individuali si conferma quindi essere elemento fondante una battaglia strategica per la democrazia e connesso alla costruzione di una identità comunista rinnovata. La stessa violenta aggressione all'indipendenza della magistratura praticata dalle destre, nonché la prevaricazione dei poteri del governo su quelli del Parlamento, ripongono al centro la necessità della salvaguardia del principio della netta distinzione tra i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario dello stato. Tuttavia il puro ribadimento di questi principi liberali non è sufficiente. E' per tanto necessario coniugare da subito forme di democrazia diretta con quelle della democrazia delegata - nel pieno rispetto dei diritti universali dei soggetti concreti, sociali e sessuati - costruendo e sperimentando organismi che esaltino, a partire dal livello locale, la diretta partecipazione dei cittadini; questo valorizzando esperienze che ci vengono da altri paesi, come quelle del "bilancio partecipato" nella municipalità di Porto Alegre.
TESI
48
-
PERCHE'
UN
PARTITO
COMUNISTA
E'
NECESSARIO
Solo
una
forza
comunista
organizzata,
è
in
grado
di
attraversare,
con
un
progetto
unitario,
i
diversi
terreni
e
le
molteplici
contraddizioni
che
attivano
oggi
i
soggetti
della
trasformazione.
E
solo
un
partito
comunista
può
cominciare
a
pensare
la
transizione
L'identità
comunista
viene
oggi
declinata
in
molte
forme.
Può
vivere
nei
movimenti,
ispirare
autonome
imprese
dell'informazione,
animare
minoranze
interne
a
formazioni
politiche
di
natura
socialdemocratica
o
socialista,
esprimersi
in
gruppi
indipendenti
di
ricerca
teorica
o
sociale.
E
può
perfino
esser
vissuta
come
scelta
puramente
morale,
una
sorta
di
"foro
interiore",
o
intellettuale.
Tra
queste
opzioni,
noi
abbiamo
scelto
per
l'oggi
e
per
il
domani,
quella
del
Partito,
all'interno
di
un
progetto
di
rifondazione,
sulla
base
di
una
rinnovata
persuasione
politica
generale.
Una
forza
politica
comunista
è
oggi
necessaria
per
una
ragione
essenziale:
perché
è
in
grado
di
attraversare
con
un
progetto
unitario
di
lotta
tutte
le
contraddizioni
e
i
terreni
che
rendono
possibile
la
costruzione
e
l'attivazione
dei
soggetti
della
trasformazione.
Le
diverse
sfere
dell'iniziativa
-
il
conflitto
sociale,
la
protesta
civile,
l'interpretazione
dei
processi
economici
e
sociali,
l'elaborazione
culturale,
la
rappresentanza
istituzionale
-
tendono
a
restare
tanto
separate
quanto
incomunicanti:
il
Partito
è
un
luogo
nel
quale
si
possono
produrre
una
ricomposizione,
una
proposta
generale,
un
progetto.
Ma
è
anche
uno
strumento
attivo
di
democrazia:
una
sede
di
partecipazione
alla
vita
politica
a
disposizione
di
tutti
coloro
che
non
hanno
scelto
la
politica
come
mestiere.
In
questo
senso,
il
Partito
comunista
moderno
non
può
che
essere
di
massa:
comunità
autonoma
di
donne
e
di
uomini
che
vogliono
agire
per
trasformare
l'esistente.
Per
questo
il
Partito
che
abbiamo
cercato
di
costruire,
in
questi
anni,
colloca
la
propria
soggettività
nel
contesto
delle
contraddizioni
sociali,
di
classe,
culturali,
civili,
istituzionali.
Cerca
di
radicarsi
nei
luoghi
di
lavoro,
tra
i
lavoratori
dipendenti,
nelle
fabbriche,
nel
mondo
della
scuola
e
della
ricerca,
tra
gli
inoccupati
e
i
senzalavoro,
tra
i
migranti.
Si
articola
sul
territorio.
Riconosce
l'antagonismo
di
classe
e
quello
di
genere.
Promuove
la
democrazia
interna.
Si
dota
di
strumenti
di
formazione
a
autoformazione.
Tutto
questo
con
la
consapevolezza
piena
della
funzione
che
può
e
deve
svolgere,
ma
anche
del
suo
limite
"naturale".
Sa
cioè
di
essere
necessario,
ma
non
sufficiente:
la
costruzione
dell'alternativa
è
un
processo
articolato
e
plurale
che
si
sostanzia
di
una
molteplicità
di
forme
di
organizzazione,
aggregazione,
associazione,
attività
volontarie.
Ciascuna
di
queste
forme
può
svolgere,
di
volta
in
volta,
una
rilevante
funzione
politica
autonoma.
Insomma,
a
differenza
del
partito
di
tipo
tradizionale,
Rifondazione
Comunista
sa
che
l'iniziativa
politica
e
sociale
non
può
essere
svolta
solo
dai
suoi
militanti
e
da
quelli
di
organizzazioni
collaterali,
ed
è
piuttosto
svolta
da
una
costellazione
di
individui
e
di
associazioni
con
cui
il
partito
deve
entrare
in
rapporto
di
scambio
e
comunicazione
senza
prefiggersi
lo
scopo
dell'assorbimento
o
dell'integrazione
subalterna.
Un
secondo
elemento
che
caratterizza
la
necessità
di
un
partito
comunista
è
quello
di
porre
l'obiettivo
della
trasformazione,
cioè
della
costruzione
di
una
società
contraddistinta
da
un
nuovo
modo
di
produzione
e
da
istituti
democratici
qualitativamente
superiori
a
quelli
storicamente
sperimentati.
Essa
si
prospetta
oggi
come
una
costruzione
profondamente
diversa
sia
dall'idea
insurrezionalista
della
presa
del
potere,
sia
dall'ipotesi
strategica
riformista
(una
sequenza
di
riforme
di
struttura
e
di
conquiste
legislative):
in
larga
misura,
va
reinventata,
sperimentata,
verificata
nella
pratica,
in
un
processo
che
sarà
giocoforza
complesso
ed
originale
e
che
non
si
lascia
certo
scrivere
a
tavolino.
Noi,
oggi,
possiamo
soltanto
prefigurare
una
transizione
che,
per
un
verso,
si
avvale
di
strumenti
peculiari
della
storia
del
movimento
operaio
(dall'attivazione
del
conflitto
sociale
e
territoriale
alla
"pratica
dell'obiettivo"),
per
l'altro
verso,
si
fonda
su
una
dialettica
permanente
tra
rappresentanza
istituzionale
e
forme
di
autogoverno,
tra
poteri
centrali
e
contropoteri
diffusi,
tra
partiti
e
movimenti.
Non
ci
sarà
"la"
rottura,
ci
saranno
molti
e
diversi
momenti
di
rottura.
Non
ci
sarà,
forse,
"la"
sintesi,
ma
momenti
significativi
di
ricomposizione
e
unificazione.
In
un
processo
di
questa
natura
e
portata,
il
Partito
ci
pare
uno
strumento
non
unico
ma
certo
indispensabile.
Crediamo,
infine,
che
solo
sulla
base
di
una
concezione
del
partito
come
quella
qui
tratteggiata
possa
essere
costruita
un'idea
(ed
una
pratica)
d'una
società
comunista
effettivamente
democratica.
Ad
un
partito
inteso
come
unico
soggetto,
come
unico
detentore
della
"verità"
corrisponde
necessariamente
una
società
gestita
(illusoriamente)
dal
centro,
verticistica,
rigida
e
burocratizzata,
incapace
di
dinamismo
e
di
adattamento
ai
mutamenti
storici.
Ad
un
partito
inteso
come
agente,
necessario
ma
non
unico,
della
trasformazione,
può
corrispondere,
invece,
una
società
pluralista
e
democratica,
capace
di
autocorrezione
e
di
durata.
TESI
49
-
PER
UN
BILANCIO
DEI
DIECI
ANNI
DI
RIFONDAZIONE
COMUNISTA
Il
Prc
ha
vinto
la
battaglia
della
sopravvivenza
e
della
vitalità
politica.
Ora
serve
un
salto
di
qualità,
un'innovazione
forte
che
metta
al
centro
del
nostro
lavoro
il
tema
della
rifondazione.
Dal
1991
ad
oggi,
Rifondazione
comunista
ha
vinto
almeno
due
scommesse:
quella
della
sopravvivenza,
del
primum
vivere
e
quella,
altrettanto
importante,
della
vitalità.
Passando
attraverso
crisi,
interne
ed
esterne,
anche
drammatiche,
il
Prc
è
riuscito
cioè
ad
affermare
la
propria
funzione
attiva
nella
società
italiana,
sfuggendo
a
quel
destino
minoritario
e
testimoniale
che
tante
volte
gli
era
stato
predetto.
Questo
è
stato
possibile
grazie
all'impegno,
alla
dedizione,
alla
costanza,
alla
generosità
di
migliaia
e
migliaia
di
compagni
e
compagne
che
nel
corso
di
questi
dieci
anni
hanno
concretamente
costruito
il
partito
e
posto
le
basi
materiali
per
un
processo
di
rifondazione
comunista.
Qualsiasi
bilancio
autocritico
del
nostro
lavoro
non
può
che
muovere
da
questi
dati
reali,
che
sono
tutto
fuorché
scontati.
Grazie
a
questa
impostazione,
nella
nascita
e
nella
crescita
del
movimento
antiglobalizzazione,
così
come
nelle
giornate
di
Genova,
il
ruolo
del
Prc
è
risultato
evidente,
riconoscibile,
riconosciuto.
Ora,
è
tempo
di
tentare
un
salto
di
qualità,
nella
nostra
iniziativa
come
nella
nostra
fisionomia
politica
e
strategica.
Rifondazione
comunista
è
nata,
a
Rimini,
come
uno
scatto
necessario
d'identità:
un
grande
No
alla
liquidazione
del
Pci,
di
una
storia,
di
ogni
istanza
anticapitalista
organizzata.
Sin
dall'inizio,
con
la
rinnovata
partecipazione
di
molti
compagni
e
compagne
e
la
confluenza
di
Dp,
ne
è
emersa
una
natura
plurale,
che
è
diventata
una
nostra
peculiarità.
Da
qui,
la
vivacità
e,
talora,
anche
la
ricchezza
del
suo
dibattito,
ma
anche
la
sua
scarsa
compattezza
culturale
e
il
suo
debole
senso
di
appartenenza.
L'identità
del
Prc
è
cresciuta
e
si
è
via
via
verificata
nel
fuoco
delle
scelte
politiche
e
sociali
del
momento:
una
necessità
ma
anche
un
limite.
Così,
le
due
scissioni
subite
hanno
avuto
come
propria
ragione
scatenante
non
una
divergenza
strategica
dichiarata
(e
come
tale
riconosciuta
e
dibattuta),
ma
una
sia
pure
rilevantissima
questione
di
tattica
e
collocazione
parlamentare.
Nella
rottura
più
grave,
quella
con
i
Comunisti
Italiani,
è
emerso
quell'intreccio
di
ortodossia,
continuismo
e
moderatismo
che
negava
in
radice
la
necessità
della
rifondazione:
per
un
verso,
il
comunismo
come
richiamo
all'ortodossia
e
orizzonte
lontano,
per
l'altro
verso,
il
"qui
e
ora"
del
realismo
politico
e
istituzionale,
dove
le
alleanze
e
gli
schieramenti
precedono
e
predeterminano
ogni
battaglia
sui
contenuti.
Proprio
questa
circostanza
ha
reso
evidente
un
limite
profondo
nella
capacità
di
innovazione
e
rifondazione.
Superare
questi
limiti,
per
costruire
processualmente
una
cultura
politica
comunista
all'altezza
delle
sfide
di
oggi,
significa
porre
al
centro
delle
nostre
attenzioni
il
nodo
della
rifondazione.
TESI
50
-
ESSERE
COMUNISTI,
OGGI
L'identità
comunista
si
declina,
per
un
verso,
come
critica
radicale
del
modo
di
produzione
capitalistico,
per
l'altro
verso
come
persuasione
del
suo
superamento,
verso
la
costruzione
di
una
società
fondata
sulla
volontà
delle
donne
e
degli
uomini,
e
liberata
dal
profitto
come
motore
dello
sviluppo.
In
questi
anni,
una
intensissima
campagna
ideologica
ha
cercato
di
demolire
il
comunismo
come
valore
e
proposta
attuale.
Mentre
la
vulgata
della
"fine
della
storia"
tendeva
a
delegittimare
ogni
istanza
(e
speranza)
di
mutamento
dell'esistente,
si
"riscriveva"
in
questa
luce
l'intera
vicenda
novecentesca.
In
parallelo,
l'anticomunismo
tornava
ad
essere
un
segno
distintivo
delle
classi
dirigenti:
sia
nelle
forme
e
nei
linguaggi
"viscerali"
di
Berlusconi
sia
con
modalità
apparentemente
più
contenute
("il
comunismo
è
incompatibile
con
la
libertà").
La
resistenza,
anche
culturale,
a
questa
campagna
era
e
resta
un
atto
della
rifondazione
comunista.
L'identità
comunista
nel
tempo
della
globalizzazione
si
declina,
per
un
verso,
come
critica
radicale
del
modo
di
produzione
capitalistico,
e
per
l'altro
verso,
come
convinzione
politica
che
è
possibile
la
costruzione
di
una
società
nella
quale
lo
sviluppo
economico,
le
relazioni
sociali,
la
vita
concreta
delle
persone
sono
determinate
dalla
volontà
organizzata
delle
donne
e
degli
uomini,
invece
che
dal
profitto,
dallo
sfruttamento,
dall'alienazione
della
forma
di
merce.
Questa
identità
non
nasce
dalla
pura
ripulsa
morale
dell'esistente,
e
nemmeno
soltanto
dal
rifiuto
soggettivo
delle
innumerevoli
ingiustizie
che
caratterizzano
il
mondo:
si
fonda
sull'analisi
di
classe
della
società,
delle
soggettività
che
la
pervadono,
degli
antagonismi
"irriducibili"
che
la
caratterizzano.
Centrale,
proprio
in
quest'ottica,
è
il
conflitto
tra
capitale
e
lavoro:
non
ci
potrà
essere
alcun
superamento
del
capitalismo,
cioè
della
logica
del
mercato
e
dell'impresa,
sè
non
ci
sarà
l'abolizione
del
lavoro
salariato
e
la
liberazione
del
lavoro.
In
questo
senso,
la
nostra
identità
comunista
resta
imprescindibilmente
connessa
alla
contraddizione
di
classe.
Ma
non
è
vero,
di
per
se,
che
liberando
se
stessi
gli
operai
liberano
l'intera
umanità.
Il
nuovo
mondo
che
vogliamo
costruire
è
un
mondo
dal
quale
sono
bandite
tutte
le
forme
di
discriminazione
e
di
oppressione
che
il
capitalismo
globale
eredita,
aggrava
e
riproduce:
quelle
che
vengono
praticate
in
base
al
genere,
all'origine
geografica
ed
"etnica",
alla
generazione,
all'orientamento
sessuale,
così
come
lo
sfruttamento
illimitato
delle
risorse
e
della
natura.
Dunque,
senza
un
nuovo
movimento
operaio
che
unifichi
dialetticamente
le
diverse
soggettività
antagoniste
che
il
capitale
determina
oggi,
non
c'è
liberazione
umana.
Non
c'è
liberazione
umana
che
possa
prescindere
dalla
contraddizione
di
genere.
Il
femminismo
ha
prodotto
in
Italia,
a
partire
dalla
fine
degli
anni
'60
una
vera
rivoluzione
sociale,
culturale
e
politica,
costringendo
uomini
e
donne
a
misurarsi
con
la
questione
di
genere.
Rifondazione
comunista
è
chiamata
a
conoscere,
ri-conoscere,
approfondire
e
fare
suo
il
pensiero
femminista
come
parte
ineludibile
della
rifondazione.
Nello
stesso
senso,
l'assunzione
dell'ambientalismo
è
una
scelta
di
fondo.
Non
si
tratta
di
cercare
una
qualche
forma
di
compatibilità
tra
sviluppo
e
ambiente.
Non
è
neanche
sufficiente
un'altra
idea
di
sviluppo.
Serve,
invece,
una
vera
e
propria
alternativa
di
economia
e
di
società
che
si
sostanzia
nella
promozione
di
un
ripristino
e
di
un
equilibrio
dei
grandi
cicli
ambientali,
nella
demercificazione
dei
beni
ambientali
comuni
e
collettivi
(acqua,
aria,
energia
e
territorio),
nella
riterritorializzazione,
nella
riqualificazione
del
lavoro
nella
produzione
di
ambiente.
TESI
51
-
I
COMUNISTI
E
L'OTTOBRE
(approvata
dal
Comitato
Politico
Nazionale)
La
Rivoluzione
d'Ottobre
resta
uno
spartiacque
del
XX
secolo,
primo
straordinario
esempio
contemporaneo
di
"scalata
al
cielo".
Dal
successivo
fallimento
del
"socialismo
reale"
non
derivano
"pentitismi"
di
sorta,
ma
la
necessità
della
rifondazione
comunista.
Il
movimento
comunista,
nella
sua
ispirazione
sostanziale,
ha
alle
spalle
una
storia
lunga,
anzi
secolare,
che
per
molti
aspetti
coincide
con
i
tanti
tentativi
di
liberazione
umana
che
l'hanno
percorsa,
con
le
molte
"scalate
al
cielo"
che
sono
state
sperimentate
da
milioni
di
esseri
umani.
In
questa
molteplicità
di
riferimenti,
la
Rivoluzione
d'Ottobre
mantiene
un
valore
peculiare:
essa
è
stata
uno
spartiacque
del
XX
secolo.
Ha
consacrato
il
valore
della
soggettività
organizzata,
e
del
suo
ruolo:
primo
straordinario
esempio
del
"si,
se
puede".
Ha
modificato
in
profondità
gli
equilibri
del
mondo,
rompendo
il
monopolio
planetario
del
mercato
capitalistico
e
influenzando
l'intero
corso
rivoluzionario
del
'900,
fino
alle
liberazioni
anticoloniali.
Ha
costretto
le
classi
dominanti
dell'occidente
capitalistico
a
compromessi
significativi
con
il
movimento
operaio.
Ha
contribuito
in
termini
decisivi
alla
sconfitta
del
nazifascismo.
Questi
indiscutibili
meriti
politici
e
storici
non
hanno
impedito
il
profondo
processo
involutivo
e
degenerativo
delle
società
postirivoluzionarie,
che
è
stato
tra
le
cause
principali
della
loro
sconfitta.
Al
di
là
del
necessario
bilancio
storico,
politico
e
ideale
che
è
ancora
largamente
da
compiere,
in
un
lavoro
di
ricerca
collettiva,
è
proprio
dalla
dialettica
tra
la
validità
dell'ottobre
e
il
fallimento
dei
tentativi
di
transizione
che
emerge
la
necessità
strategica
della
rifondazione
di
un
pensiero,
di
una
pratica
e
di
una
politica
comunista.
Questo
ci
pone
il
tema
della
definizione
di
un'identità
comunista
complessa
anche
dal
punto
di
vista
storico-metodologico:
una
via
originale,
capace
di
continua
innovazione,
non
di
semplice
aggiornamento,
senza
che
questo
significhi
desertificazione
della
memoria.
Capace
di
imparare
dai
suoi
errori.
Capace
di
critica
(e
anche
rifiuto)
radicale
del
passato,
non
di
formali
autocritiche
e
non
di
pentitismi,
senza
che
questo
alluda
a
fughe
opportunistiche
dal
peso
e
dalla
responsabilità
della
propria
storia
TESI
52
-
DOPO
L'89
(approvata
dal
Comitato
Politico
Nazionale)
Il
ritorno
a
Marx,
da
disincrostare
dai
troppi
marxismi.
La
lezione
rivoluzionaria
di
Antonio
Gramsci.
L'eredità
del
'900,
secolo
degli
operai
e
delle
donne.
Sono
le
coordinate
essenziali
di
un'identità
radicale
e
rinnovata
Negli
ultimi
decenni
del
'900,
ma
soprattutto
dopo
l'89,
il
movimento
comunista
ha
subìto
la
sua
crisi
più
drammatica:
contro
di
esso
(e
contro
ogni
istanza
organizzata
di
tipo
anticapitalistico),
si
è
sviluppata
un'offensiva
organica
e
imponente,
tesa
alla
sua
totale
delegittimazione.
La
risposta
dei
partiti
comunisti
è
stata,
in
molti
casi,
di
due
tipi:
o
un'innovazione
che
assumeva
la
necessità
della
sconfitta
e
il
punto
di
vista
dell'avversario,
spesso
anche
attraverso
mutamenti
nominalistici,
o
un
arroccamento
neo-ortodosso
e
neo-dottrinario.
La
sorte
politica
dei
comunisti
ha
rischiato
di
essere
stretta
tra
le
due
alternative,
egualmente
perdenti,
del
revisionismo
moderato
e
del
conservatorismo
dogmatico,
o
paradogmatico.
In
questo
quadro,
Rifondazione
comunista,
come
del
resto
altri
partiti
comunisti
e
movimenti
rivoluzionari,
si
è
sforzata
di
mettere
in
campo
un'ipotesi
autonoma:
coniugare
innovazione
e
radicalità,
apertura
culturale
e
ottica
rivoluzionaria.
In
altre
epoche,
questo
tentativo
si
è
chiamato
uscita
da
sinistra
dallo
stalinismo
e
dalla
forma
ossificata
assunta
dal
marxismo-leninismo.
Un
cimento
del
quale
dobbiamo
quantomeno
definire
le
coordinate
essenziali.
1.
IL
RITORNO
A
MARX.
La
lezione
imprescindibile
della
ricerca
marxiana,
soprattutto
delle
opere
della
maturità
(conosciute
solo
nel
nostro
secolo),
è
la
sua
capacità
di
lettura,
dal
punto
di
vista
del
metodo
e
dei
paradigmi
teorici,
delle
contraddizioni
del
capitalismo
maturo.
E'
la
categoria
della
rottura
rivoluzionaria,
intesa
come
superamento
dei
meccanismi
di
sfruttamento
e
di
alienazione
che
presiedono
al
modo
di
produzione
capitalistico.
E'
la
centralità
della
persona
reale
rispetto
al
cittadino
astratto.
Non
si
tratta,
naturalmente,
di
dar
vita
a
una
qualche
forma
di
scolastica:
si
tratta,
al
contrario,
di
tornare
ad
assumere
Marx
come
riferimento
essenziale,
"disincrostandolo"
dai
marxismi
che
sono
stati
edificati
nel
'900.
2.
LA
LEZIONE
DI
ANTONIO
GRAMSCI.
Nella
determinazione
storica
del
comunismo
italiano,
della
sua
originalità
e
relativa
autonomia,
il
contributo
gramsciano
appare
di
straordinaria
attualità.
Non
soltanto
per
l'analisi
concreta
che
ci
fornisce
della
società
italiana
,
ricchissima
di
sollecitazioni
non
interamente
esplorate,
non
soltanto
per
la
"guida"
che
ci
prospetta
sui
temi
del
rapporto
tra
politica
e
cultura
(e
tra
etica
e
politica),
ma
per
l'idea
di
rivoluzione
che
ne
è
alla
base,
che
nega
in
radice
l'autonomia
del
Politico.
La
rivoluzione
non
come
pura
conquista
del
potere
politico,
o
delle
leve
di
governo,
ma
come
processo
di
rivoluzionamento
che
coinvolge
l'insieme
delle
relazioni
sociali
e
della
loro
qualità.
La
rivoluzione
come
lunga
marcia,
costruzione
di
"casematte",
trasformazione
e
autotrasformazione.
3.
L'EREDITA'
DEL
'900.
Rispetto
al
secolo
che
ci
è
alle
spalle,
i
nuovi
comunisti
assumono
una
continuità,
e
una
eredità,
peculiari:
quella
lotta
rivoluzionaria
per
la
modernità,
per
l'emancipazione
e
liberazione
umana,
che
oggi
è
soggetta
ad
un
blocco
ed,
anzi,
ad
una
vera
e
propria
involuzione.
Al
centro
di
questa
lotta,
vi
sono
stati
il
movimento
operaio
e
le
sue
organizzazioni,
la
lotta
per
il
riscatto
delle
classi
subalterne,
con
i
suoi
tentativi
di
"scalata
al
cielo"
e
la
sua
straordinaria
sequenza
di
battaglie
sociali,
politiche
e
rivendicative.
Ma
essenziale
è
stata
la
lotta
contro
il
patriarcato:
la
rivoluzione
femminile
ha
prospettato
non
semplicemente
una
nuova
soggettività
o
nuovi
diritti,
ma
la
trasformazione
delle
relazioni
tra
i
generi,
che
mette
in
causa
la
famiglia
come
costruzione
storico-sociale
destinata
a
riprodurre
la
divisione
sessuale
dei
ruoli.
Così
come
è
stata
ed
è
costitutiva
di
un'identità
moderna
l'assunzione
della
nozione
di
limite:
la
critica,
cioè,
di
una
concezione
(e
di
una
pratica)
che
identificano
lo
sviluppo
con
la
crescita
quantitativa
e
il
progresso
con
lo
sfruttamento
incontrollato
delle
risorse
naturali.
Definire
con
rigore
l'intreccio
dialettico,
non
sommatorio,
tra
questi
protagonisti
della
modernità
-
il
lavoro,
il
genere,
l'ambiente
-
significa,
appunto,
definire
in
positivo
l'eredità
con
il
'900.
HANNO
SOTTOSCRITTO
LE
TESI
51-52:
BERTINOTTI,
CRIPPA,
FERRERO,
FRALEONE,
ZUCCHERINI,
BELLUCCI,
CACCIARI,
CAMMARDELLA,
CAPRILI,
CERBONE,
DE
CRISTOFARO,
DE
SIMONE
TITTI,
DEIANA,
EMPRIN
,
FORGIONE,
GAGLIARDI,
GIANNI,
GIORDANO,
LOCATELLI,
MAITAN,
MALABARBA,
MANTOVANI
RAMON,
MASCIA,
MASELLI,
MIGLIORE,
MUSACCHIO,
NARDINI,
NESCI,
NOCERA,
PAPANDREA,
RICCI
MARIO,
RUSSO
FRANCO,
RUSSO
SPENA,
SENTINELLI,
SIMONETTI,
TURIGLIATTO,
VACCARGIU,
VENDOLA,
VINCI,
VINTI,
ACERBO,
ACETO,
AITA,
ALASIA,
ALBONETTI,
ALFONZI,
ALLOCCA,
ALTAVILLA,
AMATO,
ANTONAZ,ANTONIELLA,
ARMENI,ATTILIANI,
AURORA,
AZZALIN,
BALDI,
BARACCO,
BARASSI,
BARBAGELATA,
BARONTI,
BARZAGHI,
BELLOFIORE,
BENVEGNU',
BERLINGUER,
BERTOLO,
BERTORELLO,
BOGHETTA,
BONADONNA,
BONATO,
BONFORTE,
BONOMETTI,
BORDO,
BOZZI,
BRISTOT,
BUTTIGNON,
CAMPANILE,
CANTONI,
CAPELLI,
CARDONE,
CARRAZZA,
CARTA,
CARTOCCI,
CASATI
GIOVANNA,
CATALANO,
CATANIA,
CHECCHI,
CIMMINO,
CO',
COGODI,
COLZANI,
COMMODARI,
CONFALONIERI,
CONSOLO,
CONTI,
COSIMI,
D'ACUNTO,
D'AIMMO,
D'ALESSANDRO,
D'ANGELI,
DANINI,
D'AVOSSA,
DE
CESARIS,
DE
PALMA,
DE
SANTIS,
DE
SIMONE
PAOLO,
DI
GIOIA,
DI
SABATO,
DONDA,
DUCCINI,
FABIANI,
FANTOZZI,
FASOLI,
FAZZESE,
FERRARA,
FERRARI
GIANLUCA,
FERRARI
SAVERIO,
FERRETTI,
FIRENZE,
FONDELLI,
FRATOIANNI,
FRENDA,
GABRIELE,
GALLO,
GELMINI,
GIORGI,
GITTO,
GRANOCCHIA,
GROSSO,
GUGLIELMI,
JERVOLINO,
JORFIDA,
LIBERA,
LINGUITI,
LOMBARDI
ALDO,
LOMBARDI
ANGELA,
LOMBARDI
MIRKO,
LOMBARDI
ROBERTO,
LONGO,
LOSAPPIO,
LUNIAN,
MAJORANA,
MALENTACCHI,
MALINCONICO,
MAMMARELLA,
MANGIA,
MARAGLINO,
MARAIA,
MARCHETTINI,
MARCONE,
MARCONI,
MAROTTA
ANGELO,
MAROTTA
ANTONIO,
MARTINO,
MELIS,
MENCARELLI,
MERLINI,
MILANI,
MINISCI,
MITA,
MONTANILE,
MONTECCHIANI,
MORANDI,
MORDENTI,
MORETTI,
MORINI,
MOSCATO,
MOZZETTA,
MUGNAI,
MULLIRI,
MURA,
NICOTRA,
NIERI,
NINCHERI,
NUCERA,
OREFICE,
PALOZZA,
PAOLINO,
PASI,
PATRITO,
PECORINI,
PEDUZZI,
PERUGIA,
PESACANE,
PETTENO',PIERINI,
PIETRANGELI,PIOMBO,
PLATANIA,
POETA,
POSELLI,
POZZOBON,
PRANDINI,
PRIMAVERA,
PUCCI
ROBERTO,
RAZZANI,
RICCI
ANDREA,
RIGACCI,
RIVELLI,
RIVERA,
ROSSI,
SANSOE',
SANTORUM,
SARDONE,
SAVELLI,
SCIANCATI,
SCREPANTI,
SEMERARO,
SGHERRI,
SIMEONE,
SIRONI,
SPECCHIO,
SPERANDIO,
SPERANZA,
STUFARA,
TANARA,
TANGOLO,
TAVELLA,TETTAMANTI
TORRICELLI,
TOSI,
TRIA,
TRIBI,
TRIVELLIZZI,
TRONI,
TROTTA,
TROVATO,
TRUFFA,
VALENTI,
VALPIANA,
VIANI,
VLACCI,
VOCCOLI,
VOZA.
TESI
53
-
COMUNISMO
CONTRO
STALINISMO
Il
progetto
della
rifondazione
comunista
implica
una
rottura
radicale
con
lo
stalinismo.
Non
soltanto
come
esperienza
storica,
ma
come
paradigma
della
rivoluzione,
concezione
della
politica,
funzione
del
partito.
Il
progetto
della
rifondazione
comunista,
di
un'identità
comunista
adeguata
al
XXI
secolo,
implica
una
rottura
radicale
con
lo
stalinismo.
Non
proponiamo
qui
un'operazione
di
bilancio
storico,
ben
altrimenti
impegnativa,
ma
di
verità
politica
e
di
identità
teorica:
la
separazione
dallo
stalinismo
è
anche
e
soprattutto
la
messa
in
causa
di
un
paradigma
della
transizione,
di
una
concezione
della
politica,
di
una
funzione
del
partito.
Nel
comunismo
italiano,
la
rottura
è
avvenuta,
prevalentemente,
in
nome
dei
diritti
della
persona
e
della
necessità
della
democrazia
rappresentativa:
nel
nuovo
movimento
comunista
queste
ragioni
devono
essere
sviluppate
fino
in
fondo,
in
nome
della
società
nuova
da
costruire,
della
liberazione
del
lavoro,
del
rifiuto
della
separatezza
tra
cittadino
e
Stato,
della
rivoluzione
come
indivisibile
fenomeno
mondiale.
In
questo
senso
si
può
essere
portatori
e
portatrici
credibili
di
un'ipotesi
rivoluzionaria
e
comunista
solo
in
quanto
essa
si
definisce
in
radicale
discontinuità
rispetto
all'esperienza
del
"socialismo
realizzato".
In
questa
eredità
negativa,
individuiamo,
prima
di
tutto,
l'idea
di
un
"campo
socialista"
-
campo
statuale
-
al
quale
sacrificare,
o
subordinare,
gli
interessi
strategici
del
movimento
operaio
mondiale:
una
distorsione
di
prospettiva
improponibile,
anche
e
soprattutto
per
il
futuro.
In
secondo
luogo,
l'ossificazione
dogmatica
della
teoria
(che
ha
travolto
le
esperienze
più
avanzate
del
marxismo
critico
novecentesco
e
ridotto
il
cosiddetto
"marxismo-leninismo"
a
un'ortodossia
ecclesiale):
un
sostituto
autoritario
e
inefficace
dell'analisi
dei
processi
reali,
della
metodologia
dell'inchiesta,
della
verifica.
Infine,
e
sopratutto,
la
riduzione
del
socialismo
alla
pura
dimensione
della
conquista
del
potere
politico
e
istituzionale,
esterna
ai
luoghi
del
lavoro
e
della
produzione
(e
più
in
generale
ai
rapporti
sociali),
coerente
con
un'ipotesi
di
gigantismo
industrialista
forzosamente
guidato
dall'alto:
ma,
così
come
la
conquista
del
potere
può
generare
dal
suo
stesso
seno
nuove
e
pesanti
oppressioni,
il
produttivismo
economicista
non
libera
il
lavoro
e
non
crea
una
nuova
qualità
della
vita
In
questo
senso,
lo
stalinismo
è
anche
stato
un
modello
di
sviluppo
subalterno
all'idea
di
crescita
quantitativa.
E'
da
questo
deficit
-
non
dal
surplus
-
di
socialismo
che
sono
derivate
la
concezione
(e
la
pratica)
totalizzante
e
dispotica
del
Partito,
l'arbitrio
incontrollabile
del
leader,
la
cancellazione
di
ogni
istanza
democratica
di
base
nell'organizzazione
e
nella
società,
la
fine
della
libertà
sindacale,
la
riduzione
degli
individui
e
delle
persone
ad
appendici
insignificanti
della
politica.
TESI
54
-
IL
COMUNISMO,
OGGI
Dalla
riflessione
problematica
sulla
nostra
storia
alle
istanze
del
popolo
antiglobalizzazione:
il
comunismo
come
percorso
della
liberazione.
Meta
"ragionevole"
della
storia
Come
è
definibile,
oggi,
la
prospettiva
del
comunismo,
alla
luce
dell'eredità
e
dei
fallimenti
del
'900?
Se
sono
corrette
le
analisi
fin
qui
svolte,
diviene
sempre
più
evidente
l'infondatezza
di
ogni
teoria
delle
"due
tappe"
o
dei
due
stadi
-
il
socialismo
prima,
incentrato
sulla
nazionalizzazione
o
pubblicizzazione
delle
principali
forze
produttive,
il
comunismo,
da
riservare
ad
un
lontano
futuro.
Ciò
non
significa,
s'intende,
che
una
prospettiva
rivoluzionaria
e
comunista
sia
dietro
l'angolo,
o
che
essa
possa
fare
a
meno
della
gradualità
necessaria.
Significa
che
essa
non
può
separarsi,
dal
punto
di
vista
politico
e
strategico,
dalle
lotte
concrete
del
presente:
che
si
pone,
insomma,
rispetto
ad
esse
in
termini
di
immanenza,
piuttosto
che
di
trascendenza
o
di
lontano
orizzonte.
Non
è
certo
casuale
lo
slogan
assunto
dal
"popolo
di
Seattle":
l'istanza
di
un
altro
mondo
possibile
deriva
in
realtà
dalla
natura
radicale
del
movimento
contro
la
globalizzazione
neoliberista.
Esso,
a
partire
dal
disagio
soggettivo,
o
da
battaglie
determinate
contro
le
multinazionali
o
lo
strapotere
dei
marchi,
va
giocoforza,
perfino
al
di
là
dei
propri
livelli
di
consapevolezza,
alla
radice
di
processi
reali
che,
a
loro
volta,
vedono
rapidamente
consumarsi
gli
spazi
intermedi
della
tattica,
delle
mediazioni,
degli
obiettivi
di
"riforma".
Da
questo
punto
di
vista,
il
comunismo
può
essere
riproposto,
anche
e
soprattutto
alle
nuove
generazioni,
come
percorso
di
liberazione
per
il
quale
vale
la
pena
impegnarsi.
Dal
punto
di
vista
generale,
quel
che
resta
di
intatto
valore
attuale,
è
l'idea
della
costruzione
di
una
società
"nella
quale
il
libero
sviluppo
di
ciascuno
è
la
condizione
del
libero
sviluppo
di
tutti":
non,
dunque,
semplicemente
una
società
"più
giusta"
o
"più
equa",
cioè
più
attenta
ad
una
redistribuzione
più
egualitaria
delle
risorse
e
dei
diritti
reali,
ma
una
società
liberata
dal
vincolo
dell'autovalorizzazione
del
capitale
come
motore
essenziale
della
sua
crescita
e
della
sua
dinamica.
Dove,
dunque,
la
soggettività
organizzata
delle
donne
e
degli
uomini,
non
la
logica
del
mercato
e
dell'impresa
capitalistica,
possa
razionalmente
decidere
il
proprio
destino.
Dove
la
dialettica
tra
istituzioni
collettive
e
autogoverno
di
massa,
tra
poteri
centrali
e
contropoteri
diffusi,
si
fa
permanente.
Dove
la
libertà
della
persona
-
la
sua
irriducibile
singolarità
-
si
realizza
attraverso
la
crescita
progressiva
dell'individuo
sociale
preconizzato
da
Marx:
non
un
atomo
solitario,
in
competizione
permanente
con
i
suoi
simili,
non
l'appendice
subalterna
di
una
mega
o
microstruttura
(Stato,
Fabbrica,
Partito
o
Famiglia
che
sia),
ma
individuo
ricco
di
bisogni
e
di
saperi
che
cresce
in
quanto
coopera,
confligge
e
comunica
con
l'Altro
da
sé.
TESI
55
-
LA
DEMOCRAZIA
COME
STRATEGIA
La
democrazia
non
è
uno
strumento,
ma
è
un
valore
in
sé:
una
strategia
di
società
organicamente
plurale.
Un'idea
di
potere,
e
di
non
separazione
tra
mezzi
e
fini.
All'interrogativo
classico
sulla
democrazia
-
se
essa
sia
uno
strumento
o
un
fine
-
oggi
siamo
in
grado
di
rispondere
positivamente:
la
democrazia
come
fine
è
un
dato
fondante
della
nostra
identità
attuale
e,
insieme,
una
strategia.
Se
è
vero
che
essa
non
si
esaurisce
affatto
nelle
sue
espressioni
e
modalità
liberali
-
o
in
quello
schema
di
rappresentanza
per
altro
oggi
sostanzialmente
ripudiato
dalle
classi
dominanti
-
è
vero
anche
che
il
superamento
di
questi
limiti
deve
essere
proposto
oltre,
al
di
là
non
al
di
qua
dell'orizzonte
borghese.
I
momenti
più
bui
della
nostra
storia
ci
offrono,
in
questo
senso,
indicazioni
molto
chiare,
anche
per
ciò
che
concerne
il
funzionamento
delle
organizzazioni
politiche,
e
di
un
Partito
comunista:
quando
e
se
si
oscura
la
vita
democratica
interna,
è
la
proposta
politica
in
quanto
tale
che
perde
forza
e
credibilità.
Si
ripropone
anche
qui
il
tema
del
rapporto
tra
mezzi
e
fini:
contrariamente
al
luogo
comune
di
origine
machiavelliana,
che
ha
profondamente
influenzato
tutta
la
politica
e
tutta
la
sinistra
italiana,
oggi
non
possiamo
che
rifiutare
l'idea
di
una
separazione
organica
tra
la
"meta
finale
dei
nostri
sforzi"
e
gli
strumenti
attraverso
i
quali
raggiungerla.
Non
si
tratta
di
un
imperativo
morale,
ma
di
una
scelta
di
coerenza
politica
e
di
laicità:
bruciare
nel
presente
le
proprie
identità
e
certezze
strategiche,
fino
al
punto
da
rovesciarle
nel
nome
di
un
obiettivo
finale
metastorico,
sottintende
in
realtà
un'alienazione
di
tipo
religioso.
E
implica,
nei
fatti,
il
passaggio
ad
una
pratica
politica
iperrealistica
e
moderata
come
spesso
è
avvenuto.
Dal
punto
di
vista
del
contenuto,
la
democrazia
si
pone
oggi
come
scelta
e
pratica
del
pluralismo
politico,
culturale,
associativo.
Plurale
è
la
nostra
concezione
della
sinistra:
e
rifiutiamo
radicalmente
lo
schema
storico
del
partito
unico,
che
tanti
guasti
ha
prodotto
nelle
società
postrivoluzionarie.
Plurale
è
la
nostra
concezione
dell'alternativa
e
del
suo
farsi:
anche
e
sopratutto
nel
senso
qualitativo
del
termine,
cioè
della
sua
capacità
di
costruire
dialoghi,
relazioni,
luoghi
di
incontro
efficaci
tra
culture
diverse
-
tesi
non
solo
alla
costruzione
dei
conflitti
e
alla
rappresentanza
dei
soggetti,
ma
alla
definizione
di
nuovi
legami
sociali
.
Plurale
è
l'orizzonte
politico
che
accompagna
il
percorso
della
transizione:
dove
si
tratta
di
mettere
davvero
in
discussione,
insieme
ai
rapporti
di
sfruttamento,
le
gerarchie
tra
dominanti
e
dominati,
tra
ideatori
ed
esecutori,
tra
capi
e
subalterni.
In
breve:
siamo
al
nodo
del
potere,
da
reimpostare
radicalmente
rispetto
ai
suoi
tradizionali
statuti.
In
una
prospettiva
di
transizione,
la
conquista
del
potere
politico
centrale
resta,
certo,
un
passaggio
ineludibile,:
non,
tuttavia,
come
un
punto
di
partenza
dal
quale
avviare
il
mutamento
dei
rapporti
economici
e
sociali,
ma
come
la
tappa
pur
rilevante
di
un
percorso
di
trasformazione
politica
e
sociale
più
ricco
e
articolato.
Come
una
rottura
che
definisce,
contestualmente
un
terreno
di
lotta
più
favorevole,
gli
strumenti
del
proprio
controllo
sociale,
la
possibilità
della
propria
estinzione.
In
questo
senso,
il
comunismo
è
anche
un'idea
radicale
di
democrazia.
TESI
56
-
L'AUTORIFORMA
DEL
PARTITO
(approvata
dal
Comitato
Politico
Nazionale)
Il
Prc
affronta
i
nuovi
impegnativi
compiti
di
fase
con
una
struttura
inadeguata
e
in
seria
difficoltà.
Ineludibile
è
il
nodo
dell'autoriforma,
non
solo
per
fermare
la
tendenza
alla
contrazione
degli
iscritti
ma
per
costruire
una
organizzazione
comunista
all'altezza
dei
compiti
di
questa
fase.
All'interno
di
questo
processo
politico
e
culturale
di
rifondazione
dell'ipotesi
comunista
si
pone
con
estrema
necessità
il
nodo
dell'autoriforma
del
partito.
Questo
problema
è
reso
ancor
più
urgente
dal
cambio
di
fase
politica
rappresentato
dal
riemergere
del
conflitto
sociale
e
dai
nuovi
compiti
che
ne
nascono.
Punto
fermo
della
nostra
prospettiva
è
la
costruzione
di
un
partito
comunista
di
massa
con
l'ambizione
della
rifondazione
di
un
pensiero
e
di
una
pratica
comunista.
Un
partito
che
prefiguri
nella
sua
vita
reale
e
quotidiana
quella
società
di
"liberi
ed
uguali"
a
cui
alludiamo
quando
parliamo
di
comunismo.
Un
partito
che
sappia
costruire
una
critica
teorica
e
pratica
dell'esistente,
una
politica
non
separata
dai
contenuti,
una
partecipazione
non
delegata,
un
rapporto
reale
con
la
società
capace
di
suscitare
movimenti
e
lotte
per
la
trasformazione,
di
costruire
forti
relazioni
con
e
tra
i
soggetti
oggi
aggrediti
dalla
modernizzazione
e
globalizzazione
capitalistica,
di
lavorare
alla
costruzione
di
una
ampia
ed
articolata
sinistra
di
alternativa.
Rispetto
a
questo
nostro
progetto,
del
punto
di
vista
della
filosofia
e
della
pratica
organizzativa,
il
nostro
partito
soffre,
da
sempre,
di
seri
limiti
strutturali,
che
sono
stati
per
altro
ampiamente
analizzati
nel
corso
della
conferenza
di
Chianciano.
Ma,
soprattutto,
subisce
una
contraddizione
apparsa
fin
qui
insormontabile
dovuta
oltre
che
a
difficoltà
oggettive
anche
alle
nostre
incapacità
a
dar
vita
in
questi
anni
ad
un
partito
con
reali
caratteristiche
di
massa:
quella
tra
un'architettura
mutuata
dalla
tradizione
del
Pci
e
funzionale
ad
un
partito
in
grado,
fra
l'altro,
di
disporre
di
un
alto
numero
di
funzionari
a
tempo
pieno,
e
la
realtà
del
corpo
politico
di
Rifondazione
comunista,
fatto
in
misura
preponderante
di
lavoro
volontario,
militanza
mobile,
collaborazione
occasionale.
Non
siamo
riusciti
in
nessun
momento,
anche
per
il
ritmo
convulso
assunto
da
una
politica
sempre
più
"veloce"
(e
sempre
più
incentrata
sulle
continue
scadenze
elettorali),
a
sperimentare
dentro
questo
modello
correzioni
significative
o
forme
davvero
innovative,
anche
per
quanto
riguarda
il
superamento
del
carattere
monosessuato
e
"biancocentrico"
del
partito.
Ora,
però,
non
è
possibile
rinviare
ulteriormente,
quantomeno,
l'avvio
di
una
discussione
seria.
In
larga
parte
del
territorio
nazionale,
il
partito
appare
in
seria
difficoltà:
spesso
appesantito
nella
sua
capacità
di
proiezione
esterna,
di
radicamento
sociale,
di
allargamento
dei
consensi;
spesso
scosso
da
divisioni,
lacerazioni,
personalismi;
spesso,
ancora,
segmentato
in
comparti
tra
loro
non
comunicanti.
Non
è
esente
da
queste
contraddizioni
neppure
la
vita
del
partito
ai
suoi
livelli
nazionali
e
centrali.
Va
posto
in
questo
ambito
anche
il
nodo
di
come
rendere
effettiva
la
partecipazione
del
corpo
del
partito
alla
formazione
delle
decisioni
politiche.
Ad
un
partito
più
vivo
e
partecipato,
in
grado
soprattutto
di
estendere
i
propri
legami
sociali,
non
può
corrispondere
un
funzionamento
che
nei
fatti
riproponga
forme
di
direzione
di
tipo
verticistico.
Il
solo
nudo
dato
di
un
turn-over
di
iscritti
oramai
endemico,
che
riguarda
decine
di
migliaia
di
compagne
e
compagni
"perduti"
per
strada,
merita
di
essere
oggetto
di
una
riflessione
organica
e
non
aggiuntiva.
Come
pure
la
singolare
contraddizione
tra
l'aumento
della
corrente
di
simpatia
verso
il
partito
-
in
particolare
delle
giovani
generazioni
-
e
la
riduzione
degli
iscritti
avvenuta
negli
ultimi
anni.
Abbiamo
quindi
la
necessità,
soprattutto
in
questa
fase
in
cui
i
segnali
di
disgelo
sociale
sono
cresciuti
in
modo
esponenziale
fino
a
determinare
la
nascita
del
movimento,
di
ridefinire
le
nostre
capacità
organizzative
e
di
direzione
politica
unitaria
a
tutti
i
livelli
(dalla
costruzione
del
lavoro
sociale
al
tesseramento
alla
diffusione
di
Liberazione)
all'interno
di
un
indispensabile
processo
di
autoriforma
del
partito
che
ne
aumenti
le
capacità
attrattive
e
aggregative,
a
partire
dai
circoli
che
rappresentano
lo
snodo
fondamentale
da
cui
costruire
la
nostra
iniziativa
politica.
TESI
57
-
PER
COSTRUIRE
RELAZIONI
SOCIALI
Centro
di
questo
salto
di
qualità
è
il
passaggio
da
una
forza
politica
identitaria,
quale
è
ancora
troppo
spesso
il
Prc,
a
un
partito
che
costruisce
conflitto
e
relazioni
sociali.
In
primo
luogo
vi
è
la
necessità
di
spostare
il
baricentro
del
partito
dagli
aspetti
identitari
e
propagandistici
alla
capacità
di
costruire
azione
politica,
relazioni
con
altri
soggetti
dell'alternativa,
organizzazione
di
lotte,
legami
sociali,
cultura
critica.
Il
passaggio
da
un
partito
che
ha
al
centro
la
difesa
della
sua
identità
ad
un
partito
che
mette
al
centro
la
capacità
di
costruire
relazioni
e
organizzazione
sociale
è
anche
il
passaggio
dalla
fase
della
resistenza
ad
una
fase
in
cui
il
fermento
sociale
deve
essere
capito,
valorizzato,
supportato
anche
nell'organizzazione.
Nella
fase
della
sconfitta
sovente
eravamo
soli
-
o
quasi
-
a
difendere
la
necessità
dell'alternativa;
oggi
vi
sono
con
ogni
evidenza
altri
soggetti
che
-
in
diverse
forme
-
si
muovono
sullo
stesso
terreno.
L'acquisizione
del
fatto
che
siamo
indispensabili
ma
non
sufficienti
ci
chiede
quindi
una
capacità
di
apertura
verso
l'esterno
adottando
il
metodo
dell'inchiesta
come
dato
permanente
dell'azione
del
nostro
partito.
Ribadire
la
nostra
identità
comunista
non
deve
rappresentare
il
fine
della
nostra
esistenza
come
partito
ma
il
presupposto
che
ci
permette
di
agire
politicamente
alla
costruzione
di
una
sinistra
di
alternativa
sul
piano
sociale,
culturale,
politico.
Questa
modifica
di
impostazione
deve
riguardare
il
modo
di
funzionamento
del
partito
a
tutti
i
livelli,
del
circolo,
della
federazione,
della
direzione
nazionale,
contribuire
a
definire
le
priorità
sul
terreno
organizzativo
e
i
criteri
nella
selezione
dei
gruppi
dirigenti.
In
questa
prospettiva
il
militante
di
rifondazione
comunista
ha,
insieme
alla
funzione
di
diffondere
la
linea
del
partito
-
e
proprio
per
poterlo
fare
al
meglio
-,
quella
di
tradurre
e
connettere
tra
loro
linguaggi
e
culture
inevitabilmente
eterogenei:
deve
reinventare
una
capacità
di
connessione
orizzontale
tra
le
diverse
esperienze
di
massa
e,
su
questa
base,
una
capacità
di
far
convergere
queste
esperienze
nella
contestazione
dei
luoghi
centrali
e
decentrati
del
potere.
TESI
58
-
PER
VALORIZZARE
IL
"SAPER
FARE"
Costruire
un
partito
aperto,
comunitario,
fattivo:
che
valorizza
il
"saper
fare",
non
solo
il
"saper
dire"
Un
secondo
elemento
riguarda
la
costruzione
di
un
partito
come
organizzazione
collettiva,
che
superi
una
certa
tendenza
alla
discussione
politica
generica
ma
individui
con
chiarezza
le
responsabilità
e
valorizzi
davvero
il
"saper
fare"
dei
propri
aderenti,
le
diverse
competenze,
le
capacità
di
ciascuno
di
diventare
punto
di
riferimento
politico
nel
proprio
luogo
di
lavoro,
o
nel
proprio
ambito
territoriale.
In
misura
parziale,
la
ormai
quasi
decennale
esperienza
delle
feste
di
"Liberazione"
è
la
dimostrazione
concreta
che
questa
modalità
non
solo
è
possibile,
ma
esiste
e
si
dispiega
in
contesti
considerati
a
torto
"minori":
il
fatto
è
che
in
questo
tipo
di
appuntamenti,
il
nostro
Partito
si
presenta
nel
suo
volto
aperto,
comunitario,
fattivo.
Luogo
d'incontro
con
gli
altri,
spazio
extramercantile,
sede
di
lavoro
militante
e
collettivo
non
centrato
solo
sugli
organigrammi.
La
valorizzazione
del
saper
fare,
delle
intellettualità
diffuse
nei
diversi
campi
del
sapere,
delle
conoscenze
e
delle
capacità
concrete
dei
compagni
e
delle
compagne
è
un
punto
decisivo
per
una
riforma
della
militanza
politica.
Ad
oggi
come
partito
intercettiamo
solo
una
minima
parte
delle
forze
disponibili
ad
un
impegno
e
addirittura
non
riusciamo
ad
utilizzare
nemmeno
le
competenze
dei
compagni
e
delle
compagne
iscritte.
Troppo
spesso
pochi
fanno
tutto
e
molti
non
fanno
nulla.
A
tal
fine
il
lavoro
di
inchiesta
deve
anche
essere
un
lavoro
rivolto
all'interno
del
partito,
per
capire
le
potenzialità
ed
ampliare
le
forme
in
cui
è
possibile
esprimere
una
militanza
comunista
che
rispetti
le
attitudini
e
i
tempi
dei
militanti,
che
modifichi
l'organizzazione
del
lavoro
politico
per
poterlo
ridistribuire
e
potenziare.
Occorre
inoltre
cogliere
l'enorme
potenzialità
che
da
Seattle
al
movimento
zapatista
al
controvertice
di
Genova
hanno
dimostrato
i
nuovi
strumenti
dell'informatica
e
della
comunicazione
ai
fini
della
diffusione
del
movimento,
della
circolazione
delle
idee,
della
controinformazione
e
del
passaggio
dalla
conoscenza
all'azione.
Si
tratta
di
valorizzare
l'uso
di
questi
strumenti
costruendo
anche
all'interno
del
partito
una
diffusione
circolare
delle
informazioni,
l'interazione
tra
le
diverse
istanze
del
partito,
tra
i
circoli
e
i
militanti,
favorendo
così
il
coinvolgimento
di
ogni
iscritto
e
la
messa
a
frutto
delle
conoscenze
e
capacità
di
ognuno.
TESI
59
-
PER
MODIFICARE
L'ORGANIZZAZIONE
DEL
LAVORO
POLITICO
Cominciare
a
discutere,
al
centro
come
nelle
federazioni,
modalità
che
siano
capaci
di
superare
la
"verticalità"
gerarchico-burocratica,
gli
eccessi
di
individualismo,
le
separazione
incomunicanti
di
ruoli.
Senza
ricette
precostituite,
ma
con
la
voglia
di
sperimentare.
La
valorizzazione
del
saper
fare
ci
chiama
ad
una
modifica
dell'organizzazione
del
lavoro
del
partito
a
tutti
i
livelli.
Da
un
certo
punto
di
vista,
il
nostro
partito
soffre
di
un
limite
idealistico:
tende
a
viversi
come
puro
produttore
di
idee
e
proposte
politiche,
e
non
affronta
quasi
mai,
i
problemi
legati
alla
propria
realtà
e
costituzione
materiale.
Viceversa,
la
sua
metodologia
resta
affidata
a
un
modello
gerarchico-burocratico
puramente
"verticale",
sostanzialmente
privo
di
verifiche
e,
quindi,
anche
di
capacità
tanto
di
sperimentazione
quanto
di
correzione.
La
costruzione
di
una
organizzazione
del
lavoro
in
cui
il
prodotto
del
partito
non
sia
solo
la
discussione
interna
ma
anche
-
soprattutto
-
la
capacità
di
proiezione
esterna
ci
chiede
di
lavorare
per
obiettivi,
di
saper
costruire
un
coinvolgimento
più
largo
dei
dirigenti
e
degli
iscritti,
di
saper
mettere
in
discussione
la
divisione
del
lavoro
tra
dirigenti
e
diretti
anche
all'interno
del
partito.
Occorre
superare
una
situazione
in
cui
vi
è
una
sostanziale
inesistenza
nella
discussione
del
partito
di
ogni
riflessione
su
se
stesso
come
struttura
di
lavoro,
nonché
di
momenti
organizzati
di
verifica
e
bilancio
del
lavoro
svolto.
La
messa
in
discussione
delle
forme
gerarchiche
di
organizzazione
del
lavoro,
la
tendenziale
separazione
tra
incarichi
di
direzione
politica
e
incarichi
di
rappresentanza
istituzionale
e
l'introduzione
del
criterio
della
verifica
come
fatto
normale
e
fisiologico
nella
costruzione
dei
gruppi
dirigenti,
possono
costituire
anche
gli
elementi
per
superare
positivamente
un
eccesso
di
personalismo
e
di
attenzione
alla
propria
"carriera
individuale"
che
costituisce
un
fattore
di
inquinamento
della
vita
interna
del
partito.
Questo
dato,
che
è
indubbiamente
un
segnale
del
più
generale
processo
di
crisi
della
politica,
in
cui
il
riconoscimento
pubblico
del
proprio
ruolo,
l'assunzione
di
incarichi
"importanti",
la
sottolineatura
delle
gerarchie
sono
elementi
costitutivi;
queste
dinamiche
non
sono
estranee
alla
vita
del
partito
e
debbono
essere
affrontate
e
discusse.
Occorre
superare
le
strutture
gerarchiche
troppo
rigide
e
dare
più
spazio
all'informalità
non
codificata
delle
relazioni
tra
le
persone.
Si
apre
qui
un
terreno
di
sperimentazione
come
scelta
non
solo
utile
ma
obbligata.
Non
ci
sono
formule
da
proporre
ma
esperienze
da
praticare,
da
discutere
criticamente
per
arrivare
-
dentro
questo
percorso
-
a
costruire
una
diversa
organizzazione
del
lavoro.
Per
favorire
questo
processo
è
necessario
che
la
questione
della
formazione
politica
dei
compagni
e
delle
compagne
assuma
un
ruolo
ben
maggiore
di
quello
che
ha
avuto
sin'ora
nella
vita
del
partito.
TESI
60
-
PER
RADICARE
IL
PARTITO
NELLA
SOCIETA'
Al
centro
del
nostro
impegno,
c'è
il
radicamento
del
Prc
nei
luoghi
di
lavoro
e
di
studio,
nei
territori,
nelle
situazioni
di
conflitto
maturo.
Nell'ambito
di
un
allargamento
della
presenza
organizzata
del
partito,
si
deve
porre
la
priorità
politica
del
radicamento
del
partito
sui
luoghi
di
lavoro,
di
studio.
Proprio
la
necessità
di
superare
gli
elementi
testimoniali
ci
chiede
di
rafforzare
fortemente,
superando
remore
ingiustificate,
la
presenza
del
partito
li
dove
è
necessario
fare
inchiesta,
costruire
relazioni
sociali
e
conflitto.
Un
partito
che
non
si
percepisca
solo
come
rappresentante
delle
classi
subalterne
nelle
istituzioni
ma
come
strumento
impegnato
nella
costruzione
di
una
soggettività
conflittuale
delle
medesime
non
può
che
porre
il
problema
del
proprio
radicamento
sociale
al
centro
delle
proprie
attenzioni
e
a
tal
fine
impegnare
energie
e
risorse,
selezionare
quadri.
Un
partito
che
manifesta
il
suo
impegno
a
dialogare,
senza
nessuna
presunzione
di
primato,
convinto
del
proprio
progetto
ma
che
misura
le
proprie
proposte
con
verifiche
sociali
concrete,
consapevole
che
la
propria
crescita
è
connessa
allo
sviluppo
del
protagonismo
e
dell'autorganizzazione
delle
lavoratrici
e
dei
lavoratori,
dei
soggetti
sociali
e
dei
movimenti.
Un
partito
capace
quindi
di
operare
al
fine
di
ricostruire
i
luoghi
del
conflitto
sociale,
attivare
le
diverse
sensibilità
e
i
diversi
soggetti
sociali
della
lotta
anticapitalista,
contribuire
con
i
protagonisti
delle
battaglie
sociali
e
politiche
a
individuare
i
propri
alleati
e
gli
avversari
contro
cui
combattere.
Un
partito
impegnato
a
tessere
la
rete
degli
strumenti
di
lotta
unitari
e
la
convergenza
dei
diversi
movimenti
in
una
comune
prospettiva
di
alternativa,
nel
quadro
delineato
della
ricostruzione
dei
soggetti
della
trasformazione,
di
un
nuovo
movimento
operaio.
Anche
per
questo
occorre
superare
una
certa
separatezza
nella
costruzione
dei
percorsi
di
militanza
e
dei
gruppi
dirigenti
in
cui
alcuni
si
occupano
stabilmente
del
funzionamento
del
partito
e
altri
del
lavoro
politico
all'esterno.
Rompere
questa
divisioni
di
ruoli
-
a
tutti
i
livelli
-
è
la
condizione
per
costruire
un
partito
effettivamente
radicato
nel
sociale.
TESI
61
-
PER
COSTRUIRE
UN
CONFRONTO
POLITICO
TRASPARENTE
Il
centralismo
democratico
non
è
una
modalità
auspicabile.
Come
non
lo
è
un
regime
correntizio.
La
scelta
"giusta",
per
il
Prc,
è,
da
un
lato,
il
potenziamento
del
suo
ricco
pluralismo
interno,
dall'altro,
la
piena
democratizzazione
della
sua
vita
interna.
E'
poi
necessario
riflettere
sulle
forme
di
organizzazione
del
dibattito
interno.
Rifondazione
comunista
non
ha
mai
praticato
il
centralismo
democratico:
una
modalità
di
vita
interna
che
non
solo
non
è
"realistica",
nell'era
della
comunicazione
globale,
ma
che
certamente
confligge
con
le
istanze
diffuse
di
democrazia
e
l'esistenza
di
sensibilità,
culture
politiche,
tendenze
politico-culturali
radicate
da
sempre
nel
Prc.
Fermo
restando
che,
in
un
libero
dibattito
interno
quale
vogliamo
sviluppare,
siano
le
compagne
e
i
compagni
stessi
a
poter
scegliere,
di
volta
in
volta
in
funzione
delle
caratteristiche
della
discussione
in
atto
e
della
dialettica
che
si
produce
nella
riflessione
del
partito,
la
forma
concreta
con
cui
manifestare
convergenze
e
divergenze,
tuttavia
riteniamo
che
l'alternativa
al
centralismo
democratico
non
sia
un
regime
correntizio,
che
tende
a
cristallizzare
il
confronto
interno,
inibisce
la
volontà
dei
singoli,
precostituisce
sistemi
di
pensiero
"organico"
anche
la
dove
non
è
necessario.
La
scelta
che
noi
riteniamo
preferibile
si
basa
su
due
cardini:
da
un
lato,
il
forte
e
convinto
potenziamento
del
pluralismo
interno,
come
ricerca
storica
e
teorica,
lavoro
di
elaborazione,
confronto
libero
sui
temi
cruciali
che
costituiscono
a
tutt'oggi
in
larga
misura
il
terreno
della
rifondazione;
dall'altro,
l'avvio
di
una
campagna
di
democratizzazione
interna.
Nel
ridefinire
gli
ambiti
della
sovranità
-
i
ruoli
dei
circoli
e
delle
federazioni,
la
funzione
delle
strutture
nazionali,
il
rapporto
tra
nazionale
e
locale
-
essa
deve
contestualmente
ridelineare
le
priorità
politico-organizzative:
valorizzando
anche
e
soprattutto
nel
partito
la
costruzione
diretta
dell'iniziativa
politica
e
sociale,
l'espressione
diretta
dei
soggetti
sociali,
la
promozione
di
movimento
e
di
vertenze
sul
territorio.
Fatto
salvo
ovviamente
il
rispetto
delle
opzioni
politiche
espresse
nelle
diverse
sedi
congressuali
e
in
quelle
in
cui
si
definiscono
gli
orientamenti
politici,
nessun
quadro
del
Prc
dovrebbe
essere
costretto,
nei
fatti,
a
scelte
preventive
di
schieramento
interno,
per
essere
riconosciuto
come
tale,
così
come
nessun
militante
dovrebbe,
all'opposto,
rivendicare
un'appartenenza,
o
una
sub-appartenenza,
come
ragione
sufficiente
per
un
ingresso
negli
organismi
dirigenti:
ecco
un
criterio
relativamente
semplice,
seppur
costantemente
disatteso,
che
potrebbe
produrre
un
salto
di
qualità
nella
vita
del
partito.
TESI
62
-
PER
FAVORIRE
L'AUTORGANIZZAZIONE
DEI
SOGGETTI
SOCIALI
Un
partito
"costruttore
di
società"
prevede
-
e
valorizza
-
la
possibilità
dei
soggetti
sociali
di
organizzarsi
direttamente
nel
partito,
per
esprimere
la
propria
soggettività
Occorre
approfondire
la
funzione
del
partito
come
"costruttore
di
società".
La
costruzione
-
da
soli
o
in
relazione
ad
altri
soggetti
-
di
nuove
case
del
popolo,
di
luoghi
di
incontro
e
di
confronto
delle
diverse
soggettività
sociali,
deve
diventare
un
terreno
concreto
di
iniziativa
politica.
Questo
progetto
è
realizzabile
unicamente
se
i
Circoli,
oltre
ad
essere
l'elemento
fondamentale
della
costruzione
del
partito,
della
sua
linea
e
della
sua
iniziativa,
sapranno
diventare
un
luogo
di
aggregazione
delle
soggettività
sociali
culturali
e
politiche
che
sul
territorio
si
muovono
sul
terreno
dell'alternativa.
In
questo
quadro
deve
essere
potenziata
e
valorizzata
la
possibilità
per
i
soggetti
sociali
-
giovani,
donne,
lavoratori
-
di
organizzarsi
direttamente
nel
partito
per
esprimere
la
propria
soggettività.
A
partire
dalla
positiva
esperienza
dei
giovani
comunisti,
che
deve
essere
allargata
e
rafforzata,
va
favorita
la
costruzione
sul
territorio
dei
Forum
delle
donne,
delle
Consulte
dei
lavoratori
e
dei
Forum
dei
migranti,
allargando
la
funzione
del
partito
rivolta
alla
costruzione
di
spazi
utili
all'autorganizzazione
diretta
dei
soggetti
sociali.
TESI
63
-
PER
RADICARE
L'INTERVENTO
TRA
LE
GIOVANI
GENERAZIONI
La
precarietà
come
chiave
di
lettura
della
condizione
giovanile.
Il
ruolo
dei
giovani
comunisti
nella
costruzione
del
movimento.
Per
condurre
a
fondo
il
processo
di
autoriforma
del
partito,
una
forza
centrale
è
l'attivazione
delle
giovani
generazioni
e
l'assunzione
di
una
priorità
di
intervento
in
direzione
loro,
sia
sotto
il
profilo
della
prassi
politica
che
attraverso
la
costruzione
dell'organizzazione
giovanile
del
Prc.
Il
paradigma
della
precarietà,
che
abbiamo
definito
generale
nella
rivoluzione
neocapitalista,
si
applica
in
primo
luogo
proprio
alla
"condizione
giovanile"
e
determina
il
suo
ruolo
materiale
nel
quadro
dei
rapporti
sociali
di
classe.
La
disoccupazione
e
l'inoccupazione,
la
svalorizzazione
e
l'espropriazione
dei
diritti
e
delle
garanzie
del
lavoro,
fino
ad
una
nuova
e
superiore
alienazione,
il
comando
del
profitto
sui
saperi
sempre
più
centrali
nella
produzione
di
valore,
il
controllo
pervasivo
della
vita
quotidiana
anche
attraverso
la
privazione
di
spazi
di
socialità
ricca,
l'appropriazione
capitalistica
delle
stesse
forme
di
vita
nel
loro
insieme,
sono
tratti
caratteristici
di
quest'epoca
del
dominio
del
mercato:
in
essa,
si
affaccia
una
generazione
che
dal
futuro,
senza
mutamenti,
può
attendersi
solo
una
condizione
peggiore,
per
la
prima
volta
dopo
la
seconda
guerra
mondiale,
di
quella
che
l'aveva
preceduta.
In
questo
senso
vanno
letti
i
movimenti
degli
ultimi
anni
e
mesi,
che
proprio
nel
protagonismo
di
giovani
e
giovanissimi
vedono
un
inizio
di
replica
conflittuale
e
alternativa
a
tale
stato
di
cose.
Il
movimento
presente
materializza
per
le
nuove
generazioni
la
sola
occasione
per
una
riconquista
di
massa
della
dimensione
politica,
e
per
la
sua
liberazione
dall'abbraccio
mortale
della
gestione
di
un
potere
sempre
più
distante
e
nemico:
"un
altro
mondo
è
possibile"
è
parola
d'ordine
che
evoca
in
primo
luogo,
per
queste
generazioni,
il
tema
centrale
della
riappropriazione
del
proprio
futuro
e
d'una
cittadinanza
ricostruita
nella
partecipazione
al
conflitto
e
alla
trasformazione.
I
Giovani
Comunisti
sono
stati,
fin
dall'inizio,
uno
dei
soggetti
politici
più
attivi
nella
costruzione,
nel
nostro
paese,
del
"movimento
dei
movimenti",
presentando
così
i
tratti
di
una
feconda
anomalia
rispetto
alla
storia
e
al
panorama,
fino
a
qualche
tempo
fa,
delle
organizzazioni
giovanili
comuniste
e
di
sinistra,
troppo
spesso
incapaci
di
aprirsi
davvero
alla
ricerca
di
nuove
prassi
rivoluzionarie
e
di
riconoscere
la
dimensione
soggettiva
del
movimento
reale
e
porsi
al
servizio
della
sua
crescita.
I
Giovani
Comunisti
non
hanno
cercato
e
trovato
nelle
recenti
mobilitazioni
solo
un
maggior
riconoscimento:
bensì
e
soprattutto
hanno
cercato
e
trovato
una
nuova
fase
di
vita,
in
cui
farsi
attraversare
dalla
sperimentazione
che
coinvolge
il
corpo
sociale
del
movimento
e
in
cui
aprirne
un'altra,
sul
terreno
dell'organizzazione
non
più
disgiunto
da
quello
della
comune
costruzione
del
movimento
stesso.
In
questa
direzione
è
andata
anche
la
scelta
di
tentare
un
esperimento
prioritario,
quello
definito
nel
"Laboratorio
della
disobbedienza
sociale":
tutt'altro
dalla
riproposizione
di
una
"stretta"
organizzativista
su
una
parte
del
movimento
e
tanto
più
dall'annullamento
del
valore
dell'organizzazione
in
un
afflato
spontaneista
e
immediatista,
ma
invece
una
sfida
importante
di
comunicazione
e
confronto
tra
culture
nella
stessa
intenzione
di
promuovere
il
conflitto,
al
contempo
costruendo
consenso
attivo
e
partecipativo.
I
Giovani
Comunisti
contribuiranno
ulteriormente
a
questa
discussione
definendo
il
proprio
autonomo
profilo
nella
loro
Conferenza
Nazionale.
Hanno
sottoscritto
il
documento:
BERTINOTTI,
CRIPPA,
FERRERO,
FRALEONE,
GRASSI,
PEGOLO,
ZUCCHERINI,
BELLUCCI,
CACCIARI,
CAMMARDELLA,
CANONICO,
CAPPELLONI,
CAPRILI,
CASATI
BRUNO,
CERBONE,
CURZI,
DE
CRISTOFARO,
DE
SIMONE
TITTI,
DEIANA,
EMPRIN
,
FAVARO,
FORGIONE,
GAGLIARDI,
GHIGLIONE,
GIANNI,
GIORDANO,
GUAGLIARDI,
LOCATELLI,
MAITAN,
MALABARBA,
MANGIANTI,
MANTOVANI
RAMON,
MASCIA,
MASELLI,
MIGLIORE,
MUSACCHIO,
NARDINI,
NESCI,
NOCERA,
PAPANDREA,
RICCI
MARIO,
RUSSO
FRANCO,
RUSSO
SPENA,
SENTINELLI,
SIMONETTI,
SORINI,
TURIGLIATTO,
VACCARGIU,VALENTINI,VENDOLA,VINCI,VINTI,
ABBA',
ACCARDO,
ACERBO,
ACETO,
AITA,
ALASIA,
ALBONETTI,
ALFONZI,
ALLOCCA,
ALTAVILLA,
AMATO,
ANTONAZ,
ANTONIELLA,
ARMENI,
ATTILIANI,
AURORA,
AZZALIN,
BALDI,
BANDINELLI,
BARACCO,
BARASSI,
BARBAGELATA,
BARONTI,
BARZAGHI,
BELISARIO,
BELLOFIORE,
BENVEGNU',
BERLINGUER,
BERTOLO,
BERTORELLO,
BOGHETTA,
BONADONNA,
BONATO,
BONFORTE,
BONOMETTI,
BORDO,
BOZZI,
BRACCI
TORSI,
BRISTOT,
BURGIO,
BUTTIGNON,
CAMPANILE,
CANCIANI,
CANONICO,
CANTONI,
CAPACCI,
CAPELLI,
CARDONE,
CARRAZZA,
CARTA,
CARTOCCI,
CASATI
GIOVANNA,
CATALANO,
CATANIA,
CHECCHI,
CIMASCHI,
CIMMINO,
CO',
COGODI,
COLOMBINI,
COLZANI,
COMMODARI,CONFALONIERI,
CONSOLO,
CONTI,
CORRENTE,
COSIMI,
CRISTIANO,
D'ACUNTO,
D'AIMMO,
D'ALESSANDRO,
D'ANGELI,
DANINI,
D'AVOSSA,
DE
CESARIS,
DE
PALMA,
DE
PAOLI,
DE
SANTIS,
DE
SIMONE
PAOLO,
DI
GIOIA,
DI
SABATO,
DONDA,
DUCCINI,
FABIANI,
FANTOZZI,
FASOLI,
FAZZESE,
FERRARA,
FERRARI
GIANLUCA,
FERRARI
SAVERIO,
FERRETTI,
FIRENZE,
FONDELLIFRATOIANNI,
FRENDA,
GABRIELE,
GALLO,
GAMBUTI,
GELMINI,
GIANNINI,
GIAVAZZI,
GIORGI,
GITTO,
GRANOCCHIA,
GROSSO,
GUGLIELMI,
JERVOLINO,
JORFIDA,
KIWAN,
LEONI,
LIBERA,
LICHERI,
LINGUITI,
LOMBARDI
ALDO,
LOMBARDI
ANGELA,
LOMBARDI
MIRKO,
LOMBARDI
ROBERTO,
LONGO,
LOSAPPIO,
LUCINI,
LUNIAN,
MACRI',
MAJORANA,
MALENTACCHI,
MALINCONICO,
MAMMARELLA,
MANGIA,
MARAGLINO,
MARAIA,
MARCHETTINI,
MARCHIONI,
MARCONE,
MARCONI,
MAROTTA
ANGELO,
MAROTTA
ANTONIO,
MARTINO,
MASELLA,
MELIS,
MENCARELLI,
MERLINI,
MILANI,
MINISCI,
MITA,
MONTANILE,
MONTECCHIANI,
MORANDI,
MORDENTI,
MORETTI,
MORINI,
MORO,
MOSCATO,
MOZZETTA,
MUGNAI,
MULAS,
MULLIRI,
MURA,
NICOTRA,
NIERI,
NINCHERI,
NOVARI,
NUCERA,
OKROGLIC,
OREFICE,
ORTU,
PACE,
PALOZZA,
PAOLINO,
PASI,
PATELLI,
PATRITO,
PECORINI,
PEDUZZI,
PERUGIA,
PESACANE,
PESCE,
PETRUCCI,
PETTENO',
PIERINI,
PIETRANGELI,
PINTUS,
PIOMBO,
PLATANIA,
POETA,
POSELLI,
POZZOBON,
PRANDINI,
PRIMAVERA,
PUCCI
ALDO,
PUCCI
ROBERTO,
RAZZANI,
RICCI
ANDREA,
RICCIONI,
RIGACCI,
RIVELLI,
RIVERA,
ROSSI,
SACCHI,
SANSOE',
SANTORUM,
SARDONE,
SAVELLI,
SCIANCATI,
SCONCIAFORNI,
SCREPANTI,
SEMERARO,
SGHERRI,
SIMEONE,
SIMINI,
SIRONI,
SOBRINO,
SPECCHIO,
SPERANDIO,
SPERANZA,
STERI,
STUFARA,
TANARA,
TANGOLO,
TAVELLA,
TEDDE,
TETTAMANTI,
TORRESAN,
TORRICELLI,
TOSI,
TRIA,
TRIBI,
TRIVELLIZZI,
TRONI,
TROTTA,
TROVATO,
TRUFFA,
VALENTI,
VALLEISE,
VALPIANA,
VERZEGNASSI,
VIANI,
VLACCI,
VOCCOLI,
VOZA.