Congresso PRC
emendamenti della maggioranza
TESI
14
(alternativa)
GLOBALIZZAZIONE
IMPERIALISTA,
LOTTA
PER
LA
PACE
E
SCIOGLIMENTO
DELLA
NATO
(sostitutiva
delle
tesi
14
e
15)
Siamo
per
lo
scioglimento
della
Nato,
strumento
di
guerra
e
di
espansione
imperialista,
di
condizionamento
dell'autonomia
dell'Italia
e
dell'Europa
da
parte
degli
Stati
Uniti.
Siamo
per
l'allontanamento
di
tutte
le
basi
militari
straniere,
di
tutte
le
armi
nucleari
dislocate
in
Italia.
Siamo
per
la
ratifica
degli
accordi
di
Kyoto
sull'ambiente,
per
la
difesa
del
trattato
Abm
del
1972
che
vieta
ogni
ipotesi
di
scudo
spaziale;
per
trattati
vincolanti
e
verificabili
contro
la
militarizzazione
dello
spazio,
che
vietino
nuovi
test
nucleari
e
mettano
al
bando
tutte
le
armi
di
sterminio:
atomiche,
chimiche
e
batteriologiche,
che
pesano
come
un
incubo
sul
futuro
dell'umanità.
In
nome
della
"lotta
al
terrorismo
internazionale",
gli
Usa
-
che
non
per
caso
si
oppongono
ai
trattati
sul
disarmo
-
stanno
attuando
una
linea
di
supremazia
militare
globale
per
vincere
la
competizione
per
l'egemonia
nel
21°
secolo.
I
teatri
di
guerra
dell'ultimo
decennio
(Iraq,
nel
cuore
del
Medio
oriente;
Balcani
e
Afghanistan,
nel
cuore
dell'Eurasia)
investono
regioni
in
cui
si
trovano
le
più
grandi
riserve
energetiche
del
pianeta
(petrolio
e
gas
naturale)
e
gli
oleodotti
e
i
gasdotti
che
le
trasportano.
Il
loro
controllo
assicura
posizioni
dominanti
nell'economia
mondiale.
Nel
1945
gli
Usa
esprimevano
il
50%
dell'economia
mondiale
(Pil),
oggi
sono
il
25%,
pari
all'Unione
europea.
Il
Giappone
è
all'11%.
Secondo
l'Ocse,
tra
un
ventennio
le
tre
maggiori
entità
del
mondo
capitalistico
-
e
segnatamente
gli
Usa
-
vedrebbero
dimezzate
le
rispettive
quote,
a
vantaggio
di
nuove
potenze
regionali
emergenti
(Brasile,
Indonesia,
Russia,
Cina,
India,
mondo
arabo
…).
La
prospettiva
di
un
mondo
sempre
più
multipolare
induce
la
parte
più
aggressiva
dell'amministrazione
Usa
a
contrastare
la
possibile
perdita
del
primato
economico
attraverso
il
conseguimento
di
una
schiacciante
superiorità
militare
sul
resto
del
mondo,
se
necessario
con
la
guerra.
Sono
in
primo
luogo
gli
Usa
che
hanno
voluto
la
guerra
in
Iraq,
in
Serbia,
in
Afghanistan.
Gli
altri
paesi
della
Nato
(e
il
Giappone),
quando
vi
hanno
preso
parte
anche
militarmente,
lo
hanno
fatto
consapevolmente,
per
non
rimanere
esclusi
dalla
spartizione
delle
zone
di
influenza
che
ogni
guerra
comporta.
Come
dimostrano
anche
i
contrasti
connessi
alla
formazione
del
nuovo
governo
di
Kabul,
non
esiste
una
"coalizione
internazionale"
con
basi
strategiche
e
durature
tra
Stati
Uniti,
Europa,
Giappone,
Russia,
Cina,
India,
Pakistan,
paesi
arabi
(realtà
tra
loro
troppo
diverse
per
struttura
sociale,
profilo
politico
e
interessi
geo-strategici).
Vi
sono
invece
interessi
di
Realpolitik,
fondati
su
convenienze
reciproche
e
congiunturali,
che
non
prefigurano
alcun
"direttorio
mondiale"
unificato.
Non
esiste
né
un
mondo
né
un
"capitalismo
globale"
compatto
e
omogeneo,
privo
di
contraddizioni
tra
i
grandi
capitalismi
e
imperialismi
nazionali
o
regionali,
e
tra
i
rispettivi
Stati
nazionali
o
raggruppamenti
di
Stati
(Unione
europea)
che
ne
supportano
gli
interessi
nella
competizione
globale.
I
capitali
di
comando
delle
prime
200
società
multinazionali
che
condizionano
l'economia
e
la
finanza
mondiale,
pur
avendo
filiali
in
tutti
i
continenti,
sono
in
buona
parte
riconducibili
a
questo
o
quel
gruppo
nazionale,
solidamente
intrecciate
col
potere
politico
del
proprio
Stato
(come
è
il
caso
della
Fiat
in
Italia,
della
Toyota
in
Giappone,
della
General
Motors
negli
Usa,
della
Volkswagen
in
Germania).
Ciò
spiega
anche
la
competizione
tra
dollaro,
marco
e
yen;
i
forti
contrasti
che
continuamente
si
ripropongono
ai
vertici
del
Wto,
che
hanno
fatto
fallire
quello
di
Seattle
e
messo
in
crisi
l'ultimo
a
Doha;
i
ricorrenti
contrasti
Usa-Ue
(e
nell'Unione
europea),
sulla
difesa
militare,
su
Echelon,
sul
profilo
politico-istituzionale
dell'Unione
e
sul
suo
allargamento
ad
Est,
sui
rapporti
con
Israele,
col
mondo
arabo,
coi
Balcani
o
con
l'Africa
australe,
dove
le
guerre
per
procura
hanno
causati
negli
ultimi
anni
tre
milioni
di
morti
solo
in
Congo.
La
crisi
recessiva
accentua
la
competizione
per
l'egemonia.
Globalizzazione
capitalistica,
imperialismo
e
competizione
globale
sono
facce
di
un'unica
medaglia,
non
categorie
interpretative
tra
loro
incompatibili.
E'
necessario
un
aggiornamento
dell'analisi
dell'imperialismo
contemporaneo,
che
tenga
conto
delle
modifiche
dei
processi
di
accumulazione.
Ma
non
si
giustifica
l'abbandono
di
questa
categoria
interpretativa,
che
resta
parte
essenziale
dell'analisi
teorico-politica
delle
forze
comuniste
e
rivoluzionarie
del
mondo
intero
(da
Cuba
alle
Farc
colombiane,
dai
comunisti
del
Sudafrica
a
quelli
indiani
e
palestinesi,
che
la
realtà
dell'imperialismo
la
vivono
quotidianamente
e
brutalmente
sulla
loro
pelle).
Anche
il
capitalismo
dei
tempi
di
Marx
era
molto
diverso
da
quello
attuale,
ma
continuiamo
a
definirlo
così
perché
ne
conserva
le
fondamenta
"sistemiche",
a
partire
dal
conflitto
irriducibile
tra
capitale
e
lavoro.
Lenin
indicava
così
"i
cinque
principali
contrassegni"
dell'imperialismo:
la
concentrazione
della
produzione
e
del
capitale
in
grandi
monopoli,
divenuti
oggi
enormi
complessi
multinazionali;
la
fusione
di
capitale
bancario
e
capitale
industriale
-
il
capitale
finanziario
-
e
la
formazione
di
un'oligarchia
della
grande
finanza
(le
cui
caratteristiche
odierne,
accentuatesi,
sono
ben
descritte
nella
Tesi
5);
il
crescente
livello
dell'esportazione
di
capitali
rispetto
all'esportazione
di
merci;
il
sorgere
di
associazioni
internazionali
di
capitalisti
che
si
spartiscono
il
mondo
e
la
conseguente
competizione
tra
le
maggiori
potenze
capitalistiche
per
la
ripartizione
delle
zone
di
influenza,
che
è
oggi
sotto
gli
occhi
di
tutti.
L'analisi
dei
tratti
più
nuovi
dell'imperialismo
dei
giorni
nostri
è
compito
imprescindibile
di
una
ricerca
aperta
che
non
pretenda
di
giungere
affrettatamente
a
definizioni
conclusive.
La
competizione
tra
paesi
capitalistici
-
che
non
sempre
e
non
necessariamente
produce
guerre
mondiali
(tanto
più
quando,
come
oggi,
lo
strapotere
militare
di
uno
di
essi
è
soverchiante)
-
ha
i
suoi
momenti
di
concertazione
e
di
coordinamento
(Fmi,
Banca
mondiale,
Wto,
G7-G8),
volti
a
preservare
gli
interessi
complessivi
del
sistema,
a
mediare
i
suoi
contrasti
interni
cercando
di
impedirne
una
rovinosa
precipitazione.
Ma
questi
organismi
sono
dominati
dai
maggiori
Stati
capitalistici
del
mondo,
non
già
da
un
anonimo
"capitale
globale".
E
quando
scoppiano
le
guerre,
sono
questi
Stati
a
condurle,
da
soli
o
in
coalizione
con
altri.
Il
punto
è
che
non
tutti
gli
Stati
sono
uguali:
mentre
le
maggiori
potenze
imperialistiche,
a
partire
dagli
Usa,
vedono
un
rafforzamento
della
loro
funzione
politica
e
militare
nella
competizione
mondiale
(anche
attraverso
il
controllo
di
governi
"amici"
e
subalterni),
la
grande
maggioranza
degli
Stati
nazionali
piccoli
e
medi
soffre
una
crisi
profonda,
vede
una
crescente
riduzione
di
ruolo
e
di
effettiva
sovranità
in
un
mondo
sempre
più
dominato
dall'imperialismo.
Il
pericolo
di
una
guerra
globale
nel
21°
secolo
(evocato
anche
dal
Papa),
della
cui
possibilità
parlano
apertamente
alcuni
dei
dirigenti
più
oltranzisti
dell'amministrazione
Bush,
e
di
un
allargamento
della
guerra
in
corso
ben
oltre
i
confini
dell'Afghanistan,
ripropone
l'imperativo
non
più
rinviabile
della
costruzione
di
un
nuovo
movimento
mondiale
per
la
pace,
che
comprenda
forze
politiche
e
sociali,
sindacali
e
religiose,
popoli
e
governi
di
ogni
continente.
Un
movimento
di
cui
sia
forza
propulsiva
il
nuovo
movimento
"no
global",
che
assuma
la
lotta
contro
la
guerra
come
asse
portante
della
propria
identità
e
unità
e
rafforzi
il
suo
legame
col
movimento
operaio.
Capace
di
integrare
e
connettere
le
aspirazioni
convergenti
dei
"popoli
di
Seattle"
e
di
Porto
Alegre
con
quelle
dei
"popoli
di
Durban".
Vi è qui un compito primario per i comunisti, per tutte le forze rivoluzionarie, antagoniste e antimperialiste del mondo, che - nel rispetto delle diversità e dell'autonomia di ognuno - debbono rafforzare solidarietà e impegno comune, superando chiusure nazionali e tentativi artificiosi di divisione, di fronte a gravi minacce alla pace e a fondamentali libertà democratiche. Sapendo che la lotta contro la guerra impone la costruzione di uno schieramento mondiale il più largo possibile, che sappia concentrare le forze contro i settori più aggressivi dell'imperialismo, soprattutto americano, che puntano al peggio. Quando vediamo che, in nome della lotta al terrorismo, cominciano a operare negli Stati Uniti tribunali speciali, non vincolati al rispetto della Costituzione, dove si comincia a distinguere tra i diritti dei cittadini americani e quelli degli immigrati (per lo più di colore), una riflessione si impone sull'intreccio perverso di autoritarismo politico, razzismo e spinta alla guerra, che questa nuova fase dello sviluppo imperialistico può portare in grembo nel 21° secolo che ci attende.
GRASSI, PEGOLO, BRACCI TORSI, CAPPELLONI, SACCHI, CASATI BRUNO, FAVARO, GHIGLIONE, GUAGLIARDI,MANGIANTI, SORINI, VALENTINI, ABBA', BANDINELLI, BELISARIO, BURGIO, CANCIANI, CANONICO, CAPACCI, CIMASCHI, COLOMBINI, CORRENTE, CRISTIANO, DE PAOLI, GAMBUTI, GIANNINI, GIAVAZZI, KIWAN, LEONI, LICHERI, LONGO, LUCINI, MACRI', MARCHIONI, MASELLA, MONTECCHIANI, MORO, MULAS, NOVARI, OKROGLIC, ORTU, PACE, PATELLI, PETRUCCI, PINTUS, PUCCI ALDO, RICCIONI, SCONCIAFORNI, SIMINI, SOBRINO, STERI, TEDDE, TORRESAN, VALLEISE, VERZEGNASSI.
TESI
30
(alternativa)
IL FALLIMENTO STRATEGICO DEL CENTROSINISTRA E DEI DS
La
sconfitta
elettorale
del
centrosinistra,
nella
primavera
del
2001,
è
stata
prima
di
tutto
una
sconfitta
in
proprio.
Non
è
stata
cioè
determinata
dalla
crescita
di
consensi
del
centrodestra,
ma
dal
mancato
recupero
di
una
parte
consistente
del
proprio
elettorato,
deluso
dal
quinquennio
di
governo
dell'Ulivo.
Un
esito
critico
non
solo
nazionale:
il
centrosinistra
"mondiale",
da
Clinton
a
Blair,
ha
fallito
nella
sua
scommessa
principale,
quella
di
realizzare
un
neoriformismo
di
tipo
liberista,
sia
pure
graduale
e
temperato.
In
Italia,
questo
fallimento
ha
assunto
la
fisionomia
di
scelte
economiche,
sociali
e
istituzionali
distinguibili
da
quelle
del
centrodestra
soltanto
dal
punto
di
vista
quantitativo:
in
particolare,
ha
prevalso
la
logica
delle
privatizzazioni,
delle
liberalizzazioni,
del
progressivo
deperimento
del
ruolo
redistributivo
dello
Stato,
della
subalternità
ai
grandi
potentati
economici.
L'Ulivo
è
apparso
alternativo
al
centrodestra
solo
sul
terreno
di
alcuni
valori
di
civiltà,
senza
che
ne
siano
per
altro
seguite
pratiche
politiche
davvero
caratterizzanti.
In
questo
contesto,
spicca
la
crisi
dei
Democratici
di
sinistra,
che
il
recente
congresso
di
Pesaro
non
ha
risolto,
ma
se
mai
aggravato:
giacchè,
analogamente
a
quello
che
accade
nel
sindacato,
non
si
tratta
di
difficoltà
occasionali,
ma
di
uno
spiazzamento
e
di
un
disorientamento
di
fondo.
Tuttavia
le
varie
espressioni
della
sinistra
Ds,
oltre
che
dello
schieramento
verde,
vanno
considerate
con
attenzione
quando
si
sottraggano
ad
una
deriva
neoliberale
ed
incontrino
le
istanze
di
lotta
contro
il
liberismo
e
contro
la
guerra.
Più in generale, i gruppi dirigenti della sinistra moderata appaiono non solo incapaci di uscire dalla gabbia dell'alleanza di centrosinistra e di avviare una revisione critica del proprio orizzonte liberale e liberista, ma sostanzialmente prigionieri di una continua rincorsa verso il centro, e verso la ricollocazione neocentrista dell'Ulivo. La crisi d'identità e di fisionomia dei Ds, che tormenta il partito ormai da più di dieci anni - dalla svolta della Bolognina e dallo scioglimento del Pci - si va sciogliendo quasi interamente in direzione liberale e centrista.
La
scelta
di
appoggiare
la
guerra
globale
di
Bush
ne
è
la
conferma
più
chiara
ed
angosciante.
La
deriva
neo
atlantica
da
tempo
presente
nei
Ds
con
questa
scelta
si
trasforma
in
linea
politica.
In
questo
quadro
assai
preoccupante,
va
valuta
con
interesse
ed
attenzione
la
posizione
della
sinistra
dei
Ds,
emersa
anche
nel
congresso
di
Pesaro,
che
pure
interna
ad
una
posizione
riformista
ha
manifestato
la
propensione
a
non
schiacciarsi
verso
il
centro,
nella
ricerca
di
scelte
politiche
più
radicali
rispetto
al
liberismo
dominante
e
manifestando
un
interesse
positivo
verso
le
istanze
proposte
dal
movimento
antiglobalizzazione.
E'
un
segnale
che
non
va
enfatizzato
ma
neppure
sottovalutato
nella
nostra
più
generale
propensione
a
consolidare
anche
nella
sfera
politica
come
in
quella
sociale
ogni
relazione
possibile,
utile
a
sviluppare
la
lotta
contro
il
liberismo,
contro
la
guerra,
contro
gli
effetti
devastanti
della
globalizzazione.
CONFALONIERI, FERRARI, BORDO, BOZZI, Giovanna CASATI, COLZANI, MARAGLINO, PRANDINI, SCIANCATI, BANDINELLI
TESI
37
(alternativa)
LA
NOSTRA
PROSPETTIVA
La
costruzione,
come
obiettivo
strategico
di
fase,
di
una
sinistra
alternativa
si
lega
come
passaggio
alla
prospettiva
di
una
alternativa
di
governo,
sbocco
di
un
percorso
politico
e
della
creazione
di
uno
schieramento
sociale
in
grado
di
sconfiggere
il
blocco
delle
destre.
In
questo
quadro
la
prospettiva
della
sinistra
plurale,
cioè
di
un
campo
più
ampio
di
quello
sin
qui
descritto
e
il
coinvolgimento
in
esso
di
settori
consistenti
della
sinistra
moderata
e
riformista
rimane
irrinunciabile,
pur
apparendo
nell'immediato
il
cammino
reso
più
difficile
e
tormentato
dalle
scelte
compiute
dalla
maggioranza
dei
Ds
e
dell'Ulivo
di
schierarsi
con
la
guerra
e
con
l'ingresso
nel
conflitto
da
parte
del
nostro
paese,
cui
si
aggiunge
una
crescente
insensibilità
verso
le
questioni
sociali
e
la
subordinazione
culturale
e
politica
ai
paradigmi
del
liberismo.
Per
tutti
questi
motivi
dobbiamo
sapere
articolare
la
nostra
proposta
politica,
trovare
le
forme
per
portarla
sul
terreno,
per
noi
strategico
e
decisivo,
della
società
e
dei
movimenti,
ove
dobbiamo
spostare
con
decisione
il
baricentro
della
nostra
iniziativa
per
una
uscita
plurale
e
dal
basso
dalla
crisi
della
sinistra.
Nello
stesso
tempo
dobbiamo
praticare
la
nostra
proposta
nelle
istituzioni
e
nel
sistema
delle
relazioni
politiche
a
ogni
livello.
Dobbiamo
perciò
sapere
condurre
direttamente
vertenze
territoriali,
sulla
base
di
un'articolazione
di
obiettivi
che
nessuna
piattaforma
per
quanto
perfetta
può
da
sola
risolvere,
ma
da
cui
anzi
quest'ultima
deve
essere
continuamente
arricchita.
Dobbiamo
intendere
e
praticare
la
nostra
presenza
negli
Enti
Locali
sia
come
costruzione
di
elementi
di
controtendenza
rispetto
al
quadro
politico
nazionale
-
nelle
modalità
di
governo
e
nelle
relazioni
e
alleanze
politiche
-;
sia
come
capacità
di
fare
avanzare
in
modo
concreto
gli
obiettivi
e
le
rivendicazioni
che
partono
dalla
individuazione
dei
bisogni
popolari;
sia
per
mantenere
aperta
e
viva
l'interlocuzione
tra
i
movimenti
e
gli
organi
di
governo
locale,
sia
per
avanzare
nuove
esperienze
che
permettano
di
tradurre
in
pratica
un
incrocio
tra
democrazia
diretta
e
delegata,
e
quindi
per
iniziare
dal
basso
un
processo
di
ridemocratizzazione
su
basi
nuove
della
nostra
società.
L'istituto
del
"bilancio
partecipato"
che
ci
giunge
dall'esperienza
della
municipalità
di
Porto
Alegre,
rappresenta
in
questo
quadro
un'esperienza
preziosa
e
paradigmatica
da
generalizzare
e
applicare
alle
nostre
condizioni.
CONFALONIERI, FERRARI, BORDO, BOZZI, Giovanna CASATI, MARAGLINO, COLZANI, SCIANCATI, BANDINELLI
TESI 38 (alternativa)
N NUOVO MOVIMENTO OPERAIO E DEI LAVORATORI
Dal
punto
di
vista
sociale
il
nostro
agire
si
rivolge
in
primo
luogo
a
tutti
i
soggetti
sociali
vittime
di
uno
stato
di
sfruttamento
e
di
alienazione.
Come
abbiamo
visto
la
rivoluzione
capitalistica
restauratrice
intervenuta
in
questi
anni
ha
provocato
uno
sconvolgimento
nella
morfologia
delle
classi
subalterne
e
in
particolare
un
processo
di
ampliamento
e
di
frantumazione
del
lavoro
a
diverso
titolo
subordinato.
Da
un
lato
infatti
le
figure
sociali
hanno
perso
contorni
netti
-si
pensi
alla
moltiplicazione
e
allo
sminuzzamento
delle
posizioni
contrattuali-,
dall'altro
lato
assistiamo
ad
una
sussunzione
diretta
nel
processo
di
valorizzazione
del
capitale
di
figure,
o
di
attività
in
capo
alle
stesse
persone,
che
un
tempo
si
collocavano
nel
campo
della
riproduzione
della
forza
lavoro,
cioè
fuori
dal
lavoro
produttivo
inteso
in
senso
stretto.
Non
si
tratta
di
fenomeni
assolutamente
nuovi,
come
non
è
un'invenzione
di
adesso,
il
dibattito
sui
confini
che
separano
il
lavoro
produttivo
da
quello
improduttivo,
quello
materiale
da
quello
intellettuale,
ma
è
indubbio
che
questi
fenomeni
sono
oggi
assai
ampliati
rispetto
al
passato.
Il
lavoro,
che
è
sempre
astratto
dal
punto
di
vista
del
capitale,
oggi
assume
una
forma
che
concretamente
si
avvicina
a
questo
suo
carattere.
Accanto
all'enorme
crescita
della
precarizzazione,
aumenta
la
disoccupazione
di
massa
che
è
più
che
raddoppiata
rispetto
agli
anni
'70.
Si
manifesta
un
processo
di
crisi
nell'estensione
del
rapporto
di
lavoro
salariato,
nel
senso
che
molte
attività
sono
a
tutti
gli
effetti
lavori
al
servizio
diretto
del
capitale
-
e
dunque
il
lavoro
non
solo
non
finisce,
ma
si
estende
-,
anche
se
non
vengono
economicamente
e
socialmente
riconosciute
come
tali.
Questo
fenomeno
conferma
in
sé
una
carica
potenzialmente
rivoluzionaria,
poiché
indica
l'irriducibilità
di
fondo
del
lavoro
vivo
ad
essere
integralmente
sottomesso
al
capitale.
La
contraddizione
capitale-lavoro
è
dunque
sempre
più
acuta
e
generalizzata
nella
società,
ma
i
soggetti
che
investe
sul
versante
del
lavoro,
e
sui
quali
si
articola
sono
molteplici
e
divisi.
Conseguentemente
l'individuazione
dei
referenti
sociali
nella
costruzione
dell'alternativa
non
può
essere
affidata
ai
paradigmi
del
passato,
né
si
può
concepire
lo
schieramento
sociale
dell'alternativa
come
una
semplice
riedizione
dei
classici
concetti
di
blocco
sociale,
per
cui
attorno
alla
classe
rivoluzionaria
per
eccellenza,
che
costituiva
il
motore
umano
del
processo
produttivo,
andavano
uniti
ceti
superiori
o
le
classi
che
avevano
perso
di
centralità
a
causa
del
pieno
avvento
del
capitalismo
industriale.
Il
problema
principale
è
oggi
ricomporre
l'insieme
dei
soggetti
vittime
dello
sfruttamento
e
dell'alienazione
che
sono
divisi
e
contrapposti
dalla
ristrutturazione
capitalistica,
in
un
nuovo
movimento
operaio,
e
per
questa
via
poter
anche
riformulare
una
nuova
concezione
di
blocco
sociale,
capace
di
raccogliere
e
rivolgersi
all'insieme
delle
figure
lavorative
sfruttate
e
alienate,
ai
ceti
intermedi,
ai
poveri
e
agli
esclusi.
Le
recenti
esperienze
di
lotta
che
vedono
assieme
i
metalmeccanici
con
il
nuovo
movimento
no-global,
anche
grazie
ad
un
comune
tratto
generazionale,
indicano
che
questo
obiettivo
è
non
solo
necessario
ma
possibile.
In
esso
possono
avere
più
peso
le
figure
sociali
che
occupano
i
luoghi
decisivi
della
produzione
di
plusvalore
all'interno
del
processo
di
accumulazione
capitalistica,
ma
la
loro
individuazione
resta
un
compito,
non
solo
un
dato
di
partenza.
Per
queste
ragioni
l'individuazione
dei
referenti
sociali
della
nostra
azione
politica
comincia
con
il
lavoro
di
inchiesta:
perché
solo
attraverso
questo
è
possibile
conoscere
le
condizioni
e
i
bisogni
di
queste
figure
sociali
e
stabilire
con
esse
una
relazione
dinamica
che
già
di
per
sé
costituisce
una
pratica
politica
e
non
solo
conoscitiva.
CONFALONIERI, FERRARI, BORDO, BOZZI, Giovanna CASATI, COLZANI, MARAGLINO, SCIANCATI, BANDINELLI
TESI
39
(alternativa)
LA
CRESCITA
DEL
MOVIMENTO
L'irrompere
sulla
scena
mondiale
del
"popolo
di
Seattle"
non
ha
trovato
impreparata
Rifondazione
comunista:
per
merito
sia
dell'impianto
analitico
di
cui
il
partito
si
era
da
tempo
dotato
(sulla
rivoluzione
capitalista,
sui
nuovi
processi
di
globalizzazione,
sui
segnali
di
crisi
di
questi
processi)
sia
della
sua
capacità
di
essere,
con
la
propria
soggettività,
parte
integrante
del
movimento,
contro
ogni
antica
tentazione
di
coscienza
esterna.
Grazie
anche
alla
pratica
politica
dei
Giovani
comunisti,
il
ruolo
del
Prc
all'interno
del
Genoa
Social
Forum
è
risultato
evidente
ed
importante,
proprio
perché
non
determinato
da
pretese
egemoniche.
In
questa
fase,
in
cui
il
movimento
ha
dato
in
più
occasioni
ottima
prova
di
sè
e
della
sua
capacità
di
tenuta
e
nel
contempo
sta
affrontando
una
impegnativa
discussione
sulle
proprie
prospettive
e
sulle
proprie
modalità
organizzative,
riteniamo
utile
precisare
il
nostro
indirizzo.
Riconfermando
la
scelta
strategica
della
nostra
internità
al
movimento,
il
nostro
impegno
organizzativo,
politico
e
culturale
finalizzato
alla
sua
crescita,
noi
riteniamo
che
i
nodi
prioritari
di
questa
fase
siano:
1. LA CRESCITA DEL MOVIMENTO, intesa come la sua capacità di persistenza, sviluppo, efficacia, al di là delle scadenze imposte dall'avversario costituisce l'obiettivo centrale. Per questo non vi è un problema di sbocco politico del movimento separabile dalla sua crescita e dal suo sviluppo, nella consapevolezza che i movimenti di massa non hanno necessariamente un andamento lineare, né sono a fortiori tenuti al "confronto" con appuntamenti istituzionali: insomma, nella scelta autonoma dei tempi e dei ritmi della lotta, si esercita fino in fondo la loro sovranità.
2.
L'UNITA'
DEL
MOVIMENTO,
così
ricco
di
articolazioni
interne,
così
variegato
nelle
sue
anime
e
nelle
sue
opzioni
generali,
è
un
bene
prezioso,
comunque
da
salvaguardare
in
termini
reali,
politici
e
non
"politicistici".
Una
sfida
non
semplice,
che
non
potrà
svilupparsi
su
basi
puramente
soggettivistica
o
volontaristica:
le
tendenze
alla
divisione,
se
non
alla
scomposizione
e\o
all'autonomizzazione
delle
singole
componenti,
sono
forti
e
fondate
sul
pluralismo
delle
soggettività
che
compongono
il
"popolo
no
global".
La
costruzione
-
non
frettolosa
e
consensuale
-
di
un
profilo
programmatico
alto,
unito
ad
un
profondo
rispetto
delle
differenze
presenti
nel
movimento,
alla
capacità
di
far
vivere
obiettivi
riconoscibili,
all'allargamento
continuo
del
movimento
oltre
i
suoi
confini,
è
un
impegno
che
proponiamo,
al
tempo
stesso,
a
noi
e
ai
soggetti
attivi
della
protesta.
3.
LA
COSTRUZIONE
DEI
SOCIAL
FORUM
cittadini,
di
paese,
di
quartiere
è,
anche
rispetto
ai
fini
di
questa
crescita,
uno
strumento
indispensabile.
Essi
sono
da
sviluppare
e
potenziare
con
l'attenzione
a
non
trasformarli
nei
fatti
in
intergruppi,
ma
in
sedi
reali
di
aggregazione
e
proposta,
capaci
ogni
volta
di
coinvolgere
soggetti
e
soggettività
finora
esclusi
-
o
autoesclusi
-
dalla
politica.
Qui
si
colloca
quel
lavoro
di
unificazione
tra
figure
sociali
diverse
-
tra
i
lavoratori
e
i
giovani,
prima
di
tutto,
tra
i
garantiti
e
i
non
garantiti,
tra
gli
operai
e
gli
studenti,
tra
i
"nativi"
e
i
migranti
-
di
cui
il
movimento
non
può
fare
a
meno.
Si
tratta,
appunto,
di
un
livello
di
unità,
di
interlocuzione
diretta,
di
confronto
ravvicinato
che
non
può
che
avvenire
dall'interno
delle
soggettività
e
dei
bisogni,
ma
anche
in
rapporto
a
eventi
concreti,
come
vertenze
di
zona,
di
territorio,
di
ambiente,
che
costruiscano
via
via
una
conflittualità
generale
e
articolata.
4. L'ALLARGAMENTO DELLA PRATICA DELLA DISUBBIDIENZA CIVILE E SOCIALE. Non si tratta solo di una metodologia, ma di un contenuto: la capacità di trasferire e rielaborare la violazione delle zone interdette dai grandi summit del potere alla messa in discussione delle infinite "zone rosse" che compongono la vita quotidiana, e la sfera della vita civile. La capacità di mettere in campo pratiche di disubbidienza civile, dagli scioperi alla rovescia dei disoccupati alla valorizzazione sociale degli spazi urbani dismessi all'obiezione fiscale alle spese militari, è una delle leve di radicamento sociale e territoriale del movimento e di avanzamento del medesimo. La "pratica dell'obiettivo" deve essere tolta dalla dimensione estetica del "gesto esemplare" per essere riconsegnata alla pratica collettiva di un percorso di lotta che intreccia rivendicazione e autogestione.
5.LA NONVIOLENZA, pratica di lotta non distrutttiva e, insieme, disubbidienza a leggi ingiuste, è la metodologia da un lato più in sintonia con l'anima profonda del movimento e dall'altra più efficace per combattere un potere che si presenta fortemente caratterizzato dal suo volto repressivo e che punta a trasformare la questione sociale in questione di ordine pubblico. Essa non va intesa come negazione del conflitto, e neppure della forza, ma all'opposto gestione altra, e più alta, del conflitto stesso: per essere efficace, infatti, questa scelta chiede un'organizzazione più e non meno forte, più e non meno capillare. Essa è parte integrante di quella riforma della politica - che riguarda i partiti come i movimenti - che implica il rifiuto di ogni militarizzazione del proprio agire e che assume la coerenza tra fini e mezzi come dato d'identità. In questo senso, nell'epoca della globalizzazione neoliberista, la pratica disubbidiente della nonviolenza è, in verità, ubbidienza ai valori più radicali della democrazia, della fratellanza, insomma, dell'umanità.
CENTRALITA'
DEL
MOVIMENTO
OPERAIO
E
DEL
CONFLITTO
SOCIALE
La
ripresa
del
conflitto
operaio
(e
più
in
generale
dell'iniziativa
di
lotta
dei
lavoratori)
costituisce
l'altra
grande
novità,
insieme
alla
nascita
del
movimento
pacifista
e
no
global,
della
fase
che
si
è
aperta.
Di
ciò
sono
testimonianza
lo
sciopero
e
le
grandi
manifestazioni
dei
metalmeccanici
del
6
luglio
e
del
16
novembre,
quelli
della
scuola
e
del
pubblico
impiego,
la
compatta
sospensione
del
lavoro
con
i
cortei
interni
alla
Fiat
e
più
in
generale
le
mobilitazioni
che
si
stanno
producendo
in
difesa
dell'art.
18
dello
Statuto
dei
lavoratori,
contro
la
destrutturazione
delle
regole
del
mercato
del
lavoro
e
dello
stato
sociale.
A
nessuno
può
sfuggire
l'importanza
che
tale
ripresa
del
conflitto
assume
dopo
anni
di
pace
sociale,
caratterizzata
da
una
asfissiante
pratica
concertativa
Il
conflitto
non
torna
soltanto
ad
investire
realtà
in
cui
le
capacità
di
lotta
si
erano
affievolite,
ma
coinvolge
una
giovane
generazione
di
lavoratori
che
per
la
prima
volta
si
affaccia
sulla
scena
politica,
e
vede
partecipi
fasce
rilevanti
di
precariato
che
dimostrano
la
propria
disponibilità
a
lottare
pur
in
presenza
dei
ricatti
derivanti
da
un
rapporto
di
lavoro
frammentato
in
misura
sempre
maggiore.
Infine,
risulta
evidente
che
tale
conflitto
trascende
l'immediatezza
della
condizione
di
lavoro
assumendo
un
carattere
più
generale.
Non
solo.
La
ripresa
di
un
conflitto
di
classe
nel
nostro
Paese
crea
le
premesse
per
la
costruzione
di
uno
schieramento
sociale
ampio.
Da
questo
punto
di
vista,
un
obiettivo
fondamentale
è
rappresentato
dalla
saldatura
fra
mondo
del
lavoro
e
movimento
no
global.
Tale
saldatura
fino
ad
oggi
si
è
verificata,
ancora
troppo
saltuariamente,
a
partire
da
Genova,
con
il
concorso
determinante
della
FIOM
oltre
che
del
sindacato
extraconfederale.
Non
vi
è
dubbio,
tuttavia
che
nella
prospettiva
della
costruzione
di
uno
schieramento
sociale
in
grado
di
sostenere
una
piattaforma
di
opposizione,
molto
resta
da
fare.
E
non
solo
perché
va
coinvolto
in
modo
più
esteso
lo
stesso
mondo
del
lavoro,
ma
perché
occorre
che
emergano
proposte
programmatiche
unificanti
e
occorre
che
tale
unificazione
si
esprima
compiutamente
sul
terreno
della
lotta
e
della
mobilitazione
comune.
A
livello
generale,
queste
dinamiche
dimostrano
che
nell'attuale
fase
della
globalizzazione
capitalistica
permane
ed
anzi
si
potenzia,
in
tutta
la
sua
obiettiva
e
visibile
dirompenza,
la
contraddizione
capitale-lavoro:
dalle
grandi
imprese
essa
si
estende
alle
realtà
produttive
minori
toccando
le
fasce
di
lavoro
frammentato,
delocalizzato,
precarizzato
dai
nuovi
modelli
dell'organizzazione
produttiva,
creando
le
premesse
per
un
processo
di
ricomposizione
attorno
a
comuni
interessi
di
classe.
Le
diverse
soggettività,
i
diversi
luoghi
del
lavoro
subordinato:
qui
troviamo
ancora
il
principale
motore
del
conflitto.
La
complessità
delle
articolazioni
sociali,
unificate
dal
comune
interesse
di
battere
lo
sfruttamento
di
cui
sono
vittime,
non
fa
svanire
ma
al
contrario
conferma
il
carattere
dominante
delle
contraddizioni
di
classe.
Non
corrisponde
al
vero,
quindi,
la
tesi
secondo
cui
il
"post-fordismo"
avrebbe
fatto
scomparire
il
lavoro
salariato
e
gli
stessi
luoghi
fisici
nei
quali
esso
si
svolge,
dissolvendoli
in
mille
rivoli
inafferrabili.
Restano
peraltro
numerosi,
anche
nel
nostro
paese,
i
grandi
insediamenti
lavorativi,
con
una
presenza
di
centinaia
e
in
qualche
caso
di
migliaia
di
lavoratrici
e
lavoratori.
L'assunzione
della
centralità
della
classe
operaia
e
della
contraddizione
capitale-lavoro
non
comporta
la
sottovalutazione
dei
profondi
mutamenti
della
società,
dei
processi
produttivi
e
della
composizione
di
classe.
Obiettivo
prioritario
del
movimento
operaio
e
dei
comunisti
resta
ancor
oggi
la
ricomposizione
e
l'organizzazione
in
termini
di
soggettività
politica
delle
diverse
articolazioni
del
proletariato
messo
al
lavoro
(dal
salariato
classico
al
post-salariato,
dal
lavoro
dipendente
tradizionale
al
lavoro
autonomo
"eterodiretto",
dal
precariato
alle
aree
del
lavoro
"atipico"
e
sommerso),
in
quanto
soggiacciono
a
una
comune
condizione
di
subalternità.
Il
partito
è
chiamato
ad
un
impegno
forte
a
sostegno
delle
istanze
espresse
dal
mondo
del
lavoro.
Occorre
pazientemente
riprendere
i
fili
che
abbiamo
cominciato
a
tessere
a
Treviso,
aggiornando
gli
assi
di
fondo
che
hanno
guidato
i
lavori
di
quella
conferenza,
a
cominciare
dall'inderogabile
esigenza
di
ridare
compiutamente
voce
ai
lavoratori
attraverso
l'approvazione
di
una
legge
che
finalmente
sancisca
criteri
democratici
di
rappresentanza
sui
luoghi
di
lavoro.
E'
necessario
appoggiare,
dentro
e
fuori
le
istituzioni,
le
vertenze
a
difesa
dei
posti
di
lavoro
oggi
sotto
attacco;
rilanciare
le
nostre
proposte
per
il
riallineamento
periodico
e
automatico
delle
retribuzioni
e
delle
pensioni
all'inflazione
reale;
favorire
l'incontro
di
lavoratori
'tipici'
e
'atipici',
reclamando
nuove
"rigidità"
nei
rapporti
di
lavoro
e
l'estensione
dei
diritti
garantiti
dallo
Statuto
dei
lavoratori
ai
precari
e
alle
aziende
sotto
i
15
dipendenti;
porre
ancora
all'ordine
del
giorno
l'acquisizione
di
livelli
normativi
e
contrattuali
certi
e
valorizzare
il
ruolo
delle
Rappresentanze
Sindacali
Unitarie
in
ogni
luogo
di
lavoro,
investendovi
risorse
umane
ed
economiche.
In
questa
prospettiva,
poi,
la
riproposizione
forte
della
questione
salariale
e
della
riduzione
d'orario
a
parità
di
salario
rappresentano
terreni
oggettivamente
unificanti.
L'impegno
per
la
crescita
del
movimento
dei
lavoratori,
per
la
realizzazione
di
uno
schieramento
sociale
più
ampio,
per
la
convergenza
all'interno
di
una
comune
piattaforma
sociale
costituiscono
obiettivi
fondamentali
dell'iniziativa
del
partito.
Senza
questo
orizzonte
il
suo
stesso
ruolo
come
soggetto
politico
sarebbe
inadeguato
rispetto
alla
complessità
della
fase.
Peraltro,
solo
in
questa
prospettiva
è
possibile
seriamente
porsi
il
problema
dell'opposizione
al
governo
delle
destre.
La
natura
dell'attacco
che
infatti
viene
condotto
dal
governo,
investendo
elementi
essenziali
della
vita
sociale,
dall'aggressione
allo
stato
sociale
all'attacco
ai
diritti
del
mondo
del
lavoro
impone
infatti
una
risposta
di
massa
che
si
generalizzi
e
duri
nel
tempo
passando
per
la
convocazione
dello
sciopero
generale
Nel
contempo,
l'apertura
di
un
processo
in
controtendenza
nella
sinistra
moderata
e
nel
sindacato
possono
determinarsi
solo
se
si
intreccia
con
una
forte
mobilitazione
sociale.
Non
vi
è
dubbio,
infatti,
che
la
dialettica
apertasi
nei
Ds
e
la
loro
crisi
di
consenso
(che
investe
milioni
di
persone,
in
gran
parte
lavoratori)
possono
evolvere
e
non
regredire
solo
se
viene
dalla
società
una
forte
istanza
di
cambiamento.
Analogamente,
la
crescita
di
una
sinistra
sindacale
e
orientamenti
di
classe
nella
Cgil,
che
ha
trovato
nel
congresso
un
riscontro
importante,
e
l'affermazione
di
posizioni
di
classe
nei
sindacati
extra-confederali
hanno
bisogno
di
trovare
riscontro
nel
rilancio
di
un
movimento
ampio
e
articolato
capace
di
configurare
una
prospettiva
di
cambiamento.
GRASSI, PEGOLO, BRACCI TORSI, CAPPELLONI, SACCHI, CASATI BRUNO, FAVARO, GHIGLIONE, GUAGLIARDI,MANGIANTI, SORINI, VALENTINI, VACCARGIU, ABBA', BANDINELLI, BELISARIO, BURGIO, CANCIANI, CANONICO, CAPACCI, CIMASCHI, COLOMBINI, CORRENTE, CRISTIANO, DE PAOLI, GAMBUTI, GIANNINI, GIAVAZZI, KIWAN, LEONI, LICHERI, LUCINI, MACRI', MARCHIONI, MARCONI, MASELLA, MELIS, MONTECCHIANI, MORO, MULAS, NOVARI, OKROGLIC, ORTU, PACE, PATELLI, PETRUCCI, PINTUS, PUCCI ALDO, RICCIONI, SCONCIAFORNI, SCREPANTI, SIMINI, SOBRINO, STERI, TEDDE, TORRESAN, VALLEISE, VERZEGNASSI.
TESI
51
(alternativa)
I
COMUNISTI
E
LA
LORO
STORIA
(sostitutiva
delle
tesi
51
e
52)
La
definizione
dell'identità
comunista
non
può
prescindere
dalla
riflessione
sull'esperienza
storica
del
movimento
operaio
nel
corso
degli
ultimi
centocinquant'anni.
Le
tesi
congressuali
di
un
partito
non
sono
la
sede
più
appropriata
per
un
pur
sommario
bilancio
di
questa
esperienza,
tanto
più
che
siamo
ancora
troppo
prossimi
alla
fine
dell'Urss
e
degli
altri
paesi
dell'est
europeo
e
che
"non
conosciamo
ancora
quale
sarà
l'effetto
di
lunga
durata
di
quei
regimi"
(Hobs-bawm).
Tuttavia,
benché
su
tali
questioni
la
storiografia
sia
ancora
lontana
da
risultati
definitivi,
è
indispensabile
individuare
i
principali
criteri
ai
quali
la
nostra
riflessione
storica
dovrebbe
ispirarsi.
Non
si
tratta
di
ripudiare
quella
che
è
comunque
la
nostra
storia,
gloriosa
o
tragica
che
la
si
consideri.
Vanno
evitate
semplificazioni
apologetiche
o
liquidatorie
che,
sempre
improprie,
sarebbero
grottesche
in
relazione
a
una
vicenda
che
segna
tutta
un'epoca
della
storia
del
mondo
e
nella
quale
ha
vissuto
-
e
in
parte
vive
tuttora
-
l'anelito
alla
libertà
di
miliardi
di
esseri
umani.
Non
ci
appartiene
la
tesi
di
chi
traccia
quadri
apocalittici
nei
quali
il
Novecento
vede
il
trionfo
di
una
furia
distruttiva
in
cui
il
nazismo
e
il
comunismo
si
confondono
approdando
a
una
comune
barbarie.
Occorre
guardare
in
faccia,
senza
reticenze,
anche
i
momenti
più
bui
della
nostra
esperienza:
l'assenza
di
democrazia
diffusa,
le
esasperazioni
dirigistiche,
le
deformazioni
burocratiche
denunciate
già
da
Lenin,
gli
stessi
crimini
che
hanno
macchiato
la
storia
del
"socialismo
reale".
A
chi
ci
incalza
evocando
le
violenze
commesse
nel
nome
del
comunismo,
non
rispondiamo
riducendone
la
portata
né
semplicemente
additando
le
immani
devastazioni
e
gli
stermini
prodotti
dal
capitalismo.
Siamo
consapevoli
anche
del
peso
del
nostro
passato
e
accettiamo
di
assumercene
la
responsabilità,
cercando
di
imparare
anche
dai
nostri
errori.
Nello
stesso
tempo,
ribadiamo
che
l'azione
del
movimento
operaio
e
le
rivoluzioni
vittoriose
nel
nome
del
comunismo
hanno
liberato
dal
servaggio
enormi
masse
di
popolo,
hanno
impresso
una
formidabile
accelerazione
ai
processi
di
liberazione
del
terzo
mondo
dal
colonialismo,
hanno
fornito
un
decisivo
sostegno
alle
lotte
operaie
e
antifasciste
nell'occidente
capitalistico
costringendo
le
classi
dominanti
a
compromessi
significativi
con
il
movimento
operaio.
Per
sconfinate
masse
di
proletari
la
nascita
dell'Urss
ha
significato
la
fine
dell'asservimento
e,
per
la
prima
volta,
l'accesso
a
condizioni
di
vita
progredite
e
ad
elevati
livelli
di
istruzione
e
protezione
sociale.
È
bene
altresì
rammentare
che
difficilmente
la
seconda
guerra
mondiale
avrebbe
visto
la
sconfitta
dell'Asse
senza
il
sacrificio
di
venti
milioni
tra
civili
e
militari
dell'Armata
rossa.
L'Ottobre
bolscevico
ha
rappresentato
una
rottura
epocale
che
ha
mostrato
al
mondo
la
ma-turità
della
classe
operaia
quale
soggetto
in
grado
di
affermare
la
propria
autonomia
storico-politica.
Ma
contrapporre
la
rivoluzione
alla
vicenda
politica
che
ne
è
seguita
-
scorgere
nelle
società
sorte
dall'Ottobre
soltanto
un
tradimento
della
rivoluzione
-
sarebbe
un'operazione
altrettanto
astratta
e
ingenua
quanto
ri-tornare
a
Marx
accantonando
la
ricerca
teorica
e
il
dibattito
politico
sviluppatisi
sulla
base
delle
sue
indicazioni.
Marx
ha
elaborato
le
categorie
fondamentali
dell'analisi
critica
del
capitalismo
e
ha
gettato
le
basi
di
una
teoria
rivoluzionaria
che
ha
messo
il
proletariato
in
condizione
di
affermarsi
quale
autonomo
soggetto
politico.
Ma
proprio
Marx
ha
sempre
insistito
sulla
necessità
di
sottoporre
la
teoria
a
continui
aggiornamenti.
Con
l'analisi
leniniana
del
colonialismo
e
dell'imperialismo
la
teoria
rivoluzionaria
si
è
liberata
da
ogni
angustia
eurocentrica,
collocandosi
all'altezza
della
dimensione
mondiale
del
dominio
capitalistico.
La
riflessione
di
Gramsci,
nella
quale
l'eredità
teorica
di
Lenin
è
assunta
e
originalmente
ripensata,
rappresenta
un
ulteriore
arricchimento,
sia
per
quanto
concerne
la
concezione
del
partito
comunista
come
"intellettuale
collettivo",
protagonista
del
processo
rivoluzionario
e
della
costruzione
dello
Stato
operaio,
sia
in
relazione
al
tema
della
rivoluzione
in
Occidente,
concepita
-
sullo
sfondo
di
una
idea
della
politica
quale
ambito
non
separato
dal
terreno
sociale
-
come
processo
di
radicamento
della
classe
nella
società
e
come
progressivo
consolidamento
della
sua
capacità
di
di-re-zione
egemonica.
Non
si
tratta
di
allestire
un
corpo
di
dogmi,
ma
di
valorizzare
strumenti
teorici
per
procedere
oltre,
concentrando
l'attenzione
su
problematiche
cruciali
non
ancora
adeguatamente
indagate
dalla
cultura
marxista.
Appaiono
centrali
al
riguardo
le
questioni
poste
dai
movimenti
femministi
e
ambientalisti.
Da
un
lato
è
necessario
ripensare
a
fondo
la
struttura
dei
processi
di
riproduzione
e
i
temi
della
soggettività,
dell'esperienza
affettiva
e
della
mercificazione
del-le
relazioni
umane.
Dall'altro
si
impone
la
necessità
di
assumere
il
concetto
di
"sviluppo
sostenibile",
evitando
di
assolutizzare
i
valori
dello
sviluppo
economico
e
della
crescita
produttiva.
In
una
parola,
non
si
può
guardare
all'esperienza
del
movimento
comunista
come
a
un
cumulo
di
macerie.
La
storia
dell'umanità
si
troverebbe
oggi
a
uno
stadio
ben
più
arretrato
se
le
rivoluzioni
socialiste
non
avessero
segnato
vaste
aree
del
mondo.
Un
grande
contributo
alla
lotta
per
l'emancipazione
del
proletariato
hanno
fornito
anche
intere
generazioni
di
comunisti
del
nostro
paese.
La
fine,
per
molti
versi
sconcertante,
del
Partito
comunista
italiano
ci
impone
di
cercare
le
radici
della
mutazione
che
ne
ha
decretato
nel
corso
degli
ultimi
decenni
il
declino
e
infine
la
dissoluzione.
Le
cause
di
questa
mutazione
-
che
rendono
improponibile
ogni
continuismo
-
debbono
essere
valutate
in
tutta
la
loro
portata,
per
trarne
severe
lezioni.
Ma
esse
non
cancellano
i
meriti
storici
del
Pci,
come
non
impediscono
di
riconoscere
il
contributo
dato
da
migliaia
di
militanti
comunisti
e
socialisti,
anche
fuori
delle
sue
file
(ad
esempio
nei
movimenti
del
'68-69
e
nella
nuova
sinistra),
alla
lotta
antifascista,
per
la
democrazia
e
contro
lo
sfruttamento
capitalistico.
Queste compagne e questi compagni hanno scritto alcune tra le pagine più intense della guerra di Spagna e della Resistenza e hanno dato corpo alla lotta di liberazione dal nazi-fascismo. Alla capacità di direzione politica di Togliatti e del gruppo dirigente del Pci negli anni della Resistenza e della prima fase repubblicana - come pure alle intuizioni di Eugenio Curiel in tema di "democrazia progressiva" e all'impegno di grandi dirigenti socialisti tra i quali Lelio Basso e Rodolfo Morandi - gli italiani debbono una carta costituzionale avanzata. In essa il quadro delle libertà democratiche diviene strumento di trasformazione della società esistente e presidio possibile delle conquiste sociali e politiche di massa; leva per l'eguaglianza effettiva tra tutti i cittadini e per la loro partecipazione al governo della società e dell'economia. Non si comprenderebbe l'ulteriore storia italiana ove si prescindesse da queste premesse, in virtù delle quali l'Italia è divenuta un laboratorio del conflitto di classe per molti versi unico in Europa.
PESCE, GRASSI, PEGOLO, BRACCI TORSI, CAPPELLONI, SACCHI, CASATI BRUNO, CURZI, FAVARO, GHIGLIONE, GUAGLIARDI, MANGIANTI, SORINI, VALENTINI, ABBA', BANDINELLI, BELISARIO, BURGIO, CANCIANI, CANONICO, CAPACCI, CIMASCHI, COLOMBINI, CORRENTE, CRISTIANO, DE PAOLI, GAMBUTI, GIANNINI, GIAVAZZI, KIWAN, LEONI, LICHERI, LUCINI, MACRI', MARCHIONI, MASELLA, MORO, MULAS, NOVARI, OKROGLIC, ORTU, PACE, PATELLI, PETRUCCI, PINTUS, PUCCI ALDO, RICCIONI, SCONCIAFORNI, SIMINI, SOBRINO, STERI, TEDDE, TORRESAN, VALLEISE, VERZEGNASSI.
TESI
56
(alternativa)
PARTIRE
DALLE
FONDAMENTA:
POTENZIARE
IL
PARTITO
Compito
dei
comunisti
è
organizzare
i
soggetti
sociali
che,
per
la
loro
collocazione
oggettiva
nella
produzione
capitalistica
e
nelle
diverse
forme
oppressive
e
alienanti
in
cui
essa
si
esprime,
sono
potenzialmente
portatori
di
un
progetto
di
società
alternativa
al
capitalismo:
in
primo
luo-go
la
classe
operaia,
i
lavoratori
dipendenti
(anche
nelle
forme
"atipiche"
del
lavoro
for-mal-mente
autonomo),
i
lavoratori
precari
e
i
disoccupati,
i
movimenti
femministi,
pacifisti
e
ambientalisti.
Il
nostro
partito
si
pone
l'obiettivo
di
lunga
lena
di
organizzare
un
blocco
sociale
e
politico
che
rappresenti
la
maggioranza
delle
classi
lavoratrici
e
degli
oppressi.
A
tal
fine
è
indispensabile
perseverare
nel
lavoro
di
costruzione
di
un
partito
comunista
con
basi
di
massa,
radicato
nel
territorio,
presente
nei
luoghi
di
lavoro
e
di
studio
e
nei
quartieri.
Dell'importanza
di
questo
lavoro
parla
con
chiarezza
tutta
la
storia
di
Rifondazione
comunista.
Senza
un
partito
organizzato
su
tutto
il
territorio
nazionale,
strutturato
in
comitati
regionali,
federazioni,
circoli
(che
sono
il
baricentro
vitale
della
nostra
organizzazione)
non
saremmo
riusciti
a
superare
le
prove
durissime
che
ci
siamo
trovati
di
fronte
in
questi
primi
dieci
anni
di
vita.
Se
le
ripetute
e
rovinose
scissioni,
provocate
dalla
maggioranza
dei
gruppi
parlamentari
e
da
larghi
settori
del
gruppo
dirigente
centrale,
non
ci
hanno
distrutto,
ciò
si
deve
soprattutto
alla
capacità
di
tenuta
delle
nostre
organizzazioni
di
base,
a
cui
va
la
riconoscenza
di
tutto
il
partito.
Il
radicamento
capillare
di
Rifondazione
comunista
sul
territorio
e
nei
luoghi
del
conflitto
sociale
è
dunque
decisivo
se
si
vuole
rafforzare
il
nostro
progetto
politico.
Non
è
inutile
ribadirlo
poiché
si
è
molto
teorizzato
in
questi
anni,
anche
in
ambienti
di
"sinistra",
sui
partiti
come
strumenti
inutili
e
superati.
Nulla
sarebbe
più
falso.
Tutta
la
storia
del
movimento
operaio,
compresa
quella
della
dissoluzione
del
Pci,
insegna
che
gli
strumenti
più
importanti
di
cui
esso
dispone
nella
lotta
sono
l'organizzazione
politica
e
quella
sindacale,
senza
le
quali
il
suo
potere
contrattuale
si
riduce
a
zero.
Non
a
caso
le
classi
dominanti
possono
contare
su
mezzi
potenti
in
ogni
campo
e,
in
particolare,
su
partiti
fortemente
strutturati
nel
territorio
quali
Forza
Italia
e
Alleanza
nazionale.
Ciò
non
ci
induce
ad
alcun
continuismo
o
conservatorismo
organizzativo:
al
contrario,
proprio
la
necessità
di
rafforzare
il
partito
pone
l'esigenza
di
profonde
innovazioni
e
scelte
di
autoriforma,
nel
quadro
di
una
riflessione
politica
e
teorica
aperta
su
quali
possano
e
debbano
essere
-
nel
contesto
storico
attuale
e
nella
realtà
di
un
paese
capitalistico
come
l'Italia
-
le
caratteristiche
di
un
partito
comunista
con
basi
e
influenza
di
massa,
con
caratteri
nuovi
anche
rispetto
alle
esperienze
più
avanzate
del
passato.
Imprescindibile
dev'essere
l'impegno
di
tutto
il
gruppo
dirigente
su
problemi
essenziali
come
la
costruzione
del
partito
nel
territorio,
il
tesseramento
(che,
se
correttamente
inteso,
è
l'opposto
di
un
rituale
burocratico,
ma
occasione
di
intense
relazioni
politiche
e
umane),
l'autofinanziamento,
il
radicamento
nei
luoghi
di
lavoro,
la
formazione
dei
quadri.
Il
calo
degli
iscritti,
che
è
un
dato
costante
da
quattro
anni,
e
il
turnover,
che
resta
elevatissimo,
costituiscono
un
fatto
politico
di
primaria
importanza:
alla
base
di
tali
fenomeni
vi
è
l'estrema
debolezza
di
molti
circoli,
cioè
proprio
di
quelle
istanze
che
restano
fondamentali
per
un
partito
che
voglia
essere
fortemente
radicato
nella
società.
Da
qui
l'esigenza,
da
parte
di
tutto
il
partito,
della
massima
cura
e
valorizzazione
dei
gruppi
dirigenti
dei
circoli
stessi
e
l'impegno
prioritario
di
coinvolgere
maggiormente
gli
organismi
di
base
nell'elaborazione
delle
decisioni
politiche.
Di
tutto
ciò
bisogna
discutere
con
rigore,
anche
con
sedute
specifiche
del
Comitato
politico
nazionale
e
della
Direzione:
non
averlo
fatto
in
questi
anni
denota
una
grave
sottovalutazione
di
tali
problemi.
Questa
tendenza
va
invertita
e,
a
tal
fine,
è
necessario
introdurre
alcuni
cambiamenti
rispetto
alla
situazione
attuale:
A) Poiché Rifondazione comunista ritiene centrale la contraddizione capitale-lavoro, la presenza organizzata nei luoghi della produzione è strategicamente decisiva e concerne la natura stessa del partito, oltre che l'efficacia della sua iniziativa politica e di lotta. Non va dimenticato che la "socialdemocratizzazione" del Pci e la sua mutazione genetica sono andate avanti di pari passo con la perdita di una chiara connotazione di classe e con la progressiva scomparsa dei lavoratori in produzione dagli organismi dirigen-ti. Occorre perciò costituire un settore specifico, che abbia il compito di contribuire alla costruzione di nuclei organizzati nei luoghi di lavoro, rapportati ai circoli territoriali, e che sia per questo dotato di risorse umane e materiali rilevanti, adeguate alle priorità, così da favorire la crescita di quadri dirigenti espressione diretta del mondo del lavoro.
B)
Mentre
va
evitato
il
cumulo
di
incarichi
e
ruoli
dirigenti
politici
e
istituzionali,
una
parte
significativa
dell'apparato
centrale
e
del
gruppo
dirigente
nazionale
va
riportata
"sul
campo",
in
periferia;
anche
la
collocazione
dei
dipartimenti
nazionali
va
ripensata
e
collocata
non
solo
a
Roma,
ma
anche
in
altre
realtà
metropolitane.
A
loro
volta,
le
Federazioni,
partendo
dal
territorio,
dai
luoghi
di
lavoro
e
di
studio,
potrebbero
decentrare
il
lavoro
politico,
aggregando
i
circoli
territoriali
e
di
lavoro
in
coordinamenti
zonali
sulla
base
di
progetti
di
iniziativa
sociale.
Si
tratta
di
una
scelta
che
ha
forti
implicazioni
democratiche.
Essa
rafforza
il
rapporto
continuo
tra
centro
e
periferia;
potenzia
il
lavoro
di
radicamento
sociale
del
partito;
contribuisce
a
snellire
e
a
sburocratizzare
le
funzioni
dell'apparato
centrale
(oltre
a
renderle
meno
costose);
trasferisce
strumenti
e
risorse
sul
territorio;
limita
i
rischi
-
sempre
presenti
nella
storia
del
movimento
operaio
-
di
irrigidimento
autoritario
dei
gruppi
dirigenti
e
di
formazione
di
un
ceto
politico-istituzionale
privilegiato
e
separato
dal
corpo
del
partito,
riduce
i
margini
per
carrierismi
e
personalismi
oggi
largamente
diffusi;
contribuisce
ad
una
selezione
dei
quadri
che
tenga
conto
in
misura
adeguata,
oltre
che
delle
competenze
e
delle
capacità
intellettuali,
anche
delle
esperienze
di
lotta
e
di
organizzazione
sul
campo.
In
questo
quadro
va
promossa
la
crescita
delle
compagne
con
funzioni
di
direzione
complessiva
del
partito
a
tutti
i
livelli,
tenendo
conto
delle
tante
difficoltà
che
esse
incontrano
nella
vita
di
partito
e
impegnandosi
per
l
superamento
delle
effettive
condizioni
di
disuguaglianza.
C) Va proseguita la politica di acquisizione delle sedi di proprietà del partito praticata in questi anni, con l'obiettivo di dotare di una sede in proprietà almeno le nostre federazioni provinciali. In questo modo le nostre sedi possono favorire - più di quanto non facciano già - una pratica di apertura e interlocuzione con altre soggettività di massa, divenendo centri di aggregazione sociale e culturale.
D) Il quotidiano "Liberazione" ha svolto e svolge un ruolo insostituibile. Dopo anni di duro lavoro e di difficili interventi organizzativi, grazie all'impegno di una direzione autorevole di indiscusso prestigio professionale e al contributo di tutto il corpo redazionale e poligrafico, esso si trova oggi in una condizione di sostanziale pareggio economico. Bisogna consolidare questi risultati e migliorarli. Non è più tollerabile l'assenza di un impegno sistematico, da parte dei gruppi dirigenti a tutti i livelli, per un incremento della diffusione del quotidiano del partito. Al tempo stesso, "Liberazione" - con una direzione politica collegiale espressione di tutto il partito - deve svolgere un ruolo equilibrato affinché il partito sia informato correttamente, fuori da ogni personalizzazione, del dibattito che si svolge nei suoi gruppi dirigenti e perché il dibattito interno al corpo del partito possa esprimersi liberamente, evitando unilateralità e forzature che ne ostacolerebbero il pieno sviluppo. Sarebbe utile anche una maggiore informazione su quello che fanno e pensano i comunisti e le forze di sinistra nel mondo: una "globalizzazione" dell'informazione e delle riflessioni sui temi di comune interesse.
E) Le Feste di "Liberazione" - oltre 700 ogni anno - sono tra gli appuntamenti politici più rilevanti del partito. Attraverso le Feste parliamo a milioni di persone; tra queste, molte non sono iscritte e non ci votano. Si tratta dunque di eventi che non possono più essere abbandonati a se stessi (da anni non esiste un responsabile nazionale del settore): va costruito un lavoro che ci consenta di veicolare messaggi comuni, di razionalizzare l'uso delle strutture di nostra proprietà, di fare conoscere e valorizzare i risultati più rilevanti colti dal partito sul terreno politico ed economico. Senza mai dimenticare che un autofinanziamento del partito non troppo dipendente dal finanziamento pubblico e dalla nostra presenza nelle istituzioni, è condizione vitale della nostra autonomia.
F)
Va
potenziato
il
lavoro
di
formazione.
Non
si
tratta
di
allestire
corsi
di
"indottrinamento",
ma
di
considerare
la
crescita
culturale
e
politica
dei
quadri
un
fattore
decisivo
per
la
capacità
stessa
dei
circoli
di
fare
politica
in
modo
intelligente
e
adeguato
ai
tempi.
Una
conoscenza
non
dogmatica
delle
opere
dei
dirigenti
più
importanti
del
movimento
comunista
e
socialista,
una
riflessione
approfondita
sulla
storia
del
movimento
operaio,
nonché
un'adeguata
preparazione
al
fare
politica
nella
società
e
nelle
istituzioni
possono
contribuire
a
formare
criticamente
i
compagni
e
le
compagne,
a
superare
approcci
pragmatici
ed
elettoralistici
ancora
troppo
diffusi.
La
crescita
culturale
dei
militanti
-
specie
di
quelli
più
giovani
-
è
per
il
partito
un
patrimonio
di
primaria
importanza,
senza
il
quale
sarebbe
velleitario
quell'investimento
sul
futuro
che
informa
e
giustifica
il
nostro
impegno
comune.
L'innalzamento
del
livello
teorico-politico
di
tutto
il
partito
può
inoltre
contribuire,
assai
più
delle
esortazioni,
a
potenziare
la
sua
democrazia
interna
("l'informazione
è
potere");
e
a
superare
logiche
interne
di
appartenenza,
legate
spesso
più
a
vecchie
esperienze
e
collocazioni
che
non
a
un
confronto
di
merito
sulle
problematiche
del
presente,
che
ha
bisogno
invece
di
una
dialettica
libera
e
non
cristallizzata.
All'interno
di
questo
processo
politico
e
culturale
di
rifondazione
dell'ipotesi
comunista
si
pone
con
estrema
necessità
il
nodo
dell'autoriforma
del
partito.
Questo
problema
è
reso
ancor
più
urgente
dal
cambio
di
fase
politica
rappresentato
dal
riemergere
del
conflitto
sociale
e
dai
nuovi
compiti
che
ne
nascono.
Punto
fermo
della
nostra
prospettiva
è
la
costruzione
di
un
partito
comunista
di
massa
con
l'ambizione
della
rifondazione
di
un
pensiero
e
di
una
pratica
comunista.
Un
partito
che
prefiguri
nella
sua
vita
reale
e
quotidiana
quella
società
di
"liberi
ed
uguali"
a
cui
alludiamo
quando
parliamo
di
comunismo.
Un
partito
che
sappia
costruire
una
critica
teorica
e
pratica
dell'esistente,
una
politica
non
separata
dai
contenuti,
una
partecipazione
non
delegata,
un
rapporto
reale
con
la
società
capace
di
suscitare
movimenti
e
lotte
per
la
trasformazione,
di
costruire
forti
relazioni
con
e
tra
i
soggetti
oggi
aggrediti
dalla
modernizzazione
e
globalizzazione
capitalistica,
di
lavorare
alla
costruzione
di
una
ampia
ed
articolata
sinistra
di
alternativa.
Rispetto
a
questo
nostro
progetto,
del
punto
di
vista
della
filosofia
e
della
pratica
organizzativa,
il
nostro
partito
soffre,
da
sempre,
di
seri
limiti
strutturali,
che
sono
stati
per
altro
ampiamente
analizzati
nel
corso
della
conferenza
di
Chianciano.
Ma,
soprattutto,
subisce
una
contraddizione
apparsa
fin
qui
insormontabile
dovuta
oltre
che
a
difficoltà
oggettive
anche
alle
nostre
incapacità
a
dar
vita
in
questi
anni
ad
un
partito
con
reali
caratteristiche
di
massa:
quella
tra
un'architettura
mutuata
dalla
tradizione
del
Pci
e
funzionale
ad
un
partito
in
grado,
fra
l'altro,
di
disporre
di
un
alto
numero
di
funzionari
a
tempo
pieno,
e
la
realtà
del
corpo
politico
di
Rifondazione
comunista,
fatto
in
misura
preponderante
di
lavoro
volontario,
militanza
mobile,
collaborazione
occasionale.
Non
siamo
riusciti
in
nessun
momento,
anche
per
il
ritmo
convulso
assunto
da
una
politica
sempre
più
"veloce"
(e
sempre
più
incentrata
sulle
continue
scadenze
elettorali),
a
sperimentare
dentro
questo
modello
correzioni
significative
o
forme
davvero
innovative,
anche
per
quanto
riguarda
il
superamento
del
carattere
monosessuato
e
"biancocentrico"
del
partito.
Ora,
però,
non
è
possibile
rinviare
ulteriormente,
quantomeno,
l'avvio
di
una
discussione
seria.
In
larga
parte
del
territorio
nazionale,
il
partito
appare
in
seria
difficoltà:
spesso
appesantito
nella
sua
capacità
di
proiezione
esterna,
di
radicamento
sociale,
di
allargamento
dei
consensi;
spesso
scosso
da
divisioni,
lacerazioni,
personalismi;
spesso,
ancora,
segmentato
in
comparti
tra
loro
non
comunicanti.
Non
è
esente
da
queste
contraddizioni
neppure
la
vita
del
partito
ai
suoi
livelli
nazionali
e
centrali.
Va
posto
in
questo
ambito
anche
il
nodo
di
come
rendere
effettiva
la
partecipazione
del
corpo
del
partito
alla
formazione
delle
decisioni
politiche.
Ad
un
partito
più
vivo
e
partecipato,
in
grado
soprattutto
di
estendere
i
propri
legami
sociali,
non
può
corrispondere
un
funzionamento
che
nei
fatti
riproponga
forme
di
direzione
di
tipo
verticistico.
Il
solo
nudo
dato
di
un
turn-over
di
iscritti
oramai
endemico,
che
riguarda
decine
di
migliaia
di
compagne
e
compagni
"perduti"
per
strada,
merita
di
essere
oggetto
di
una
riflessione
organica
e
non
aggiuntiva.
Come
pure
la
singolare
contraddizione
tra
l'aumento
della
corrente
di
simpatia
verso
il
partito
-
in
particolare
delle
giovani
generazioni
-
e
la
riduzione
degli
iscritti
avvenuta
negli
ultimi
anni.
Abbiamo
quindi
la
necessità,
soprattutto
in
questa
fase
in
cui
i
segnali
di
disgelo
sociale
sono
cresciuti
in
modo
esponenziale
fino
a
determinare
la
nascita
del
movimento,
di
ridefinire
le
nostre
capacità
organizzative
e
di
direzione
politica
unitaria
a
tutti
i
livelli
(dalla
costruzione
del
lavoro
sociale
al
tesseramento
alla
diffusione
di
Liberazione)
all'interno
di
un
indispensabile
processo
di
autoriforma
del
partito
che
ne
aumenti
le
capacità
attrattive
e
aggregative,
a
partire
dai
circoli
che
rappresentano
lo
snodo
fondamentale
da
cui
costruire
la
nostra
iniziativa
politica.
GRASSI, PEGOLO, BRACCI TORSI, CAPPELLONI, SACCHI, CASATI BRUNO, FAVARO, GHIGLIONE, GUAGLIARDI, MANGIANTI, SORINI, VALENTINI, ABBA', BANDINELLI, BELISARIO, BURGIO, CANCIANI, CANONICO, CAPACCI, CIMASCHI, COLOMBINI, CORRENTE, CRISTIANO, DE PAOLI, GAMBUTI, GIANNINI, GIAVAZZI, KIWAN, LEONI, LICHERI, LONGO, LUCINI, MACRI', MARCHIONI, MARCONI, MASELLA, MELIS, MONTECCHIANI, MORO, MULAS, NOVARI, OKROGLIC, ORTU, PACE, PATELLI, PETRUCCI, PINTUS, PUCCI ALDO, RICCIONI, SAVELLI, SCONCIAFORNI, SIMINI, SOBRINO, STERI, TEDDE, TORRESAN, VALLEISE, VERZEGNASSI.